Crollalanza
ADIMARI di Firenze, discendono dagli antichi Marchesi di Toscana e si stabilirono in Firenze nel XI secolo. Furono assai potenti ed appartennero alla fazione dei Guelfì; ma rotti questi alla famosa giornata di Montoperti furono ad emigrare dalla patria, e non vi rientrarono se non dopo la sconfitta di Manfredi e dei Ghibellini. Al suscitarsi dei partiti bianco e nero, gli Adimari si divisero, alcuni schierandosi tra i Bianchi ed altri tra i Neri. Nel 1302 i primi furono espulsi da Carlo di Valoís e non rientrarono in patria che nel 1328. Agli Adimari fu tolta ogni speranza di poter ottore alle magistrature, ma furono dichiarati Magnati, e nel 1343 si conciliarono il pubblico favore quando Antonio si fece capo della congiura per la quale fu espulso dalla città il Duca d'Atene.Dagli Adimari nacquero i Trotti, gli Alamanneschi, i Cardinaleschi, i Della Trita, i Di Domenico, i Boccaccini, e. molte altra famiglie. Tutta questa consorteria detto ai Comune di Firenze 23 Priori dal 1286 al 1526. Alamanno di Messer Filippo, morto nel 1422 fu Arciv. di Pisa e Cardinale. La famiglia si spense in Firenze nel 1736 nella persona di Adimaro di Curzio.
Un .ramo di essa, ora estinto, fu trapiantato in Sicilia da un Pietro Adimari che fu a'servizi di Federico lI, il quale gli conferì il governo della città di Termini, e gli concesso Il feudo di Maeggi nel territorio di Siracusa. - Arma : Spaccato d' oro e d' azzurro.
ADIMARI di Rimini. E' un ramo della precedente, che nel 1300 si trapiantò in Rimini dove ottenne eminenti cariche ed onori. E' famosa nella storia riminese la Congiura degli Adimari del 1498 ordita contro Pandolfo Malatesta, della quale furono capi Adimaro e Niccolò degli Adimari. Si estinse nel XVII secolo. - Arma: Spaccato d'argento e di rosso.
Mecatti
Famiglia chiarissima delle piu' numerose , potenti ,e nobili del sesto di Porta San Piero , dove si ad abitare dopo la distruzione di Fiesole nel 1010 , chiamata da Dante Alighieri : " La tracotata schiatta : e fabbricarono la chiesa di Santa Maria Nipotecosa sul canto della loro via detta Corso degli Adimari . Furono signori di castella in contado : ebbero torre e loggia in citta', e si vede ancora nel detto Corso la loggia " detta dellaNeghitosa"
Ebbero nel 1196 , un console ; godettero quindici volte il priorato , incominciando dal 1286 al 1514, ed ebbero molti personaggi chiari nelle lettere e nelle armi . Fu di questa famiglia un Cardinale che fu creato nel 1411, e poi fu Arcivescovo di Pisa ; un senatore nel 1633. Antonio Adimari fu capo della terza congiura contro il duca d'Atene tiranno di Firenze ,Vedi La storia cronologica fiorentina dell'abate Giuseppe Maria Mecatti all'anno 1343.Presentemente non e' rimasta di questa Casa di Firenze ,che Margherita figliuola del marchese Smeraldo , al sacro fonte Adimaro , che e' maritata col marchese Bomba in Napoli ,il quale e' della medesima famiglia , e vi e' una sentenza emanata l'anno 1693 del Magistrato Supremo , che la dichiara tale .
La suddetta marchesa Margherita sta in Napoli ; ma ha in animo di soggiornare in Firenze sua patria.
Gamurrini
nel libro V della sua Istoria genealogica ( pag 102 ) parla di un Roberto degli Adimari schierato con i ghibellini…………..E di piu' nel sommario di stefano Bonsi registrato nella Storia Ubaldina a C.61 messer Roberto degli Adimari l'anno 1261 essendo podesta' della suddetta terra di Signa , fattosi capo dei Ghibellini gli fece richiedere tutti accio' venissero a Signa per consultare degli interessi comuni di quella fazzione ……………………..
nelle vicende locali, partendo dalla prima storia cittadina, il Sito riminese di Raffaele Adimari, che esce a Brescia nel 1616 come rielaborazione di pagine "sparse" composte dal dottor don Adimario Adimari, rettore di Sant’Agnese e figlio del cavalier Nicolò.
Nell’introduzione [p. V], Raffaele non precisa quale sia la parentela che lo lega al sacerdote, ma altrove lascia un importante indizio. Raccontando la congiura antimalatestiana di domenica 20 gennaio 1498 contro Pandolfo, scrive che essa fu organizzata nella casa dei suoi "antecessori", cioè il cavalier Nicolò e "Adimario suo Padre" (II, p. 54).
Questo Nicolò padre del prete-scrittore Adimario, e morto nel 1565, come apprendiamo dallo storico Gaetano Urbani (Raccolta di scrittori e prelati riminesi, ms. 195, Bib. Gambalunga [BGR], inizio sec. XIX, p. 2), ebbe altri quattro figli: Tiberio e Cesare (entrambi senza prole), Antonio ed Ottaviano. Raffaele è quindi figlio di uno di questi ultimi due. Ed il prete-scrittore è uno zio (e non prozio come talora si legge) di Raffaele.
Nicolò Adimari aveva rinnovato il nome del nonno, racconta F. G. Battaglini (p. 290) da cui apprendiamo che Adimario il congiurato aveva sposato Isabetta degli Atti (figlia di un fratello di Isotta, prima concubina e poi moglie di Sigismondo), che ebbe fama di donna "modestissima e spirituale". Le cronache restituiscono di lei un’altra fama. Il suo primo marito, Nicolò Agolanti, fu trovato impiccato in casa (1468). Lei testimoniò che era morto naturalmente mentre stavano pregando. Il secondo sposo, Adimario Adimari (da cui ha il ricordato cavalier Nicolò padre del prete scrittore), fu mandato in prigione ed in esilio da Roberto Malatesti. Da Roberto la nostra Isabetta concepì un altro figlio, Troilo, nato pochi mesi prima del decesso del padre, avvenuto il 10 ottobre 1482 a 40 anni. Nel 1498 Adimario ed il figlio Nicolò tentano di cacciare Pandolfo Malatesti. Ma, osserva Raffaele, la loro iniziativa "non hebbe effetto buono" (II, p. 54). Adimario poté rientrare soltanto nel 1504, perdonato dai veneziani a cui l’anno prima la città era stata ceduta da Pandolfo (detto per questo "ultimo").
Mons. Giacomo Villani (1605-1690) attribuì erroneamente il Sito all’olivetano di Scolca (al Covignano) padre Ippolito Salò, matematico, nipote di mons. Paolo che fu al servizio del cardinal Carlo Borromeo (Tonini, Coltura, II, pp. 147, 149). Raffaele Adimari ricevette in dono le 62 carte "sparse" (Elogio del sito riminese, ms. 617, BGR) di don Adimario il 20 dicembre 1605 dal nobile Francesco Rigazzi che le possedeva (Schede Gambetti 111 e 113 fasc. 1; 25, fasc. 76, BGR).
Rigazzi è il fondatore del collegio dei Gesuiti di Rimini. Nel 1610 dopo aver diseredato il figlio Giovanni Antonio ("un bastardo criminale", lo definisce), lascia usufruttuaria la moglie Portia Guiducci. Alla di lei morte, i beni finiranno ai Gesuiti "col patto però, che detti padri siano tenuti a fondare in Rimino un Colegio nel quale siano obligati à gloria di Jddio et à benefitio della mia carissima patria insegnare, et fare tutte quelle operationi, che fanno ne gli altri Colegj d’Italia sì di legere publicamente come di ogni cosa solita da farsi da loro nell’altre". Nel 1619, 1622 e 1626 ("donatio inter vivos"), Rigazzi conferma le sue volontà. Dal 1627 i Gesuiti cominciano ad operare a Rimini. Nei giorni di Carnevale introducono una novità che provoca proteste: predicano in piazza. Il 14 giugno 1631 aprono la loro prima chiesa nel granaio di Rigazzi, con il nome di San Francesco Saverio. Il 22 agosto, Rigazzi muore. La vedova apre ai Gesuiti un pezzo della sua casa, dove da novembre s’inizia "la scola".
Torniamo agli Adimari. Le ricerche sulla loro genealogia hanno tormentato le più belle intelligenze locali. I risultati pervenutici confermano che la Storia può a volte essere più fantastica che veritiera, non per secondi fini ma semplicemente per eccesso di presunzione degli scrittori. Il 23 agosto 1750 Giuseppe Garampi (a Roma dalla fine del 1746) attiva l’abate riminese Stefano Galli che gli scrive il 27 di aver consultato il manoscritto delle Famiglie riminesi di Raffaele Brancaleoni, non trovandovi "cosa veruna" di Raffaele Adimari o notizie per stabilire il suo grado di parentela con Adimaro. Galli nel Diario de’ Morti (1610-1634)del canonico Giacomo Antonio Pedroni vede citato un Raffaele figlio di Pietro che però non ha sangue nobile essendo di "famiglia cittadinesca". [Tonini, Coltura, II, p, 146.]
Né Garampi né Galli avevano evidentemente letto il Sito di Adimari in quella pagina 54 del secondo tomo dove l’autore dichiara che la congiura del 1498 fu organizzata in casa dei suoi "antecessori".
Il solo Mugnos che ne parla dice essere una delle principali famiglie nobili di Firenze.
Nel 1262, Pietro e Bonaccorso Ademari indussero Corradino svevo all'acquisto de' suoi regni soccorrendo i Guelfi di Firenze.
Poscia un Manno figlio di Pietro venne da Napoli in Sicilia a' servizi di Federico Secondo, il quale gli conferì il governo della città di Termini.
Ebbe il feudo di Maeggi nel territorio di Siragusa.
Continua la successione sino a Nicolò.
Armasi secondo Mugnos: campo diviso d'oro e d'azzurro.
http://www.famiglia-nobile.com/links.asp?CatId=105
Dai Registri della Cancelleria Angioina (raccolta di notizie sul Regno di Napoli iniziata da Carlo d'Angiò), si rileva che nel 1269 Carlo d'Angiò regalò Bomba, insieme a Chieti, Lanciano, Atessa, Paglieta e tanti altri comuni della zona, ad un certo Ranulfo de Courtenay, uno dei nobili che lo avevano aiutato a strappare il Regno delle due Sicilie agli Svevi.
Qualche tempo dopo Pietro III d'Aragona, genero di Manfredi, alimentò la ribellione dei siciliani (guerra del Vespro), vinse gli Angioini nella battaglia navale di Napoli (1282) e si fece incoronare re di Palermo. Da allora ci furono due regni: quello di Sicilia sotto gli Aragonesi e quello di Napoli sotto gli Angioini.Le liti tra Angioini e Aragonesi perdurarono per decenni fino a quando nel 1442 i due regni furono riunificati da Alfonso I d'Aragona.
Tra i primi provvedimenti presi dal re Alonso ci fu quello dell'istituzione di un'imposta chiamata "focatico" che ciascuna famiglia doveva pagare. Per attuarlo fu necessario censire le famiglie del Regno. A Bomba risultarono esservi 79 "fuochi" pari a circa 400 persone.
Nel 1500 il feudo di Bomba contava 121 fuochi (circa 600 persone) ed era tenuto da Giovanni Maria Annechino. Questi nella contesa ormai secolare tra francesi e spagnoli, aveva parteggiato per il francese Luigi XII contro Ferdinando il Cattolico.
Per questo suo schieramento fu punito con la privazione de "Il castello di meza Bomba" che fu assegnato al capitano spagnolo don Diego Sarmiento.
Nella pace del 1505 tra i due contendenti, Ferdinando il Cattolico e Luigi XII, quest'ultimo volle garantiti tutti i diritti dei baroni napoletani che avevano appoggiato i francesi da Carlo VIII in poi: libertà per i nobili prigionieri: reintegro nei possessi perduti da parte di tutti i feudatari, ecc.
Non fu, però, possibile attuare l'accordo. Infatti, come era accaduto per Bomba, gli spagnoli avevano già ricompensato gli uomini a loro fedeli, e questi non volevano resittuire i premi avuti senza ottenere qualcos'altro in cambio.
Dal canto suo Luigi XII non era in grado di farfe rispettare l'accordo. E così le cose rimasero come stavano fino a quando il successore di Ferdinando il Cattolico, Carlo V, decise di amnistiare quei feudatari che avevano appoggiato i francesi restando nei loro feudi e di punire coloro che erano stati ugualmente al loro fianco mettendosi però a capo di milizie al di fuori dei propri feudi.
Uno di questi fu Giovanni Maria Annecchino che perse anche l'altra metà del feudo di Bomba nel 1534 a favore di "Giovanni Genovoyx, signore di Chalem, per sé e per i suoi eredi".
Dopo diverse vendite Bomba passò sotto la giurisdizione di Giovan Battista Marino che lasciò in eredità a suo figlio Vincenzo nel 1631.
Questi morì senza eredi nel 1674 e il feudo di Bomba tornò in parte alla Regia Corte e in parte finì ai Domenicani della Minerva di Roma.
In seguito esso fu acquistato dal cardinale Carlo Pio di Sabaudia che, essendo ecclesiastico e non potendoselo intestare, lo fece acquistare per conto suo da un certo Giuseppe Caravita. Alla morte di questi Bomba passo, per successione, al figlio Nicola Caravita.
Morto anche il Cardinale Carlo Pio, il feudo fu rimesso in vendita e fu acquistato nel 1699 dal marchese Tommaso Adimari.
In questo periodo Bomba contava 61 "fuochi" (circa 300 persone), la metà degli abitanti di due secoli prima. Gli Adimari tennero il feudo fino all'estinzione della loro famiglia che coincise quasi con l'applicazione della legge eversiva dei feudi.
Nel 1806, infatti, entrò in vigore la legge che aboliva i rapporti feudali e consentiva a tutti i contadini di riscattare le terre coltivate.
Da questo momento inizia l'autonomo cammino del Comune che, tra difficoltà ed errori procede alla ripartizione delle terre, alla loro assegnazione, alla costruzione di opere pubbliche (edifici, strade, acquedotti) che danno al paese quella struttura che vediamo attualmente.
Provincia di Taranto
Il casale di Modunato, posto sulla via salentina in prossimità di Avetrana, ha una origine molto incerta, databile comunque attorno al XIII secolo.
In ciò che rimane del casale è possibile tuttavia rintracciare alcuni elementi svevi, e ciò conferma le notizie che ci riportano il casale proprietà prima della famiglia di un certo Nicolò Adimari, poi della famiglia D'Aquino e successivamente possedimento, dal 1303, di Colletta di Belloloco.
Successivamente spopolatosi per motivi ignoti, il nome Modunato continua ad indicare il feudo, passato nel XVI secolo al marchese di Oria Roberto Bonifacio. Tra il 1562 ed il 1567 il feudo fu tenuto da S. Carlo Borromeo.