Le sinagoghe di Monte San Savino*

di Renato Giulietti

 

 

Non si conosce con precisione dove, fin dal primo costituirsi della comunità ebraica in Monte San Savino nel 1627, fosse localizzata in paese la sinagoga, anche se è stata documentata la costruzione al Monte di una sinagoga prima dell’anno 1638: la fonte è un poemetto in ebraico - contenuto in un manoscritto studiato da M. L. Mayer Modena - composto in occasione dell’inaugurazione di una sinagoga appunto, realizzata per volontà di due benefattori chiamati rispettivamente Barzilai (Ferrante Passigli?) e Mordekhai (Agnolo Pesaro?). _nota1_ È assai probabile che la sinagoga si trovasse dapprincipio proprio in casa dei Passigli, i titolari del banco e sicuramente i più facoltosi tra i primi componenti della comunità. Ciò era infatti esplicitamente previsto nei ‘capitoli’ (contratto) sottoscritti il 6 agosto 1627, per l’istituendo banco dei pegni, tra gli ebrei e il comune del Monte (allora infeudato al marchese Bertoldo Orsini), laddove si specificava che “possino fare una sinagoga in detta Terra secondo lo stile dell’ebrei nella loro propria casa, e fuori”. _nota 2_ Risulta inoltre che nel secondo decennio del ‘700 - quando già esisteva la sinagoga nel borgo detto appunto della Sinagoga - il popolo mormorava che in casa Passigli si facesse la “seconda sinagoga” _nota 3_ e perciò le autorità nel 1720-21 proibiranno ai Passigli «di fare, nella casa dove abitano per grazia di S.A.R. fuori della strada del ghetto, le funzioni che sono solite farsi nella sinagoga». _nota 4_

È lecito dunque chiederci quando la sinagoga sia stata istituita (o trasferita) nel borgo chiamato “dreto al Monastero” (delle Benedettine) e che poi sarebbe stato detto il borgo della Sinagoga. Stiamo parlando, ovviamente, dell’attuale via Salomon Fiorentino lungo la quale è ancor oggi visibile quello che resta della sinagoga degli ebrei di Monte San Savino. Questa era, ed ancor oggi è, una viuzza abbastanza isolata e sufficientemente distante da altri luoghi di culto cristiani del paese e come tale ritenuta adatta ad ospitare la sinagoga, attorno alla quale andranno via via addensandosi le varie famiglie ebraiche; quando infatti fu deciso di istituire nel 1707 il ghetto vero e proprio, fu scelto proprio questo borgo nel quale fu concentrata pressoché tutta (ci furono due eccezioni!) la qehillah savinese.

Alla domanda prima postaci si può rispondere osservando che già prima del 1666 gli ebrei savinesi si riunivano in una sinagoga situata in una casa di questo borgo che essi tenevano a pigione da privati. Nell’ottobre di quell’anno 1666, infatti, Paolo Bracci, un modenese abitante al Monte, Porzia di Antonio Bucci sua moglie e Margherita Braccini sua suocera danno in affitto alla comunità ebraica per undici anni (a lire 46 annue) una casa, confinante con la propria, posta in «luogo detto Dreto al Monasterio di San Benedetto» (o Dietro le Monache) e nella quale «di presente detti ebrei fanno la sinagoga»._nota 5_ L’immobile è composto di tre stanze, un andito, un palchetto, una soffitta e la metà di un fondo ed ha per confini - oltre la casa dei locatori stessi - il borgo, la sig.ra Caterina di Iacomo del Vespa e il rev. Francesco Guidi. Al momento della sottoscrizione di questo contratto di affitto la sinagoga risulta quindi già istituita in questa casa per i cui restauri, per di più, la comunità ebraica aveva già speso circa 58 lire. Il contratto prevede inoltre specificamente che, in caso di vendita della casa, la comunità ebraica ne abbia la prelazione per l’acquisto.

Nel 1676 la sinagoga vera e propria, intesa cioè come luogo di riunione per la preghiera e la lettura dei testi sacri, risulta essere molto piccola. Infatti Terenzia, moglie di Isac Narni figlio del sagrestano della sinagoga, interrogata in una causa penale se essa frequenti la sinagoga, può rispondere all’inquirente: «Ci vado sempre perché la sinagoga, ò squola è in casa mia». Dal che si deduce che il sagrestano abitava stabilmente nella sinagoga la quale, a questa data, risulta consistere «in una sola stanza per l’huomini tanto», cioè solo per gli uomini, e misurare circa otto braccia di lunghezza e sei di larghezza ._nota 6_

Non trascorsero molti anni che quella opportunità di acquisto della casa-sinagoga realmente si presentò alla comunità. Infatti, nel 1679, i proprietari, trovandosi in ristrettezze economiche, vendettero al dott. Leone Usigli e a Daniello di Elia Passigli questa stessa casa - «ove di presente s’esercita la scuola degli ebrei» - per 150 scudi con patto risolutivo di sette anni: i venditori si riservavano di utilizzare la cantina grande situata sotto la casa mentre i compratori potevano a loro volta disporre della stanza posta sopra la casa dei venditori «contigua a detta schola» fino a che non fosse seguita la retrovendita._nota 7_ Ancora nel 1688, quando l’Usigli cede le sue ragioni sulla casa ai fratelli Manuele, Giuseppe e Sabato Montebarocci, e poi ancora quando di tali ragioni si riappropria nel 1703, l’immobile risulta sempre ospitare la scuola degli ebrei._nota 8_ Nel 1710, subito all’indomani della morte dell’Usigli, la situazione non è mutata: nell’inventario dei suoi beni è descritta «una casa che presentemente serve per sinagoga, o squola delli ebrei, consistente in uno stanzino, sala di sopra e sala sopra dove è detta squola, ed altra stanza sopra la casa di Porzia Bracci, commutata in una cantina sotto detta casa». _nota 9_ Su questa casa Leone possedeva lo ius cosiddetto di gazzaghà ovvero il diritto a una specie di ‘possesso continuo’ di essa, non potendo di norma gli ebrei possedere immobili

Abbiamo oggi l’opportunità - impensabile fino a ieri! - di individuare questo immobile della sinagoga che crediamo possa essere la casa, già detta ‘del trono del rabbino’, contigua a quella considerata fino ad oggi l’unica sinagoga di Monte San Savino. Di recente acquistata da un privato che l’ha restaurata e vi ha fatto le opportune verifiche architettoniche, la casa ‘del trono’, sulla quale tanto si è favoleggiato, è così chiamata perché ospita, nella cantina, un sedile scolpito nella roccia, che sembra avesse pure un’iscrizione e sul quale certo qualche studioso si pronuncerà con più autorità che non sia la nostra. Ma, avendo i recenti restauri messo in luce altre antiche strutture, tra le quali una miqweh (che, guarda caso, viene a trovarsi contigua all’altra miqweh dell’altra sinagoga, separata da essa solo da un tramezzo) e, come sembra, una nicchia per l’Aron ha-qodeš, crediamo di poter individuare in questa casa, anche alla luce della documentazione fin qui citata e di altra cui si accennerà qui di seguito, la prima sinagoga istituita nel borgo del (futuro) ghetto ebraico. Essa infatti si allarga a comprendere un ambiente che altro non è che quella stanza, posta sopra la casa dei proprietari/venditori Bracci/Bucci/Braccini, chiamata stanza «contigua a detta schola» ovvero stanza «sopra la casa di Porzia Bracci».

Circa i proprietari di questa casa all’indomani dell’acquisto di essa da parte dell’università ebraica, i documenti non ci indirizzano se non verso gli Usigli e i Montebarocci sopra ricordati: Leone Usigli, come riferito, possedeva uno ius di gazzaghà sulla sinagoga, ma ne possedeva uno (valore 150 scudi) anche Sabato di Zaccaria Montebarocci che lo cederà, guarda caso, proprio al figlio di Leone Usigli, Abramo, il quale lo ricevette come parte della dote di Anna di Sabato Montebarocci sua sposa._nota 10_ I diritti di gazzaghà furono forse acquisiti dall’Usigli e dal Montebarocci in veste di rappresentanti (massari) dell’università ebraica al momento dell’acquisto della casa. Alla morte (1715) di Abramo Usigli quello ius torna alla vedova Anna Montebarocci la quale a sua volta donerà la casa a suo figlio Elia Usigli (unico erede maschio): si tratta di quell’Elia Usigli ricco commerciante di Arezzo che, morto nel 1790, verrà sepolto a Monte San Savino sotto quella che è ancor oggi la lapide più imponente e meglio visibile di tutto il cimitero ebraico._nota 11_

Perdiamo però, d’ora in poi, le tracce di questo immobile e quindi della sinagoga e scuola («scuola, o sinagoga, che è tutt’uno», come affermava un ebreo nel 1685),_nota 12_ e occorre, per trovarne di nuove, spostarci in avanti di una decina d’anni, riferendoci a un documento del 15 dicembre 1729 che ci informa come la comunità a questa data tiene a pigione (a cinque scudi l’anno) due stanze poste nel ghetto – che sappiamo ormai costituito fin dal 1707 nello stesso borgo della Sinagoga _nota13_ – di proprietà della Congregazione (con ogni probabilità quella della SS. Trinità e Scuola di Virtù ovvero del Suffragio), «quali stanze – si precisa – servivano per comodo della sinagoga di detta università». _nota 14_ Ma non si tratta, come è lecito inferire dai documenti che più avanti citeremo, di stanze che ospitavano la sinagoga bensì di spazi a disposizione (“per comodo”) della sinagoga che si trovava ancora, a quella data, nella casa sopra descritta, quella già Bracci/Bucci/Braccini.

“Servivano” quelle stanze – riferisce la fonte poc’anzi citata – poiché la comunità ebraica ha nel frattempo acquistato altre case «per far maggior comodo alla detta sinagoga». Quali siano queste altre case lo chiarisce un documento dell’Archivio di Stato di Firenze che ci informa come il 12 dicembre 1729 gli eredi di Maddalena Turillazzi nei Giorgi hanno venduto per 70 scudi all’università degli ebrei una casa da cielo a terra posta nel borgo della Sinagoga composta di quattro stanze (fondo, sala, camera e palco) e con la quale confinano un’altra casa del SS. Suffragio del Monte (quella cioè nella quale erano le due stanze già tenute in affitto dagli ebrei per comodo della sinagoga); una casa delle monache di S. Benedetto; Giovan Battista Valenti e il borgo della Sinagoga. _nota 15_

Volendo, dopo questo nuovo acquisto, lasciare le due stanze tenute a pigione, la comunità ebraica fa istanza il 15 dicembre 1729 che la Congregazione possa riprendersele oppure che ne venga abbassato l’importo della pigione. Ma i ‘soprastanti al ghetto’ (cioè la magistratura comunale che sovrintendeva alla formazione, allora ancora in corso, del ghetto) non consentono a questa richiesta, costringendo la comunità ebraica, come sembra, a comprare (26 maggio 1730) l’intera casetta che comprende le due stanze di cui sopra ed altre due (in tutto: palco, camera, andito e cantina) «per l’unione che fa la suddetta casetta alla loro scuola». Posta sempre nel borgo della Sinagoga, la casetta, stimata circa 50 scudi fiorentini, è infatti così confinata: il borgo della Sinagoga, la casa di Francesco Chiaverini, la casa dell’eredità Turillazzi e la scuola degli ebrei (quest’ultima è sempre la casa Bracci/Bucci/Braccini)._nota 16_

Risulta a questo punto abbastanza ben delineata la localizzazione degli immobili che vanno a costituire il complesso della nuova sinagoga, i cui lavori di (ri)strutturazione cominciarono intorno all’anno 1730, ma saranno destinati a protrarsi assai a lungo nel tempo per diversi problemi strutturali e controversie civili. Già nel 1731-32, cominciati da poco i lavori, s’affacciò un primo problema di stabilità relativo a ‘una casa’ alla quale la nuova fabbrica si appoggiava, _nota 17_ una casa che abbiamo ragione di credere fosse proprio quella della prima sinagoga di cui si è sinora discorso: un’ulteriore prova che le due sinagoghe (la vecchia e la nuova) erano contigue.

Apprendiamo dunque, dal citato documento, che l’Elia (di Abramo di Leone) Usigli sopra ricordato è possessore di una casa posta nel ghetto «che presentemente serve ad uso di scola del’ ebrei» e come tale inoltra, per via del commissario di Monte San Savino, un’ingiunzione ai massari della comunità ebraica che stanno costruendo la nuova sinagoga contigua alla sua casa diffidandoli che la «nova fabrica» che ha già danneggiato la sua casa non arrechi a questa danni maggiori di quelli già patiti. Chiede perciò l’Usigli che il suo immobile venga opportunamente consolidato a spese della comunità ebraica. Siamo dunque in un periodo in cui gli ebrei savinesi si servono ancora della sinagoga di casa Usigli in attesa che divenga agibile quella nuova contigua a questa casa; ma essa impiegherà ancora molti anni prima di esser pronta.

Vennero infatti ben presto a mancare le risorse necessarie per quei lavori e, occorrendo perciò nuova liquidità di denaro, fu fatta, con l’assenso del comune del Monte, una sorta di prevendita dei vari posti a sedere della costruenda sinagoga da assegnarsi ai vari componenti della comunità. Conosciamo così, nel relativo documento, i nomi di tutti gli assegnatari dei singoli posti, degli uomini e delle donne. La vendita fu fatta all’incanto nell’ottobre 1732, «nella sinagoga nuovamente fabbricata», alla presenza del magnifico David Cetona rabbino pro tempore; l’atto prevedeva testualmente che i posti da incantarsi non superassero la misura di un braccio e non potessero essere modificati o alterati facendovi «adornamenti, iscrizioni, serragli o altro», e che gli assegnatari dovessero «sempre et in perpetuo tenerli in quello stesso modo e forma e con quello stesso sedile che gli sarà assegnato da massari». Si stabiliva inoltre che «i luoghi delle donne sopra il ballatojo dovessero star sempre nel medesimo numero di dodici come sono presentemente senza poterli mai augumentare per alcun tempo». _nota 18_

In quello stesso anno 1732 fu fatto realizzare da David Manuel Fiorentino nel mezzo della volta della sinagoga, con propria spesa di 40 scudi, un medaglione di stucco nel quale «erano espressi i dieci Comandamenti in due ordini e, in quattro ovati laterali, diversi motti della Bibbia» con in ultimo il nome di David Manuel Fiorentino. Il medaglione però con il tempo si crettò e circa 12 anni più tardi uno dei massari, Samuel Vita Passigli, lo fece buttar giù, senza il pieno consenso di tutti gli altri massari. Sicché nell’ottobre 1744 lungo la via principale del paese, i figli di David Manuel Fiorentino presero a pugni, come responsabile dell’accaduto, Samuel Vita Passigli facendogli sbalzare la parrucca dal capo. Donde la denuncia del Passigli e la causa. _nota 19_ Quell’opera costituiva infatti, oltre che un pubblico ornamento, uno speciale ricordo di famiglia per i fratelli Fiorentino e, secondo loro, avrebbe potuto forse essere salvata insieme alla volta.

I lavori della sinagoga proseguivano ancora a rilento: nel 1746 si rese necessario ricostruire il ballatoio sopra il quale erano i 12 posti a sedere delle donne, e qualcuno avrebbe voluto approfittarne per aumentare il numero di essi, ma ne fu impedito; _nota 20_ poi ancora nel 1756 si definisce la sinagoga «fabbricata di fresco» e tuttavia minacciante rovina, e perciò si propone di costruire quattro arcate di sostegno da porsi tra la sua facciata e la facciata dell’edificio ad essa affrontato dalla parte opposta della strada del ghetto. _nota 21_ La sinagoga era probabilmente nel suo migliore stato quando il granduca Pietro Leopoldo, presente al Monte nel 1777, la visitò, insieme a molti altri edifici del paese, la sera del 28 settembre di quell’anno: il sovrano dimostrò un benigno gradimento dell’accoglienza offertagli dai massari con gran pompa in sinagoga, «ove era preparata una decente illuminazione». _nota 22_

Dopo l’allontanamento della comunità ebraica nel 1799, l’edificio della sinagoga passò all’Università Israelitica di Siena, divenne quindi proprietà demaniale, poi di privati e infine fu acquistato nel 1924 dal comune di Monte San Savino (che in varie occasioni aveva comunque già provveduto ai suoi restauri più urgenti). _nota 23_ È tuttora di proprietà comunale. Ne restano oggi due (tre, considerando la ‘casetta’) corpi di fabbrica, di differente volume, uniti fra loro, che sono frutto di restauri strutturali, fatti tra ottocento e novecento, per garantirne la stabilità dopo diversi crolli. L’edificio si incontra in paese - provenendo da via Zannetti e dalla Porta Fiorentina - sul lato destro dell’attuale via Salomon Fiorentino a circa metà percorso. Quel che di più appariscente è rimasto da vedere di questo stabile sono, nel corpo di fabbrica più piccolo e nella parte più alta di esso, una finestra dipinta ancora abbastanza ben conservata insieme alla nicchia con cornice già destinata a contenere l’aron ha-kodesh (armadio per la custodia delle leggi) e, in basso, i resti di tubature di coccio utilizzate per la miqvé (bagno rituale). _nota 24_

 

Arezzo, ottobre 2019

 

 

Ulisse Giocchi, Lo sposalizio della Vergine, partic. (1625 circa),

Monte San Savino, chiesa di Sant’Anna.

 

 

NOTE

 

NOTA 1 * Il presente articolo altro non è che l’aggiornamento di parte di un testo pubblicato dallo stesso autore, con il titolo La casa del banco e la sinagoga, in La nazione ebrea di Monte San Savino e il suo Campaccio, a cura di M. Perani, J. Arbib e R. Giulietti, Firenze, Giuntina, 2014, pp. 243-245. A tale pubblicazione si rimanda per ogni altra informazione sull’antica comunità ebraica di Monte San Savino.

Cfr. M. L. Mayer Modena, Il manoscritto X 159 SUP. della Biblioteca Ambrosiana e le derašot “d’occasione” dei giovani Passigli, in Gli studi orientalistici in Ambrosiana nella cornice del IV centenario (1609-2009), Bulzoni, Roma 2012, pp. 198-227.

 

NOTA 2 Cfr. Archivio storico preunitario del Comune di Monte San Savino (APREM), n. 1829, Cancelleria comunitativa, c. 211.

 

NOTA 3 Cfr. APREM, n. 2722, Commissario fiorentino, c. 1124v.

 

NOTA 4 vi, n. 2725, Commissario fiorentino, c. 69. In quel divieto, però non restò compresa – come riferisce la fonte - «una certa adunata di gente della loro nazione, che vi si fa ogni sera da molto tempo in qua, chiamata da loro accademia, per non esser questa delle funzioni che si faccino nella sinagoga».

 

NOTA 5 Cfr. Archivio di Stato di Firenze (ASF), Notarile moderno, n. 17506, c. 161v.

 

NOTA 6 Cfr. APREM, n. 2714, Commissario feudale dei signori Medici – Della Rovere, cc. 427-428.

 

NOTA 7 Cfr. ASF, Notarile moderno, n. 18985, cc. 78 sgg.

 

NOTA 8 Ivi, n. 21945, c. 158.

 

NOTA 9 Cfr. APREM, n. 2714, Commissario fiorentino, c. 5326v. Tale casa è posta «l. d. il Borgo dreto al Monastero di S. Benedetto» e confina con Porzia Bracci, casa di Giovanni di Iacopo del Volpe, gli eredi del padre Francesco Guidi e la strada.

 

NOTA 10 Ivi, n. 2732, cc. 652 sgg.

 

NOTA 11 Cfr. La nazione ebrea di Monte San Savino e il suo Campaccio …, cit., pp. 92, 93, 196.

 

NOTA 12 Cfr. APREM, n. 2676, Commissario feudale, c. 1361

 

NOTA 13 Il testo del bando è in B. Portaleone, Commercio carnale con femmina cristiana. I processi a Graziadio Portaleone ebreo mantovano. Monte San Savino (1697-1698), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008, pp. 132-133.

 

NOTA 14 Cfr. APREM, n. 2799, Suppliche, cc. 1308 sgg.

 

NOTA 15 Cfr. ASF, Notarile moderno, 23947 c. 2v.

 

NOTA 16 Ivi, c. 29v.

 

NOTA 17 Cfr, APREM, n. 2724, Commissario fiorentino, c. 345.

 

NOTA 18 Cfr. ASF, Notarile moderno, 23947, cc. 110v-112v. Per il testo del documento, cfr. La nazione ebrea di Monte San Savino e il suo Campaccio … cit., pp. 301-306.

 

NOTA 19 Cfr. APREM, n. 2748, Commissario fiorentino, atto n. 178, e n. 2784, Commissario fiorentino, cc. 1564 sgg.

 

NOTA 20 Ivi, n. 2742, Commissario fiorentino, c. 509v.

 

NOTA 21 Ivi, n. 2755, Commissario fiorentino, c. 340

 

NOTA 22 Cfr. “Gazzetta Toscana”, n. 40, a. 1777, p. 159.

 

NOTA 23 Cfr. R. Giulietti, Le vicende dell’ex sinagoga dal 1869 al 1924, «Estate Savinese», a. 2005, Monte San Savino, Arti grafiche Francini, 2005, pp. n.n.

 

NOTA 24 Cfr. D. Liscia Bemporad, La memoria odierna della Comunità ebraica di Monte San Savino, in Gli ebrei a Monte San Savino, “Quaderni Savinesi" III, Comune di Monte San Savino 1994, pp. 105-106.

 

 

 

 

 

 

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