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Compare nel catasto del 1427 e' nominato : Giovanni di Niccolo di Matteo fiorini 1496 bocche 3 anni 66
Ho dal dr Paolo Piccardi : Manoscritto 501 ASFi (4) Contratti di matrimonio e parentadi 1400 Antonio di Paolo Carnesecchi (c.59) f. 1000 1404 Parenti di Michele Serparenti e Maddalena di Paolo di Bartolommeo di Grazzino Carnesecchi f. 1000 (c.332) 1417 Berto di Zanobi Carnesecchi (c.279) f. 1200 1421 Gio. di Niccolo' di Matt.o Carnesecchi (c.102) f. 604 1426 Manetto di Zanobi Carnesecchi (c.29) f. 1100
1430 Luca di Gio. Carnesecchi (c.88) f. 350 1434 Manetto di Zanobi Carnesecchi (c.90) f. 1050 1442 Antonio di Paolo Carnesecchi (c.3) f. 900
1446 Luca di Luca Carnesecchi (c.90) f. 1000 1446 Carlo di Bernardo Carnesecchi (c.165) f. 833 |
……….
Luca
Tommasa sposa a Tommaso di Bartolomeo Del Grasso
Iacoba che sembra nominata nel testamento di Luca di ser Filippo
Niccolo' che sembra essere fratello di Luca
Niccolo viene nominato se ben intendo quando Luca di Giovanni fa testamento come fratello
Niccolo non compare pero' nella portata del padre Giovanni nel catasto 1427
Niccolo non compare nel testamento di Giovanni padre di Luca
E' chiaramente figlio di Giovanni e gli sopravvive ha un nome caro a Giovanni (quello del padre ) probabilmente e' illegittimo e non eredita dal padre
e' cosa da verificare
Giovanni muore intorno al 1431 (vedi tratte ) nell'eredita' non e' nominato Niccolo che pure e' vivo
Un piccolo mistero |
Paolo di Simone di Paolo Carnesecchi da quello che risulta dalle fedi di battesimo sembra esser padre di due figli nati a due mesi di distanza l'uno dall'altro quindi da madri diverse : Andrea 01 luglio 1468 e Domenico 13 settembre 1468
Andrea diventera' un personaggio importante di Domenico si perdono le tracce
Ci troviamo di fronte ad un figlio nato nel matrimonio : Andrea e uno nato fuori del matrimonio : Domenico ( figlio naturale )
Interessante e' che Paolo riconosce il figlio
DEI FIGLI NATURALI PROTETTI IN FIRENZE.
I. Figli naturali protetti In Firenze.— II. Esempi tolti dal Manoscritti Pernzzi. — III. Causa vinta dalla Signoria contro Paolozzo di Cinnarlno, — IV Pririlegl accordati dalla corte di Roma e da alcuni sovrani di poter legittimare i bastardi. — V. Spedale e ricorero a favore degli Innocenti o Trovateli].
Limosine.
I. Leggendo i manoscritti del Trecento si ha maraviglia nel riscontrarvi spesso citati come naturali e dotati molti figli illegittimi delle più cospicue famiglie fiorentine.
Chiaro apparisce che grande era in Firenze il numero di questi esseri innocenti; e siccome la legge non gli aiutava, la carità e l'amor paterno supplivano coll'aprir loro una via al guadagno e a un migliore avvenire. Per fortuna il gran commercio offriva allora un sicuro pascolo all'operosità personale di chi voleva occuparsi, e citerò alcune partite che estraggo dai libri antichi della nostra famiglia.
Per esempio ( toni, i, pag. 149).
II. " Ricordanza che io Giotto Arnoldi de Peruzzi die 24 agosto 1308 donai a Donato mio figlio naturale e figliuolo di Maria Assunta, di Raimondo Dimonti di Girona lire 1000 a fiorini, e ciò fu perchè l'avevo detto fino al detto die e per dargli materia che per innanzi egli facesse di bene in meglio: del detto dono fatta carta per Maso Lasgi e delle dette lire 1000 io liberai me e i mioi eredi e per Giovannotto mio figlio naturale e suo fratello per la stessa carta. Anche per la detta carta io liberai nel simil modo e fermo di lire 4376. 9. 4 a fiorini, i quali il detto Donato avea guadagnato nella compagnia per fattore e per compagno, netto da ogni spesa e mal debiti siccome appare ec, e la detta liberazione e assolvizione e quietanzone la feci per me, per li miei eredi e per Giovannotto suo fratello die 24 agosto 1308 siccome nella detta carta si contiene: per ciò che egli avea ben detto e ben fatto e per dargli materia per lo innanzi facesse di bene in meglio e che Dio gli conceda grazia per la sua santa misericordia ".
Altro esempio (tom. i, pag. 223). " Ricordanza che io Giotto de' Peruzzi diedi intervivo a Giovanni mio figliuolo naturale die 27 gennaio 1322 due poderi, cioè quello dalla Palaia e quello di Piermaggiore, a patti eh' egli non potesse vendere ne alienare senza la mia parola nè ai suoi figliuoli, e ancora se egli morisse senza figliuoli o i suoi figliuoli morissero senza eredi legittimi, questi poderi tornino a me o ai miei eredi e di ciò, Carta, per Maso Lasgi imbreviata ( rogata ) in detto die e presenti messer Amideo di messer Filippo , Tommaso, e Donato de' Peruzzi e Donato mio figliuolo ed altri e presente il detto Giovanni: però a ricordanza nel 148 e promisi la difensione per mio detto e fatto ".
Pochi giorni innanzi, cioè il 19 gennaio 1322, questo stesso Giovanni avea sposata una Squarciasacchi; ed ecco la partita inscritta nello stesso tomo i a pagine 230. " Ricordanza che Giovanni mio figliuolo naturale e figliuolo di Maria Assunta di Raimondo Dimonti di Girone Catalogna tolse per moglie madonna Cilia figlia di Stoldo Squarcialupi die 19 gennaio 1322, la menò ed ebbene di dote fiorini 400 d'oro cioè 350 in denari e 50 in doni e cassoni, ed io Giotto confessai la dote insieme con lui, di che feceno carta ser Barone di Signa imbreviato (rogata) 17 gennaio 1322 ".
Nel tomo iv, pag. 103 si trova che questo Giovanni era per la famiglia alla battaglia d'Altopascio, dove furono grandi perdite nel 1325, e che comandava 50 uomini all'altra battaglia di Montecatini.
La morte di questo Giovanni è così indicata a pag. 17 del libro maestro della compagnia. " E deono dare Giotto Peruzzi e comp. nostri 3 febbraio 1335 L. 65. 12. 10 a fiorini, per altrettanti spesi per la sepoltura di Giovanni di Giotto Peruzzi, e tanti ne hanno spesi per dare elemosine ai poveri e per vestire di nero mona Cilia sua moglie.
III. Molte altre partite relative a spese, a mantenimenti e a sepolture di diversi figli naturali di cospicue famiglie fiorentine si leggono nei manoscritti antichi; ma penso che è inutile riportarle, essendo sufficienti le sopraindicate, ed essendo troppo chiaro il disposto dello Statuto relativo rubrica 126 tono, i, pag. 517 della collezione che ne tratta " De successione communis Florentie ab intestato et de heredibus naturialium et bastardorum ".
Nelle riformagioni, classe' xi, Dist. u, num. 20 abbiamo un' interessante consultazione annessa al testamento di Paolozzo di Arrigo della Faggiola 1 ottobre 1394, dove la causa di eredità fu decisa a favore della Signoria: così viene dichiarato: " Non poter Paolozzo di Cinnerino ereditare perchè non è legittimo, e la Signoria può andare al possesso dell'eredità in vigore del testamento dell'altro Paolozzo (cioè del figlio d'Arrigo ) legittimo, ed ereditare tutte le terre e luoghi, Selvapiana ec. ". Questa consultazione è diretta a Iacopo Salviati.
IV. La corte di Roma però era allora sovrana, ed accordava ad alcuni personaggi il privilegio di poter legittimare i nati da donna non moglie. A Bologna questo privilegio, verso la fine del xv secolo, fu accordato al nobile e dotto Achille Bocchi, conte Palatino e fondatore dell'Accademia Bocchiana.
Nella stessa città di Bologna si conserva nella sagrestia della cappella del registro ( antico collegio dei notari) un diploma dell'Imperator Federigo III del 1462 confermato dal Papa Giulio II, col qual atto imperiale vien conferito al correttore dei notari di quella città il privilegio medesimo di legittimare i nati di donna non moglie.
ALCUNI STUDI SUI FIGLI NATURALI :
http://books.google.it/books?id=z83TF17lWxMC&pg=PA54&dq=illegittimi+toscana&hl=it&ei=U87iTLmIJs2VOtT8jWE&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CDAQ6AEwAQ#v=onepage&q=illegittimi%20toscana&f=false
Dottoressa Lucia Sandri,
L'Ospedale di S. Maria della Scala di S. Gimignano nel Quattrocento:
contributo alla storia dell'infanzia abbandonata
Gli Innocenti e Firenze nei secoli. Un ospedale un archivio una città,
a cura di Lucia Sandri, Firenze 1996
Fanciulli e fanciulle "posti con altri" all'Ospedale degli Innocenti di Firenze:
note per una storia del lavoro minorile nella seconda metà del Quattrocento
Il Rinascimento dei bambini. Gli Innocenti e l'accoglienza dei fanciulli tra Quattrocento e Cinquecento –
Firenze 2007,
Mercato del latte e figli abbandonati nrgli ospedali toscani dal tardo Medioevo ai giorni nostri in Balie da latte. Istituzioni assistenziali e privati,
Morgana Edizioni, Firenze 2002
http://clio.revues.org/index419.html
Alessandro STELLA, " Des esclaves pour la liberté sexuelle de leurs maîtres ", Clio, numéro 5-1997, Guerres civiles, [En ligne], mis en ligne le 01 janvier 2005. URL : http://clio.revues.org/index419.html. Consulté le 14 novembre 2010.
Alessandro STELLA
Le recours aux esclaves n’a pas eu seulement des motivations économiques, l’exploitation sexuelle aussi faisait partie des raisons esclavagistes. Dans le monde musulman et ses harem, certes, mais aussi chez les chrétiens. Depuis la mise en place par l’Eglise, au milieu du Moyen Age, du contrôle sexuel de ses fidèles, nombre de chrétiens trouvèrent dans la servante domestique, et en particulier dans l’esclave, l’échappatoire qu’ils désiraient. Le dossier florentin portant sur les derniers siècle du Moyen Age, et en particulier des correspondances privées, éclairent un sujet gardé secret. Les informations sérielles provenant de la Péninsule Ibérique, font apparaître l’ampleur d’un phénomène déjà connu pour les Amériques. Des législations différentes déterminaient le destin des enfants nés de ces unions ancillaires: le plus souvent abandonnés à Florence, vendus, affranchis ou gardés comme esclaves en Espagne.
The use of slaves did not only stem from economic reasons, sexaul exploitation was another motive. In the muslim world with it’s harems, naturally, but also amongst christians. Since the sexual control of the faithful christians found in their servants and in particular in their slaves, the outlet they were looking for. Florentine documents, concerned with the last centuries of the Middle Ages, and in particular private correspondence, clarified a subject previously kept secret. Information coming from the Iberian Peninsula shows the size of this phenomenon already known to have existed in the Americas. Different legislation determined the destiny of children born from these illegitimate unions, who were frequently abandoned in Florence, sold; freed or kept as slaves in Spain.
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Texte intégral en libre accès disponible depuis le 01 janvier 2005.
Plan
Dans la Florence du bas Moyen Age
Dans la Péninsule Ibérique de l’Époque Moderne
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1Des esclaves, pour quoi faire ? Pour faire de l’argent, sans doute, en pratiquant le commerce d’hommes comme n’importe quelle autre marchandise. Énorme source de richesse pour les chasseurs d’esclaves qui les capturaient, pour les marchands qui en faisaient de la plus-value, pour les Couronnes ou les Républiques qui en tiraient de substantielles recettes d’impôt, pour les maîtres qui s’en servaient à la place de travailleurs salariés. On recourait aussi aux esclaves pour les tâches les plus dures, ingrates ou dangereuses (mines, galères, grands travaux, plantations, défrichement-assèchement), ou pour le service domestique, où ils étaient corvéables à merci, et où l’humiliation et la servitude personnelle ne pouvaient se traduire par le congé donné aux patrons.
2Mais ces motivations économiques et sociales (en faire de l’argent, en faire des travailleurs sans possibilité de négociation), ont trop souvent été vues par l’historiographie de l’esclavage comme exclusives ; ce qui, d’ailleurs, a favorisé la présentation de l’esclavage comme une nécessité économique (les colons américains ont dû hélas ! recourir aux esclaves africains faute de main d’œuvre suffisante sur place), et, par un curieux et injustifié syllogisme : qui dit nécessité économique dit besoin objectif1.
3Il est une autre motivation qui a poussé à acheter des esclaves : une motivation sexuelle. Le regard se porte alors immédiatement vers les harems de Sultans, Califes et autres Princes musulmans, peuplés de jeunes filles légèrement vêtues et gardées par un eunuque. Il ne fait aucun doute que l’Islam, sanctionnant par la loi et la polygamie et le concubinage2, n’a rendu que plus facile la perpétuation du droit conféré à l’homme, par l’homme, de disposer de plusieurs femmes pour sa jouissance sexuelle. Entre le droit et la pratique, s’inscrivait cependant dans les pays musulmans le clivage de l’argent : tout comme la possession de plusieurs épouses libres, celle de concubines esclaves variait selon la richesse. Il en allait de même de la qualité attribuée aux concubines selon leur origine géographique, reflet affiché d’un racisme bien ancré dans les mentalités. Aux XIXe-XXe siècles, de l’Egypte à la Turquie et à la Péninsule d’Arabie, les esclaves blanches étaient les plus chères sur le marché, et seuls les plus riches pouvaient se permettre les mythiques Circassiennes ; les moins fortunés devaient se contenter des Abyssines au teint foncé, tandis que les couches modestes de la société ne pouvaient se permettre que des esclaves noires3.
4Les récits des voyageurs et ambassadeurs occidentaux, ou les représentations figurées de souverains entourés de danseuses, chanteuses, musiciennes, bien qu’elles aient nourri l’imaginaire et les fantasmes des peuples monogames, ne sauraient gommer le rôle généralement attribué aux esclaves : en dehors d’une élite restreinte de privilégiées, elles étaient servantes, dévolues à tous les services, y compris le service sexuel. Or, non seulement l’opinion commune, mais l’opinion universitaire continuent souvent à entretenir un mythe. Après avoir dit que " la raison la plus courante d’acquérir des esclaves, et celle qui persista le plus longtemps, en était l’exploitation sexuelle ", Murray Gordon4 affirme que " ni le monde chrétien ni le monde judaïque ne connurent l’équivalent de cette institution typiquement musulmane ". Ce qui est une vraie-fausse idée reçue. Dans le monde chrétien, le gynécée des villas et des monastères du haut Moyen Age occidental, associant étroitement un espace reservé aux femmes et des esclaves travaillant notamment les textiles, remplissait aussi, aux yeux des contemporains, des fonctions sexuelles5. Certes, en tant qu’institution, celui-ci disparaît au milieu du Moyen Age, et les réformes ultérieures (de Grégoire IX au Concile de Trente) s’attaquèrent au libertinage sexuel des chrétiens en imposant, non sans peine, la monogamie aux laïcs et le célibat aux clercs. Mais par delà le respect de façade des limites de la sexualité doctrinale, nombre de chrétiens cherchèrent les moyens d’y échapper. La dérobade la plus courante fut trouvée dans l’emploi de servantes, utilisées comme dans la Rome ancienne6 (mais maintenant subrepticement) à la fois pour le service domestique et pour le service sexuel. Une pratique répandue non seulement chez les laïques, mais aussi chez les ecclésiastiques7.
5Par ses connotations morales intrinsèques, le sujet est délicat, et il est essentiel de faire la part du mythe et celle de la réalité. Tout récemment, Alain Boureau s’est attaqué avec véhémence au soi-disant " droit de cuissage "8, pendant trop longtemps et sans véritables bases documentaires mis dans le même panier que d’autres droits seigneuriaux sans guillemets, tels la mainmorte ou le formariage. Mais si un droit écrit, accompagné d’un rituel et d’un code, comme s’il s’agissait d’une redevance sexuelle de servitude, n’est semble-t-il pas envisageable historiquement, qu’en est-il de la pratique ? Faut-il tout mettre sur le dos de pamphlétaires et d’historiens naïfs, ou cette fumée du " droit de cuissage " s’est-elle dégagée d’un feu bien réel ? La pratique de l’abus sexuel d’une femme ou d’une jeune fille, voire d’un jeune garçon, de la part d’un homme qui lui est statutairement supérieur, qu’il soit pater familias d’une maison romaine, seigneur d’un village français, maître d’un moulin à sucre, patriarche d’une maisonnée avec servantes, patron d’une usine textile, n’a rien de mythique. Mais, comme le fait dans son journal le Sire de Gouberville, on ne l’affiche pas, on le cache9. L’information historique nous révèle en effet une longue pratique associant domination sociale et domination sexuelle. L’utilisation des esclaves comme " concubines " par leurs maîtres aux Amériques, est bien connue et Gilberto Freyre en a fait une description magistrale pour le Brésil du XIXe siècle10. Juridiquement libres, et néanmoins servilement dépendantes, les servantes dans la France d’Ancien Régime portaient visiblement dans leur grossesse ce même rapport sexuel ancillaire11.
Dans la Florence du bas Moyen Age
6Pourquoi dans les villes du centre et du nord de l’Italie du bas Moyen Age, le groupe servile était-il constitué presque exclusivement par des esclaves de sexe féminin ?12 Etait-ce un hasard de la traite si les Circassiennes étaient le groupe majoritaire parmi les esclaves orientales présentes à Gênes dans la deuxième moitié du XVe siècle ?13.
7Les principaux éléments de réponse à ces questions, nous les trouvons dans le dossier relatif aux esclaves présents à Florence aux XIVe-XVe siècles. Si l’esclavage y est un phénomène résiduel, les sources qui l’éclairent sont exceptionnelles (la correspondance privée, en particulier) et permettent de lever le voile sur des choses gardées secrètes.
8Contrairement à la loi romaine, reprise par les lois barbares, hispaniques, portugaises, puis américaines (" fructus sequitur ventrem "), une loi florentine de 1363 prévoyait que le fils d’esclave suivait la condition du père : si celui-ci était un homme libre, l’enfant était automatiquement libre lui aussi, " comme s’il était né d’une servante libre "14. Cette législation libérale par rapport à la tradition (mais qui répondait, en fait, au souci des Florentins de déterminer la parenté en ligne masculine) eut comme effet, quand la contraception ou l’avortement n’avaient pas eu d’effet, et quand le courage avait manqué de tuer le nouveau-né, que le " fruit du ventre de l’esclave " était presque systématiquement abandonné. Car, sauf exception, le père de l’enfant n’était autre que le maître de l’esclave, ou un autre membre de la famille ou alors un ami de celle-ci. C’est ainsi qu’entre 1394 et 1485, sur 7534 gettatelli (" petits jetés ") amenés aux hôpitaux de San Gallo et des Innocenti, 1096 étaient fils de mère esclave15. A Prato, entre 1372 et 1482, sur les 209 enfants " jetés " à l’hôpital de la Miséricorde pour lesquels existe une indication de parenté, 35 étaient fils d’esclave16. De même à Lucques, au début du XVe siècle, pour 55 des 165 enfants abandonnés à l’hôpital ; et sept d’entre eux provenaient de la maison la plus honorée du lieu, les Guinigi17.
9Ces nourrissons (sauf exception ils ont quelques jours de vie) sont laissés dans la roue de l’hôpital avec un petit billet au cou, ou portés par des serviteurs libres du maître18. Quelquefois ils sont chaudement habillés et munis d’un petit trousseau, la plupart du temps ils sont à demi-nus ou enveloppés dans des " tristi pannolini " (méchantes couches). Les commentaires des responsables des hôpitaux sont à cet égard souvent indignés, comme ce jour de décembre 1451 où deux jumelles arrivent couvertes seulement de quelques chiffons : " Elles arrivèrent presque mortes, et si elles avaient été des chiens, on leur aurait prêté plus d’égards "19.
10Les billets (polizze) attachés aux nourissons ou les déclarations des serviteurs accomplissant leur triste besogne, précisent que l’enfant est fils de l’esclave d’un tel. Le maître est toujours un membre du patriciat florentin : Medici, Carnesecchi, Dell’Antella, Gianfigliazzi, Ardinghelli, Da Filicaia, Spinelli, Strozzi, Orlandini, Albizzi, Obriachi, Ridolfi, etc.20 Quant au père de l’enfant, on dit parfois qu’il est inconnu, ou que l’esclave était déjà enceinte avant d’arriver à Florence, ou qu’elle a été engrossée par un étranger de passage, ou encore que le père est un serviteur libre du notable florentin21. Il arrive que la paternité du maître, celle d’un membre de la famille ou d’un de ses amis soit reconnue explicitement, ou rendue explicite par la suite.
11La cause de l’abandon est claire : il faut faire sortir de la maison honorable celui qui est non seulement un bâtard, mais un fils d’esclave. Le nourisson est souvent abandonné pour éviter la honte publique : Graziano di Bernaba dalla Scarperia, dont Catherine, esclave de Giovanni Orlandini, a conçu un enfant, " par honte le fera élever par d’autres "22. Honte majeure si le père était un prêtre23. Et pour éviter cette honte, on n’hésite pas à enlever l’enfant à sa mère contre sa volonté, à l’abandonner et à demander la complicité des responsables de l’hospice : " Je voudrais que vous la gardiez cachée. Et si une personne ou une esclave vous la demande, dites qu’elle est morte "24. Mais il arrive que l’amour maternel soit plus fort, et que l’enfant soit rendu à l’esclave qui vient le chercher25. Le père-maître n’était pas seul à vouloir abandonner son bâtard ; son épouse légitime trouvait insupportable de voir tous les jours chez elle le fruit de la trahison conjugale. Ainsi Francesco Ventura reconnait la paternité d’une petite fille, " mais pour ne pas avoir de problèmes avec sa femme il l’a mise à l’hospice "26. Il faut croire aussi que la femme du maître, si elle avait elle-même un nourrisson, trouvait à l’abandon du fils de l’esclave l’avantage d’une nourrice toute prête27. Situation qui, par ailleurs, arrangeait les responsables de l’Hôpital des Innocents qui, à plusieurs reprises, achetaient ou louaient une esclave " pour donner le sein à nos enfants " et, puisque la nourrice était esclave, " pour subvenir aussi à toutes les nécessités de la maison "28.
12La correspondance privée relative au commerce d’esclaves que Ridolfo Livi a retrouvée dans les Archives Datini de Prato, nous dévoile encore mieux la mentalité et les agissements de ces " bons chrétiens " et de ces " maris fidèles " -comme ils aimaient à se définir eux-mêmes-. Le célèbre marchand de Prato, né vers 1335 et mort en 1410, après avoir eu un enfant naturel pendant son séjour à Avignon, choisit d’épouser une fille sans dot, mais jeune et belle, Margherita29. L’héritier légitime qu’il attendait d’elle n’arriva pas ; en revanche il eut plusieurs enfants naturels, certains issus des relations avec ses esclaves. Âgé d’une trentaine d’années, en 1371, il écrit à sa tutrice, Monna Piera di Pratese, qu’il ne veut plus " rester comme un enfant ", et qu’il " ne veut plus rester bouche sèche comme l’autre fois, pour s’entendre dire ensuite que lui était né un... " (lire : bâtard) ; il ne veut pas d’une vieille, et il va envoyer chez lui " une esclave jeune et belle, bonne pour toute chose "30. Le même rejet d’esclaves âgées est partagé par l’un de ses amis vicaire, frère Agnolo d’Altopasso, qui proclame que " si elle est d’âge avancé, elle ne lui conviendrait pas, car il lui en faut une qui soit plantureuse "31. En 1387, Francesco di Marco note dans son livre de comptes personnel l’arrivée " d’une petite esclave de treize ans achetée à Pise ", et l’achat d’une autre esclave appelée Bartolomea32. La même année c’est lui qui conclut le mariage d’une de ses servantes libres, Ghirigora, âgée de quinze ans, avec un petit artisan de Prato, en lui donnant une dot de 165 florins. La raison d’une telle sollicitude se manifeste quatre mois après ce mariage, car Ghirigora accouche d’un enfant qu’elle dira être de Francesco di Marco33. En 1388, il achète une autre esclave de 36 ans, Giovanna. Puis, en 1392, une autre de ses esclaves, Lucia, âgée de 19 ans, met au monde une fillette conçue de Francesco, Ginevra. Là le marchand de Prato est pris de pitié et confie la fillette à sa femme Margherita (dont il vit désormais séparé) pour qu’elle l’élève34. Ce geste ne le gênera pas dans ses habitudes, puisque l’année suivante Francesco di Marco échange plusieurs lettres avec un marchand de Gênes pour qu’il lui trouve sur le marché de cette ville " une esclavette jeune et rustique, âgée de huit à dix ans, qui fasse plaisir à l’oeil " ; il demande à son ami " de bien l’examiner, voir et toucher partout ", parce qu’il faut qu’elle " soit bien faite "35. Mais il attendra en vain que son correspondant génois lui trouve la jeune fille, et il se consolera, en 1395, avec " Orenetta, la petite esclave qui vient de Venise "36. Vieil homme, en 1401, Francesco di Marco Datini écrit de Majorque qu’il vient de vendre à un bon prix une vieille esclave et qu’il va chercher à en acheter une autre " qu’on dit belle "37.
13Ses amis et correspondants partagent tout à fait ses goûts, qui choisissent les esclaves " belles, bonnes, jeunes ". L’un d’eux lui écrit en 1400 de Majorque qu’il est resté seul à la maison avec son esclave Giovanna " si belle qu’elle semble une tarascola, et de ses jouissances je ne te dis rien, car je sais que tu les connais "38. Un autre ami, le poète Franco Sacchetti, a une esclave de vingt ans " bien faite de son corps, ni grasse ni maigre "39. Mais, contrairement à nombre de ses amis, Datini, lui, a une morale. Il leur reproche, en effet, quand leurs esclaves ont accouché, de " vendre leurs propres chairs "40. Son associé en affaires, Cristofano di Bartolo, écrit un jour qu’il est furieux contre ses familiers, dont Simone " qui tient l’esclave à sa façon, et garde l’enfant chez moi " ; il leur rappelle que lui, Cristofano, " a une femme comme les autres, et a tenu des femmes comme vous faites tous, mais qu’il n’a pas couché avec elles chaque fois qu’il aurait voulu "41. Le conseil qu’on se donne entre amis, lorsque l’esclave est enceinte, est donc de la vendre dans une autre ville : ni vue ni connue charnellement42.
14Le seul souci des propriétaires d’esclaves était, en effet, la grossesse, source pour eux de problèmes d’ordre familial, de renommée publique, de dépréciation de leurs biens43. Le législateur florentin avait bien pris cela en considération, et dans la loi de 1363, il était prévu que si quelqu’un engrossait l’esclave d’autrui il devait payer les frais de l’accouchement ; si l’esclave en restait abîmée, il devait payer au propriétaire le tiers de la valeur de l’esclave, et si elle mourait en couches il devait en rembourser au propriétaire la valeur entière44.
15S’agissait-t-il de viols répétés sur des femmes et jeunes filles qui n’avaient de toute façon aucun recours, vu que leur statut les classait parmi le bétail ? Ou ces esclaves étaient-elles - comme on dit - consentantes, voire débridées sexuellement, déchaînées dans leurs desirs érotiques, ainsi que l’imaginaire du père-maître voyait les femmes à sa disposition ? Le consentement de l’esclave pouvait lui laisser espérer un meilleur traitement quotidien et un affranchissement à terme. Le plus souvent cependant les maîtres se débarrassaient de leurs esclaves, comme ils se débarrassaient de leurs rejetons, en y mettant plus ou moins de manières. Bernardo di Forese Salviati, marchand florentin résidant à Rhodes au milieu du XVe siècle, avait eu un premier fils de son esclave Maddalena en 1446, puis deux autres enfants en 1447 et 1448 d’une autre esclave, Gianna : il se comporta somme toute en gentilhomme, car il leur trouva un mari sur place et les maria avec une petite dot45. Dans les mêmes années (en 1462), Carlo di Messer Palla Strozzi devait vendre son esclave Buona, qui était enceinte, faisant grâce aux acheteurs du tiers du prix de l’esclave pour le risque de l’accouchement (comme la loi florentine le prévoyait)46. En 1560, à Cadix, un marchand génois, Polo Bocardo, vendait aussi son esclave Lucia, qui se trouvait enceinte, sous deux conditions qui incombaient à l’acquéreur : l’enfant à naître devait être affranchi, et l’esclave ne devrait jamais plus mettre les pieds à Gênes47.
16Lubrique, consentante ou violée, en tout cas la femme esclave était à la disposition de son maître, comme le répète la formule de vente de Lucia, qui n’était qu’un formulaire standard : " qu’en tant que votre esclave elle vous serve et vous vous serviez d’elle, et vous pouvez la donner, vendre, troquer et échanger, et faire et disposer d’elle à votre volonté ". Le sous-entendu était tel qu’un notaire n’hésite pas à préciser, dans le contrat de location d’une esclave à Gênes, en 1420 : pour servir son maître non seulement " à table " mais aussi " au lit selon sa volonté "48.
17Qui étaient les maîtres florentins d’esclaves ? Le " registre d’assurances " d’esclaves (1366-1398), et plus encore le Catasto de 142749 nous livrent un profil précis et concordant. 314 propriétaires se partagent les 354 esclaves enregistrées dans la deuxième moitié du XIVe siècle, et 260 les 300 esclaves déclarées au Catasto de 1427. Le groupe esclave représentait donc une petite minorité dans cette ville, et ceux qui en possédaient (2,6% des ménages) n’en avaient généralement qu’une seule. Mais ces ménages ont des caractéristiques bien précises. Ils sont riches : leur fortune imposable moyenne dépasse les 5.000 florins, alors que la moyenne générale pour les Florentins décrits au Catasto est de 800. Ce sont des ménages larges : on y compte 8 personnes par foyer, alors que le ménage moyen n’en compte que 3,8. Ils ont un nom : en 1427, 77% des propriétaires d’esclaves portent un nom de famille, et 59% en 1366-1398, alors que dans l’ensemble des Florentins cet attribut n’échoit qu’à un quart ou un tiers de la population. Ils sont illustres et respectables : à côté des représentants des bonnes et anciennes familles, on trouve nombre de personnes portant un titre : notaires, juges, chevaliers et médecins. Il s’agit donc, tout simplement, de l’élite citadine, qui cumule richesse, grande maison-grande famille, pouvoir, honneur, et esclaves. Même s’ils l’avaient voulu, d’ailleurs, les autres Florentins n’auraient pu se permettre l’achat d’une esclave, qui représentait l’équivalent d’une année à une année et demie de salaire d’un travailleur manuel à plein temps (le prix moyen d’une esclave dans les années 1366-1398 est de 32 florins).
18De même qu’on prenait en mariage une femme jeune, dans cette bonne société on achetait des esclaves jeunes50. Il ressort, en effet, du registre de 1366-1398 qu’une esclave sur quatre avait moins de 16 ans et deux sur trois moins de 21. Au moment du Catasto, en revanche (malheureusement l’âge n’est indiqué que pour deux esclaves sur trois), il semble que cette population a vieilli, et à peine une esclave sur cinq a moins de 21 ans, la moyenne se situant à 36 ans. Biais et lacunes statistiques, vieillissement du groupe, ou problèmes d’approvisionnement de la marchandise humaine ? Vingt ans plus tard, au milieu du XVe siècle, les esclaves de Florence sont à nouveau dans la fleur de l’âge, à en juger par la montée en flèche des enfants abandonnés dans les hôpitaux. Signe que les servantes esclaves, outre leurs tâches domestiques, avaient repris leurs fonctions de service sexuel.
19Ainsi, l’honneur était sauf et les préceptes chrétiens respectés. Ces hommes honorables, qui détestaient se mélanger à la populace fréquentant les bordels51, pouvaient sans sortir du clos de leurs maisons, sans risquer les maladies du sexe vagabond, satisfaire leurs envies sexuelles, y compris, comme nous le révèle Datini, la pédophilie. Pédophilie ? Le terme pourrait être mal placé, dans une société comme la florentine, où il n’était pas rare que l’homme de quarante ans prît pour femme une jeune fille de quatorze-quinze ans ; où en moyenne l’homme se mariait autour de trente ans et son épouse à dix-sept52. A moins que Datini ne prît un jour chez lui une fillette de dix ans, impubère, pour éviter aussi le désagrément non pas de vendre, ce qu’il répugnait au fond de son coeur et considérait comme immoral53, mais d’abandonner " ses propres chairs ". Mort sans héritiers légitimes, Francesco di Marco fit un pieux testament : le gros de sa fortune (70.000 florins) devait aller à la fondation d’une oeuvre de bienfaisance (le Ceppo) dans sa ville natale ; il légua mille florins à sa fille d’esclave, Ginevra, legs qui devait revenir à la fondation de Prato après sa mort ; il n’oublia pas non plus sa femme Margherita, à qui il laissa la somme de cent florins, à condition qu’elle reste " veuve et chaste " ; 1500 florins allèrent à des docteurs en théologie et en droit canon, " pour le bien de son âme ". Bon père, il aura aussi à sa mort une chère pensée pour ces pauvres créatures abandonnées à la naissance, et il léguera dans son testament mille florins pour la fondation de l’Hôpital des Innocenti54. Car, chez ces riches Florentins, à la fin tout a un prix.
20Les conteurs toscans de la Renaissance se plaisent à mettre en scène des servantes séduites par leurs employeurs55, et il est hors de doute que l’exploitation sexuelle touchait les servantes de toutes conditions. Il existe néanmoins des nuances importantes tenant aux degrés de possession des femmes par l’homme. L’autorité " naturelle " de l’homme sur la femme vaut pour toutes, et d’abord pour l’épouse ; cette autorité sera plus écrasante lorsque, comme dans le cas florentin, à la domination liée au sexe s’ajoute la domination de l’adulte sur l’adolescent. Avec la servante, le maître exploite en outre un rapport de dépendance dans le travail et dans la maison. Avec l’esclave, la possession est complète, elle est couronnée par la propriété, sanctionnée par la loi, du maître sur " sa chose ".
Dans la Péninsule Ibérique de l’Époque Moderne
21Les lois ibériques établissant le statut à la naissance des enfants d’esclaves étaient dans la ligne de la tradition, et plus " normales " que les florentines ; l’enfant prenait le statut de la mère. Quelles en étaient les conséquences ? À première vue (des études centrées sur cet aspect font défaut), si des enfants d’esclaves étaient abandonnés aux hospices, c’était en petit nombre56. Le père et maître vendait souvent l’esclave, enceinte ou avec son nourisson, mais plus couramment gardait son propre enfant chez lui, comme esclave. Sa mauvaise conscience, parée de générosité, pouvait l’amener à l’affranchir par la suite ou, s’il mourait sans l’avoir fait, c’était à la veuve héritière de le libérer ou à ses frères et soeurs de sang57. Mais l’enfant pouvait aussi vivre dans la famille et être considéré comme l’un de ses membres, tout en restant esclave.
22L’alliance impossible entre préceptes chrétiens, sacrements, lois civiles et pratiques domestiques ne pouvait que produire des abcès. Si, en Toscane, l’utilisation sexuelle des esclaves avait eu pour conséquence l’abandon des enfants, en Andalousie elle se traduit par la naissance de cohortes d’enfants fils de mère esclave et de père inconnu (officiellement). À Séville comme à Cordoue ou à Cadix, tout au long du XVIe au XVIIIe siècle, les enfants de mère esclave baptisés représentent entre 80 et 90% des enfants illégitimes (le taux général d’illégitimité se situant autour de 10% des baptisés)58. Pourtant, en dépit de l’ostracisme des maîtres, un certain nombre d’esclaves parvenaient à se marier et à acquérir, par suite, une descendance légitime. Par exemple, à Cordoue, entre 1600 et 1621, furent célébrés 114 mariages dans lesquels au moins l’un des époux était esclave ; mais, sur 305 enfants d’esclaves baptisés dans la même période, seuls 42 étaient nés d’un couple légitime59. Quant aux autres, pour une partie, certainement, ils étaient le fruit de liaisons libres et consenties, quoique non bénies par le mariage, entre esclaves (ou entre esclaves et personnes libres). Et pour le reste ils étaient issus d’unions " libres " ou forcées entre esclaves et maîtres.
23L’âge moyen des esclaves à l’achat était de vingt ans, et les prix les plus hauts correspondaient à la tranche d’âge quinze-vingt ans. On voulait des esclaves jeunes parce qu’on espérait exploiter leurs services le plus longtemps possible ; un souci de bon investissement. Mais cette raison n’était peut-être pas la seule : s’y ajoutaient l’attraction sexuelle que ces jeunes corps exerçaient sur leurs propriétaires de sexe masculin, et la moindre résistance qu’une jeune fille pourrait opposer à ses exigences.
24Et que dire encore de cette information sur le prix des esclaves ? Les esclaves de sexe féminin les plus chères étaient les blanches (Barbaresques, Morisques ou Turques), alors que les hommes blancs, considérés plus rebelles, étaient moins cotés que les noirs. La pulsion sexuelle des maîtres obéissait à des règles racistes.
25L’usage d’esclaves permettant la libre expression de la sexualité masculine souleva, il est vrai, quelques remous passagers parmi les défenseurs de la morale, comme devait s’en faire l’écho le Synode de Séville de 1604 : " Nous sommes informés que dans cette ville et archevêché, beaucoup de personnes ont des esclaves, qui sont pour la plupart tenues comme concubines, et ce qui scandalise le plus est que leurs maîtres, sans grande crainte de Dieu, et au grand préjudice de leurs âmes, y consentent en raison de l’intérêt tiré de l’accouchement des esclaves ". Les évêques demandent alors aux curés des paroisses d’exhorter leurs ouailles à faire en sorte " que leurs esclaves vivent bien, sans consentir qu’elles vivent dans le péché, et à ce qu’ils abandonnent les occasions de le faire "60. Les évêques rejetaient donc la faute du péché d’abord sur les esclaves, et tiraient un peu les oreilles, avec bonhomie, à leurs maîtres. C’était encore trop, et cinq ans plus tard la disposition fut levée.
26Un tel rappel moral contredisait en effet le sentiment commun de l’époque, tel qu’il transparaît, par exemple, dans certaines déclarations devant le tribunal de l’Inquisition de Cordoue. Tel affirme " que ce n’est pas péché que d’avoir des rapports charnels avec une esclave pour l’engrosser, comme on donne une ânesse à un cheval pour qu’elle fasse un mulet ". Tel autre, proposant à un clerc l’achat d’une esclave, lui dit " de l’acheter car elle est belle et lui servirait aussi d’amie ", et quand on lui rétorque que c’est un péché, il lui dit " de l’amener chez lui et, malgré Dieu, il en serait comblé de jouissance et quitte du péché "61. Mais Cervantes lui-même ne se fait-il pas l’interprète des moeurs du siècle d’or sévillan, lorsque son vieux jaloux extremeño épouse une jeune fille, l’enferme dans sa maison, achète un eunuque noir pour la surveiller et quatre esclaves blanches et deux noires pour son harem chrétien ?62 Compréhensive envers les maris qui commettaient un adultère avec leur esclave, la justice inquisitoriale n’était aucunement indulgente lorsque l’adultère était perpétré par une femme avec son esclave : d’après le récit d’une exécution capitale, l’esclave fut d’abord torturé avec des tenailles ardentes, ensuite le bourreau lui coupa la main droite, et il fut enfin brûlé avec sa maîtresse63.
27Les procès contre des esclaves nous livrent d’autres renseignements sur les moeurs sexuelles. Parmi les condamnés à mort à Séville qui, à la fin du XVIe siècle et au début du XVIIe, furent assistés par le Père Pedro de Leon, figurent neuf esclaves brûlés pour sodomie (pecado nefando). Deux d’entre eux, Hamete, un Turc, et Francisco Perez, un Barbaresque, s’étaient prostitués à plusieurs reprises, et en particulier avec un noble sévillan (dont le nom est omis) qui leur avait dit " qu’il cherchait une paire de maures ou turcs qui fussent très puissants pour les acheter et les garder avec lui à cette maudite fin "64. Aveugle devant l’exploitation sexuelle des esclaves par leurs maîtres, la justice inquisitoriale était à l’inverse très sévère pour tout ce qui touchait, à ses yeux, au crime des crimes, la sodomie.
28Rafael Carasco arrive à la même conclusion, pour la Valence des XVIe-XVIIIe siècles65, que Michael Rocke dans son étude sur la répression de la sodomie à Florence au XVe-XVIe siècle66. Les poursuites pour sodomie (qui reposent sur des dénonciations) ne font que très rarement entrevoir des rapports homosexuels libres et consentis, entre égaux du même sexe ; il s’agit bien plus souvent de la sodomisation d’un adolescent par un adulte : comme ont soin de préciser les magistrats qui les interrogent, les jeunes sont " passifs ". Comptabilisant non pas les condamnés, mais tous les individus inquiétés dans une affaire de sodomie devant l’Inquisition de Valencia entre 1570 et 1760, Rafael Carasco arrive au constat que, sur 1.125 personnes de sexe masculin, 875 (77,7% du total) ont moins de 19 ans67. Il s’agit donc moins d’homosexualité que de pédérastie, mais ce dernier terme peut sembler tout aussi impropre, car à en croire les victimes, l’amour entre un adulte et un adolescent (âge moyen 15 ans) était moins souvent la règle que l’exploitation sexuelle du plus jeune. Le croisement des dépendances entraînées par l’âge et le statut social apparaît aussi au grand jour : à côté d’une forte proportion de vagabonds, de domestiques, de laboureurs, 9,4% des condamnés étaient des esclaves68. Profiter de l’infériorité sociale en même temps que de la différence d’âge ne pouvait que conduire à des rapports de domination et soumission69. La servilité sexuelle aurait-elle été consentante ? Autant que la prostitution peut l’être.
29Dans ces sociétés chrétiennes, les plaisirs de la chair ne pouvaient se poursuivre que dans la plus grande hypocrisie et dans l’inversion de la faute. Pendant que les honnêtes hommes étaient bien habillés, et que leurs femmes devaient se couvrir pour sortir en public, on éprouvait le plus grand plaisir à déshabiller les esclaves, et les esclaves femmes en particulier, au moment de leur mise en vente. Et on faisait avec les esclaves ce dont on rêvait secrètement : voir des corps nus. Ainsi, à Palerme, fut instituée à la fin du XVe siècle la course des esclaves : le 15 août, pour célébrer la fête de la sainte patronne, les " esclaves nègres " devaient faire une course dans les rues de la ville " nus, sans chemise, sans porter sur eux chose aucune "70.
30Libertines les liberte ? En 1521, puis en 1529 et 1574, répondant aux plaintes qui leur étaient adressées par la confrérie des esclaves affranchis, les Rois du Portugal intervinrent par décret pour interdire la pratique courante d’entrer en bande chez les affranchies pour les voler et les violer71. Des prostituées les esclaves ? Les langues espagnole et portugaise ont en tout cas codifié cette association, en appelant " manceba " (de mancipium) la prostituée et " mancebia " le bordel.
31Avoir plusieurs femmes, mieux encore des jeunes filles (voire, pour certains, de jeunes garçons) à sa disposition, soumises ou lubriques : ce rêve mâle, castré par la mise en place de la sexualité chrétienne, trouva dans l’institution esclavagiste et dans le " service domestique " le terrain où s’épanouir.
Notes
1 On peut trouver un clair exemple de cette objectivation de l’esclavage chez l’académicien portugais Fernando Castelo-Branco, 1970, pp. 243-252. L’auteur s’insurge contre les affirmations de Charles Boxer, 1963, réfute les accusations de racisme des Portugais en alléguant que dans la Lisbonne des XVIe-XVIIIe siècles vivaient non seulement des esclaves noirs mais aussi des blancs, et conclut : " Se hà fenomeno historico onde, con clareza e evidência, se veja a sua base economica, esse é a escravatura. A necessidade de obter mâo-de-obra, barata e abundante, fez-se sentir em numerosas sociedades. Desaparece quando o progreso técnico, com a màquina a vapor, permitiu prescindir da mâo-de-obra escrava. Dar à escravatura uma base racista -/.../- nos parece ser uma posiçâo historiogràficamente inaceitàvel " (p. 252).
2 Cf. Ennaji, 1994, 61 sq. ; Lewis, 1993, 15 et 27.
3 Lewis, 1993, 112.
4 Gordon, 1987, 84 et 87.
5 Herlihy, 1990 ; exemples de genitium ou pisele dans les monastères italiens de S. Giulia de Brescia, de Farfa, de Nonantola etc. dans Castagnetti, 1979.
6 Morabito, 1987, 5.
7 Di Simplicio, 1988.
8 Boureau, 1995 ; pour une approche différente cf. Barros, 1996, et Louis, 1994.
9 Foisil, 1981, 176 sq.
10 Freyre, 1974 ; cf. aussi Gauthier, 1985, 154 sq. et Ragon, 1992.
11 Gutton, 1981, 206 sq. ; Depauw, 1972 ; Aleil, 1976 ; Petitfrère, 1986, 136 sq.
12 Sur Venise, Verlinden, 1968, 184 ; sur Gênes, Gioffré, 1971, 178 ; sur Florence, Livi, 1928, 114.
13 Gioffré, 1971, 23.
14 " Et partus natus conditionem patris sequatur. Et si ex patre libero nascatur talis natus liber efficiatur ipso facto, et sit in omnibus et per omnia et quo ad omnes et ac si ex famula libera natus esset " ; cf. Livi, 1928, 144.
15 Ibidem, p.109.
16 Ibidem, p.111.
17 Bongi, 1866, 229.
18 Sur les enfants abandonnés à Florence, plus en général, cf. Trexler, 1973.
19 Livi, 1928, 231.
20 Les conclusions sont les mêmes pour Gênes. D’après le livre de la gabelle des esclaves, en 1458, 674 personnes appartenant à l’aristocratie citadine possédaient en tout 1069 esclaves (Gioffré, 1971, 74). Il est intéressant de remarquer que les descendants de certains de ces nobles lignages génois se distingueront postérieurement dans le trafic d’esclaves ; les Spinola et les Doria seront de grands armateurs des galères du Roi d’Espagne à l’époque moderne, et les Grillo et Lomellini obtiendront le plus gros contrat de traite vers l’Amérique espagnole dans la deuxième moitié du XVIIe siècle (AGS,Varios,Galeras ; Vega Pinto, 1984).
21 Livi, 1928, 218-242.
22 Ibidem, 220.
23 " Del padre non sapeva, ma pensava che fosse d’uno che porta cherica, e non volse dire più oltre ", Ibidem, p. 223. " E il padre à nome Ser Andrea, é prete, e à tolto detta fanciulla alla madre, e mandatala allo Spedale, e à fatto che detta schiava à tolto a balia uno fanciullo d’un cittadino, e à dato ad intendere alla madre di detta fanciulla che l’à data a balia ; e non vorrebbe ch’ella sapesse che fusse venuta allo Spedale. E perché detta madre non la ritrovi l’ha mutato il nome ". Ibidem, 235. Cf. d’autres prêtres-pères p. 219, 233.
24 Ibidem, 241.
25 Ibidem, 237, 238, 240.
26 Ibidem, 223 ; d’autres exemples p. 220, 224. Cf. les développements sur ce thème dans Origo, 1955.
27 Une nourrice sur dix, parmi celles figurant dans les Ricordanze, est une esclave : cf. Klapisch-Zuber, 1988, 273.
28 Livi, 1928, 233, 229, 234.
29 Origo, 1959, 157.
30 Livi, 1928, 243-244.
31 Ibidem, 248.
32 Origo, 1959, 190.
33 Ibidem, 164-166. Quand le mari de Ghirigora mourra, un ami écrira à Francesco di Marco le suppliant de reprendre chez lui son ancienne servante " qui a besoin de pain ", mais le marchand oppose un refus net : il avait déjà donné.
34 Ibidem, 195.
35 Livi, 1928, 256-257.
36 Origo, 1959, 190.
37 Livi, 1928, 286.
38 Ibidem, 275.
39 Ibidem, 245.
40 Ibidem, 293 ; son associé tient le même propos, p. 268.
41 Ibidem, 301.
42 Ibidem, par ex. p. 281, 315.
43 Législation, rapports sexuels maître-esclave, mentalité, que nous analysons ici pour Florence, étaient sensiblement les mêmes à Gênes et à Venise : cf. Gioffré, 1971, 96 sq. ; Pistarino, 1964 ; Lazzari, 1862 ; Ruggiero, 1985. A comportements tout à fait identiques, la seule différence avec Florence est qu’à Gênes et à Venise (centres de traite) les esclaves étaient beaucoup plus nombreux.
44 Cf. Livi, 1928, 144. Un souci donc purement économique : il s’agissait de garantir au propriétaire d’esclave que son investissement en marchandise humaine ne soit pas lésé. Francesco di Tommaso Giovanni, dans ses mémoires personnelles (ASF, Strozziane, IIa serie, XVI bis, f°4v), raconte le cas qui lui était arrivé. Il avait acheté, en 1445, de l’humaniste vénitien Francesco Barbaro, une esclave circassienne nommée Catherine. Un jour de septembre 1454 " la detta Katerina essendo sola in Firenze al governo de’ miei figluoli misse la notte in casa Bonifatio di Nanni Betti. E avegnendosene Amerigo di Ghirigoro Ubertini n’avisó Girolamo e Giambattista miei figluoli, e tutti 3 vennono e troveronolo nel letto e sanza fargli altro lo caciorno scalzo dicendo che non volevan fargli quello che meritava. Poi a dí 5 venendo a Firenze diliberai di non volerla più, e il dí medesimo Nicholo e Tomaso mio e lo avemo Nanni Betti in casa e dopo molte doglenze dissi che per più rispetti bisognava che se ne pigliassi parto, avendola lui contaminata e ridotta per modo che non potevo averne servigio ". Francesco Giovanni porte plainte devant le Podestà, qui condamne Bonifatio Betti à payer à son propriétaire 73 florins, valeur d’achat de l’esclave " contaminée ".
45 " Ricordanze di Bernardo di Forese Salviati ", ASF, Acquisti e doni, 302, Inserto 1, f° 95r. Ces documents et le suivant m’ont été gentiment communiqués par Christiane Klapisch-Zuber.
46 " Libro di dare e avere A di Carlo di Messer Palla Strozzi ", ASF, Strozziane, V serie, 13, f° 115v.
47 Rojas Vaca, 1993, 162.
48 Cf. Gioffré, 1971, 97.
49 Elaboration personnelle d’après le registre publié par R. Livi (cf. supra), et les listings du Catasto établis par Herlihy et Klapisch-Zuber, 1978.
50 Le constat est le même pour Sienne : cf. Prunaj, 1936.
51 Parmi les clients des prostituées au XVe siècle, ne figurent que des artisans et des travailleurs, aucun gentilhomme : cf. Trexler, 1981, 994.
52 Cf. Herlihy et Klapisch-Zuber, 1978, 207.
53 Ce qui, par contre, ne répugnait pas aux maîtres vénitiens, qui précisaient, dans les contrats de vente, que tels enfants étaient " de me generati " ; cf. Cecchetti, 1886, 329.
54 Cf. Origo, 1959, 334-335.
55 Cf. la synthèse de cette littérature faite par Guarducci et Ottanelli, 1982, 69-76.
56 Cf. Alvarez Santalo, 1980 : dans le sondage effectué par l’auteur, apparaissent bien des Noirs et des Mulâtres ; certains, au moment de l’abandon à la Casa Cuna, portent un billet au cou disant que " même s’ils sont de couleur, ils sont de père libre " (p. 90).
57 Cf. plusieurs affranchissements de ce type, cités par Cortés Lopez, 1989, 143 sq. ; Franco Silva, 1979, 248.
58 Cf. De Cires Ordoñez, 1989, 33 ; Garcia-Baquero Lopez, 1982, 129 ; Ndamba Kabongo, 1975, 108 ; Porquicho Moya, 1994, 75.
59 Ndamba Kabongo, 1975, 191, 200, 108.
60 " Somos informado que en esta ciudad y Arçobispado muchas personas tienen esclavas, las quales por la mayor parte estan amancebadas, y los que mas escandaliza es que sus amos con poco temor de Dios, y en grave perjuyzio de sus animas, lo consienten por el interes que se les sigue, de los partos de las esclavas -/.../- Vos encargamos a los vicarios y curas de nuestras yglesias, que cada uno en vuestra parrochia, exorteys a vuestros feligreses, que luego pongan remedio y diligencia en lo suso dicho, y procuren que sus esclavas bivan bien, y no las consientan estar en pecado, y quiten las ocasiones que tuvieren para estar en el ". Synode de Séville de 1604, chap. VI, p. 23.
61 Citées par Cortés Lopez, 1989, 96-97.
62 Cervantes, 1986, 104.
63 Leon, 1981, doc. n° 163.
64 Ibidem, doc. n° 308.
65 Carasco, 1985.
66 Rocke, 1989.
67 Carasco, 1985, 222.
68 Ibidem, 168.
69 Toujours dans ce registre, on peut rappeler une autre pratique sexuelle poursuivie (gentiment : au pire, la peine consistait en quelques années de réclusion dans un monastère) par l’Inquisition espagnole : les confesseurs qui profitaient des femmes venues se confesser. Ce scénario met en scène un homme, investi de l’autorité religieuse, à qui une femme, agenouillée devant lui, vient livrer dans l’intimité et le secret ses péchés, et en particulier ses égarements relatifs au sixième commandement. On imagine facilement le pouvoir de contrainte qui échouait au confesseur, du fait aussi de la différence d’âge : les femmes " sollicitées " sont en majorité âgées de 18 à 25 ans, tandis que les confesseurs ont entre quarante et cinquante ans. Cf. Sarrion Mora, 1994.
70 Cf. Bresc,1993, 305.
71 Brasio, 1944, 82-88.
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