E’ cosa veramente difficile capire qualcosa delle varie famiglie fiorentine che prendono nome da un individuo di nome Baldese

 

 

Baldesi

Dalle ricerche di Roberto Angelo Segnini

Da non confondere con i : Di Baldese

 

 

 

Introduzione

Per quanto riguarda il punto precedente le fonti, manoscritti conservati nell’Archivio di Stato di Firenze e libri nelle biblioteche pubbliche e private della Toscana, fanno riferimento a queste due famiglie: Baldesi e i del Baldese (o di Baldese), ma non è stato possibile ritrovare nei documenti una parola definitiva sull’ argomento, perché le biografie dei personaggi sono molto parziali.

Secoli XIII - XIV

A Firenze compare una compagnia diretta nel 1220 da Drudolo Baldesi

E' del 1220 un documento in cui Bernardo Calcagni, noto cambiatore bolognese, si riconosce debitore del detto Drudolo >> (1).

A proposito dello sviluppo della cambiale << Firenze non riveste propriamente un ruolo decisivo. Rispetto a Firenze, da Genova si sono conservati titoli di cambio di 64 anni più vecchi, da Pisa di 23, da Venezia di 18 >> (2).

<<Il primo titolo che ci è giunto risale al 1220.E mentre le più antiche cambiali genovesi del 1256 sono pagabili a Costantinopoli e ad Alessandria, quella fiorentina rappresenta un assegno in libbre bolognesi che Bernardo Calcagni, proprietario di una nota compagnia di cambio, avendo ricevuto l’ equivalente in denari pisani, la moneta allora ancora comune a Firenze, si impegnava a far portare entro quindici giorni per il pagamento, a Mantova, alla Fiera di Tutti i Santi a Drudolo Baldesi o Ordre >> (3).

Lettera di cambio Bruges-Barcellona
Prato, Archivio di Stato, Datini, 1145, Compagnia Giovanni Orlandini a compagnia Francesco di Marco Datini, 15.11.1399 @ARCHIVIO DI STATO DI PRATO

 

Nel libro di Mario Bernocchi sulle monete della Repubblica fiorentina troviamo- infine-che in data 17 ottobre 1220 << Bernardo di Calcagno riceve da Drudolo del fu Baldese anche a nome della sua società "325 lire e 14 soldi di buoni denari pisani di moneta vecchia, chiamandosi ben pagato da lui per il prezzo e il nome di prezzo o di cambio di 400 lire di bolognini" >> (20)

<< Della generazione successiva e' Rinieri stimato giureconsulto e notaio attivo verso la fine del duecento, del quale si conoscono diversi rogiti >> ( 1) ( vedi il Protocollo di Ranieri Baldesi all'Archivio di Stato di Firenze).

Dagli studi del Sapori emergono, invece, alcuni personaggi ben delineati.

<< Un Lapo di ser Rinieri del Baldese, fattore dei Bardi, operò in Cipro tra il 1307 e il 1309.

Correndo pericolo di morte, confessò di essersi approfittato di 500 fiorini d’ oro; guarito, negò quanto aveva detto, ma, alla morte ( febbraio 1310) la somma venne tolta lo stesso agli eredi e incamerata dalla compagnia >> (4).

Stefano Orlandi, nel suo Necrologio di S. Maria Novella , parla di frate Matteo figlio del fu Giovanni Baldesi.

<< 290. Fr.Mattheus filius olim Johannis Baldesi de populo sancti felicis, sacerdos et predicator fuit vir plaucibilis conversationis, benignus et dulcis, compassivus et affabilis, ac prudens et discretus. fuit conventibus cortoniensi et mevanate. fuit etiam supprior in conventu florentino. et prior in conventibus aretino, sancti miniatis, et florentino bis. ac etiam vicarius provincie. vixit in ordine. annis. XLVI. vel circa. Mortuus est autem anno domini. M°CCC°X°L. etatis autem sue anno. LV vel circa. V. die maij. existens prior florentinus.

 

290. – Fr. MATTHEUS FIL. OLIM JOHANNIS BALDESI ( o De VIA MAIORI) . – Il Borghigiani scrive:" Lo stimo fratello di Turino del Baldese, insigne benefattore del Convento".

Di Torino Baldese parleremo sotto nell’Obitus di Fr. Jacopo Passavanti. Ma credo la cosa molto dubbia, perché Torino nel testamento suo dice di sé << fil. Q. Baldesis>>, mentre questo Fr. Matteo è figlio del fu Giovanni Baldesi. Quindi al più potrebbe essere nipote di Torino di Baldese.

 

Gli atti capitolari della Provincia romana conoscono Fr. Matteo colla qualifica<< de via maiori>>

[ De <<Via Maiori>> indica, credo, l’attuale via Maggio che si trova appunto nella parrocchia di S. Felice in piazza, della quale era nativo Fr. Matteo].

Nel 1311 fu assegnato per lo studio delle Sentenze al convento di Santa Maria Novella. Nel 1313 fu assegnato come lettore al convento di Cortona, e nel 1324 fu fatto Visitatore di quasi tutti i conventi dell’ Umbria, cioè d’ Orvieto, Narni, Rieti, Spoleto, Todi, Foligno e Bevagna. Fu Priore di S. Maria Novella una prima volta nel 1329, ed una seconda volta fu eletto nel febbraio 1338 (st. com.1339).

Troviamo tra le note del Borghigiani dal libro del Borsario che <<nel dì della sepoltura del priore defunto Fr. Matteo di via Maggiore fu data una pietanza ai frati, forse dalla sua famiglia >> (5).

Armando Sapori, nei suoi "Studi di storia economica" al Capitolo XXVIII, parte III, punto b), relativo al contratto d’ impiego e allo stipendio ci chiarisce come avvenivano le modalità di pagamento .

Prima di tutto il salario, per quanto riguardava il momento della corresponsione, la misura, la forma di pagamento misto tra in denaro e in natura, era lasciato alla discrezione ( ad libitum) della Compagnia.

<< Allorché il salario non era convenuto, e questo poteva accadere anche nel caso dei "fattori", il personale era senza difesa per le sue pur legittime rivendicazioni.

Lo Statuto dell’Arte fiorentina di Calimala non si presta ad equivoci al riguardo, laddove dispone, a riprova che la legge era fatta pressoché esclusivamente in favore dei datori di lavoro:

Cum pluries contingat causas et querimonias fieri et esse coram consulibus inter factores, discipulos et magistros eorum, statutum est quod, si aliquis factor vel discipulus querimoniam posuerit coram consulibus de suis magistris de suo salario, et pactum fuerit inter eos de certo salario ei solvendo per annum, illud pactum consules ei faciant observari secundum scriptptam libri eorum sotietatis; si vero non sit inde aliquod pactum de certo salario ei annuo persolvendo, sed venit ad dictam sotietatem ad illam remunerationem quam ei sui magistri facere vellent, non cogantur tales magistri dare illi tali factori vel discipulo ultra vel aliter quam ipsi magistri statuerint et scribi fecerint, non obstante eis quod pro aliquo vel aliquibus anno vel annis preteritis aliquod salarium ei solverint.

Gli stipendi erano pagati o accreditati anno per anno, e di solito il primo luglio, data a cui più frequentemente si facevano i bilanci; ma era concessa facoltà agli impiegati di ricevere somme parziali nel corso dell' annata, per il che funzionava una sorte di conto corrente ad interesse, costituito eventualmente anche con depositi.

Di solito si stava attenti che i prelievi non superassero le disponibilità, ma avvenne più volte che qualcuno traesse più del dovuto.

In questo caso, per regola costante, le compagnie esercitarono strettamente il diritto del creditore, e se rinunziarono al dovuto ciò fu solo perché l' accertata insolvibilità del debitore sconsigliava una causa.

I Peruzzi non corrisposero gli interessi sul conto del notaio ser Dino Manetti perché << aveva preso tanto anzi il termine che montava più che quello che doveva avere>>,

e al dissesto del 1342 addebitarono a Jacopo di Bernarduccio di Meo, fattore dal 1331 al 1335, lbr. 97 s. 9 d.1, di cui <<lbr. 5 d. 4 per spese che fece quando il fecero pigliare Torino Baldesi e Nastagio e Giovanni Tolosini per danari in che gl’era tenuto per la compagnia; e le lbr. 92 s. 8 d.9 sono per la ghabella de’ contratti delle chase sue che diede in vendita a’ detti Torino e Nastagio e Giovanni per fior. 1275 d’ oro ch’ era loro tenuto per noi >>.

La Compagnia dei Bardi abbonò al suo fattore Bartolo Baldovini, morto a Napoli alla fine del 1319, il debito di lbr. 8 s. 8 d. 7 perché

<< i fatti suoi rimasero in malo stato>>,

e a Marco di Federico Cioni, congedatosi nel 1312, << quello rimane a dare gli sono domandati più volte; non sono avuti perché crediamo che non siano in buono stato ne egli ne' fratelli >> (6).

Il Sapori, nell' Appendice dei suoi "Studi di storia economica" ci dà anche un elenco dei fattori della Compagnia Peruzzi dal 1331 al 1343 formato sui dati dei libri:

<< 79.Jacopo di Bernarduccio di Meo.Fu al servizio della Compagnia dal 1331 al 1335, e il 1° lug. 1335 ricevé lbr.117 per salario dal 1° lug.1331 al 1° genn. 1334, compresi gli interessi.

Ebbe un resto di salario il 15 ott.1335. Il 9 genn.1342 gli furono addebitate lbr. 97 s.9 d.1, di cui

<<lbr.5 d.4 per spese che fece quando il fecero pigliare Torino Baldesi e Nastagio e Giovanni Tolosini per danari in che gl’era tenuto per la compagnia; e le lbr.92 s.8 d.9 sono per la ghabella de’ contratti delle chase sue che diede in vendita a’ detti Torino e Nastagio e Giovanni per fior. 1275 d’ oro ch’ era loro tenuto per noi >> (7).

 

 

 

Ad inizio trecento vi sono diverse famiglie

 

 

SAN PANCRAZIO BALDESI FERRAUOLI

 

 

 

Dall’ Archivio Ceramelli-Papiani, ASF Man. Filza 290,estratto del

Priorista del MARIANI, Tomo III, pag. 559 ) (VI).

 

B A L D E S I ( F e r r a i o l i )

 

Anno

Nome

di

Giorno - Mese

Carica

San Pancrazio

1326

Falconieris

( * )

15 Dicembre

Priore

 

1330

Falconieris

( * )

15 Giugno

Gonfaloniere

 

1333

Falconieris

( * )

15 Febbraio

Priore

 

1339

Falconieris

( * )

15 Aprile

Priore

S.M.N.

1344

Baldese

Falconerii Ferraiolus ( * )

1 Maggio

Priore

Lion Bianco

1351

Bonifazio

Falconerii Ferraiolus ( * )

1 Marzo

Priore

 

1355

Bonifazio

Falconerii Ferravecchius ( * )

1 Luglio

Priore

( * ) Sono chiamati i Baldesi Ferraioli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’ Archivio Ceramelli-Papiani, ASF Man. Filza 290,estratto del

Priorista del MARIANI, Tomo III, pag. 735 ) (VI).

 

B A L D E S I

 

Anno

Nome

 

 

Carica

S. M. N.

1348

Turinus

 

Baldesis

Priore

 

1356

Baldese

Turini

Baldesis

Priore

 

1361

Baldese

Turini

Baldesis

Priore

 

1364

Andreas

Segnini

Baldesis

Priore

 

1366

Baldese

Turini

Baldesis

Gonfaloniere

 

1370

Baldese

Turini

Baldesis

Gonfaloniere

 

1372

Andreas

Segnini

Baldesis

Priore

 

1375

Andreas

Segnini

Baldesis

Priore

 

1377

Baldese

Turini

Baldesis

Priore

 

1394

Andreas

Segnini

Baldesis

Priore

 

1397

Segninus

Andreae

Segnini

Priore

 

 

 

Le DUE FAMIGLIE POTREBBERO ESSERE IN RELAZIONE TRA LORO ABITANDO NELLA STESSA PARTE DELLA CITTA'

 

 

Della genealogia dei Baldesi di Turino si occupa il Passerini e il Manni

 

 

 

 

 

Dalla raccolta SEBREGONDI,

riportiamo la prima parte dell' albero genealogico dei Baldesi, tratto dai Manoscritti del PASSERINI (III).

 

 

S. Maria Novella L I O N B I A N C O

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OLTRARNO

 

 

 

troviamo una prima famiglia Baldesi o Del Baldese in oltrarno

 

 

Sembra essere famiglia importante

 

 

Priori dal 15 giugno al 14 agosto 1309

Iohannes del Baldese (Ultrarni) [del Baldese]

dominus Iohannes Rustichelli (S. Petri Scher.) [Rustichelli]

Franciscus Ubaldini Ardinghelli (Burgi) [Ardinghelli]

Masus Aldobrandini (S. Pancratii) [Aldobrandini]

Butus Ricchi Davanzi (Porte Domus) [Davanzi]

Vannes Benintendi de Albizzis (Porte S. Petri) [Albizzi]

Dardanus de Acciaiuolis (Burgi) gonf. [Acciaiuoli]

 

 

Priori dal 15 febbraio al 14 aprile 1312

Bocchinus Rimbaldesis (Ultrarni) [Rimbaldesi]

Miglinus Magaldi (S. Petri Scher.) [Magaldi]

dominus Fazius Rinaldi de Signa (Burgi) [Mori da Signa]

Filippozzus Gherardini (S. Pancratii) [Mangioni]

Tedicius Manovelli (Porte Domus) [Manovelli]

Iohannes Andree de Riccis (Porte S. Petri) [Ricci]

Gherardus Iohannis del Baldese (Ultrarni) gonf. [del Baldese]

 

 

Priori dal 15 dicembre 1342 al 14 febbraio 1343

Nerius Baldesis (Ultrarni)

Baldus Orlandini (S. Petri Scher.) [Orlandini di S. Croce]

Lapus Bombenis (Burgi) [Bombeni]

ser Iohannes Pizzini (S. Pancratii)

Laurentius Nelli Rinucci (Porte Domus) [Rinucci]

Dominicus Fenzi de Uccellinis (Porte S. Petri) [Uccellini]

Arrigus Guidonis (Ultrarni) gonf.

 

 

 

 

pop. S. Felicitatis

 

Ghino Baldesi

Giovanni Baldesi

Agostino di Giovanni Baldesi

Gherardo di Giovanni Baldesi

Neri Baldesi

Baldese di Buonfigliolo ( ? )

 

Aprilis a14 1303 Ghinus Baldesi pop. S. Felicitatis cum Habitu Ordinis, qui fuit Magnus Procurator pro Monasterio da Ripoli -pag.798

September a8 1303 D. Donata ux. al Ghini Baldesi de pop. S. Felicitatis -pag. 837

 

October a16 1308 D. Massaia ux. al Baldesis del pop. di S.Felicitatis -pag. 844

October a7 1319 Joannes Baldesis pop. di S.Felicitatis cum Hab. Ordinis -pag. 843

Iulius a5 1328 Agostino Joannis Baldesis de pop. S. Felicitatis cum Hab. ord. -pag. 819

Augustus a3 1333 D. Tessa ux. al Joannis Baldesis pop. S. Felicitatis-pag. 827

 

 

 

 

 

non so che significato occorre dare alla funzione di mundualdo della contessa Beatrice di questo Ghino Baldesi

 

PROBABILMENTE COME DICE MARIA LUISA FANTONI SIAMO DI FRONTE AD UN PARENTE DELLA CONTESSA
 

http://books.google.it/books?id=Xi4-7wwsfdYC&pg=RA1-PA77&dq=ghino+baldesi&hl=it&sa=X&ei=uPGFT5fDA87UsgazwO3TBg&ved=0CDYQuwUwAA#v=onepage&q=ghino%20baldesi&f=false

 

Testamento in Scrìptis della Contessa Beatrice figlia del C. Ridolfo da Capraja, e vedova del C. Marcovaldo, da essa scritto, sigillato e consegnato a otto testimoni per esservi da essi apposte le firme e Sigilli nel dì 18.
Febbràjo 1278; ed aperto da M. Iacopo giudice ed assessore di M. Scorta dalla Scala Vicario regio in Firenze alla presenza di lui e dei testimoni , che riconobbero i loro Sigilli , e finalmente copiato dal Pfotaro Rinaldo di
Iacopo da Signa per comando dei prenominati Vicario regio e Giudice nel dì 5. Settembre 1279.

 

In dei nomine Amen. M. CC. LXXVIII. Io Contessa Bietrice figliuola ke fui del conte Ridolfo da capraia, et mogie ke fui de Conte Marcovaldo sana dela mente et del corpo Vegiendo la fragilitade dell uomo . per utilitade dela
mia anima con licentia di Ghino Baldesi mio manovaldo Volglendo disponere la mia ultima Volontade dispongo et ordino così dele mie cose et de miei beni et fonne testamento in inscritti. Inprima A frati minori da santa croce a
tempio L. e. Item A frate paolo da prato del detto ordine se vivo in quel tempo L. In. Item a catuno degli altri Frati Ke saranno di questo convento da tempio L. I. Item a frati predicatori di Santamaria novella L. e. Item a
frate Gherardo Nasi del ordine dei frati predicatori se vive allora L. XXV. Item a frate donato di questo ordine de predicatori se vive allora L. v. Item a frate pasquale di questo ordine de predicatori se vive allora L. V.
Item a frate Bonaiuto converso di questo ordine se vive allora L. II. Item a cattano degli altri frati Ke saranno di questo convento di santa maria novella L.I. Item ale donne del monesterio di monticeli! L. ecc. Item a madonna Giovanna Badessa del detto monasterio se vive allora L. v. Item a Madonna Gherardina sorore in questo monesterio se vive allora L. xxv. Item ala sorore Bonaventura servigiale di questo monasterio se vive allora L. X.
Item a catuna dell altre donne et servigiali del detto monesterio L. I. Item ale donne del monesterio di Ripole L. e. Item a suora lacopa degli adimari sorore in Ripole se vive allora L. II. Item a suora prima et a suora oderingha sorori in Ripole se vivono allora L. v.. Item a suora lucia del baldese sorore del detto monesterio di ripole se vive allora L. II. Itera a catuna dell altre donne del detto monesterio di ripole L. I. Item a frati servi sante marie di cafag2|io L. L. Item a frati delle sacca di san gilio L. XV. Item a frati di santa maria del carmine L. XXV. Item a frati Romitani di santo Ispirito L. XXV. Item a frati di sam giovanni Battista L. X. Item a frati do'gne santi L. XXV. Item ale donne del monesterio di san donato a torri L. L. Item a catuna di queste donne del detto monesterio L. I. Item ale donne Rinchiuse data crocie a montesoni L. x. Itera ale donne convertite riuchiuse a pinti L. XX. Item ale donne da fonte domini, et a quelle ke stanno nela casa ke fue di frate Iacopo Sigoli a pinti Ressi Chiamano le fra
tei le L. X. Item ale donne del monesterio rinchiuse da gingnoro L. v. Item ale donne rinchiuse da majanoL. V. Item ale donne rinchiuse da santo Stefano da Boldrone L. V. Item ale donne del monesterio da kastello fiorentino L. L.
Item a suora lucia del detto monesterio et. figliola ke fue di messer paghanelloda Sanminiato se viva in quello tempo L. X. Item a suora filippa del detto monesterio figliola di madonna Imelda di mess. Arrigho malpigli da sanminiato se vive allora L. III. Item ale donne del monesterio di Volterra L.XXV. Item a poveri da sanghallo et Ressi debbiane ispendere in gonnelle et in kamiscie et in un mangiare in consolatone de poveri et non in
altro L. L. Item alo spedale dal bigallo Rissi debbiano dare in terra per lo spedale L. x. Item ale donne rinkiuse nel monesterio da sangagio L. x. Item a poveri delo spedale di sanpiero ghattolini Ressine comperino Ietta per li
povi-ri L. v. Item alo spedale da sancasciano Ressi debbiano dare in terra overo farne casa e riconciare per li poveri L. XV. Item Ressi debiano ispendere per ornamento del corpo di nostro Signore a santo ambruogio L. XX.
Item a padre Alberto lo quale dimora a santo ainbruogio se vive allora L. X. Item al monesterio di sangiorgio da Rapraja et Ressi debbiano ispendere in terra ovvero in raconciare la kiesa overo le case et non in altro L. C. Item a catuna dele mollale del detto monesterio a sangiorgio L. I. Item ale donne rinchiuse da camaldoli L. I. Item ala Riesa di santo istefano da kapraja kessi spendano in utilita dela Riesa L. v. Item ala pieve a limite kessi spendano in utilità dela kiesa L. ili. Item ala calonicha di sandonato in valdibotte kessi spendano per utilitade dela kiesa L III. Item ala calonicha da samontana Ressi spendano in utilita dela kiesa L. III. Item ala kiesa di san michele da pontorme kessi spendano in utilita della Riesa L. II. Item ala Riesa di san martino da pontorme kessi spendano in utilita della Riesa L. II. Item ala kiesa di santa maria in campo kessi spendano in acrescimento dela kiesa L. X. Item ale donne monache da prato Vecchio et kessi debiano ispendere per raconciare la kiesa over lo dormentorio od altrove ove fosse magiore mistiere ke sia utilitade et aconciamento del monasterio et non innaltro L. L.Item ala badessa del
detto monesterio di prato Vecchio L. I. Item a catuna monadi" del detto monasterio di prato VecchioL.X. Item a ministri de frati di penitenti" di firenze et ke si debbiano dare in terra per li poveri Rome loro para ke sia pia utile per li poveri L. ce. Item a mese. I abati' da settimo et ne suoi monaci sì lascio di ke debiano ispendere L XXX. per lanima di donna Giuliana
la quale fue mia kameriera sicome loro para ke sia piu utilita dela sua anima . Item alo spedale di san domenico a fighine kessi debiano ispendere per acrescimento delo spedale in utilita de poveri L. XV. Item ala Ralonica di monte Varchi chessi debiano ispendere in uno paramento da prete col quale vi si debia dicere messe per anima del conte Guido guerra mio figlolo il quale si sepellio ala detta Ralonica et non si debbiano ispendere in altro se non nel detto paramento L. X. Item a frati minori da castello Gorentino L. XXV. Item a frati minori da Barberino di vaidi elsa L. xxv Item a frati minori da fighine L. xxv. Item a frati minori da prato L. xxv. Item a frati
minori dal borgo a sa' lorenzo di mugello L. xxv. Item a frati minori da licignano di mugiello L. xxv. Item alo spedale dela misericordia da prato ove albergano i frati predicatori L. XV. Item alo spedale da trespiano Ressine debiano comperare letta et panni per li poveri L. V. Item aloper.i
dela Riesa de frati predicatori da santa maria novella L. C Item ale donne del monesterio di sanmaffeo darcietri L. VI- Item ale donne del monesterio dal borgo a samlorenzo di mugiello L. x.

Item a madonna l.i contessa Agnesina figliola Re fue del conte rugieri mio figliolo L. xxv. et di questo Voglo ke stea contenta et piu non possa kiedere ne domandare. Item a madonna
Biatrice figliola ke fue del sopraddetto conte ruggieri mio figluolo L. C. sella è viva in quel tempo et di questo voglio kessia contenta et piu non possa kiedere ne domandare . Item a mess. Bastardo figliuolo ke fue del conte Guido Guerra L. ecc. io questo modo kei detto mess. Bastardo debia rifare carta a ki sara mia ereda dela ragione di mia madre dela quale elli a carta da me. Item ala
Bice figliola del detto mess. Bastardo seviene adetade ke compia legittimo
matrimonio overo si rinckiuda in monisterio Riuso L. ce. Item ala gianna figliola Re fue di mess. Rinuccio da Kastillione lo quale è dele vestite da santa crocie sella vive in quello tempo L. C. Item a donna Jacopa scrocchia ke fue di messcr Ridolfesco da pomino la quale è stata et sta meco mia kameriera L. C. 1 quali denari li fidecommissari Resseranno le debbiano dare
in sua necessita per Vita et Vestimento et savenisse ke la detta donna Jacopa morisse prima ke detti denari fossero ispesi in lei lo rimanente i fidecommissarii ke saranno debbiano ispendere per sua anima come para ala detta donna Jacopa . Item ala lippa filiola ke fue di mess. lotteringo da bogole la quale dimorata et dimora mecho L. e. Item a due fìgluole di filippo di mess. paganello da samminiato L. e. in questa condizione sei podere ke fue dalberto conte si raquista del quale io contessa Bietrice ricevetti carta dal detto filippo et se le dette fanciulle sono vive in
quello tempo debbiano avere de detti danari Ratuna livre cinquanta et selluna morisse suceda laltra in tucti et se morissero ambodue sieno dati per mia anima . Item A la saracina figliuola Re fue di madonna Bietrice mogie ke fue di tadeio de donati se la detta saracina si marita si che
Vengna compimento di legitimo matrimonio overo intrasse in monisterio . L. L. et se morisse prima ke facesse le sopradette cose i detti danari Voglo Re sieno dati per mia anima. Item a monna contelda Vestita dele donne di penitenzia di santa maria novella se viva in quel tempo L. ni. Item a madonna Giemma donna di penitenzia Re fue matringna di Guido pazzo se viva
in quel tempo L. in. Item Ala Romeia zoppa dele Vestite da santa maria novella Re del popolo di santa maria in campo se viva in quel tempo L. xxx.
Item Ala Benvenuta zoppa del popolo di santa maria magiore se viva allora L. II. Item a ser federigodii kapraja notajo L. xxv. Item a Bardo figlio Bencivenni da cona L. C. Item e Gieri figlio ke fue del detto Bencivenni da cona L. L. Item a Martino dacorticellada pontorme L. L. Item a Baldese figliuolo Bonfigliuoli del popolo di santa felicita L. e. Item a latino
figliolo ke fue Bonsegnori notajo da caino se vive allora L. x. Item al figluolo ke fue di Gianni di sibuono da san leonino Io quale è mio figloccio se vivo in quello tempo L. II. Item a coderino figluolo ke Aie di Guido pazzo di sopra a prato Vecchio lo quale fue mio figloccio se
vivo in quello tempo L. II. Item a Bartolino fìgluolo Ke fue. .. (ita ) tavolacciaio del popolo di san cristofano se vivo in quello tempo L. xx. Item ala compiuta da roma che sta nel popolo di santa maria novella se viva allora L. xxx. Item a dom francesco monaco dellordine da settimo i quali debia dare ale sue serochie L. xxx. Item a mess. Giamberto et a Gieri et a guelfo et a chante et a Bindo fratelli et figlioli ke furo di mess. teghiaio Giamberti de cavalcanti a tutti insieme L. ecc. Item a madonna donnigia mogie Ke fue di ser pagano del corso degladimari se viva in quello tempo L. V. Item a Kuscio figliolo Ruberti Altabruna da Kapraia L.xxv.Item per lo
passagio doltremare il quale si fa in aiutorio dela terra santa L. C. Item a mess. lo conte G. salvatico figliuolo Ke fue del conte Rugieri mio fìgluolo L. V. et di questo Voglo Ke stea contento et per neuna altra ragione non possa ne debia piu avere dela mia ereditade et dela mia ragione et ne per neuno altro modo possa piu Kiedere ne domandare in perciò Regli non ma dati i miei alimenti siccome dovea e la mia ragione si ma molestata et quando sono istata inferma quasi a morte non ma visitata ne non se portato di me sicome de fare nepote di sua avola . Item Voglo et lascio et ordino miei fidecomisari il priore de frati predicatori di santa maria novella el
Guardiano de frati minori da tempio et frate Gherardo nasi, et frate donato del ordine de frati predicatori se seranno vivi in quel tempo a pagare tutti i sopradetti legati a quali fidecommissari sì do piena et libera podestade di domandare et di ricevere tutti i "liei denari i quali avesse Rinieri di mess. Jacopo Ardinghelli o daltro mercatante o persona Re glavesse i quali fidecommissarii si voglo Ke debinno pagare in primamente e senza neuna diminutione a Bardo Bencivenni da cona livre ciento et a martino da corticella da pontorme livre cinquanta et a Baldese Bonfigluoli popoli santa felicitati livre ciento i quali sono soprascritti. et se questi denari venissero meno a pagare questi tre legati voglo Kessidno pagati Kome glaltri
legati di sopra dale sue rede, et si do piena et libera podesta a sopradetti fidecommissarii di fare fÌDe et rifiutascione et pacto a sopradetti debitori et a ogne altra persona da le quali ricevessero alcuna quantità di danari semistieri fosse. In tucti glialtri miei beni mobili et immobili Ke si pertengonoa me per ragione dereditade o per compera o per qualunque altra ragione fosse in firenze et nel suo distretto, in pistoja et nel suo distretto. In luccha et nel suo Vescovado. In pisa et nel suo distretto et in qualunque altro luogho fosse Rame si pertenesse et per qualunque ragione
. Sì istituiscilo . fo . et lascio mie berede il monesterio elabate el convento di san salvadore da settimo dellordine di cestella stando loro in quello luogo la ove sono et daltroveil convento si mutasse , dando al predetto Abate et convento piena et libera podesta di Riedere et di ricevere
tutti i mici beni come detto e di sopra et la compera Rio feci da filippo di mess. paghanello da saminiato, e denari i quali deboricevere dal comune di pisa et dalerede di Giudice di Ghallmia et del Giudicato di Galluria de la qual compera et de quali debiti si sono le carte aool detto Abate et
monesterio et Voglo et comando Rei predetto Abate et convento mie herede di tutti i denari i quali raquisteranno et averanno dal comune di pisa o dal erede di giudice sopradetto o da qualunque altra persona fosse le due parti de detti danari si debiauo tenere a se per utilitade del monesterio loro et dela terza parte Volglo ke sia tenuto (abate el convento di dare et di
compiere a predetti fidecommissarii tutto quello Railoro menomasse a paghare i sopradetti leghati de danari i quali i detti fidecommissari Averanno da rinieri ardinghelli sopraddetto o da altra persona et savenisse ke detti fìdecomissarii non potessero avere niente di miei danari da rinieri Ardinghelli o da altra persona, volgo Re sia tenuto labate el convento di dare interamente et sanza molestia tutta la sopradelta terza parte a sopradetti fidecommissarii. de quali denari elli debiano paghare i sopraddetti legati interamente ese la detta terza parte non bastasse a paghare tutti i sopradetti leghati Volglo Re sia sottratto per livera et per soldo come ne tocchera, tratto el legalo di Bardo Bencivenni da cona et di martino da corticella di pontonne et di Baldese Bonfiglioli soprascritti i quali leghati Volglo Re sieno pagati interamente et sanza dimiuutione. etse de la detta terza parte soperkiasse paghati tutti i detti leghati . Volglo che! detto abate et fidecommissarii quello cotale soperchio debiano dare per mia anima Rome alloro para Re sia il melglo et tratto ciento livre Re Volglo Rhe detti fidecommissarii debiano dare al detto Abate per piatire et raquistare le sopradette Rose, le quali ciento livre Volglo Rei detti Abate et convento siano tenuti di rendere et pagare a detti fidecommissarii de primi danari Relli raquisteranno et averanno non contandoli nela quantita de la terza parte. E tutte queste cose si volglo Re valglano et tengnano per ragione di testamento e di codicillo e per qualunque altra ragione possono piu et meglo valere et si do piena et libera podesta ale sopradette mie herede et fidecommissarii Re possano questo testamento Iure aconciare a senno de loro savi in qualunque modo uielglo possa et piu valere tengendo il contratto fermo et saparisse tatto per me alcuno altro testamento o codicillo et leghito neuno innanzi a questo si volglo Re quello cotale sia Rasso et vano et di ni. uno valore, lo contessa Bietrice supraddetta questo mio testamento inniscritti si <<presentai chiuso con otto corde alinfrascritti testimoni . A frate paolo da prato et a frate Leonardo del
ordine do frati minori, et a frate Gratia.et a frate Simone del ordine de frati da settimo . a prete Alberto da santo Ambruogio. et a ser Bindo Montanini. et a ser iilippo Marsoppi de lordine de frati di penitenzia di firenze . et pregoli Relli ne fossero testimoni et poiiesseroci i loro sigilli. et questo feci nel palagio de conti Guidi nella camera dov io stava nel popolo di santa maria in campo, anno domini MCCLX XVIII . del mese di febraio XVIII. di infrante Indictione settima et pero si ci puosi il mio sigillo.

Ego frater Paulus de ordine fratrum minorum testamento mihi representato a dieta domina comitissa ut apponeret (sic) meum sigillum et quodpropriumnon babeo sigillum Gratianinot. apposui. Ego frater Leonardus dicti ordinis rogatus diete domine Comilisse ut sigillum apponerem quod proprium non habui sigillum dicti Gratiani apposui. Ego frater Gratie de ordine cisterciensi rogatus diete domine comitisse ut sigillum apponerem quia proprium non habui sigillum predictiGratiani apposui. Ego presbiter Albertus de sancto Ambruogio rogatus diete domine comitisse ut sigillum apponerem quod proprium non habui sigillum philippi Marsoppi fratris penitentie habitus nigri apposui. Ego ira ter Simon de ordine cisterciensi rogatus diete domine comitisse ut sigillum mcuiu apponerem quod proprium non habui sigillum
predicti filippi apposui . Ego Philippus frater penitentie habitus nigri rogatus diete domine comitisse ut sigillum apponerem meum sigillum apposui .
Ego Bindus Montanini frater penitentie habitus nigri rogatus diete domine comitisse sigillum meum apponerem et quod sigillum non babeo sigillum predicti Gratiani apposui. L S. Ego Renaldus Iacobi de Signa imperiali autoritate not. predictum testamentum presentatum clausum et sigillatum sigillis predictis et sigillo diete domine comitisse pcndentibus a domino Abbate de Septimo priore fratrum predicatorum et Guardiano fratrum minorumde florentia nobili viro domino Scorte dala porta regio Vicario in regimine fiorentino et domino Iacobo ejas judice et assessore presentibus dictis testibus et recognoscentibus sigilla que posuerant excepto fratre Laonardo qui dlcitar esse absens et presentibus testibus donno francisco et donno
Martino de Séptimo ordinis cisterciensis et Gherarduccio corsi nuntii comunis fiorentini apertum et desigillatum per dominum Iacobum judicem predictum coram ipsis testibus domino Scorta Vicario et donno Iacobo judice lectum de ipsorum dominorum Vicarii et juilicis mandato fideliter per ordinem esemplando transcripsi quod melius et veracius potui nil addens vel minuens et in publicnm formam redegi sub anno domini millesimo dugentesimo septuagesimo nono . Indictione septima die Lune quinto septembris . Ideoque subscripsi.

 

 

 

 

RIBELLI ALL'IMPERO

 

 

Alberto e Geri Del Baldese di Cascia nel Valdarno superiore

 

 

 

 

 

 

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 Questo Neri di Baldese sembra non c'entrare niente

 

 

Neri di Baldese calzolaio

 

Priori dal 15 dicembre 1342 al 14 febbraio 1343

Nerius Baldesis (Ultrarni)

Baldus Orlandini (S. Petri Scher.) [Orlandini di S. Croce]

Lapus Bombenis (Burgi) [Bombeni]

ser Iohannes Pizzini (S. Pancratii)

Laurentius Nelli Rinucci (Porte Domus) [Rinucci]

Dominicus Fenzi de Uccellinis (Porte S. Petri) [Uccellini]

Arrigus Guidonis (Ultrarni) gonf.

 

 

 

 

 

Una breve considerazione : Il ritrovamento testimonia che questo e' effettivamente uno stemma della Valdarno superiore

Che sia lo stemma uno stemma della famiglia Baldesi ( di quei Baldesi ribelli dell'impero ) lo dice il Cantini

Non conosciamo la fonte del Cantini

che pero la notizia sia attendibile lo fa pensare questo stemma compreso nel Sepoltuario del Rosselli

 

 

 

 

 

UN GRUPPO INCREDIBILE LA PROFESSORESSA ALESSANDRA CECCHERELLI , L'ARCHEOLOGA MARIA LUISA FANTONI , ROBERTO CELLAI

UN GRUPPO CHE STA MAPPANDO LENTAMENTE MA INESORABILMENTE IL TERRITORIO

UN TERRITORIO RICCO DI TESTIMONIANZA ABITATE NEL PASSATO DA MOLTE FAMIGLIE DI QUI ORIGINARIE E CHE INURBATE A FIRENZE CONTRIBUIRONO POI A COSTRUIRE LA STORIA FIORENTINA

 

L'archeologa Maria Luisa Fantoni svolge da molti anni un 'azione di ricerca nella zona del Reggello .

Appartenente al " Gruppo Ricerca e Studio Vestigia del passato" e' testimone delle importanti ricerche sul territorio di questo gruppo archeologico.

 

 

I Sergenti ……………Ritrovamento di alcune torri medioevali nell'abitato de " i Sergenti ": notizie storiche e descrizione dei reperti

 

L'archeologa Maria Luisa Fantoni e' la prima che ha scritto di questa antica macelleria ( conservo la sua lettera ) : "macello vecchio dei Carnesecchi" e dell'utilizzo di parte del castellare come ostello

Questa indicazione mi sembra assai attendibile considerando il mestiere che esercitavano i Duranti a Firenze NELLE PRIME del XIII secolo

 

 

FINE FEBBRAIO 2012

SI DEVE AL LAVORO DI QUESTO GRUPPO L'IDENTIFICAZIONE DI QUESTO STEMMA COME LO STEMMA DEI DEL BALDESE ; QUESTO STEMMA COMPARE IN UNA CASA APPARTENUTA SUCCESSIVAMENTE AL SENATORE FRANCESCO CARNESECCHI COME DA LORO EVIDENZIATO

 

 

Borgo a Cascia ……………Un possesso di Francesco Carnesecchi a Borgo a Cascia"

 

Borgo a Cascia ……………Un possesso di Francesco Carnesecchi a Borgo a Cascia"

 

 

 

 

 

Esistono legami tra i Carnesecchi e i Del Baldese ?

E' questa la domanda che si sta ponendo il gruppo di ricerca di Cascia, anche se pare casuale ( riutilizzo materiale ) la presenza dello stemma

 

( cortesia contessa Massangioli e professoressa Alessandra Ceccherelli )

  

 

 

 

 

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dr Marco Bicchierai

 

https://sinopiarte.weebly.com/la-signoria-dei-conti-guidi-in-valdarno.html

 

MARCO BICCHIERAI

LA SIGNORIA DEI CONTI GUIDI IN VALDARNO. OSSERVAZIONI ED IPOTESI.

 

Il tema del convegno di cui fa parte questo breve intervento era tale che, inevitabilmente, varie relazioni hanno trattato in qualche modo dei conti Guidi. Per di più, molti dei partecipanti hanno avuto in passato occasione di dedicarsi agli aspetti della storia del loro potere. Mi sembra, quindi, corretto premettere che questo contributo, nato appunto con l’occasione del convegno, non è né una relazione quadro, né un saggio di ricerca, ma solo un tentativo di coordinare in relazione al contesto del Valdarno di Sopra documentazione e riflessioni già note sui conti Guidi. In sostanza, appunto, osservazioni sulla documentazione a disposizione ed ipotesi interpretative, da prendersi come materiale di discussione per il convegno stesso e per chi vorrà cimentarsi, in futuro, in ricerche sulla signoria dei conti Guidi fra XII e XIII secolo.

Per chiarire, intanto, il quadro di riferimento geografico, occorre specificare che con le espressioni «Valdarno di Sopra» o semplicemente «Valdarno» intendo riferirmi al territorio compreso fra le strette di Incisa e della Penna. Si tratta, ovviamente, di una delimitazione che passa sopra a tutta una serie di rapporti di continuità, primo fra tutti quello delle due aree diocesane di Fiesole e Arezzo che si dividono la zona, ma che forse corrispondeva in larga parte al concetto di «Valdarno di Sopra» che si doveva avere nel basso Medioevo (1).

Soprattutto è una distinzione che, parlando dei conti Guidi, permette di concentrarsi su un’area che risulta distinta dalla zona lungo il corso dell’Arno più prossima a Firenze, alla quale facevano capo centri di potere come il castello di Monte di Croce o il monastero di Rosano, e dalla quale si dipartivano le vie di comunicazione lungo la valle della Sieve e verso Vallombrosa o il valico della Consuma.

Inoltre, al di là dell’indicazione di massima data dal titolo del convegno, ho ritenuto opportuno calibrare l’arco cronologico di riferimento in relazione all’albero genealogico della famosa famiglia comitale. Ogni generico richiamarsi ai «conti Guidi» rischia, infatti, di essere privo di senso storico: totalmente diverse sono le situazioni e l’agire di un conte Guido Guerra preso come figlio adottivo da Matilde di Canossa, e perciò chiamato «marchese», e le vicissitudini dei tanti conti che nel corso del Trecento devono progressivamente arrendersi all’espansione fiorentina. Per delimitare una organica finestra di riferimento ci concentriamo, quindi, principalmente sul periodo del conte Guido Guerra III e dei suoi cinque figli (circa 1150-1250) - che d’altra parte viene ad essere per molti aspetti un decisivo spartiacque - ma dedicheremo un po’ di spazio ad alcuni esempi successivi per seguire i fenomeni evolutivi, arrivando così agli anni Trenta del Trecento (2).

Con la figura politica del conte Guido Guerra III assistiamo al fallire delle possibilità per il casato di una lotta alla pari con le città (Firenze in Toscana, Faenza in Romagna) e all’inizio di una politica di difesa dei territori e delle prerogative signorili.

La distruzione di Monte di Croce (1154) (3) e la perdita di Poggibonsi (1156) (4) spingono probabilmente già la badessa Sofia, zia di Guido Guerra e dal 1157 reggente del comitato per il nipote ad intavolare trattative con Firenze (5), cambio radicale di strategia che culminerà con le seconde nozze di Guido Guerra con Gualdrada di Bellincione dei Ravegnani, intorno al 1179-80 (6), e con l’adesione alla Lega delle città toscane nel 1198 (7).

Nello stesso tempo la politica di difesa si esprime in un più stretto legame con l’imperatore che, se da un lato porta ad ottenere le coperture del titolo di «conte palatino in Toscana» e del privilegio imperiale con i diritti signorili e i centri soggetti, dall’altro richiede sicuramente uno sforzo militare e una presenza frequente al fianco di Federico I che dovevano influire sulla compattezza del comitato (8). Forse non è un caso che proprio sul finire del XII secolo si trovino indicazioni di ribellioni di milites al conte, per Modigliana nel 1178, e per il Casentino intorno al 1195 (9).

I cinque figli, Guido, Tegrimo, Ruggero, Aghinolfo, Marcovaldo, tentano di seguire inizialmente la strada segnata da Guido Guerra, sostenendo Federico II da cui ricevono conferma dei beni e diritti (10). Ma i tentativi di rafforzare le basi signorili cedendo alle città (Firenze, Pistoia) ciò che non era più difendibile e costruendo quadri territoriali più compatti, vengono frustrati dalla caduta con la morte di Federico II di ogni prospettiva imperiale e dal sorgere di contrasti che portano al frantumarsi dell’unità del comitato (11). Le successive generazioni, in una situazione politica condizionata non solo da un potere economico e demografico vertiginosamente crescente delle città, ma dal peso dentro e fuori di esse di fazioni e schieramenti, sceglieranno diversi modi e talora opposti fronti per tentare di difendere i rispettivi nuclei di potere, sempre più ridotti per il progressivo allargarsi delle ramificazioni genealogiche e per la trasmissione ereditaria più o meno paritaria di quote di beni, castelli e diritti signorili (12).

All’nterno di questo scorcio temporale abbiamo, come base documentaria da cui partire, tre diplomi imperiali concessi a Guido Guerra da Federico I nel 1164 (13) e da Enrico VI nel 1191 (14); ai suoi figli riuniti da Federico II nel 1220 (15). Tutti e tre sono giunti in copie di fine XIII secolo, per cui si è sempre, giustamente, avvertito il rischio di possibili interpolazioni di prerogative e di territori. Tuttavia, nell’impossibilità di una analisi critica che richiederebbe studi specifici, un semplice confronto di analogie e differenze fra i tre fa pensare che forse potrebbero essere più attendibili di quanto non si pensi. Ci sono infatti, in un testo che sostanzialmente si ripete, oltre ad alcune lacune ed errori imputabili a copiatura, variazioni che fanno pensare ad effettivi mutamenti del quadro politico e territoriale che vengono recepiti nei diplomi. Rispetto al diploma di Federico I, in quello di Enrico VI manca Poggibonsi con una serie di villaggi vicini, manca il castello di Travalli vicino a Calenzano, si aggiungono in Mugello i centri di Gattaia, Vezzano, Farneto, l’abbazia di Vicastro (o Incastro), Pancole e Rostolena, e in Casentino compaiono in più Lierna, Partina e Monte Orsaio (16), inoltre si aggiunge al termine una formula che sembra voler rafforzare la protezione di Guido Guerra contro pressioni ed ingerenze (17). Fra il diploma di Federico II e quello di Enrico VI vi sono ancor maggiori differenze. Rispetto ai primi due diplomi Federico specifica che la concessione riguarda i territori tenuti dai cinque conti «vel ab aliis ipsorum nomine habentur vel detinentur» e non accenna però alla investitura di tali beni. Inoltre si aggiungono in Romagna la rocca il borgo e la pieve di Bagno; mancano il castello di Monterappoli, quello di Cerreto e quello di Ricasoli, mentre si aggiungono in Valdarno: Loro, Rocchetta, Lanciolina e Caposelvoli che vengono ai conti da Guicciardo di Loro, e Castiglione tenuto in feudo per i conti dai figli di Ottaviano Pazzi (18); in Casentino si aggiunge Montemignaio; a fine lista viene aggiunto il castello di Corzano in Romagna. Anche il diploma di Federico II aggiunge poi un’ulteriore formula cautelativa, volta questa volta a salvaguardare la conferma rispetto ad altre concessioni di privilegi con cui potesse trovarsi in contrasto (19).

In tutti e tre i diplomi la lista dei possessi segue un pratico criterio geografico. In Toscana castelli e villaggi vengono elencati iniziando dalla Val d’Elsa e dal Valdarno Inferiore, seguono la pianura e la montagna pistoiese, la Val di Sieve, il Valdarno Superiore e infine il Casentino. Curiosamente al criterio geografico ovest-est corrisponde un percorso dalle aree in cui la signoria del conte Guido Guerra III è più minacciata, e da dove i figli si disimpegneranno, verso i nuclei dove si punta a consolidare il potere. Val la pena ricordare, peraltro, come manchino indicazioni sulle diverse realtà che si dovevano celare dietro le località elencate: possessi di origine allodiale, privatizzazione di diritti pubblici, castelli e villaggi controllati da altri ma su cui si rivendicava una superiorità signorile, centri ormai persi da tempo, ed altri su cui si ambiva a formalizzare con il diploma un atto di forza.

La lettura comparata dei tre diplomi ci serve, comunque, per ricavarne delle osservazioni di base sulla presenza del potere dei conti Guidi in Valdarno a cavallo del Duecento.

Intanto possiamo notare, rintracciando su una carta geografica le località citate, come castelli e corti si concentrino soprattutto in alcune zone ben determinate. Prima di tutto nel versante valdarnese del Pratomagno, lungo l’antica percorso a mezza costa della Strada dei Sette Ponti da molti ritenuta seguire il tracciato dell’antica Cassia Vetus (20), e qui in particolare nelle corrispondenze di percorsi trasversali verso il Casentino (21). Quindi lungo il percorso che collega il Pratomagno al senese attraverso i monti del Chianti e la Val d’Ambra, con Montevarchi e centri vicini nel punto di passaggio dell’Arno (22). Sembra confermata l’impressione di una forte importanza dei percorsi di valico e dei collegamenti nel criterio che ha presieduto allo sviluppo del comitato; una logica che viene consapevolmente portato avanti da Guido Guerra III, dai figli, ed anche dalle generazioni successive, seppure in un contesto di ripiegamento.

Inoltre, rispetto al pistoiese e al Casentino - aree di antica presenza e probabile nucleo dei possessi allodiali in Toscana del casato - il Valdarno appare una zona di più recente espansione, che non è da escludere sia il frutto di una strategia territoriale impostata da Guido Guerra I (23) e proseguita dal figlio Guido Guerra II (24). Tale espansione sembra avvenire soprattutto sfruttando accordi o legami feudo-vassallatici imposti a famiglie nobiliari di più antico radicamento nella zona: una diramazione dei Marchiones nella zona di Montevarchi (25), il gruppo consortile nobiliare nato da un ramo collaterale dei Supponidi di Arezzo e da cui sembrerebbero prendere origine Ubertini e Pazzi di Valdarno nella zona del Pratomagno, nei pivieri di Scò e di Gropina (26).

Proprio i particolari rapporti con questo secondo gruppo emergono dagli stessi diplomi imperiali. Nel diploma di Federico I l’imperatore conferma a Guido Guerra III «terra Wilielminga quam detinent filii Uguicionis Pazi in feudum ab eodem»: in base alle ricostruzioni di Chris Wickham il Guglielmo della terra potrebbe forse essere il personaggio all’origine del raggruppamento consortile degli Ubertini, con ruolo comitale e possessi in Casentino (27).

La chiara menzione dei vassalli del conte Guido Guerra, l’unica nel diploma, fa pensare che la signoria dei Guidi si fosse instaurata proprio per sottomissione feudale dei figli di Uguccione Pazzi e loro riconcessione del beneficio. Nel diploma di Federico II risulta che il conte Guido Guerra III ha acquisito da Guizzardo di Loro il castello di Loro appunto e quelli della Rocchetta di Lanciolina e di Caposelvi (e anche questo Guizzardo potrebbe avere legami di discendenza con il ceppo all’origine del gruppo consortile degli Ubertini (28)) e che i figli di Ottaviano Pazzi tengono, come vassalli dei figli di Guido Guerra, Castiglione della Corte presso il crinale del Pratomagno - sul cui sito ora detto di Poggio alla Regina è stata condotta una approfondita campagna di ricognizione storico-archeologica (29) -, con una infeudazione che sembra potersi assimilare a quella precedente.

Gli stessi diplomi sono anche significativi perché attestano un’ampiezza di prerogative e diritti signorili concessi dagli imperatori che non ha uguali in Toscana per nessun altra famiglia o ente ecclesiastico (30). Sulla carta il comitato di Guido Guerra III, è senza dubbio una signoria territoriale al massimo livello: banno, placito e districtum, diritti di passaggio e sul trasporto, mercati, mulini diritti di pesca caccia e sfruttamento minerario (31). In realtà ci pare logico pensare che il conte, chiedendo ed ottenendo tale diploma, mirasse principalmente ad ottenere una sorta di coordinamento superiore con forme pubbliche, finalizzato ad avere risorse militari e titoli giuridico-politici per mantenere un ruolo di prestigio come quello dei suoi predecessori (32). Tuttavia, già il fatto di aver dovuto chiederne formale conferma all’imperatore mostra come la pienezza dei poteri dovesse essere da un lato ancora imposta, dall’altro difesa da erosioni interne ed esterne. Ne è un esempio la difesa che il conte Guido Guerra fa dei tentativi di sottoporre il monastero di Rosano a tassazione da parte di fiorentini e ufficiali imperiali (33).

Il monastero di Rosano, appunto, per la particolare ricchezza del famoso documento che lo riguarda (34) è un caso frequentemente preso in esame per illustrare sia i rapporti dei conti Guidi con il monastero sia aspetti delle loro prerogative signorili (35). Non ci soffermeremo su di esso in quanto è stato oggetto in questo stesso convegno di una approfondita relazione da parte di Giampaolo Francesconi, indicando solo alcuni spunti utili al nostro discorso generale.

Nel 1203 i testimoni del processo hanno ancora la percezione di un organico comitatus dei conti Guidi su cui per lungo tempo vigila la badessa Sofia come procuratrice del nipote Guido Guerra III (36). All’interno di esso, grazie probabilmente alla titolarità di diritti pubblici comitali e al potere gestito su delega marchionale e poi imperiale, i conti costruiscono una supremazia sugli uomini fondata su legami di tipo feudale, signorile o clientelare. Risulta in tal senso interessante e significativo vedere come appunto si autodefiniscono nel processo gli uomini che testimoniano in favore del patronato dei conti Guidi sul monastero. Intanto ne abbiamo undici che si dichiarano semplicemente homo comitis e per la maggioranza sono del castello di Monte di Croce. Si doveva trattare della forma più rigida di dipendenza personale dovuta a una condizione giuridica di assoggettamento ereditario (37), che tuttavia non escludeva la possibilità di promozione sociale magari attraverso incarichi svolti per i signori, ad esempio uno di essi ricorda di essere stato varie volte nunzio del conte (38). Proprio lo svolgimento di servizi specifici si trova come tratto caratteristico di coloro che si dichiarano “uomini del conte tenuti a un giuramento di fedeltà”: sono cinque e di essi uno dice di aver fatto il castaldo (39), un altro lo scudiero (40), uno infine dopo aver fatto lo scudiero diventa addirittura miles (41). Vi sono poi coloro che si dichiarano fidelis comitis. Questi sono tutti tenuti al giuramento di fedeltà, giuramento che è il tratto fondante del loro rapporto con il conte, la loro subordinazione è, quindi, almeno formalmente, atto di volontà personale (42). Si tratta di dodici testimoni, in questo caso principalmente provenienti da altre località del comitatus dei Guidi (spicca il Casentino con Poppi e Romena), fra di loro vi è un altro scutifer e, caso interessante, vi è uno che dichiara di essere fidelis del conte, ma homo dell’abbazia di San Godenzo (43). Due testimoni si dicono tenuti al giuramento di fedeltà ma senza definirsi come fidelis; forse siamo in presenza di un rapporto già più libero e di una posizione sociale più elevata, dal momento che uno di essi è stato scudiero della badessa Sofia (44). Infine appare anche un vassallus comitis, Ubertino da Romena, che svolge anche funzioni di visconte (45). Testimoniano in favore dei conti Guidi però anche persone non direttamente legate a loro, sono alcuni homines di Ranieri di Berlinghieri (46), sono esponenti dell’élite di Figline (Righettus e Griffone (47)), un pelliciaio fiorentino cresciuto presso il monastero (48), un Ospedaliere di Altopascio responsabile del ponte di Fucecchio (49), sono soprattutto una serie di religiosi titolari di pievi all’interno del comitatus dei Guidi che svolgono per loro funzioni delicate come ambasciatori e cancellieri (50).

Il comitatus appare essere, almeno in parte, organizzato in curie, circoscrizioni di amministrazione giuridica facenti capo a un castello; si trae indicazione dal processo dell’esistenza delle curie di Monte di Croce, Ampinana, Montevarchi. In tali curie il conte, nel periodo cui si riferiscono le testimonianze, cioè la seconda metà del XII secolo, è rappresentato da vicecomites. Già nel 1075, in verità, in un altro documento proveniente da Rosano (51) appare nel caso di un importante atto giuridico la presenza in rappresentanza del conte Guido IV di tre visconti. Un secolo dopo la loro presenza sembra normale: vari sono i visconti della curia di Monte di Croce ricordati nel processo (52), tanto da far pensare che l’incarico fosse tutt’altro che vitalizio. Il visconte di Monte di Croce ha poteri di distringere e raccoglie il dazio nella sua curia (53), e lo vediamo anche dirimere una controversia fra la badessa di Rosano e la sua familia (54). I visconti di Ampinana e Montevarchi fanno parte del seguito di milites che accompagna il conte Guido Guerra III alle nozze con Gualdrada (55).

In parte quanto abbiamo visto emergere dal documento di Rosano può essere ritrovato anche per località del Valdarno superiore.

Nel 1219 come pegno di garanzia della sottomissione a Firenze del castello di Montemurlo (poi rimandata) i figli di Guido Guerra III (Guido, Tegrimo, Ruggero, Marcovaldo e Aghinolfo) pongono il castello di Montevarchi «et quicquid distringitur et solitum est distringi per vicecomitem de Monteguarchi et Laurum, Puteum, Lanciolinam et Trappolam et Viescam» (56).

Quando nel 1254 si redigono gli atti per la vendita di Montevarchi (57) al Comune di Firenze - compiuta questa volta separatamente, per singoli quarti, dai figli di Guido Guerra III, dopo la morte di Ruggero e la divisione dei beni - ogni conte specifica, anche in questo caso in modo esplicito, quelli che sono i fideles (l’élite locale: milites, iudices, notai), e quelli che sono gli homines cui vengono date anche le qualifiche di colonos et residentes, si aggiunge inoltre il gruppo di chi ha contratto un’accomandigia con i conti (58).

Negli stessi atti di vendita di Montevarchi l’insieme dei diritti signorili che viene ceduto al Comune fiorentino è descritto con espressioni che ricordano quelle dei diplomi imperiali e che fanno riferimento in primo luogo alle prerogative giuridiche (districtus e iurisdictionis); quindi ai diritti di prelievo fiscale (pedagium, teloneum, redditum prestationum et servitiorum); poi alle forme di dominio sulle persone (definite appunto come fideles, homines, colonos,residentes); infine ai terreni che da tali persone sono tenuti e ai censi, redditi, prestazioni, servizi, legati a tali terreni (59).

Nel concreto l’insieme di diritti e la possibilità di esigerli da parte dei conti Guidi dovette, tuttavia, variare sensibilmente fra località a località e nell’arco temporale cui ci riferiamo. Qualcosa di più specifico traspare quando abbiamo la fortuna di trovare documenti che riassumono obblighi o patti fra gli uomini di singole comunità di castello e il signore, ma tale documentazione per lo più è disponibile solo per il Trecento o la seconda metà del Duecento.

Come esempio di prestazioni signorili nel Valdarno del XII secolo, non riferibile però con certezza ai conti Guidi, abbiamo un rotolo di pergamena proveniente dall’abbazia di Luco di Mugello. Pur essendo privo di data, la sua attribuzione al XII secolo è certamente corretta; si inserisce in una serie di documenti dello stesso periodo che riportano serie di canoni dovuti all’abbazia. Questo, tuttavia, contiene un breve recordationis dei servizi e censi spettanti al signore del castello di Pernina che, come ha dimostrato Carlo Fabbri che lo ha edito, è chiaramente identificabile con la località del Valdarno sul versante del Pratomagno (60). Non appare nel documento chi fosse tale signore, ed anche da altre fonti non possiamo affermare con certezza che Pernina fosse già un castello dei conti Guidi, tuttavia il diploma di Federico I conferma al conte Guido Guerra III «totum territorium plebis sancti Petri de Gropina»di cui Pernina fa parte, e inoltre un diploma di Federico II del 1247 in favore di Guido Novello e Simone conti di Battifolle ricorda come loro possesso esplicitamente anche il castello di Pernina (61), è quindi possibile che il signore di Pernina del documento fosse già inserito nel sistema del comitatus dei Guidi. In tale riassunto vengono indicati i mansi detenuti dai vari uomini e il servizio o i censi che devono fornire: quattro uomini in cambio delle terre loro assegnate (due mansi ciascuno) servono aequitando; altri cinque (per un manso ciascuno) hanno come servizio di stare nel castello (mansit in castro); per altri 27 terreni gli uomini che li tengono devono dare serie molto varie di canoni in moneta o natura, prestazioni d’opera, albergaria (62); per 5 terreni gli uomini danno metà del raccolto. Nessuna indicazione ci può però fornire tale documento sulla sottomissione giuridica al conte.

Molto più interessante ed esauriente, oltre che sicuramente relativa ai conti Guidi, è un’altra piccola pergamena, segnalata dal Repetti (63). In essa nel febbraio 1219 (1218 ab incarnatione), gli abitanti dei villaggi di Rona, Monacoro e Petroio dichiarano che il castello di Viesca appartiene ai figli del conte Guido Guerra; che tali villaggi sono nella curia et districtus di tale castello; di essere soggetti a tale districtus e castellani appunto di Viesca. Inoltre precisano in cosa consista concretamente per loro il fatto di essere castellani e soggetti: scavare e costruire fosse, steccati e chiusure del castello; compiere i servizi di vigilanza al momento opportuno (guardias et squargaittas); dare annualmente un canone in natura che sostituisce defensionem et aliis servitiis; mantenersi sotto il potere di districtus e la giurisdizione dei conti senza farsi condizionare da ingerenze esterne, e soprattutto da quelle di Firenze. Attestano, infine, di essere stati castellati et discastellati dal conte Guido Guerra in tribus suis castris, sembrerebbe cioè, se intrepretiamo correttamente, che fossero stati utilizzati come forza difensiva dal conte per tre volte in castelli diversi.

Proprio il potere di coercizione a servizi armati e il potere giudiziario sembrano essere l’aspetto essenziale della signoria dei conti Guidi. D’altra parte, vi è senza dubbio una vera e propria vocazione politico-militare dei conti almeno fino al Trecento, e il potere e l’attività politica per Guido Guerra e i discendenti si basano essenzialmente sugli uomini che possono mobilitare più che sulle entrate economiche. Non bisogna, inoltre, trascurare che la stessa amministrazione del comitatus si regge sugli uomini che i conti possono utilizzare come loro rappresentanti in loco. In tal senso proprio nello scarto generazionale fra Guido Guerra e i suoi figli e nipoti si può collocare il passaggio dall’utilizzo di visconti indistintamente tratti fra i milites e gli homines, del luogo o di altri castelli del comitatus, (come sono i visconti di Monte di Croce ricordati nel processo sul patronato di Rosano) all’uso di figure che assumono tratti di veri e propri ufficiali: castellani e notai, con il ruolo di vicari, provenienti programmaticamente da altre località delle varie signorie in cui il comitatus è stato diviso.

Per avere un esempio, collocato nel territorio valdarnese, possiamo vedere come nel 1279 nel castello di Loro abbiamo, come castellano della rocca per il conte Guido di Romena, Daddo di Ragginopoli e come vicario, incaricato dell’amministrazione della giustizia, il notaio Pagno di Ragginopoli, e Ragginopoli era proprio uno dei castelli casentinesi su cui signoreggiavano i conti Guidi di Romena. Entrambi presenziano a un accordo di pace fra Guido, Uberto, Cingo dei Pazzi di Valdarno da una parte e i conti Guidi di Romena, Battifolle e Dovadola e la Parte Guelfa di Arezzo dall’altra (64).

Un quadro molto più strutturato dell’amministrazione di un territorio valdarnese soggetto ai Guidi nel periodo che prendiamo in esame, e da cui emerge il loro interesse primario alla difesa delle prerogative sugli uomini, ci viene da un altro documento noto e particolarmente significativo: lo statuto della Val d’Ambra edito per la prima volta da Francesco Bonaini (65).

Un documento che, tuttavia, presenta un problema di collocazione cronologica su cui è opportuno soffermarsi, anche a costo di deviare dallo schema delle nostre osservazioni. Mario Ascheri (66) mette in evidenza varie incongruità interne ed esterne che rendono difficilmente conciliabile sia la data del 1208 riportata nella chiusura dello statuto, sia una iniziativa legislativa del conte Guido Guerra III, con il testo che abbiamo. Fra le incongruità che segnala vi sono: il nome stesso del conte promotore, indicato come conte Guido di Modigliana, nome e intitolazione che ben più appropriatamente si addicono al nipote di Guido Guerra III, appunto Guido figlio di Tegrimo di Modigliana (67); l’evidente inserzione di passi aggiuntivi che invece appaiono della stessa mano dell’estensore del testo del codice, e per converso la perdita di parti di testo che dovevano essere originariamente presenti (68); un anacronistico riferimento ai fiorini piccoli, peraltro in contrasto con il resto del testo dove si parla sempre di soldi pisani (69). Suppone, quindi, sulla base di una analisi tecnico-giuridica delle formule processuali, che il testo sia stato realizzato nella forma che ci è giunta dopo la metà del Duecento, unendo a un primo testo base del 1208 varie aggiunte e modifiche e legandone comunque la promulgazione al conte Guido di Modigliana (70).

A questa analisi critica possiamo aggiungere alcune ulteriori considerazioni. Nei tre diplomi imperiali di cui abbiamo parlato l’unico centro della Valdambra che appare citato è Caposelvi, ma da solo e all’interno del gruppo di castelli pervenuti da Guizzardo di Loro, che compaiono, come abbiamo visto, con il diploma di Federico II del 1220. E proprio nel 1220 i conti Ruggero, Tegrimo e Aghinolfo entrano in scontro nel Valdarno superiore aretino e forse appunto in Val d’Ambra con gli Ubertini, conflitto che termina con una provvisoria promessa da parte dei tre a Gualtiero, Alberto, Ubertino e Guglielmo degli Ubertini di non molestare le loro terre e i loro castelli (71). Il Passerini attribuisce poi proprio al conte Guido di Modigliana, figlio di Tegrimo e nipote di Guido Guerra III, l’acquisto dei castelli di Pogi, Bucine e Tentennano che, aggiunti ad altri (ma non dice quali) gli davano modo di dirsi conte di Val d’Ambra (72). Nel 1255 lo stesso conte Guido si pone in accomandigia al Comune di Arezzo con i castelli di Val d’Ambra (73). Per il 1260-1261 abbiamo degli atti, copiati nel Trecento ad uso del Comune fiorentino, che mostrano chiaramente l’acquisto in tre riprese da parte del conte Guido di Modigliana di case, terre e forticazioni del castello di Pogi dai signori del luogo: gli eredi di Alberico di Pogi, forse, ma non necessariamente, già in rapporto di vassallaggio con i Guidi (74). Immediatamente successivi, del 1262, sono due giuramenti di fedeltà prestati dagli uomini delle comunità di Pogi, appunto, e di Bucine, a Guido di Modigliana (75). Quindi la stessa copia trecentesca ci dà gli estremi delle nomine di esponenti della nobiltà cittadina aretina a podestà della Val d’Ambra in nome del conte, con modalità che sembrano rispecchiare quanto previsto dagli statuti: abbiamo per il 1270 Rinaldo dei Bostoli, per il 1271 Orlando degli Albergotti; per il 1277 Bene di Ricchinone giudice; per il 1278 messer Ciampolo di Arezzo giurisperito; per il 1279 Teste di Federico Teste (76) . A questo punto è opportuno sottolineare come per il 1268 ci sarebbe una congruenza migliore fra indizione e giorno della settimana, rispetto alla data del 1208, anche se in tal caso dovremmo però ipotizzare che il copista abbia perso per strada un «sexagesimo» (77). Confrontando i nomi che appaiono del datum degli statuti con quelli che risultano nel dossier di documenti del 1260- 1283 copiati per il Comune di Firenze, troviamo il nome di uno dei due rappresentanti di Pogi (Cioncolum Porcelli e Iovannem Latini) fra gli uomini che giurano fedeltà al conte nel 1262, si tratta di Johannes filius Latini, lo stesso che risulta anche come confinante nella vendita fatta al conte nel 1260 di case nel castello di Pogi (78); ma c’è fra essi uno Çenobius filius Porcelli che di Cioncolo potrebbe essere un fratello (79). Il nome di uno dei rappresentanti di Bucine, Bentivegnam Gilii, anche lui assente fra quelli che giurano fedeltà a Guido di Modigliana, ritorna invece in un atto del 1283 come uno dei rappresentanti di Bucine nei patti intercorsi fra il conte Guido e il Comune di Arezzo (80). La coincidenza fra le nomine dei podestà, e la presenza di questi nomi a 60 anni dalla datazione del 1208, fa pensare che l’ipotesi 1268 come data più coerente della nostra copia degli statuti potrebbe avere una sua legittimità (81); restando, comunque, valide le considerazioni di Ascheri sul loro carattere di testo in parte stratificato.

In ogni caso, se anche lo statuto come si presenta dovesse collocarsi dopo la metà del Duecento, o proprio nel 1268, non sarebbe per questo meno importante (82). Da sottolineare è soprattutto il suo essere emanazione di un signore che risulta dotato di una pienezza di poteri soggetta solo all’Impero. Il conte delega questi suoi poteri giuridici, amministrativi e di esazione fiscale a un podestà (83), unico per tutto il Viscontado (84), che ha come collaboratore un notaio (85) e rimane in carica un anno. Il podestà spostandosi e risiedendo nei vari centri (86) amministra la giustizia civile e penale fino al massimo grado, al conte è riservata però la decisione ultima sulle pene corporali più gravi e probabilmente appello e possibilità di grazia (87). Le sei singole comunità (Bucine, Pogi, Galatrona, Rendola, Caposelvi, Torre S. Reparata) eleggono ciascuna almeno due consiglieri - che collaborano con il podestà come suo consiglio sia nell’attività amministrativa che giudiziaria (88) e risultano aver partecipato all’elaborazione stessa dello statuto (89) un camerario, ufficiali sulle strade e nunzi (90). Gli uomini dovevano giurare di obbedire al podestà, di non commettere reati, si partecipare al parlamento generale se convocati e il «sequimentum potestatis», cioè di seguire se richiesti il podestà come capo militare contro i nemici o i ribelli a lui e al conte (91). Manca per l’appunto un fascicolo nel codice e il testo si interrompe nel corso del giuramento degli uomini; molto probabilmente nella parte che non ci è pervenuta dovevano esserci il giuramento di rimanere sotto la giurisdizione del conte, di pagare imposte e servizi, di partecipare alla difesa dei castelli e ad azioni militari se richiesti dal conte o dal podestà. Si deduce, tuttavia, da altri passi, il pagamento di imposte, probabilmente ripartite per fuochi, che insieme ai bandi e alle condanne contribuivano a costituire il gettito da cui trarre i salari (92); fra l’altro, anche se non appare dal testo, è probabile che fossero le comunità a pagare il salario del podestà.

Dal testo dello statuto della val d’Ambra appare evidente una dialettica fra il potere del conte e le comunità rurali a lui soggette. Nel limite della salvaguardia delle loro prerogative sugli uomini, infatti, i conti Guidi non sembrano aver ostacolato il formarsi di comuni rurali con propri organi di amministrazione (93), che in certi casi potevano essere presenti anche in un periodo decisamente precoce, tale sembrerebbe, ad esempio, il caso di alcuni «consoli» segnalati per Ganghereto nel 1159 (94). Significative testimonianze del rapporto che, ormai nella seconda metà del Duecento, intercorre comunemente fra i rappresentanti dei conti e le comunità organizzate in comuni rurali si possono ricavare dai registri di imbreviature di ser Vigoroso da Paradiso che roga nel castello di Loro fra 1259 e 1299. Tali registri sono stati studiati a fondo da Simone Taddeucci, consentendogli di ricavare un ampio quadro della società del castello di Loro e del suo territorio, come appare in prima battuta dal suo intervento a questo stesso convegno. Anticipamo qui soltanto un documento particolarmente interessante. Nel febbraio 1261, a Loro nella curia del conte, Bonaccorso di Marcone da Alpignano, visconte in Valdarno per il conte Guido di Romena, rende una quietanza liberatoria ai consoli del comune di Loro, Ranerio di Ugolino e Vecia di Nicola, e a dieci fideiussori, per la somma di Lire settanta dovuta al conte dal comune di Loro come dazio, ed appunto pagata a Bonaccorso in denari pisani grossi e piccoli (95).

Se per chiudere il quadro ci spostiamo all’inizio del Trecento troviamo, anche per le residue signorie di alcuni esponenti dei Guidi in Valdarno, il tentativo di difendere le prerogative tradizionali nella loro pienezza, seppur su territori sempre più ridotti, allo stesso modo di quanto appare in Casentino, in Val di Sieve o in Romagna (96).

Prendiamo come esempio il caso di Ganghereto, significativo perché al centro di una azione di conquista in più fasi da parte del Comune di Firenze. Ganghereto, dopo la divisione del comitatus, doveva essere il castello più forte dei conti Guidi del ramo di Battifolle in Valdarno, se poteva aver costituito la base di operazioni del conte Giordano, vicario di Federico II in Toscana, contro Montevarchi dove si erano rifugiati gli esuli guelfi fiorentini (97). Nel 1267 nel castello si erano rifugiati Ranieri dei Pazzi di Valdarno con i suoi uomini dopo aver assalito una comitiva di chierici e laici diretta in ambasceria al papa. Per tale motivo, o cogliendo tale pretesto, il Comune di Firenze aveva occupato il castello, imponendo agli abitanti nel 1271 di distruggerlo e di trasferirsi nel piano sottostante (98). Tale imposizione non si realizzò che in parte, forse perché in quegli anni il conte Simone da Battifolle arrivava a una pace con Firenze e passava alla parte guelfa, comunque del castello di Ganghereto rimasero certamente oltre al cassero con il palazzo comitale anche altri edifici, mentre parte della popolazione si stabilì nel «borgo» presso il «mulino della contessa» (99). Nel 1293 Firenze, riuscì a far staccare dalla giurisdizione dei conti di Battifolle alcuni popoli che appartenevano alla curia di Ganghereto, mentre il castello di lì a poco (1302) veniva nuovamente occupato, questa volta dai fuoriusciti ghibellini e guelfi bianchi che conducevano operazioni di guerra contro il Comune fiorentino (100). L’alleanza, rimasta salda, fra i conti di Battifolle e il governo cittadino permise loro, comunque, di preservare, o recuperare, buona parte della signoria: nel cassero di Ganghereto continuava a risiedere il loro visconte cui facevano capo i loro territori in Valdarno e Chianti, e con cui Firenze comunicava come rappresentante di un’entità politica autonoma (101).

Proprio dall’attività di vicario nei territori in Valdarno e Chianti per i conti Guidi di Battifolle del notaio Giovanni di Buto di Ampinana, fra 1332 e 1335, possiamo ricavare un esempio di come, ancora, si cercasse di mantenere un carattere reale alle prerogative signorili (102).Il notaio si dichiara «vicario e ufficiale», e all’inizio del registro parla anche del suo ufficio come «viscontaria» (103). A nome del conte di Battifolle ser Giovanni amministra la giustizia (104); riscuote il riconoscimento per le transazioni fondiarie e le varie prestazioni (105); inoltre accoglie nell’accomandigia del conte chi viene a stabilirsi in qualcuno dei castelli (106); concede in feudo dei terreni (107) (alcuni dei quali tornati alla curia per la morte senza eredi del beneficiario o per confisca (108)). Lo stesso conte Ugo è presente abbastanza frequentemente a Ganghereto, dove ha sede la curia, con il suo seguito di familiares, e qui riceve direttamente degli accomandati o concede dei feudi (109). Ma lo vediamo anche nominare un notaio originario di Lanciolina suo visconte in Romagna (110); un altro notaio visconte in Mugello e procuratore a Firenze (111); un prete come suo delegato ad eleggere i rettori delle chiese su cui ha patronato in Mugello (112); un uomo di Dicomano come collettore dei pedaggi stradali a Dicomano (113). Inoltre concede agli uomini dei castelli di Cavi e di Pernina, in deroga agli «statuti del comitato», di alienare beni senza licenza e riconoscimento, purchè rimangano a persone soggette al suo dominio e potestà (114). E infine tratta con Tedice degli Adimari e Manno dei Medici per il rifornimento del sale per i suoi soggetti in Mugello e Valdarno (115).

Nel gennaio 1335 Giovanni di Buto termina il suo incarico e presenta un rendiconto economico della sua gestione, controllato da un professionista di Prato (messer Ubaldo dei Pipini giurisperito) e dal pievano di Buiano in Casentino: nella sua attività di vicario, durata due anni e mezzo (dal 15 settembre 1332 al 1 gennaio 1335), ser Giovanni dichiara, secondo le scritture contenute nel libro delle entrate e in quello delle uscite, di aver incassato in tutto L. 3149 S. 17 d.9 e di aver speso L. 3107 S. 16 d. 1 e di essere quindi debitore al conte per L. 42 (116). Non sappiamo in cosa consistessero uscite e spese. Forse oltre ai salari e al mantenimento degli ufficiali e del conte con il suo seguito, includevano i costi di manutenzione delle fortificazioni e spese per armi e cavalli. Comunque sia un utile inferiore alle L. 20 per un anno appare decisamente esiguo, e non stupisce che i conti Guidi dei vari rami fossero cronicamente indebitati e costretti a cedere castelli e diritti oppure a cercare altre forme di entrate (117). Sembrerebbe quindi che, al di là del valore simbolico e di prestigio, cercare di mantenere una signoria su un castello o un gruppo di castelli, avesse un senso reale non tanto nella rendita economica, quanto piuttosto per il suo significato politico e per la possibilità di ottenerne uomini armati da utilizzare direttamente o come strumento di pressione in un contesto che è quello delle lotte cittadine e di parte.

In ogni caso, il Comune di Firenze, o meglio alcuni esponenti politici cittadini, dovevano premere per un allargamento del contado soggetto a un controllo diretto: nonostante l’alleanza con i conti di Battifolle, fra l’estate e l’atunno del 1336 - poco più di un anno dopo l’ufficio di visconte tenuto da Giovanni di Buto - si fece in modo di far ribellare i castelli del Valdarno contro di loro e a vantaggio della città (118). La reazione militare dei conti fallì per l’aiuto fornito ai rivoltosi di nascosto dal governo fiorentino. La questione si spostò allora sul piano giuridico, ma intanto il Comune deliberava di riunire gli abitanti dei vari castelli nella terra nuova di Castel S. Maria (poi Terranuova) da costruire nel piano allo sbocco della valle del Ciuffenna (119). Dopo anni di inutile controversia, durante i quali i conti avevano mantenuto il controllo della sola rocca di Ganghereto, i nuovi abitanti di Terranuova nel 1338 la presero, la depredarono e fecero crollare la torre. Si aprì così un ulteriore contenzioso giuridico, con arbitrati cittadini assai poco imparziali, e la definitiva chiusura del caso si ebbe solo nel 1345: ai conti restavano 18 pezzi di terra, una fornace e il castellare (cioè il sito del cassero) di Ganghereto; gli ex fedeli dei quattro castelli di Ganghereto, Pozzo, Pernina e Cavi, erano liberi da ogni obbligo e prestazione dietro pagamento al conte di una somma di 2100 fiorini in 4 rate, acquistando con la stessa somma anche il mulino del «borgo». Non sappiamo, però, se tale somma sia mai stata pagata (120).

Come sostiene Paolo Pirillo, a partire dal Duecento, la lotta fra la città e i signori non sarà più fatta distruggendosi castelli, ma cercando di strapparsi gli uomini (121). I conti Guidi, in questo senso, cercarono in generale di reagire difendendo i legami signorili tradizionali, patteggiando il sostegno delle comunità loro soggette, attirando forestieri a farsi loro accomandati, talora cercando di crearsi agganci all’interno delle città e delle fazioni. Ma la frantumazione del territorio, le divisioni politiche e le guerre familiari, l’abile strategia di Firenze, e soprattutto la disparità di risorse economiche, indicavano già chi avrebbe vinto. ________________________________

1 La delimitazione geografica è forse variata nel tempo anche in relazione a cambiamenti nelle circoscrizioni amministrative, tuttavia ci sembra di poter dire che si sia tramandata un’idea del Valdarno superiore come area geostorica unica, per certi versi confrontabile con altre tipologie simili come il Casentino. Una buona carta storica in proposito, è appunto, la tavola VII, Valdarno Superiore, dell’Atlante geografico, fisico e storico del granducato di Toscana di A. ZUCCAGNI ORLANDINI, Firenze, 1832, rist. anast. Firenze, 1974. Per quanto riguarda la percezione bassomedievale facciamo riferimento alla Cronica di Giovanni Villani (G. VILLANI, Nuova cronica, ed a cura di G. PORTA, Parma, Ugo Guanda, 1991). Nella descrizione del corso dell’Arno il Villani dice: «E questo fiume d’Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne de la Verna, ove il beato santo Francesco fece sua penitenza e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a pie’ di Poppi, e poi si rivolge verso levante vegnendo presso a la città d’Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo de la nostra città di Firenze, e poi uscito per corso del nostro piano passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto [...]», Libro II, cap. VI, p. 70. In varie altre occasioni si riferisce al Valdarno di sopra intendendo sostanzialmente la stessa area che riconosciamo noi, usando sia l’espressione “Valdarno di sopra” che quella “Valdarno” (ad esempio: Libro VIII, XII; Libro VIII, CXLI; Libro IX, XVII).

2 Manca a tutt’oggi una ricerca scientifica complessiva sulla storia della famiglia dei conti Guidi dalle origini alla scomparsa dei loro ultimi domini signorili in Casentino e in Romagna che analizzi a fondo i meccanismi dinastici, le strategie politiche, le strutture signorili, sul tipo della recente monografia di S. COLLAVINI sugli Aldobrandeschi (Gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali”, Pisa, ETS, 1998). Per un quadro introduttivo generale si può rimandare ai due datati, ma tuttora pregevoli, contributi di E. SESTAN : Dante e i conti Guidi; I conti Guidi e il Casentino, in Italia Medievale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane,1968, così come un valido approccio interpretativo per la situazione dei Guidi nel Trecento si trova in C.M. DE LA RONCIERE, Fidélités, patronage, clientelès dans le contado florentin au XIVe s. Le Seigneuries féodales, le cas des comtes Guidi, «Ricerche Storiche», XV (1985), pp. 35-59. Alcune storie ottocentesche della famiglia sono ancora decisamente molto utili, soprattutto per un quadro dei vari esponenti e dei rami della casata, in particolare di L. PASSERINI, le dispense Guidi di Romagna, nella raccolta di P. LITTA Famiglie celebri italiane, Milano, 1867, così come l’appendice dedicata ai conti Guidi nell’ultimo volume del Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, di E. REPETTI, Firenze 1833-45, rist. anast. Roma, 1969. Al contrario è ormai diventato difficile, poter fare riferimento all’opera di S. AMMIRATO, Albero e istoria della famiglia dei conti Guidi, Firenze, 1640. Analisi sulle fasi iniziali della presenza dei Guidi in Toscana, sebbene principalmente concentrate sull’area casentinese, nel volume di C. WICKHAM, La montagna e la città, Torino, Scriptorium, 1997 e in Y. MILO, Political Opportunism in Guidi Tuscan Policy in I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Pisa, Pacini, 1981, pp. 207-221. Allo stesso modo un quadro della storia della famiglia, non soltanto funzionale al punto di vista della storia di Arezzo, nella ricerca di J.-P. DELUMEAU, Arezzo: espace et sociétés, 715-1230, Roma, École française de Rome, 1996, pp. 384-410. Due contributi più recenti ricostruiscono le prime generazioni della famiglia soffermandosi uno sui legami con Ravenna e la Romagna, l’altro su quelli con l’area pistoiese: R. RINALDI, Le origini dei Guidi nelle terre di Romagna (secoli IX-X) ; N. RAUTY, I conti Guidi in Toscana, entrambi contenuti nella raccolta Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno italico (secc. IX-XII), II, Roma, Istituto storico italiano per il medioevo, 1996, rispettivamente pp. 211-240 e 241-264, mentre rimane sempre valido, sempre per il periodo iniziale del gruppo familiare il saggio di C. CURRADI, I conti Guidi nel secolo X, «Studi Romagnoli», XXVIII (1977), pp. 17-64. Alcune ricerche inquadrano alcuni esponenti del gruppo familiare legati a un determinato centro castellano, o a un’area geografica ristretta; segnaliamo in particolare: per l’area casentinese il volume Il castello di Porciano in Casentino, a cura di G. VANNINI, Firenze, All’insegna del Giglio,1987 e M. BICCHIERAI, Il castello di Raggiolo e i conti Guidi, Montepulciano, Editori del Grifo, 1994; per l’area della Val di Sieve P. PIRILLO, Dai conti Guidi al comune di Firenze: lineamenti di storia del territorio, in La contea del Pozzo in Valdisieve nel Basso Medioevo, Firenze, 1983, pp. 9-41, P. PIRILLO, Due contee ed i loro signori: Belforte ed il Pozzo tra XII e XV secolo, in Castelli e strutture fortificate nel territorio di Dicomano in età medievale, Firenze, 1989, pp. 9-56 e A. BOGLIONE, L’organizzazione feudale e l’incastellamento, in Le antiche leghe di Diacceto, Monteloro e Rignano, Firenze, 1988; per l’area romagnola, A. BRENTANI, Tredozio sotto la dominazione dei conti Guidi, Faenza, 1930, rist. anast. Modigliana, 1997 e R. NELLI, Bagno e i conti Guidi di Bagno, in La Val di Bagno. Contributi per una storia, Bagno di Romagna, 1995. Sono, infine, raccolti nel volume di G. CHERUBINI, Fra Tevere, Arno e Appennino. Valli, comunità, signori, Firenze, Editoriale Tosca, 1992, vari saggi dell’Autore dedicati ad aspetti legati ai conti Guidi.

3 N.RAUTY, I conti Guidi in Toscana, cit., p. 259 che come fonte fa riferimento in particolare a G. VILLANI, Cronica, IV, 37.

4 Ibidem. Il 4 aprile 1156 il conte Guido Guerra dona al comune di Siena l’ottava parte di Poggibonsi: P. SANTINI, Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, Firenze, 1895, documento 3, pp. 3-4.

5 La funzione della badessa Sofia appare dalle testimonianze del 1203 in merito alla controversia per il patronato dei conti Guidi sul monastero di Rosano. Tale preziosa documentazione, su cui ritorneremo, è stata edita da L. PASSERINI, Una monaca del duodecimo secolo, «Archivio storico italiano», serie III, 23 (1876), pp. 61-79, 205- 217, 385-403; R. DAVIDSOHN, Una monaca del duodecimo secolo, «Archivio storico italiano», serie V, 22 (1898), pp. 225-241; C. STRÀ, I più antichi documenti del monastero di S. Maria di Rosano, Roma, 1982, pp. 237-286. Le testimonianze che ci interessano sono quelle di Paltonieri da Romena: «quod mortuo comite Guidone, abbatissa Sofia gerebat administrationem comitatus», L. PASSERINI, Una monaca, cit., p. 207; di Righetto da Figline che: «vidit comitem Guidonem patrem istius comitis, qui mortus est apud Montem Guarki jam sunt XLVII anni; post cujus obitum Sofia abatissa de Pratoveckio fuit facta procuratrix totius comitatus comitis Guidi et cum guerra esset inter Florentinos et domum comitis Guidi, ipsa abatissa laborans ad compositionem cum comite et sua parte» R. DAVIDSOHN, Una monaca, cit. pp. 236-237; di Ighilesca conversa di S. Ilario (S. Ellero): «Et dicit quod quando pax composita fuit inter Florentinos et comitem Guidonem, domina Sofia abatissa de Pratovecchio venit ad Rosanum [...] Et fuerunt ibi, ex parte Florentinorum, Filocario et Pazo dalbergo et Donatus de Pazo [...] Et in reversione, quando rediit a Florentia, composita pace, rediit ad eundem locum [...] et aliquamdiu ibi steterunt», L. PASSERINI, Una monaca, cit., p. 387.

6 L. PASSERINI, Guidi di Romagna, cit. tav. III.

7 Il 9 febbraio 1198 a Firenze il conte Guido Guerra aderisce alla Lega stipulata fra città e signori di Toscana fra l’11 dicembre 1197 e il 7 febbraio 1198. P. SANTINI, Documenti, cit., documento 21, pp. 33-39.

8 Sulla concessione del titolo, sulla presenza a fianco di Federico, cfr. N. RAUTY, I conti Guidi in Toscana, cit., p. 260; per il diploma imperiale concesso a Guido Guerra nel 1164, su cui ritorneremo più avanti facciamo riferimento all’edizione in M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, 10/2, Die Urkunden Friedrichs I 1158-1167, Hannover, 1979, n. 462, pp. 369-371.

9 J.-P. DELUMEAU, Arezzo, cit. pp. 407, 1106, 1294.

10 Sulla presenza presso Federico II - al momento della sua incoronazione e in alcune circostanze nel Regno di Sicilia - di Ruggero, che muore appunto a Palermo nel 1225, di Guido, e di Tegrimo, cui l’imperatore dà in sposa una principessa normanna, si veda L. PASSERINI, Guidi di Romagna, cit., rispettivamente alle tavole III, IV e IX. Per il diploma con cui l’imperatore conferma nell’ottobre 1220 ai 5 fratelli le concessioni dei predecessori, su cui ci soffermeremo più avanti, facciamo riferimento all’edizione di G. LAMI in Sacrae Ecclesiae Florentinae monumenta, I, Firenze, 1758, p. 70 e pp. 673-675.

11 Sulla cessione alle città di terre e castelli il quadro non è chiaro in quanto la situazione è fluida e singoli castelli persi o ceduti possono essere ripresi, o viceversa si può continuare a rivendicare diritti (facendo forza sui diplomi) su centri che ormai sono sfuggiti di mano. Oltre a Monte di Croce e Poggibonsi di cui abbiamo detto, c’è ad esempio la sottomissione a Firenze degli uomini di Empoli nel 1182 (P. SANTINI, Documenti, cit., n. 12, pp. 17-18) che però rimane fra i castelli confermati dagli imperatori; la prima sottomissione “difensiva” di Montemurlo al Comune di Firenze nel 1219 (P. SANTINI, Documenti, cit., n. 67, pp. 192-195), la vendita nel 1254 sempre a Firenze di Montemurlo e Montevarchi da un lato e dei castelli di Empoli, Vinci, Collegonzi, Petroio, Cerreto, Collepietra e Monterappoli dall’altro (P. SANTINI, Appendice ai Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, Firenze, Olschki, 1952, documenti 16 (pp. 48-59), 17 (pp. 59-62), 18 (pp. 62-64), 20 (pp. 65-75), 22 (pp. 78-86), 43 (pp. 130-141). Marcovaldo, già nel 1225, chiede di separare i suoi beni da quelli dei fratelli e politicamente sceglie di abbandonare la fedeltà imperiale per quella alla parte guelfa, quindi dopo la morte nello stesso anno di Ruggero, i quattro fratelli rimasti litigano fino al 1229 per la spartizione della sua eredità con una contrapposizione fra Guido e Tegrimo da un lato e Aghinolfo e Marcovaldo dall’altro. Da allora in poi non vi fu più modo di ipotizzare una gestione consociata su tutto il comitato.( cfr. L. PASSERINI, Guidi di Romagna, cit., tavv. III, IV, IX, XII, XVIII.).

12 Cfr. in merito le acute oservazioni di E. SESTAN, in I conti Guidi e il Casentino, cit.

13 Per l’edizione cui facciamo riferimento cfr. sopra a nota 8.

14 Facciamo riferimento all’edizione in G. LAMI, Sacrae Ecclesiae Florentine monumenta, I, cit., pp. 671-673.

15 Per l’edizione cui facciamo riferimento cfr. sopra a nota 10.

16 I curatori dell’edizione MGH per ovvia non conoscenza dei toponimi hanno commesso inoltre errori di interpretazione del testo che si sono poi riflettuti nelle successive letture di tale diploma. Ad esempio per il Casentino, l’espressione dell’edizione «commenditia et wardia abatie Campileonis» (p. 371 riga 21-22) che suonava strana anche a Delumeau (J.-P. DELUMEAU,Arezzo, cit., p. 402 nota 323), in realtà nel manoscritto da cui è stata fatta l’edizione era «[....]Ruisiccu Cicillianum coita et wardia abatie Campileonis» come affermano gli editori stessi nella nota di apparato e, tale coita non è allora abbreviazione ma il castello di Quota il cui nome fino al Quattrocento è appunto Coita o Coyta, e come appunto appare negli altri diplomi. In modo simile la strana assenza del castello di Poppi si spiega se nella serie «[...]Stia, Lolanum, Battifolle, Cetica, Glanzolepoplim, Corezum[...]» (sempre a p. 371, riga 17) si divide il termine glanzolepoplim in glanzole, poplim e si ipotizza che poplim sia errore di lettura o scrittura per popium o poplium, Glanzole è infatti l’antico nome del castello poi chiamato Castel San Niccolò, e il diploma successivo di Enrico VI presenta tale serie di toponimi «[...]Stiam, Lonanum, Battifollem, Cieticam, Glanzolum, Poplium [...]».

17 Questa la lunga formula aggiunta: «Specialiter autem et hoc indulgemus ut non compellatur de aliqua causa sub alicuius examine respondere nisi sub nobis, vel alio, quem specialiter ad hoc deligeremus; et si quando vocatus fuerit a nobis ut ad nos veniat, vel a nuntiis nostris metu cognatorum Anselmi, vel alio iusto impedimento interveniente, possit per responsales suos, vel nuntios, nobis et nostris nuntiis sine nostra indignatione respondere».

18 Nel confronto non teniamo conto delle parti che il Lami curando l’edizione di entrambi i diplomi ha ripreso dal diploma successivo di Federico II per integrarle, come fossero lacune, in quello di Enrico VI, passi che peraltro segnala mettendoli fra parentesi e preceduti dalla formula deest.

19 «nullis aliis privilegis, seu concessionibus, ab imperiali culmine impetratis vel impetrandis, huic concessioni et privilegio in aliquo praeiudicantibus».

20 Un recente riepilogo degli studi in materia nella prima parte (dal titolo La strada dei Sette Ponti, pp. 1-49) del vol. di G. TROTTA, La Penna e Monsoglio. Un castello e una villa fra Laterina e la Sette Ponti nel Valdarno Superiore, Terranuova Bracciolini, Entefiere Valdarno, 1999.

21 Il territorio della pieve di Gropina, i castelli di Trappola, Montelungo, Ganghereto, Pozzo, Tasso, Ricavo, Castelvecchio di Cascia, Viesca, Pulicciano, Loro, Rocchetta, Lanciolina, Castiglione, Montaguto (di Gastra).

22 Caposelvi, Moncione, Barbischio, Montaio, Montegonzi, Ricasoli, Montevarchi con il suo teritorio.

23 Il Passerini fa riferimento (senza esplicitare la fonte) a una carta del 1120 in cui Guido Guerra I si vanta di aver tolto ai Pazzi di Valdarno la rocca di Giona e agli Ubertini il cassero di Corezzo e di aver bruciato altri castelli. L. PASSERINI, Guidi di Romagna, cit., tav. II.

24 Potrebbe non essere un caso il fatto che Guido Guerra II muoia proprio presso Montevarchi, come ricorda al processo di Rosano Righetto da Figline, cfr. sopra alla nota 5.

25 Un atto del 1098 sembrerebbe infatti legare il castello ad esponenti di tale gruppo nobiliare, cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze, 1833-1845, rist. anast., Roma, 1969, ad vocem.

26 Sulle origini, i nuclei di possessi e le relazioni di tale gruppo familiare ascendente degli Ubertini e forse dei Pazzi si rimanda alle analisi e alle osservazioni di C. WICKHAM, La montagna e la città, cit., pp. 292-300 e di J.- P. DELUMEAU, Arezzo, cit. pp. 966-970, 1425, e pp. 692-695 (dove si sottolinea anche il non ancora chiarito ruolo dell’abbazia di S. Trinità di Fonte Benedetta negli intrecci di possessi e gruppi familiari nobiliari sui due versanti del Pratomagno).

27 Cfr. nota precedente.

28 Cfr. J.-P. DELUMEAU, Arezzo, cit., pp. 283-285 (nota 309) olte alle considerazioni a nota 23.

29 In attesa di un’annunciata pubblicazione a stampa, testimonianza degli studi e degli scavi condotti sugli insediamenti di Poggio alla Regina, coordinati e guidati da G. VANNINI, si può ricavare in modo ampio dal sito (verificato il 24.03.02).

30 Dei diplomi concessi infatti da Federico I nella stessa occasione a Pavia ad altre grandi famiglie o monasteri toscani nessuno riporta una così ampia serie di diritti.

31 «Ut autem habundantioris gratie nostre prerogativa letetur, concedimus ei suisque legittimis heredibus et speciali largitate donamus omnia regalia nostra et omnem nostram iurisdictionem [...] videlicet bannum, placitum, districtum, theloneum, pedagium, ripaticum, mercata, molendina, aquas aquarumque decursus, piscationes, venationes, paludes, argenti fodinas, ferri fodinas et quicquid metalli vel thesauri in terra sua inveniri potest, alpes quoque, montes, valles et omnia ea, que ad nos et ad imperium spectant». Diploma di Federico I cfr. edizione cit. a nota 8.

32 Si veda in proposito quanto dice anche J.-P. DELUMEAU, Arezzo, cit., pp. 404-405: «Les comtes Guidi paraissent avoir cherché à mettre sur pied une principauté pourvue d’organes politiques élémentaires. Certes celle-ci était, fondamentalement, féodale. S’ils tenaient des terres et des castra en main propre, les comtes Guidi n’étaient souvent que seigneurs éminents de terres sur lesquels ils conservaient des prérogatives d’origine publique. Mais cette détention de prérogatives régaliennes, jointe à la possession directe de vastes terres cultivées et, plus encore, incultes sur les hauteurs, ainsi qu’un réseau de fidélités très important à l’échelle de l’Italie centrale, dont ils obtenaient des service militaires, étayaient leurs prétentions, qu’elles fussent réalistes ou qu’elles tinssent du fantasme politique.».

33 Fra le varie testimonianze nel documento di Rosano del 1203 che ne fanno cenno si veda ad esempio Menco di Romena : «Et dicit similiter quod, post motam litem, audivit quod Comes defendit ipsum monasterium a theutonicis et a Renucio de Stagia, quando erat potestas Florentinorum, et a consulibus Florentinorum». Drudolo di Romena: «Et dicit quod vidit nuntios de Rosano venientes ad comitem, ad Pratovecchio, ut defenderet monasterium a datio teutonicorum, et ipse promisit liberare monasterium et liberavit» (L. PASSERINI, Una monaca, cit., pp. 206-207).

34 La lunga serie di testimonianze serve alla controversia sul fatto che i conti Guidi abbiano o meno il patronato sul monastero e di conseguenza il diritto di scegliere, o approvare, la badessa. Le deposizioni dei molti testimoni a favore dei conti e soprattutto dell’anziana Sofia badessa di Pratovecchio, permettono tuttavia di avere un quadro ricchissimo della signoria dei conti e della vita della stessa Sofia, come badessa e come reggente del comitatus, oltre ad altre informazioni sulla situazione del contado fiorentino nella seconda metà del XII secolo, da ciò l’interesse a una sua edizione da parte del Passerini e del Davidsohn, per le cui edizioni cfr. nota 5.

35 Oltre agli editori del documento si vedano ad esempio: P. BRANCOLI BUSDRAGHI, «Masnada» e «boni homines» come strumento delle signorie rurali in Toscana (secoli XI-XIII), in Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, a cura di G. DILCHER e C. VIOLANTE, Bologna, Il Mulino, 1996, pp.287-432 alle pp. 320-324; e C. WICKHAM, La signoria rurale in Toscana, nello stesso volume miscellaneo pp. 343-409, alle pp. 375, 384-385, 402.

36 Cfr. le testimonianze di Paltonieri da Romena e di Righetto da Figline citate alla nota 5.

37 Cfr. in merito P. BRANCOLI BUSDRAGHI, «Masnada» e «boni homines», cit., pp. 320-322.

38 Stranio de Galiga «quod est homo comitis et recordatur de LX annis. Et dicit quod sepe fuit nuntius comitis et ivit cum aliis nuntiis comitis ad Rosanum», L. PASSERINI, Una monaca, cit., p. 400.

39 Gianni de Fancola de Ronane, Ivi p. 214.

40 Acerbus de Monte Crucis, Ivi, p. 394.

41 Mugnaio de Popio (Poppi), Ivi, p. 209.

42 Cfr. P. BRANCOLI BUSDRAGHI, «Masnada» e «boni homines», cit., p. 322.

43 Ciampolo de Sandetalo (Sandetole), Ivi, p. 211.

44 Tignosus de Monte Crucis, Ivi, p. 394.

45 R. DAVIDSOHN, Una monaca, cit. p. 240.

46 Burnectus da Muriano, Berignalla da Muriano e Rodulfus de Castilioncolo, L. PASSERINI, Una monaca, cit., pp. 216-217, p. 397.

47 R. DAVIDSOHN, Una monaca, cit. pp. 236-237. Sulla loro posizione di preminenza nella Figline del XII secolo cfr. C. WICKHAM, Dispute ecclesiastiche e comunità laiche. Il caso di Figline Valdarno (XII secolo), Figline Valdarno-Firenze, Comune di Figline Valdarno-Opus Libri, 1998, pp. 33-37.

48 Alioctus f. Galli de Florentia, R. DAVIDSOHN, Una monaca, cit. p. 239.

49 Iohannes, natus de Miransù et dominus pontis de Foceclo [...] Et dicit quod est sub obedientia magistri Hospitalis de Altopascio, L. PASSERINI, Una monaca, cit., pp. 390-391.

50 Oltre ai pievani di Dicomano, di S. Martino in Viminicio, e di Vado (Ivi, pp. 385-386), in particolare il pievano di Stia, Ugolotto «quod iamdiu fuit scriba comitis et interdum scripsit Florentie ex parte et ex mandato comitis ut non offenderent monasterium de Rosano neque gravarent» (Ivi p. 402).

51 C. STRÀ, I più antichi documenti del monastero di S. Maria di Rosano, cit., pp. 15-16.

52 Tignoso di Monte di Croce «Et dicit quod vidit Rosanum teneri pro curte et districtu Montis Crucis a vicecomitibus comitis, qui erant vicecomites Montis Crucis, videlicet a Fatinanzi et Rugerolo et Iohanne de Galiano et Milotto et Surdo et Ubertino Bucari (l’Ubertino da Romena che testimonierà anche lui) et Bene et Uberto filio Bernardi de Sancto Gaudentio et Squarciasacco et Baruncino et Octaviano Casoli et Casso» L. PASSERINI, Una monaca, cit., p. 394.

53 Ivi, pp. 391-392; inoltre Gualandellus de Monte Crucis: «Et dicit quod Rosanum est de curte Montis Crucis et de districtu, quia vicecomites ita distringebant Rosanum, sicut Montem Crucis, et addatiabant» Ivi, p. 398.

54 Struffolus de Monte Crucis: «Et dicit quod abbatissa, que nunc est, misit pro Ubertino Bucari vicecomite Montis Crucis, propter discordiam que erat inter ipsam abatissam et familiam. Qui cum venisset vicecomes, dederunt in manus eius totam discordiam, et ipse concordavit» Ivi, p. 398.

55 Rodulfus de Castilionclo: «Item dicit quod, quando comes duxit dominam comitissam Gualdradam, comes ibat pro ipsa Florentiam, quadam die sabati venit apud Rosanum, et cum eo erant milites multi et vicecomites de Ampinana et de Monte Guarchi» Ivi, p. 397.

56 P. SANTINI, Documenti, cit., documento n. 67 pp. 192-195.

57 La vendita non fu realmente operativa poiché dopo la battaglia di Montaperti il castello tornò sotto il controllo dei Guidi e in particolare di Guido Guerra figlio di Marcovaldo di Dovadola (E. REPETTI, Dizionario, cit. ad vocem) Su Montevarchi si veda comunque il lavoro di P. PIRILLO realizzato per questo stesso convegno.

58 I fideles del conte Tegrimo di Modigliana a Montevarchi sono: «dominus Aldobrandinus Rinuccii, dominus Brandallia eius filius, dominus Brandallinus f. domini Rinuccii et frater eius, et dominus Orlandinus Rinuccii, et filii et heredes domini Tancredi dal Terraio». Segue la lista degli homines: Nomina vero aliorum hominum et colonorum et residentium de Monteguarchi eiusdem comitis Tegrimi hec sunt (seguomo i nomi non editi dal Santini di 68 fra famiglie e persone). Inoltre il conte vende «comandiscias infrascriptas que annuatim in perpetuum ab infrascriptis personis dicto comite Tegrimo debeantur videlicet» (altra lista non edita di 6 persone che debbono dare o una o mezza libbra di cera o una o mezza libbra di pepe come accomandigia). P. SANTINI, Appendice, cit., documento n. 16 pp. 48-49. Invece i fideles del conte Guido da Romena sono: «iudex Bernardinus et eius filii, dominus Ubertus iudex, Bernardinus, Blancuccius et Cioncolus filii olim Orlandini Guidocti, Pepus, Iacobus et Orlandus filii olim Bonodite, Inghilexus, Orlandus notarius et heredes Renaldi eorum fratris, Bertoldus, Iohannes Faconsenno, Scholarius eius filius, Rampone, Corninus eius filius, heredes Guineldi». I nomi «aliorum hominum et colonorum et residentium de Monteguarchi eiusdem comitis Guidonis» corrispondono ad altre 44 persone. Ivi, documento 18, pp. 62-64.

59 Prendiamo ad esempio l’atto di vendita del 31 marzo 1254 compiuto dal conte Guido di Modigliana su mandato e per conto del padre Tegrimo figlio del defunto Guido Guerra III. Il conte vende al Comune di Firenze: «in perpetuum integre videlicet quartam partem, et si plus dicto comiti Tegrimo conpetit, totius castri, curtis et districtus, dominii et iurisdictionis et territorii de Monteguarchi et omnium et singolorum pedagiorum, teloneorum, redditum prestationum et servitiorum eisudem castri; et specialiter et nominatim personas infrascriptorum hominum de Monteguarchi, omnes eiusdem comitis Tegrimi fidelium, hominum et colonorum et residentium et masnaderiorum , cum eorum resediis, in quibus pro ipso comite Tegrimo et suis antecessores stare et morare soliti sunt ipsi et eorum antecessores et debent, sicut extant per fines et loca in Monteguarchi et eius curte et districtu et territorio; et cum filiis et filiabus ipsorum hominum, et omni posteritate ipsorum; et cum omnibus terris, vineis et possessionibus, quos ipsi vel aliquis eorum habent et tenent seu possident et habere et tenere et possidere ipsi et eorum antecessores soliti sunt ab eodem comite Tegrimo vel a suis antecessoribus, ubicumque sunt vel extant per fines et loca in Monteguarchi et eius curte et districtu et territorio, et cum omnibus redditibus, servitiis, prestationibus, pensionibus, censu et obbiis, affictationibus et omnibus et singulis que ipsi et eorum antecessores dicto comiti Tegrimo et eius antecessores prestare, facere, servire seu reddere iuste vel iniuste soliti sunt vel debeant aliquo modo. [...]» Santini, Appendice, Firenze, Olschki, 1952, documento n. 16, p. 48.

60 Il documento (ASF, Diplomatico, Luco di Mugello, S. Pietro, appendice, secolo XII, n. 6) è edito in C. FABBRI, Statuti e riforme del comune di Terranuova 1487-1675, Firenze, Olschki, 1989 (Biblioteca storica toscana XXV), alle pp. 344-346, con commento alle pp. 17-18.

61 E. REPETTI, Dizionario, cit., ad vocem.

62 Ad esempio Paganello deve dare per un manso 6 denari, un paio di polli, una torta, e alcune opere, Nigro da Ganghereto per dodici staiora deve dare 6 denari e due polli; Giovanni Pecoricio per un manso deve are un porco da 2 soldi o una pecora, una pecora, un agnello, un opera ogni settimana e l’albergaria; il manso de Castagnita de Pontenise deve dare 4 soldi, opere nella vigna a discrezione del signore, l’albergaria, 4 polli, 4 pani e ogni 3 anni l’adiutorium; Sizello da Farbiola per due mansi deve dare 4 soldi, due pecore, due agnelli, opere a richiesta, due cogni di vino l’adiutorium e l’albergaria.

63 Il documento: ASF, Diplomatico, Riformagioni Atti Pubblici, 1218 febbraio 22, è citato ed utilizzato da E. REPETTI alla voce Rona del Dizionario. Se ne dà una trascrizione in appendice.

64 ASF, Notarile Antecosimiano, 15968 (Pagno da Ragginopoli), c. 3r.

65 Il documento (ora in ASF, Statuti delle comunità autonome e soggette, 98) è stato edito una prima volta e commentato, appunto, da F. BONAINI, Statuto della Val d’Ambra del MCCVIII del conte Guido Guerra III e ordinamenti pei fedeli di Vallombrosa degli anni MCCLIII e MCCLXIII, Pisa, Nistri, 1851. Quindi è stato analizzato come preziosa fonte storica da G. CHERUBINI, La signoria dei Guidi in Valdambra all’inizio del Duecento, originariamente nella miscellanea Uomini e società nel Valdarno medievale, Terranuova Bracciolini, 1990, pp. 3-16, ora ripreso in G. CHERUBINI, Fra Tevere, Arno e Appennino, cit., pp. 107-117. Infine è stato nuovamente edito nel 1995: Bucine e la val d’Ambra nel Dugento. Gli ordini dei conti Guidi, a cura di M. ASCHERI (edizione del testo a cura di M.A. CEPPARI, E. JACONA, P. TURRINI), con un saggio introduttivo di M. ASCHERI, Lo statuto di val d’Ambra: un testo complesso di difficile datazione, alle pp. 11-21.

66 Appunto nel saggio introduttivo citato nella nota precedente.

67 In ogni documento che lo riguarda Guido Guerra infatti viene indicato per esteso e non lo si associa a Modigliana, casomai l’intitolazione che lo accompagna è «in Tuscia palatinus». Al contrario Guido di Tegrimo è conte di Modigliana in base all’intitolazione che il padre iniziatore del ramo si è preso. Da notare che intorno agli anni 1250-1259 vengono redatti dei patti statutari fra il conte Guido di Modigliana con la comunità stessa di Modigliana (V. RAGAZZINI, Modigliana e i conti Guidi in un lodo arbitrale del secolo XIII, Modigliana, Matteucci, 1921, pp. 35-40), in un periodo in cui si hanno in Romagna altre pattuizioni statutarie di questo tipo: Dovadola intorno al 1255 (Ivi); Tredozio nel 1271 (A. BRENTANI, Tredozio, cit. (alla nota 2), p. 12.

68 M. ASCHERI, Lo statuto di val d’Ambra, cit. pp. 19-20.

69 Firenze cominciò a battere il suo denaro - il fiorino picciolo ovvero denaro picciolo - soltanto verso il 1260, dopo che nel 1237 aveva coniato un fiorino grosso d’argento, e dal 1252 aveva iniziato a coniare il fiorino d’oro. R. GOLDTHWAITE - G. MANDICH, Studi sulla moneta fiorentina (secoli XIII-XVI), Firenze, Olschki, 1994 (Biblioteca storica toscana XXX), p. 11.

70 «Il corpus originario dovrebbe essere stato del 1208 (l’indizione indicata torna), ma dovette poi essere più volte riformato, eventualmente con additiones nei margini e testi in appendice, diciamo del secondo Duecento. Il nostro scriptor omogeneizzò il tutto, probabilmente su richiesta d’un nuovo padrone della valle che aveva bisogno di capire di quali diritti vi godeva. I molti interventi di riforma non erano datati o recavano troppe date, per cui venne naturale ripetere l’unico escatocollo formale ritrovato, quello del 1208.» M. ASCHERI, Lo statuto di val d’Ambra, cit. p. 20.

71 Indicazione tratta da M. RESTI, Il Viscontado d’Ambra. Archeologia e storia dell’insediamento di un territorio di confine nel medioevo, Bucine, Comune di Bucine, 2001, p. 19, nota 27.

72 L. PASSERINI, Guidi di Romagna, cit., tav. IX (non indica mai la fonte).

73 La segnalazione è in E. REPETTI, Dizionario, cit. alla voce Bucine. Dove non si specifica la fonte. Il documento è comunque quello edito da U. PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, Firenze, 1889, vol. II, n. 588, p. 298.

74 Tali atti, per la conoscenza dei quali sono debitore alle segnalazioni e all’utilizzo che ne fa Marzia Resti (M. RESTI, Il viscontado d’Ambra, cit., pp. 37, 39-41, 43) sono copie del 1337 degli originali, fatte fare al momento in cui i castelli del Viscontado di Val d’Ambra sono passati, per vendita e dedizione degli abitanti, al Comune di Firenze, si trovano in un registro dei Capitoli del Comune di Firenze (ASF, Capitoli, 22) in mezzo a varia documentazione fra cui anche altra relativa alla Val d’Ambra. Quello che doveva essere un dossier unitario è diviso in due parti del registro. Sono tutti infatti atti estratti dalle imbreviature di ser Ruggero da Papiano notaio al servizio del conte Guido di Modigliana (signore anche su Porciano e Papiano in Casentino) copiati non in ordine cronologico, ma per serie logica di tipo di documento. Abbiamo così per alle cc. 2r-3v nomine di procuratori delle comunità della Val d’Ambra in controversie legali. Quindi alle cc. 5r-6v nomine di podestà in Val d’Ambra per il conte Guido. Alle cc. 191r-194r, 195r-v e 196r-v gli atti della vendita in tre riprese del castello di Pogi, di case e terreni al conte Guido, nel 1260 e 1261. Alle cc. 197r-198v il giuramento di fedeltà nel 1262 degli uomini di Pogi e di Bucine al conte Guido. Infine alle cc. 198v-199v un’altra copia dei documenti sulla elezione dei vicari (le stesse di quelle a c. 5r). Gli atti di vendita sono particolarmente dettagliati dando anche una descrizione reale del castello ed elencando una serie di case e terreni ceduti con i loro coltivatori. L’ipotesi che i venditori, signori del castello di Pogi, fossero già in rapporto di soggezione vassallatica con il conte Guido stesso o con suoi predecesori è avanzata da Marzia Resti sulla base di analogie con altre situazioni valdarnesi (ad esempio proprio il caso di Guizzardo di Loro).

75 Giurano 145 uomini del castello e curia di Bucine e 57 uomini del castello e curia di Pogi e della villa di Tentennano. Cfr. nota precedente per la segnatura archivistica.

76 Significative le nomine di messer Ciampolo (Actum apud Vallittoli la stessa località del datum dello statuto di Val d’Ambra) e di Teste di Federigo Teste, perché in esse si specifica che i podestà debbano giurare sullo statuto clausum delle terre di Val d’Ambra. Per le indicazioni archivistiche cfr. nota 74.

77 Il testo, anche rivedendo l’originale, è chiaramente una copia con due o tre cambi di mano non legati minimamente al contenuto, quindi si copiava da un testo già formato in cui vi erano aggiunte e integrazioni. Manca un’indicazione di notaio o estensore o un qualsiasi segno notarile da cui poter risalire a un notaio. Il datum è così composto: «Factum fuit hoc statutum et completum apud Vallettoli per Bonaiutum de Ruginata, Bentivegnam Gilii de Bucino, Guidottum Bencivennem, Bencivenne Mancini de Turre Sancte Reparate, Bonaiutum Ricii de Caposelvi et Venutum Aççi de Caposelvi, Cioncolum Porcelli, Iovannem Latini de Poge, Martinum Aççoli, Brandinum Bucinelli de Galatrona, Benentende Rub(ert)i et Ursum Albertini de Rennola, mandato domini comitis Guidonis de Mutilliano et correptum per eundem dominum comitem, sub annis Domini millesimo ducentesimo ottavo, indictione XI, die martis XI mensis decembris, et cetera. Qui subscripsit sem(per) cum Domino vivat.» (ASF, Statuti delle comunità autonome e soggette, 98, c. 10v). L’indizione XI corrisponde al 1208, ma in tale anno, secondo il calendario perpetuo l’11 dicembre doveva essere giovedì e non martedì; nel 1268 l’11 dicembre è martedì e l’indizione è sempre l’XI (per il calendario perpetuo e le corrispondenze anno- indizioni si rimanda a A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, V. ediz., Milano, Hoepli, 1983). Resta, tuttavia, non facile pensare che a fine documento si possa lasciare nella penna tutta una parola «sexagesimo», scritta presumibilmente per esteso, visto che così è scritto «ottavo», a meno che chi copiava non stesse sciogliendo ciò che in un originale era in cifra.

78 ASF, Capitoli, 22, c.198r e c. 196r.

79 Da non escludere, anche, che Cioncolus possa essere un soprannome dello stesso Çenobius.

80 Gli uomini del Comune di Bucine, con licenza di Alessandro del fu Martino visconte del conte Guido di Modigliana e di Bertrame dei Bostoli podestà, costituiscono Villano di Ildebrandino di Bucine sindaco e procuratore al podestà di Arezzo a difendere il Comune di Bucine in base ai patti fra il conte Guido di Modigliana e lo stesso comune di Arezzo, secondo i quali il podestà della città non può intromettersi e procedere in giudizio contro alcun uomo del Comune di Bucine patti a cui furono presenti Bentivegna Gilii, Monte Rogogliosi, Guido Niccole etc. ASF,Capitoli, 22, c. 6r.

81 Tornerebbero così anche l’accenno ai fiorini piccoli (cfr. nota 69), si avrebbe un logico parallelo con gli statuti di Modigliana, (cfr. nota 67), soprattutto gli statuti si collocherebbero così nel momento in cui il conte Guido ha sicuramente consolidato i possessi in Val d’Ambra in una organica signoria che prenderà il nome di “viscontado”.

82 Per i commenti al testo facciamo riferimento all’edizione del 1995 Bucine e la val d’Ambra, cit., il testo è alle pp. 39-74.

83 Il proemio alle rubriche statutarie è proprio costituito dalla formula di giuramento del podestà: «[...] Ad que statuta et ordinamenta iuro, ego, qui sum potestas electus in terris suprascriptis a domino comite suprascripto, ad sancta Dei evangelia, a proximis kalendis ianuarii ad unum annum proxime completum, bona fide, sine fraude custodire, conservare et manutenere personam dicti domini comitis et uxoris et filiorum eius et honorem et statum et bona eius, que nunc habet, vel in antea habebit, et regere et gubernare et defendere Bucinum, Caposelvi, Turrem Sancte Reparate, Poge, Galatronam et Renulam et [fideles] ipsarum curiarum et districtum in bona pace et concordia [....] Item iuro ad sancta Dei evangelia conservare et manutenere omnia statuta et ordinamenta et constitutiones, facta per dominum comitem nominatum, illesa, bona fide, sine fraude, et quod puniam maleficia commissa ab hominibus et personis supradictarum terrarum, curiarum et districtum, secundum qualitatem delicti et secundum statuta et ordinamenta infrascripta; et penas, banna, condempnationes, reclamos, salaria et diricturas assignari et dari faciam camerario illius terre [...] Item iuro rationem reddere omnibus ecclesiis, viduis, orfanis et omnibus aliis et singulis personis petentibus rationem; et diffiniam placita, reclamos, depositos, civiliter vel criminaliter, secundum quod in infrascriptis capitulis continetur.» Bucine e la val d’Ambra, cit., pp. 39-40.

84 Con l’espressione «Viscontado di val d’Ambra» i cronisti fiorentini indicavano appunto la parte di val d’Ambra i cui abitanti erano soggetti ai conti Guidi, governati da un loro rappresentante o podestà che aveva il titolo di «visconte». Facevano parte di tale «viscontado» i castelli di Caposelvi, Galatrona, Bucine, Pogi, Mercatale, Torre S. Reparata, Rendola, Tontennano. Cfr. E. REPETTI, Dizionario, cit., alla voce Ambra.

85 Bucine e la val d’Ambra, cit., pp. 68-69.

86 Il podestà è tenuto a risiedere a sue spese almeno 12 giorni al mese, o più secondo la volontà del conte, nei vari centri e nello specifico almeno 3 giorni a Bucine e Caposelvi, almeno 2 a Torre e Pogi, almeno uno a Rendola e Galatrona. Ivi, p. 54.

87 Così il testo che tratta dell’omicidio: «Ordinamus quod teneatur potestas quamlibet personam, que commiserit homicidium seu perpetravit, nisi illud commiserit causa legittime sue defensionis, condempnare in libris C denariorum pisanorum parvorum. Que persona homicida, si ad mandatum eius non venerit, supponatur banno perpetuo et omnia sua bona vastentur et residua publicentur curie domini comitis nominati. Et si post bannum vel condempnationem devenerit in fortia potestatis et dictas libras C infra X dies proximos extunc non solverit, ad mortem personaliter puniatur, iuxta arbitrium comitis supradicti.» Ivi, p. 41.

88 Ivi, pp. 66-67, 69.

89 In tal senso sembra logico interpretare i nomi presenti nel datum, per cui cfr. sopra alla nota 77.

90 Bucine e la val d’Ambra, cit., rispettivamente, pp. 68, 70; 60; 66-67,70.

91 «Iuro ego qui sum sub potestaria et regimine potestatis seu qui sum de aliqua terra seu potestarie, curia vel districtu eiusdem terre, obedire omnia et singula precepta potestatis et sui vicarii et nuntii [...] Item iuro ad parlamentum eiusdem potestatis, quando per ipsius nuntium fuero requisitus, venire. Item iuro sequimentum potestatis contra omnem personam et locum inobedientem vel resistentem sibi» Ivi pp. 70-71.

92 «Item ordinamus quod quilibet ex consiliariis habeat soldos X et quilibet ex camarlengis soldos XX pro maiori feudo et salario, de quibus habeat tertiam partem de bannis et condempnationibus curie et residuas duas partes habeat a comune sue terre; et inponatur equaliter per focolaria sue terre. Qui camarlengi et consiliarii solvant impositas et alia faciant, sicut alii honines sue terre» Ivi, p. 66.

93 «I comuni rurali non rappresentavano, come si sa, in maniera semplicistica la società contadina; anzi, spesso sembrano solo essere stati veicoli del potere di notabili locali e della piccola aristocrazia rurale, contrapposta alla nobiltà maggiore che invece controllava le signorie. [...] In realtà i comuni stabilirono i loro poteri molto più frequentemente all’interno di strutture signorili, e con l’approvazione del signore, che non in opposizione ad esse.» C. WICHKAM, La signoria rurale in Toscana, cit., pp. 373-374.

94 «Una testimonianza del 1159 attesta che già a quell’epoca nel castello di Ganghereto si eleggevano dei “consoli”. Si tratta della composizione della lite, sorta tra Uberto di Ugizzone e il monastero di Pian di Radice per il mulino di RioTortoli, con un atto stipulato nel dicembre di quell’anno in porticu curie de Gangareta, sup tutela et cura et defensionem consulum et omnium bonorum ominum ibi astantium. (ASF, Diplomatico, Acquisto Mariotti, dicembre 1159).» C. FABBRI, Statuti e riforme, cit., pp. 18-19 (nota 44).

95 ASF, Notarile Antecosimiano, 21108, c. 3r.

96 Rimandiamo in generale ai lavori su specifici castelli o territori sotto i conti Guidi nel Trecento indicati alla nota 2.

97 E. REPETTI, Dizionario, cit., ad vocem.

98 C. FABBRI, Statuti e riforme, cit., p. 9, che fa riferimento ad ASF, Capitoli, 26, c. 214.

99 Ibidem.

100 E. REPETTI, Dizionario, cit., ad vocem.

101 Significativa in merito «una lettera inviata il 26 giugno 1311 dal governo fiorentino al “castellano o visconte di Ganghereto” per avvertirlo del pericolo costituito dai Pazzi, dagli Ubertini e da altri ghibellini che, andati incontro all’imperatore Arrigo VII nella città di Arezzo, stavano tornando verso il Valdarno con intenzioni ostili: “Castellano seu vicecomiti de Ganghereto. Scimus quod Ubertini et Paççi, et aliqui alii ghibellini, qui ad imperatorem iverant Aretium, rediere, et ideo vos solicitum reddimus quod ex eo non possit, defectu solicitudinis, sinistrum aliquod evenire, sperando enim quod ipsi semper vigiletis ut offendantur et littera nota amicis circumponitis faciatis. Datis Florentie, die XXVI iunii, X indictione.” (ASF, Cancelleria, 2, c. 16v)» C. FABBRI, Statuti e riforme, cit., p. 8 (alla nota 14).

102 Il registro di imbreviature di Giovanni di Buto contenente gli atti del periodo in cui è visconte a Ganghereto ha come segnatura: ASF, Notarile Antecosimiano, 9503.

103 «Hic est liber imbreviaturarum factarum per me Johannem Buti de curia Ampinana in partibus Vallis Arni et Chianti tempore mee viscontarie sub annis Domini a nativitate MCCCXXXII ind. XV die XXI mensi settembris» (Ivi, c.2v). In vari atti, quindi, il notaio una una formula del tipo «Ego Iohannes notarius infrascriptus tunc vicarius et officialis pro domino comite Ugone de Bactifolle in partibus Vallis Arni et Chianti».

104 Ad esempio lo stesso 21 settembre presiede a un lodo arbitrale nel castello di Moncione, in merito alla controversia fra due vicini per un muro (Ivi, c. 3r).

105 Ad esempio il 22 settembre 1332 nel castello di Barbischio il notaio concede licenza alla vendita di un terreno per un valore di L. 18 f.p., sempre salvo il diritto della curia, e riceve per tale riconoscimento dalle parti S. 36 f.p. (Ivi, c. 3v).

106 Ad esempio: il 7 novembre 1332 nel castello di Moncione, alla presenza come testi di prete Bino, rettore della chiesa di Pogi, e di Matteo di Ugolino di Poppi, castellano di Moncione, Pietro di Buto da Piettrafitta calzolaio, venuto ad abitare a Moncione, si fa accomandato del conte Ugo di Battifolle per 5 anni, promettendo di dare ogni anno come accomandigia al castaldo del conte un paio di capponi; il notaio Giovanni, vicario del conte, a suo nome promette di difendere lui e i suoi beni. (Ivi, c. 22r).

107 Ad esempio il 21 gennaio 1333 nel castello di Ganghereto, nella loggia della curia, ser Giovanni di Buto, in ragione del suo ufficio di visconte e a nome del conte, concede iure feudi in perpetuum a Bianco di Tuccio e Borgo di Dino, abitanti nel castello di Pernina, unam plateam posta nello stesso castello di Pernina, per un censo perpetuo di 2 denari da dare nel castello di Ganghereto ogni anno per la festa di S. Maria di agosto. (Ivi, c. 28r).

108 Ad esempio: l’11 dicembre 1332, nel castello di Ganghereto, alla presenza come testi di Neruccio di Ughetto di Buiano, Giovanni di Simone di Poppi, e Ugolino albergatore di Ponte a Sieve, lo stesso conte Ugo di Battifolle concede in feudo a Bandino del fu Grogno di Borgo alla Collina alcuni terreni in Ganghereto che erano possessi di Tura di Spinello di Ganghereto, fedele colono e residente del conte, confiscati a seguito della condanna contro il detto Tura, per essere stato proditore del castello di Ganghereto al tempo della visconteria di ser Bonfiglio da Poppi. Il conte promette di difendere tali terreni, e Bandino conviene di tenereli in feudo sotto il dominio e la potestà del conte, di non alienarli senza licenza, di servire per essi al conte e di dare alla curia ogni anno grano, denaro e servizi spettanti per essi, il conte conferma infine di aver ricevuto da Bandino come riconoscimento di tale concessione 4 fiorini d’oro. (Ivi, cc. 50v-52r).

109 Il 17 febbraio, 1333, nel cassero del castello di Ganghereto, presenti come testi Gherardo Barzia e Marsoppino del fu Tosingo della Tosa di Firenze, il conte Ugo, considerando i servigi resigli da Gardo del fu Dino di Lanciolina suo familiare, gli concede, iure feudi, una casa con orto posta nel borgo di Gaiole vicino alla piazza e tutti i possessi di Agostino del fu Michele di Barbischio morto senza eredi. Il conte promette di difendere Gardo e questi promette di tenere tali beni «ad servitium comitis, banna et placita persolvere, hostes et cavalcatas facere, et cetera servitia facere in denaro et grano». (Ivi, c. 30v).

110 Il 3 ottobre 1332, nel castello di Ganghereto, presenti come testi Cecco di Paganuccio di Strumi e Giovanni di Mazza di Poppi, familiari del conte, il conte Ugo di Battifolle costituisce ser Grimaldo di Dino di Lanciolina notaio, suo visconte in Romagna e suo procuratore, insieme a Bono di Cenni di Modigliana, nelle questioni che possa avere con qualunque persona o comunità in Romagna. (Ivi, cc. 7v-8v).

111 Il 7 ottobre, sempre nel castello di Ganghereto e alla presenza dei suoi familiari, Gardo di Dino di Lanciolina, Giovanni di Mazza di Poppi, Bandino di Gregno di Borgo alla Collina, il conte Ugo costituisce ser Simone di Giacomino di Ocerano suo visconte in Mugello e suo procuratore e nuncio speciale in ogni causa davanti al podestà e ai rettori di Firenze. (Ivi, c. 9r-v).

112 Il 25 marzo 1334, nel cassero del castello di Ganghereto, presenti come testi Gardo di Dino di Lanciolina e Francesco di Martinuzzo di Montemignaio, il conte Ugo fa suo procuratore prete Vieri, canonico e cappellano della pieve di S. Martino a Corella, per ogni lite che possa avere con ogni chiesa o convento davanti al vescovo di Firenze o a suo legato, e ad eleggere per ogni chiesa di cui il conte è patrono in Mugello i rettori quando esse fossero vacanti. (Ivi, c. 66r-v).

113 Il 5 gennaio 1335, nel cassero del castello di Ganghereto, presenti come testi, oltre ai soliti familiari del conte, messer Ubaldo giudice di Prato e don Ugolino pievano di Buiano, il conte Ugo concede licenza a Giovanni di Cino di Dicomano di raccogliere ed esigere «pedagium stratarum de Decomano per terra et flumina», fino ad agosto, secondo i patti e le regole a lui consegnati dalla curia; ed attesta di aver ricevuto dallo stesso Giovanni passagerio per l’anno passato 40 fiorini d’oro come prezzo fra loro convenuto. (Ivi, c. 68v).

114 Diamo un regesto dell’atto che riguarda gli uomini di Cavi. Il 21 febbraio 1333, cassero del castello di Ganghereto, presenti come testi don Giovanni pievano della pieve di Cavriglia, Marsoppino del fu Tosingo della Tosa di Firenze, maestro Feo medico di Castel S. Giovanni. Il conte Ugo di Battifolle, considerati i servizi resigli dai suoi fedeli del castello di Cavi, riguardo al fatto che essi per molto tempo avevano fatto contratti fra loro e con forestieri, comprando, vendendo e dando in dote contro la forma degli statuti del comitato, e senza aver ottenuto alcuna licenza dal conte e dalla sua curia, volendo venire loro incontro, ratifica ogni contratto fatto, purchè tali beni rimangano comunque soggetti al suo dominio e potestà. Inoltre concede loro in perpetuo il privilegio di poter distrarre possessi immobili per contrarre matrimoni e per creare doti senza dover pagare alcun salario alla curia. L’accordo è stipulato con Francesco di Lando rettore del comune del castello di Cavi, lo stesso Francesco, quindi, con sei uomini del comune, promette di stare ai mandati del conte e dei suoi eredi, di osservare gli statuti del comitato e di chiedere licenza e pagare salari e diritti della curia per i contratti futuri, esclusi quelli per accordi matrimoniali. (Ivi, c. 35r-v).

115 Il 13 marzo 1333, a Ganghereto nella loggia della curia, il conte Ugo di Battifolle da una parte, e dall’altra i soci Giovanni di messer Tedice degli Adimari e Manno dei Medici di Firenze, volendo togliere pretesto a possibili errori stipulano che Giovanni e Manno daranno e faranno vendere ai fedeli del conte le richieste staia di sale per S. 30 f.p. lo staio, da qui a due anni, e faranno sì che i detti fedeli a loro richiesta possano sempre avere altre quantità di sale a detto prezzo. (Ivi, c. 36v).

116 Ivi, c. 69v.

117 C’è un atto significativo della situazione anche nel registro di Giovanni di Buto che abbiamo preso in esame. Il 30 settembre 1332, nella loggia di Ganghereto, alla presenza come testi di don Cino pievano di Dicomano e di Piero di Niero di Poppi, il conte Alidosio figlio del defunto conte Tegrimo di Modigliana, offre di vendere al conte Ugo di Battifolle, a nome suo e dei fratelli, i loro diritti nel comitato del Pozzo, proponendo di venderli per 1700 fiorini d’oro, scontando 1000 fiorini da una precedente proposta. (Ivi, c. 7r). Sull’indebitamento dei conti Guidi e sulla scarsa rendita economica di una signoria di castello trecentesca si veda come confronto M. BICCHIERAI, Il castello di Raggiolo, cit., pp. 96-99 e pp. 116-117.

118 Che la ribellione fosse orchestrata appare chiaramente anche dal racconto di Giovanni Villani: « [...] all’entrata d’ottobre si rubellò al conte Guido, figliuolo che fu del conte Ugo da Battifolle, il castello del Terraio, e tutti i borghi di Ganghereto, e le Conie, e le Cave, e Barbischio, e Moncione del Viscontado del Chianti, per male reggimento che ‘l giovane facea a’ suoi fedeli d’opera di femmine, e ancora per sodducimento e conforto di certi grandi popolari di Firenze reggenti e nemici de’ conti. E per simile modo si rubellò Viesca in Valdarno a’ figliuoli che furono del conte Ruggeri da Doadola [...] Intanto i detti conti avendo col loro isforzo voluto racquistare le dette terre, non ebbono il podere; perocché tutte le terre del Valdarno, per mandato del nostro Comune v’andarono a soccorrere, fatto pe’ rettori di Firenze tacitamente; onde non potendo a ciò contradire, si compromisono in sei popolani di Firenze, i quali elessono i priori, e diero loro la rocca di Ganghereto in guardia del Comune di Firenze [...]» G. VILLANI, Cronica, XI, 53, citato da C. FABBRI, Statuti e riforme, cit., p. 20.

119 Per un’analisi dettagliata si veda appunto C. FABBRI, Statuti e riforme, cit., pp. 20-28.

120 Ivi, pp. 48-56.

121 Cfr. il saggio Il popolamento tra signorie territoriali e dominio fiorentino, nel volume di P. PIRILLO, Costruzione di un contado. I fiorentini e il loro territorio nel Basso Medioevo, Firenze, Le Lettere, 2001, pp. 40-53, in particolare alle pp. 45-47.

Appendice ASF, Diplomatico, Riformagioni Atti Pubblici, 1218 febbraio 22

« In nomine Domini nostri Jesu Christi. Anno tempori incarnationis millesimo ducentesimo octavodecimo. Indictione septima, octavo kalendas martii.

Nos omnes homines et singuli infrascripti de Rona silicet: Ughiccione, Donzellus, Benincasa, Ricievutus, Aiutus, Bonfiliolus, Mainettus, Davanzatus, Truffus, Benavedutus, Dinellus, Guido, Argutus, Ubertus, Bonodica, Rustickellus, Salvaterra, Rustica, Vigorosus, Salvettus et Dietisalvi et de Monacoro silicet: Luckese, Guerrieri, Recabene, Clarus, Ianninus, Orlandus, Ormuccius, Berardus et de Petroio: Bonaiutus, Iohannes, Buccus, Guido, Bonaiunta, Brunettus, magister Bonciettus, Azzus et Bonfiliolus, dicimus et protestamus et confitemus castrum de Viesca cum sua curia et districtu esse filiorum comitis Guidonis Guerre Tuscie palatini et in eorum iurisdictionem et districtu consistimus, quam ville nostre silicet de Rona et Monacoro et Petroio in curia et districtu dicti castri sunt, et castellani sumus et fuimus dicti castri, et foveas castri fodimus et facimus tempore opportuno et spicciatum et claudendam ibi facimus, et squarguaittas et guardias tempore oportuno, et hec omnia fecimus nos et antecessores nostri per triginta quinque annorum et plus. Et nos de Rona et de Petroio damus et dare debemus ipsiis filiis comitis Guidonis quattuor modios blade ad starium antiquum annuatim tam per defensionem quam per aliis servitiis; et nos de Monacoro, Orlandus et Luckese, unum starium ordei ad starium antiquum, et Ormuccius unum starium ordei ad starium antiquum, et Berardus unum par capponum. Ista debemus facere annuatim dictis filiis comitis Guidonis et dicimus et protestamus quod castellati et discastellati sumus per dictum comitem Guidonem in tribus suis castris. Neque neque nuncius eis neque Florentie neque aliquis coegit nos neque cogere debet per suo districtu et jurisdictionem et non sumus alterius districtus et iurisdictionis nisi predictorum filiorum comitis Guidonis. Que omnia vera esse profitemus et affirmamus.

Acta sunt hec in ecclesia sancti Laurentii de Rona episcopatu fesulano feliciter. »

(Marco Bicchierai)

A stampa in “Lontano dalle città. Il Valdarno di Sopra nei secoli XII-XIII. Atti del Convegno (Figline Valdarno - Montevarchi 9-11 novembre 2001)”, a cura di Giuliano Pinto e Paolo Pirillo, Roma, 2005, pp. 83-116.

© dell’autore - Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, www.retimedievali.it].

http://fermi.univr.it/rm/biblioteca/scaffale/Download/Autori_B/RM-Bicchierai-Guidi.pdf

 

 

 

 

  ing. Pierluigi Carnesecchi La Spezia anno 2003