Dove fu dipinta la Gioconda (senza punto interrogativo)
Di Paolo Piccardi
Il 14 Settembre 1499 Ludovico Sforza fuggì da Milano e si rifugiò presso l’Imperatore, con al seguito i potenti compromessi con il suo regime e che erano scampati al linciaggio dei milanesi e alle violenze proseguite fino all’arrivo in città delle truppe francesi, il 6 Ottobre.
Leonardo da Vinci, al contrario, rimase a Milano, non temendo alcuna ritorsione, essendo un artista che prestava la sua opera a chi lo pagava, compresi i francesi, che si dimostrarono subito interessati ai suo servigi. I suoi risparmi erano al sicuro presso il Monte di Firenze e poteva contare sulle rendite di una vigna e di un piccolo appezzamento di terreno donatigli dal Moro.
La fama di Leonardo era giunta anche a Luigi XII, re di Francia, che lo assoldò come artista di corte e addirittura progettò di sezionare l’Ultima Cena per poterla ricomporre in Francia, ma la stima e gli elogi non portarono in tempi brevi a concrete commesse di lavoro. Nel frattempo, i francesi si abbandonavano a violenze e saccheggi, tanto che Leonardo progettò di lasciare la città e la goccia che fece traboccare il vaso fu la vista del suo modello di cavallo per il Moro, che veniva utilizzato come bersaglio dai balestrieri.
Fatti 140 chilometri con Salai e l’amico Pacioli al seguito, Leonardo approdò a Mantova alla corte di isabella d’Este, che lo accolse con indicibile entusiasmo e lo pregò di dipingere il suo ritratto. Leonardo terminò in breve tempo il disegno a sanguigna, visibile oggi al Louvre, ma non sopportò più di due mesi la petulanza e le continue intromissioni di Isabella nel suo lavoro.
Decise così di andare a Venezia, dove il Doge Barbarigo accolse con grande favore sia lui che il Pacioli, anche perché la minaccia dell’invasione dei turchi rendeva necessarie le loro competenze per poter approntare le difese.
Purtroppo, per le più svariate ragioni, vennero bocciate tutte le geniali soluzioni elaborate da Leonardo: l’inondazione controllata per sommergere gli invasori, la costruzione di sottomarini per speronare le navi nemiche, palombari guastatori eccetera. Amareggiato, anche questa volta Leonardo decise di partire e dopo aver accarezzato l’idea di tornare a Milano per riprendere i contatti con i francesi, decise di fare ritorno a Firenze, dove trovò una città profondamente mutata dal tempo in cui l’aveva lasciata: la bufera savonaroliana aveva trasformato lo spirito della città, molti artisti avevano perduto il lavoro e solo alcuni avevano saputo risorgere, fra questi il Ghirlandaio e Filippino Lippi.
Leonardo doveva provvedere al mantenimento suo e dei suoi assistenti, ma non aveva prospettive di lavoro e non sapeva dove abitare, avendo trovato il padre nella sua casa in via Ghibellina in ristrettezze economiche, dovendo mantenere la quarta moglie, Lucrezia di Guglielmo e i suoi undici figli, di età compresa fra i due e i ventiquattro anni. Decise di rivolgersi al vecchio amico Filippino Lippi, il quale gli confidò che, in effetti, aveva ricevuto più proposte di lavoro che tempo, salute e voglia di realizzarle.
Lo accompagnò quindi al convento della SS. Annunziata ed espose ai frati le sue perplessità sulla effettiva possibilità di portare a termine la pala per l’altar maggiore, che gli avevano commissionato, proponendo al contempo di affidare tale incarico a Leonardo, il quale fu accolto con grande calore, essendo stato suo padre il notaio del convento. Gli offrirono addirittura di ospitare lui e il suo seguito a loro spese per tutto il tempo che sarebbe stato necessario per completare il dipinto.
Rimase ospite dei frati per quattro anni, ma non dipinse mai la pala d’altare. Disegnò invece il nuovo altare ad arco, realizzato in legno da Baccio d’Agnolo, che venne distrutto per fare posto al nuovo altare nel ‘700. Se ne può osservare una piccola parte del dipinto di Cristoforo Allori.
Si dedicò ai cartoni per la Battaglia d’Anghiari, al disegno preparatorio per la Vergine con S. Anna, dipinse il ritratto di Ginevra de’ Benci ed altre opere non meglio identificate. Tutti lavori che, a detta del Vasari, riscossero l’ammirazione dei tanti che andavano nelle sue stanze per ammirarli, ma che convinsero i frati che questo ospite costoso non avrebbe mai dipinto quello che loro desideravano e lo pregarono di .liberare i locali.
Il Vasari ci descrive anche con dovizia di particolari il ritratto della Gioconda, ma non colloca la sua realizzazione in una data precisa, limitandosi a scrivere che vi lavorò quattro anni, lasciandola imperfetta.
Facciamo un salto temporale: nel 2005 il prof. Armin Schlechter venne incaricato di revisionare il catalogo della biblioteca dell’Università di Heidelberg, che conservava anche un incunabolo del 1477, appartenuto ad Agostino Vespucci, cancelliere ed assistente di Niccolò Machiavelli. Si tratta della raccolta di lettere ai familiari di Cicerone, puntigliosamente annotate ai margini dal Vespucci.
Una annotazione colpì il prof. Schlechter. Era riferita a una lettera scritta nel dicembre del 54 a.C. da Cicerone all'amico Lentulo Spintere, comandante in Cilicia, che invano si era opposto al suo esilio. Nel passo in questione egli paragona il suo ritorno in patria - imperfetto perché nessuno dei cosiddetti amici si interessò per fargli restituire i beni confiscati - all'opera del pittore Apelle che soleva delineare elegantemente i tratti del volto e le parti superiori del petto lasciando il resto del corpo appena abbozzato. A margine di questo passo il Vespucci scrisse:
Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris virginis. Videbimus, quid faciet de aula magni consilii, de qua re convenit iam cum vexillifero. 1503 octobris
Traduzione: (Come) il pittore Apelle. Così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo e di Anna, la madre della Vergine. Vedremo cosa ha intenzione di fare per quanto riguarda la grande sala del Consiglio, di cui ha appena siglato un accordo con il Gonfaloniere. Ottobre 1503.
E’ accertato quindi che il dipinto della Gioconda venne realizzato in contemporanea con i cartoni per la Battaglia di Anghiari, e più precisamente nel 1503, anno nel quale Leonardo era ospite dei Serviti. Si può anche supporre che lo dipingesse nelle sue stanze nella foresteria del convento, dato che Monna Lisa frequentava la SS. Annunziata abitualmente, essendovi la Cappella dei Del Giocondo, poi passata agli Anforti, come indicato nella lapide che chiude l’accesso al locale sottostante, dove veniva sepolti i defunti.
Una recente ricognizione ha consentito di verificare che gli Anforti dimostrarono grande rispetto per i defunti della famiglia che li aveva preceduti, collocandone i resti su di un ripiano laterale e contrassegnandoli con una lapide.
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