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Personaggi
Luca di Luca di ser Filippo di Matteo di Durante Carnesecchi
1399--????
di lui sappiamo diverse cose
lo storico Carlo Carnesecchi nel suo Un fiorentino del secolo XV e le sue ricordanze domestiche,
trascrive le Ricordanze di Luca di Matteo da Panzano
Luca di Mattea da Panzano era uno dei fratelli uterini di Luca Carnesecchi
Luca unico figlio sopravvissuto di Luca di ser Filippo Carnesecchi ha due anni quando il padre muore
Viene affidato alla tutela di Giovanni di Niccolo' Carnesecchi
Tra il 1406 e il 1461, le Ricordanze di Luca di Matteo da Panzano (57) tracciano i contorni di una lunga esistenza chiaramente articolata intorno a tre poli familiari: innanzitutto, la sua casa, quella dei padri che affonda le proprie radice nel castello del Chianti di cui trae il cognome; la parentela della madre, Mattea figlia di Andrea Del Benino, andata sposa a Matteo di messer Luca da Panzano intorno al 1390; infine, la famiglia di Luca di ser Filippo Carnesecchi dove la madre entra in seconde nozze ai primi del Quattrocento. Tra il 1393 e il 1396, Mattea dà alla luce tre figli maschi, Luca, Matteo e Tommaso. Rimasta vedova nel 1399, viene presto risposata e da questa seconda unione assai effimera, nasce un unico figlio, probabilmente postumo, al quale viene dato il nome del padre, Luca. Nel 1402, infatti, Mattea è di nuovo vedova ma non si risposa più e rimane in casa del secondo marito fino alla morte nel 1440 (58). Con la madre - questa "valentissima donna"(59) di cui farà ancora l'elogio quindici anni dopo la sua scomparsa -, Luca conserva indubbiamente un legame privilegiato. Basti pensare che la redazione del suo libro inizia con il ricordo di un avvenimento decisivo di cui Mattea è l'attiva protagonista: nell'estate del 1406, infatti, è lei ad affidare personalmente la formazione professionale del suo primogenito, allora tredicenne, ai fratelli Bartolomeo e Niccolò del Benino(60). Avviato al mestiere di setaiolo come semplice apprendista, Luca lascia la bottega degli zii materni quindici anni dopo, nel gennaio 1421, per iniziare la propria avventura commerciale. Indubbiamente, i fratelli della madre non segnano soltanto la sua carriera di mercante: in occasioni importanti, Luca cerca da loro un sostegno che non sembrano offrirgli i da Panzano. Nel marzo del 1427, ad esempio, Niccolò è uno dei due arbitri chiamato a presiedere alla divisione dei beni tra Luca e i suoi due fratelli (61). Dello zio Bartolomeo, "che fu buono huomo e buono merchatante", Luca tiene a conservare la memoria dando il suo nome al suo ottavo figlio che nasce nell'agosto 1435 (62). La sua stretta vicinanza con la madre (63) fa sì che Luca sia anche molto legato al suo omonimo "fratello di ventre" di cui frequenta assiduamente la casa (64). Si intuisce la loro complice fratellanza, ma anche il ruolo di guida del fratello maggiore, quando per ben due volte entrambi si recano nel convento di Santa Croce per consegnare ad un notaio le loro ultime volontà (65). Un legame forte, il loro, - molto più appariscente nelle Ricordanze di quello che unisce Luca ai due fratelli "di sangue" - e che si traduce in significativi segni di affetto e di fiducia (66). Nel testamento del 1428, il Carnesecchi dona "più lasciti e condizione e fiorini 500"67 al fratellastro mentre, sei anni dopo, nomina addirittura eredi sostitutivi i figli di Luca da Panzano in caso di interruzione della sua discendenza diretta, prospettando una possibile (con)fusione patrimoniale del tutto estranea alla logica successoria fiorentina (68). Entrambi i testamenti del 1434 tradiscono l'affettuosa preoccupazione per la sicurezza materiale della madre se dovesse sopravvivere loro: usufruttuaria dei beni di Luca Carnesecchi, Mattea potrebbe anche contare su "gli alimenti e vestire di lei durante la vita sua" ma addirittura sulla tornata nella casa dei da Panzano (69). Ora è proprio in questa casa, in cui era entrata come sposa cinquant'anni prima, che Mattea muore il 20 maggio 1440: nella notte, Luca da Panzano vi raduna quarantasei preti per la veglia funebre e l'indomani mattina organizza i solenni funerali nella chiesa di Santa Maria Maggiore dove la madre voleva essere sepolta, "nell'avello di Lucha Charnesechi suo hultimo marito"(70). La morte di Mattea che abolisce i confini materiali e simbolici tra le due case in cui era successivamente entrata come sposa diventa così paradigmatica della complessità dei legami multipli e della capacità di ricomposizione familiare di una donna risposata; ma anche la sua successione smentisce un modello familiare incentrato esclusivamente sui vincoli patrilineari. Dell'unico testamento di Mattea, dettato nel 1400 sui consigli dei suoi fratelli quando, giovane vedova, si era rifugiata con loro a San Gimignano per fuggire la peste, Luca da Panzano aveva già sentito parlare nel lontano 1407. Quest'atto che - secondo i "dottori" - era stato invalidato dalle seconde nozze della madre (71), sembra tuttavia aver ritrovato la sua legittimità con la morte del secondo marito. Certo, a quell'epoca, Mattea aveva solo tre figli nati dalla sua unione con Matteo da Panzano ma il formulario notarile prevedeva che sia questi sia gli eventuali nascituri fossero istituiti eredi universali (72). Quarant'anni dopo, Luca Carnesecchi divide pacificamente l'eredità materna con i tre fratellastri Luca, Tommaso e Matteo da Panzano, onorando così lo spirito di comunione familiare che aveva animato la lunga esistenza della madre (73)
57 ASF, Carte strozziane, II serie, 9. 58 Alla morte della madre, Luca da Panzano precisa "era istata in casa di Lucha Charnesechi vedova dal 1402 al 1440, 38 anni"(ASF, Carte strozziane, II serie, 9, c. 181v). 59 Ibid., c. 181v. 60 "A dì detto [9 agosto 1406], istando per istanza cho' monna Mattea mia madre e figliuola che ffu d'Andrea Del Benino ne la chasa di Lucha di ser Filippo Charnesecchi, il quale al presente è morto e fu marito di monna Matteo detta, ella mi pose a stare a bottegha chon Bartolomeo e Niccholò d'Andrea Del Benino e con Antonio di Sengna Fei a l'arte e mistiero della seta a salaro" (Carte strozziane, II serie, 9, c. 2r). 61 Ibid., cc. 99r-v 62 Ibid., c. 90v. 63 Tra il 1414 e il 1431, Luca è a più riprese procuratore della madre; è lui ad aiutarla nell'amministrazione delle sue proprietà, nella contabilità dei suoi catasti e, all'occorrenza, ad anticipargli il denaro necessario per pagare le tasse (Carte strozziane, II serie, 9, cc. 3v, 42v, 63r, 72v). 64 La madre del figlio illegittimo che nasce nel 1423 non è altra che "Andrea, donna di Francesco di Chasentino e fante alora di Lucha Carnesecchi mio fratello di ventre" (Carte strozziane, II serie, 9, c. 22r). 65 Ibid., c. 45r (7 agosto 1428); c. 85r (6 settembre 1434). Per i testamenti rogati nel 1434, cfr: ASF, Notarile antecosimiano, 2546, cc. 265r-v (Luca Carnesecchi); cc. 266r-267r (Luca da Panzano). 66 Nel gennaio del 1461, Luca allora settantenne, dedica uno dei suoi ultimi ricordi alla morte del fratellastro (Carte strozziane, II serie, 9, c. 220r) mentre non aveva annunciato la scomparsa del fratello Matteo, avvenuta tra il 1440 e il 1449, di cui si ha una notizia indiretta nel suo terzo testamento rogato il 2 luglio 1449 (ibid., cc. 143r-144r). 67 Ibid., 9, c. 45r. 68 ASF, Notarile antecosimiano, 2546, cc. 265r-v. 69 Ibid., cc. 266r-267r. 70 "Richordo chome questo dì monna Mattea mia madre morì ... in chasa mia ne la via del'Anghuillaio... E non fe' niuno testamento. E' vero che lei molte volte disse volere che dopo lei si dessi f. 50 alla Compagnia de' Preti di San Ghallo ché ongn'anno diciessono una volta uno uficio in Santa Maria Maggiore dove la sepelimo nel'avello di Lucha Charnesecchi suo hultimo marito" (Carte strozziane, II serie, 9, c. 104v). 71 Il 2 febbraio del 1407, Luca riferisce una conversazione avuta, il giorno stesso, con la madre nella quale lei stessa evocava questo testamento "il quale il detto Ghoro [Del Benino] a llei fè fare", e ne riassume il tenore "sechondo ella dicie". Più tardi, forse dopo la morte della madre, ne verifica l'esistenza [cfr. infra, nota 71] e aggiunge quest'altro ricordo: "Fu vero detto testamento e perché llei si rimaritò di poi ebbe fatto detto testamento, dissono dottori che non valea nulla ed era cassa come n'andò a marito, e così per gli statuti [è] chiaro" (ibid., 9, c. 2v). 72 Il primo dicembre 1440, pochi mesi dopo la morte di Mattea, Francesco Del Benino rintraccia l'atto nell'archivio familiare e ne dà lettura al cugino Luca da Panzano; insieme concludono che: "detto testamento sie nulla perché di poi tolse altro marito ed ebbene figliuoli che oggi anchora vivono; e avendo detto in sul testamento lasciasse reda i figliuoli o che l'avesse per ughale parte, si dicie valeva perché di poi tolto il nuovo marito rimase vedova" (ibid., 9, c. 106r). 73 Ibid., c. 105v-107r.
tratto da : Isabelle Chabot Seconde nozze e identità materna a Firenze tra Tre e Quattrocento [A stampa in Tempi e spazi della vita femminile nella prima età moderna, a cura di S. Seidel Menchi, A. Jacobson Schutte, T. Kuehn, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 493-523 (Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento; quaderni 51) - Distribuito in formato digitale da "Reti Medievali"]
La proprieta' di Sesto fiorentino
Archivio storico italiano - Pagina 148
di Deputazione toscana di storia patria - 1842
Nell'agosto del 1400 madonna Mattea, che seco nelle dei Carnesecchi a ... E prima
fu, colla madre, a San Martino a Sesto nella villetta dei Carnesecchi, ...
Alle notizie ricavate dalle Ricordanze di Luca di Matteo da Panzano possiamo aggiungere i dati del catasto
Nel catasto del 1427 figurano :
nome |
Eta' |
Bocche |
Tassato per fiorini |
mestiere |
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Giovanni di Niccolo di Matteo di Durante |
anni 66 |
bocche 3 |
fiorini 1496 |
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Zebaina di Zanobi di Berto di Grazino di Durante |
anni 64 |
bocche 1 |
fiorini 800 |
|
Mattea di Luca di ser Filippo di Matteo di Durante |
anni 55 |
bocche 1 |
fiorini 1311 |
|
Berto di Zanobi di Berto di Grazino di Durante |
anni 44 |
bocche 5 |
fiorini 4675 |
|
Simone di Paolo di Berto di Grazino di Durante |
anni 36 |
bocche 6 |
fiorini 10346 |
Lanaiolo |
Manetto di Zanobi di Berto di Grazino di Durante |
anni 31 |
bocche 2 |
fiorini 3135 |
|
Luca di Luca di ser Filippo di Matteo di Durante |
anni 28 |
bocche 4 |
fiorini 9592 |
|
Bernardo di Cristofano di Berto di Grazino di Durante |
anni 29 |
bocche 4 |
fiorini 10961 |
Cambiatore |
Registro 79, Bob. 146 pag. 295
S. Giovanni, Gonfalone Drago
Luca di Luca di Messer Filippo Carnesecchi
2 case in S. Maria Maggiore
1 casa in S. Maria Novella
24 poderi a Ostina, lega
di CasciaDeve ancora fare i conti con Giovanni Carnesecchi, ex suo tutore
Bocche:
Luca a. 28
Ghita sua donna a. 22
Piera a. 4
Andrea a. 2
Somma sustanze attive f. 9.591
Famiglie fiorentine e loro possessi a Cascia nel 1427
Articolo della dottoressa Valentina Cimarri Calussi
Fin dalla fine del secolo XIII alcune importanti famiglie fiorentine giocarono un ruolo fondamentale nelle vicende politiche, economiche e sociali del plebato di Cascia. All'inizio del Quattrocento, quando la popolazione del luogo era ancora concentrata negli insediamenti di mezzacosta e nei fertili piani di sedimentazione fluvio-lacustre prospicienti il torrente Resco, il piano di Cascia ospitava i nuclei abitativi di maggiore consistenza ed accanto ad abitati ed a castelli ancora fortificati, i fiorentini avevano impiantato numerose case sparse sul territorio sedi di altrettanti poderi gestiti a mezzadria.
In base alle portate del Catasto nel 1427 è possibile affermare che la zona circostante l'abitato di Cascia avesse, ed ancora nel 1512, un indice di appoderamento medio-basso, con una punta percentuale massima per il popolo di S. Andrea a Cascia (73) ed una minima per quello di S. Michele a Caselli (0). Se confrontiamo il valore medio calcolato per il Valdarno superiore, 68, con quello del plebato di Cascia, 54, ci rendiamo conto in effetti come l'area dovesse essere, per quanto concerne l'impianto di strutture su podere, in una situazione di marginalità. Inoltre, fatta eccezione per i poderi di proprietà cittadina, i valori catastali e l'uso nelle portate di diminutivi - poderetto, poderuzzo - dimostrano che si trattava di entità medio-piccole più frequentemente appellate come casa con terra d'intorno. In molti casi i poderi erano costituiti da pezzi di terra diversamente dislocati a seconda della natura e del grado di fertilità del suolo; non è infrequente infatti che gli appezzamenti pertinenti un unico podere si trovassero ubicati in popoli diversi, come è verificabile ad esempio per i possessi di Luca di Luca Carnesecchi. D'altro canto anche la proprietà strettamente comitatina risultava essere molto parcellizzata e legata ad una struttura agraria parzialmente arcaica confermata anche dalla concentrazione degli abitanti nei villaggi di mezzacosta. Per quanto concerne poi la situazione patrimoniale le classi bassa e media costituivano quelle numericamente maggiori (54,6% e 26,3%); il 14,6% era rappresentato da miserabili mentre pochissimi (4,5%) erano gli agiati. In genere nelle prime due classi fiscali possono essere comprese le varie categorie dei coltivatori dipendenti - dai mezzadri agli affittuari fino ai braccianti ed ai salariati - mentre le due classi più alte tendono a coincidere con i coltivatori proprietari e gli artigiani. D'altra parte va ricordato che in questo contesto statistico non compare la categoria più ragguardevole dal punto di vista del censo, quella dei proprietari cittadini, accatastati in città in quanto residenti a Firenze. I poderi ad alta rendita catastale, concentrati nel fertile piano di Cascia, nei popoli di S. Andrea, S. Siro e S. Tommaso e nel fondovalle tra Ruota e Cetina, appartenevano infatti esclusivamente a cittadini, mentre nell'area pedemontana erano ubicati i beni dei piccoli proprietari.
Questa situazione non era solo dovuta a particolari condizioni del suolo, dove toponimi come Cetina testimoniavano recenti messe a coltura e bonifiche sull'Arno, ma anche alla prossimità delle arterie stradali di fondovalle che irradiavano da Firenze e polarizzavano nelle vicinanze della città beni e insediamenti. Questo estendersi a macchia d'olio dei possessi cittadini nel contado intorno a Firenze, pose Cascia ed i suoi popoli in un'area di confine dove, accanto alla frammentazione dei possessi, si aveva una scarsa penetrazione cittadina nelle aree pedemontane ed una arretratezza di circa un secolo, nello sviluppo della mezzadria.
Prendiamo a titolo di esempio il caso del popolo di S. Michele a Caselli dove nel 1512 non era segnalato alcun podere di valore catastale. Dalle stime di Conti, il popolo di Caselli risultava avere l'imponibile medio, per nucleo familiare, più alto di tutto il piviere di Cascia (84), un numero elevato se si pensa alla media del plebato ferma su 50 fiorini. Ed infatti su quattordici nuclei familiari solo uno era miserabile, sei poveri, cinque mediani e due agiati, constatando di fatto che la metà della popolazione risultava di livello medio-alto. Viene da sè che tutti i beni situati nel popolo di S. Michele a Caselli fossero di proprietà comitatina, come è risultato dallo spoglio delle portate del popolo, discordando decisamente dai dati medi che vedevano la proprietà cittadina penetrata in Valdarno superiore del 61%. La situazione di Caselli dimostra infatti un processo di sviluppo ben diverso in aree che, sebbene fertili e produttive, occupavano posizioni marginali rispetto alla città. A confermare l'affermazione il fatto che i popoli più prossimi al fondovalle, come S. Andrea a Cascia, presentassero una situazione diversa. Infatti, come abbiamo detto, vi si concentravano le proprietà cittadine e l'indice di appoderamento era abbastanza alto rispetto alla media del piviere. Le terre localizzabili nel popolo di Caselli erano, in prevalenza, nel 1427, di proprietà dei Landini e dei discendenti dei Bastardi da Castiglione, signori del castello di Poggio alla Regina. Ed infatti i due agiati segnalati da Conti in questo popolo erano Bartolomea di Geri di Iacopo dei Bastardi e Pace e Stefano di Landino. L'analisi della portata catastale di donna Bartolomea ci permette di vedere e descrivere una struttura agraria parcellizzata composta da più pezzi di terra pertinenti ad un'unica abitazione, dislocati in luoghi diversi, ma di consistente valore catastale: centoventotto fiorini. La presenza di un lavoratore, Meo di Simone, nominato nel documento, fa pensare ad una conduzione molto vicina a quella di tipo poderale anche se non siamo in presenza di un nucleo compatto di possessi attorno alla casa che era inoltre solo per metà della stessa proprietaria e non era abitata da mezzadri. Molto superiori invece i valori catastali dei poderi appartenenti a cittadini; uno dei poderi di Cascia di Bindo d'Andrea dei Bardi era stimato duecento quarantasette fiorini, mentre quelli in Piano di Bernardo e Vieri di Bartolo di Bindo dei Bardi, settecentottantasei e duecentoventicinque fiorini, e uno al Borgo duecentonovantacinque. Gi stessi valori catastali sono riscontrabili nei poderi dei Carnesecchi, Foraboschi e Castellani. Uno dei poderi di Bartolomeo di Baldassarre Foraboschi, nel popolo di S. Andrea a Cascia era stimato quattrocentosessantasei fiorini; un altro al Borgo duecentotrettantasette; il podere dove la famiglia di Bartolomeo abitava, con casa da signore, nel popolo di S. Lorenzo a Cascia, duecentocinquanta fiorini; simile valore (duecentotredici fiorini) per un podere con casa da signore sulla piazza di San Lorenzo a Cascia appartenuto a Nora di Gherardo Foraboschi.
E' probabile che questa tendenza dipendesse anche dalla presenza sul territorio del plebato di Cascia dell'associazione comunitaria dei 'Quattro Popoli' costituita dal consorzio di piccoli proprietari; questa communitas nacque probabilmente con lo scopo precipuo di tutelare gli interessi dei piccoli allodieri presenti forse in numero elevato fin dal XIII secolo. Inoltre la stessa conformazione prevalentemente montana del territorio non deve aver favorito l'impianto di strutture poderali, ma la persistenza di piccole parcelle divise fra diversi proprietari. C'è però una tendenza che si può evidenziare: i beni dei comitatini di fascia medio-povera sono localizzabili prevalentemente in montagna e rappresentati da terra boscata e pastura, mentre cittadini e nobili del contado prediligono le aree di mezzavalle più fertili e popolose, dove, nella prima metà del Quattrocento, si registra un certo popolamento a case sparse.
Le principali attività economiche ed i poderi ubicati nelle zone più fertili erano di proprietà di famiglie fiorentine almeno fin dalla seconda metà del XIV secolo, quando Cascia, non più zona di confine tra i contadi di Firenze ed Arezzo, aveva raggiunto una certa tranquillità territoriale.
I beni più strettamente circostanti la pieve, tra questa ed il fondovalle, in direzione di San Giovenale a sud-est ed in direzione delle Serre a sud-ovest erano concentrati nelle mani di sei famiglie, residenti in città: Foraboschi, Carnesecchi, Bardi, Castellani, Strozzi ed Altoviti.La situazione patrimoniale è il risultato di una cristallizzazione dei possessi innescatasi nel secolo precedente - e di cui sono testimonianza numerosi registri di imbreviature notarili - che vedeva poderi ed appezzamenti di terra passare di padre in figlio senza sostanziali modificazioni o smembramenti. Ne sono un esempio i beni degli stessi Castellani. Le compere effettuate da Vanni di Lotto Castellani alla metà del XIV secolo ed incrementate dal figlio Michele, a partire dagli anni 60, concentrate nel popolo di San Vito all'Incisa e lungo il corso dell'Arno tra Ruota e Cetina, sono riscontrabili nei possessi dei figli e dei nipoti. La torre dei Bandinelli, sull'Arno, di fronte al castello di Incisa, viene acquistata nel 1367 da Michele di Vanni Castellani per 1320 fiorini; nel 1427 la troviamo registrata nel campione di Giovanni di Michele come casa posta sopra il ponte di Lancisa luogho detto la torre Bandinello. Nel 1364 lo stesso Michele acquista un podere a Panicale, nella corte di San Giovanni, per 75 fiorini, nel 1378 vi acquista una casa; podere e casa sono registrati, nel 1429, tra i beni di Francesco e Margherita, pupilli di Matteo di Michele di Vanni Castellani deceduto in quell'anno. Negli stessi anni Michele Castellani acquista da Jacopa di Bartolomeo Foraboschi alcuni beni alle Serre, tra i quali un podere; tra i beni di Matteo di Michele nel campione del Catasto è registrato un podere alle Serre l.d. Chasaccio a I Gerozzo de' Bardi, a II rede di Casciano, a III rede di Baldassarre Foraboschi. Dal documento risulta che, come i beni di Michele erano passati al figlio Matteo così quelli confinanti di Jacopa Foraboschi erano passati al figlio Baldassarre e pervenuti infine nelle mani del nipote ser Bartolomeo di Baldassarre. Le stesse considerazioni possono essere fatte per i beni di piccoli proprietari locali. Il campione registrava tra i confinanti un tale erede di Casciano; di fatto un tale Casciano da Cascia è più volte citato tra i proprietari di beni confinanti quelli acquisiti dai Castellani nella zona di Cascia nella seconda metà del XIV secolo. Inoltre Filippo di Stefano Casciani - dal nome del nonno era derivato probabilmente un cognome - allibrato e residente in Firenze possedeva ancora nel 1427 due poderi in Chiesimone, presso le Serre ed un podere a Cavallaia confinante con i beni di Giovanni di Simone Altoviti. Tra i suoi beni Giovanni Altoviti registra un podere alle Serre l. d. Chiesimone, con casa da signore e da lavoratore che fu di Casciano a I Chiesimone, a II Casciani, a II Landino di Chele, a IV Gerozzo Bardi, a V Foraboschi; pertanto una parte dei beni di Casciano erano passati agli eredi ed una parte, almeno un podere, risultano essere stati alienati.
Queste consolidate linee di tendenza radicalizzate poi ulteriormente nei decenni successivi del Quattrocento - ne è testimonianza il catasto del 1479 - ci permettono di affermare che dalla situazione patrimoniale registrabile nel Catasto del '27 non differisse sostanzialmente quella solo ipotizzabile per il 1422 se non per passaggi di proprietà interni ai nuclei familiari. Senza dubbio la stessa fu la struttura della società locale nella quale il Trittico fu accolto.
A tale proposito vediamo adesso più da vicino la divisione dei possessi fondiari ubicati a San Giovenale (fig. 1). Nel 1422 la chiesa di San Giovenale era annessa a quella di San Tommè ad Ostina e gli abitanti del luogo facevano pertanto parte del popolo di San Tommè che nel 1427 contava 43 fuochi e 213 abitanti. Tra queste famiglie solamente due, quella di Donato di Giovanni e quella di Antonio di Biagio detto Righatto, erano residenti nel luogo detto a San Giovenale. Donato di Giovanni da San Giovenale possedeva una chasa chon due peççi di terra, uno peçço avignata e l'altra lavoratìa posto in luogho detto a San Giovenale chonfinata da primo via, da sicondo Mariano di Stefano forbiciaio, da terço Baldo di Bartolomeo, da quarto Antonio di Cristofano, da quinto Piero di Nuto; rende l'anno una soma di vino e dieci staia di grano e uno quarto orcio d'olio. Anche Rigatto possedeva una chasa nella quale habita pro non divisa posta nel popolo di San Tommè d'Ostina luogho detto San Giovenale cui a primo e secondo via, a iii Monna Gloria donna che ffu di Cristofano di Bartolomeo Rinuççi et iiij <beni> di Domenico di Sandro. I confinanti di Donato e Rigatto non risultano essere residenti a San Giovenale. Solo due sono rintracciabili: Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo di ser Baldo entrambi allibrati e residenti in città.
Mariano di Stefano era forbiciaio a Firenze, ma con molta probabilità originario del popolo di San Tommè d'Ostina;
infatti, oltre ad un podere con casa da lavoratore ed un pezzo di pastura ubicati a Santa Tea ed un podere a Mercatale, nel popolo di Sant'Andrea a Cascia, tra l'altro confinato con i beni di Vieri di Bartolomeo de' Bardi, egli possiede ben tre poderi nel popolo di San Tommè. Due sono ubicati sul torrente Resco e caratterizzati dalla presenza di una casa da lavoratore e pezzi di castagneto; il terzo, sebbene non sia specificato, potrebbe essere quello di San Giovenale valutato 128 fiorini. Questi beni permettono a Mariano un discreto tenore di vita tanto che può permettersi di mantenere non solo la famiglia nucleare - composta da monna Nanna e da due bambine piccole Nese e Maria - ma anche sua madre Nicolosa e due cugine in età da marito Nanna e Sandra. Ha inoltre un buon numero di debitori che distinge in buoni e cattivi, sia fiorentini che cascesi.Baldo di Bartolomeo di ser Baldo, di anni 36, possedeva a San Giovenale la casa avita: una chasa posta nella legha di Cascia popolo di San Tommè d'Ostina piviere di Cascia luogho detto a San Giovenale chon più masserizie per suo uso. La proprietà, stimata 212 fiorini, comprendeva anche più pezzi di terra ubicati ibi prope. Oltre alla moglie Checha e a cinque figli, Baldo manteneva la madre Maddalena e la nonna Nicolosa. Il marito di Nicolosa, ser Baldo, omonimo del nipote, aveva rogato su questo territorio alla fine degli anni '60 del XIV secolo ed era peraltro uno dei notai che curarono gli acquisti di Michele di Vanni Castellani in quest'area del contado.
Tra i confinanti di ser Baldo si trovava Simone di Vanni, nipote di Michele Castellani che possedeva a San Giovenale un podere con casa da signore e da lavoratore, forno e aia composto da vigne, boschi e terre lavoratìe per 80 staia secondo i seguenti confini: da I via, da II Cristoforo di Michele, da III e IV Baldo di ser Bartolomeo di ser Baldo. Questa proprietà, registrata al Catasto per mano del fratello Jacopo, insieme ad altri beni ubicati alla destra dell'Arno, ed al patronato della chiesa di San Giovenale - come specificato nella visita pastorale del vescovo Benozzo Federighi del 1436 - era pervenuta a Simone Castellani nel 1422 in seguito alla morte del padre Vanni (fig. 2 e 3).
Il podere ubicato invece sulla sinistra è registrato tra i beni della chiesa di San Giovenale (fig. 4): si tratta di un podere al lato della chiesa di staiora diciotto di terra tra buone e chattive con poche viti e pochi ulivi confinato a I via, a II rede di Domenico di Sandro, a III Manno di Giovanale, a IV rede di Berto Carnesecchi. Quest'ultima porzione è, con ogni probabilità, uno dei quattro pezzi di terra, registrati nel 1427 nel campione dei beni di Simone, Giovanni ed Antonio di Paolo di Berto Carnesecchi, uniti al podere con casa da lavoratore che i tre fratelli possedevano lì vicino, ma alla destra del torrente Resco nel popolo della pieve di Cascia, ad Olena.
A San Giovenale possedeva inoltre un altro membro di questa famiglia, Giovanni di Niccolò di Matteo Carnesecchi. Quattro dei suoi poderi sono localizzati nel popolo di San Tommè a Ostina, uno propriamente ad Ostina, due in Pianuglia ed uno a San Giovenale secondo i seguenti confini: a I Antonio di Biagio, a II rede di Domenico di Sandro, a III torrente Pilano, a IV rede di Biagio Tuglini.
Questa era la situazione patrimoniale dell'area circostante la chiesa di San Giovenale a cavallo del terzo decennio del Quattrocento. La presenza tra i proprietari terrieri del luogo di membri di due famiglie fiorentine - i Castellani ed i Carnesecchi - ci permette di introdurre a questo punto una veloce ricognizione sull'incidenza della proprietà cittadina e di verificare, all'interno del plebato di Cascia, quali siano state le aree da questi maggiormente colonizzate.
Per quanto concerne i figli dell'erede di Berto Carnesecchi questi avevano altri due poderi nella zona di Cascia ubicati nel popolo di San Siro: al Crocicchio, con alcuni pezzi di terra dislocati nel popolo di San Tommè ad Ostina ed a Scarpuccia dove, oltre alla casa da lavoratore, possedevano una casa da signore per i loro trasferimenti in contado. A San Siro, lungo la via, si trovavano alcuni pezzi di terra lavoratìa di Manetto di Zanobi Carnesecchi ed un podere, in località Chasciano, di Bernardo di Cristoforo Carnesecchi.
La fetta più consistente dei possessi familiari era però nelle mani di
Luca di Luca Carnesecchi con appezzamenti di terra e vari poderi nei popoli di San Tommè d'Ostina, San Siro, Sant'Andrea e San Pietro a Cascia. Una chasa chon un peçço di vigna posta nel popolo di San Tommè d'Ostina legha di Chascia Valdarno di sopra a i e ij via a iij il detto Lucha a iiij la detta chiesa e in parte rede di Domenico di Sandro (...); un podere a San Seri luogo detto la Chasa Nuova con casa da lavoratore, confinato con i beni degli eredi di Paolo di Berto Carnesecchi, comprensivo di un pezzo di terra a Lischeto, nel popolo d' Ostina, circondato dalle proprietà dei figli di Paolo, di Giovanni di Niccolò Carnesecchi e di Piero e Lapo del Tovaglia, due bottegai di San Niccolò i cui beni in contado erano concetrati nel popolo di San Bartolomeo del castello di Viesca del quale erano forse originari. Nel popolo di San Tommè Luca possedeva inoltre un podere con più pezzi di terra ad altissimo valore catastale, 398 fiorini (fig. 5); un podere ad Ostina con casa da lavoratore ed aia; un podere a Tramboresco con pezzi di terra sconfinanti nel vicino popolo di santa Maria a Faella; un pezzo di terra a Barberino ed uno a Pianuglia. Nel popolo di San Siro invece aveva una casa a San Siro, sulla strada, con vari pezzi di terra, due poderi ed un poderetto in Pian San Giovanni confinati con i beni dei suoi parenti. Al Poggio possedeva un podere confinante con i beni di Gerozzo de' Bardi, mentre un podere ubicato nel fondovalle, nelle Vallenibbi, era compreso tra un fossato ed i beni dell'erede di Baldassarre Foraboschi. Con i Foraboschi e con gli eredi di un tal Vieri pollaiolo, confinavano alcuni pezzi di terra ubicati a Morcignano nel popolo di Sant'Andrea a Cascia pertinenti un podere al Borgo di Cascia. Inoltre all'interno di questa circoscrizione Luca Carnesecchi possedeva una vigna nelle coste del castello vecchio di Cascia, ubicata lungo il fossato della struttura difensiva, ed una casa che stava per cadere sulla piazza comunale di quest'ultimo insediamento, sulla quale si affacciavano anche alcuni edifici di proprietà di Antonio di Niccolò Castellani i cui avi erano nativi del castello. Nel popolo della pieve aveva tre pezzi di terra ad Olena ed uno alla Casella, presso Cocollo, circondato da vie e adiacente gli appezzamenti di terra che donna Bartolomea di Geri dei Bastardi da Castiglione - sopra ricordata - aveva ereditato dalla famiglia del marito. Un parente di Bartolomea, Pandolfo, allibrato come nobile del contado, ma decaduto, inoltre era stato molti anni, per debiti, lontano dal contado di Firenze e aveva svolto l'attività di albergatore ad Incisa, presso l'albergo di Niccolò di Michele Castellani, chasa atta albergho colloggia e stalla dirimpitto che, nel 1427, rendeva al figlio di quest'ultimo, Antonio, oltre 285 fiorini.Principalmente ad Incisa, Cascia e nei popoli di San Miniato alle Serre e Santo Stefano a Cetina Vecchia - dove è tuttora ubicata la fortezza che da loro prese il nome - i Castellani avevano la concentrazione dei loro possessi in contado. Gli esponenti della casata con gli interessi più consistenti nella zona erano Antonio di Niccolò di Michele Castellani, Messer Matteo di Michele di Vanni Castellani (deceduti il primo nel '27 ed il secondo nel '29) ed i sopra ricordati Giovanni di Michele di Vanni, fratello di Matteo, e Simone e Jacopo di Vanni.
I beni di Giovanni di Michele, allibrato per 3152 fiorini, rappresentati in prevalenza da poderi, erano ubicati tra Cetina, Ruota, Cancelli e Leccio; nell'area che più strettamente ci interessa Giovanni possedeva un pezzo di castagneto nell'Alpe di Cascia nel popolo di San Martino a Pontifogno. Simone e Jacopo oltre al podere di San Giovenale ne avevano altri in Pian di Tegna, a Magnale, ad Altomena e a Cetina. Antonio invece, allibrato con un imponibile di 2247 fiorini, possedeva un podere nel popolo di San Tommè d'Ostina in luogo detto Rio di Luco confinato con le rede di Matteo de' Bardi.
Sebbene anche questi membri della famiglia fossero a buon diritto nell'élite cittadina, Messer Matteo di Michele era il più ricco ed il più influente politicamente, con un imponibile di 14034 fiorini, in parte derivati anche dalle rendite di alcuni poderi cascesi. Per la maggior parte concentrati alle Serre, Messer Matteo aveva un podere a Mercatale, nel popolo di Sant'Andrea - frutto di un acquisto effettuato da suo padre nel 1377 - stimato 198 fiorini così confinato: a I via, a II Vanni d'Agnolo da Cascia, a III Simone de' Bardi, a IV Stefano di Niccolò Donati, Miniato di Matteo e Michele d'Agnolo, a V Pagholo e Lucha Carnesecchi. I confini descritti sono peraltro riscontrabili anche nel campione di Stefano di Niccolò Donati purgatore fiorentino. I beni di Matteo ubicati alle Serre erano contigui ad alcuni possessi del più influente fiorentino dell'epoca, allibrato per ben 101422 fiorini: messer Palla di Noferi Strozzi titolare in quest'area di tre poderi con case da lavoratore a Viesca e di tre poderi con case da lavoratore e palagio disfatto a Prulli, stimato 1097 fiorini.
Per concludere il quadro delle famiglie fiorentine interessate dal punto di vista fondiario alla zona, ai poderi di Carnesecchi, Castellani e Strozzi bisogna aggiungere quelli di Foraboschi e Bardi.
La famiglia dei Foraboschi, discendente dagli Ormanni, appartenuta tra XII e XIII secolo all'aristocrazia consolare, era, dopo il 1282, ma già nel periodo guelfo, in fase di declino principalmente a causa del suo mancato inserimento nell'influente mondo delle Arti maggiori; nei primi anni del Quattrocento l'esponente più in vista della casata, messer Bartolomeo di Baldassarre, aveva nella zona di Cascia - con i fratelli Ormanno e Bonsignore - tutti i suoi possessi - pezzi di terra e poderi - sebbene il patrimonio fosse stato indebolito, a partire dal secolo precedente, con alcune vendite fatte ai Castellani, come ho già avuto modo di precisare. Secondo quanto risulta dalla denuncia catastale abitavano per buona parte dell'anno in contado dove si dilettavano a seguire personalmente le attività e le rendite dei loro poderi non disdegnando i lavori manuali. Il podere principale, stimato 250 fiorini, con casa da signore dove habitiamo e con una colombaia (fig. 6) - che sappiamo fornire 50 paia di colombi domestici l'anno - era ubicato nel popolo di San Lorenzo a Cascia e confinato con la via e con i beni di monna Nora di Gherardo Foraboschi proprietaria di un podere con casa da signore sulla piazza di San Lorenzo a Cascia (fig. 7). Degli altri undici poderi di messer Bartolomeo quattro erano ubicati nel popolo di San Miniato alle Serre; due nel popolo di Sant'Andrea, al Borgo, con case da lavoratore; due a Cancelli; uno ad Incisa; uno in Pian San Giovanni presso la chiesa di San Siro; uno a Santa Tea con casa da lavoratore. Avevano inoltre un mulino sul Resco presso Viesca, due case triste, date a pigione, nel castello vecchio di Cascia e due fattoi da olio: uno a Cancelli ed uno a Caselli (fig. 8) nel popolo della pieve già documentato nel 1342. La coltivazione dell'olivo era in questi anni in forte incremento; Bartolomeo stesso l'aveva incentivata nei suoi possessi, specialmente lungo il Borro di Socini, nel podere di Santa Tea che risulta caratterizzato dalla presenza di alquanti ulivi. A questo tipo di attività i Foraboschi aggiungevano terre da pastura, ubicate nel popolo di San Niccolò a Forli, e terre boscate sul Pratomagno. Un altro aspetto importante dell'economia locale quattrocentesca era costituito infatti dai prodotti montani; le terre ubicate sul Pratomagno erano in parte destinate alla pastura, in parte terrazzate e coltivate a segale, ma principalmente tenute a castagni sia da palina che da frutto. Le castagne seccate e macinate erano impiegate nella panificazione, o consumate fresche, lessate e arrostite; inoltre sia le castagne che la farina erano commercializzate sui mercati o scambiate con farina da pane bianco che difficilmente si produceva nelle zone montane. Il castagno era poi utilizzato come materiale da costruzione, per la legna, una parte dei castagneti infatti era tenuta a ceduo, e per il carbone prodotto da epoca imprecisabile sulle pendici di Massa Nera.
Tutto questo avevano ben compreso Bernardo e Vieri di Bartolo di Messer Bindo de' Bardi che possedevano un sedicesimo dell'Alpe di Cascia ubicato lungo il crinale e delimitato dal torrente Resco, unito a quattro grossi poderi situati nel fertilissimo piano di Cascia: uno in Piano, lungo la via che portava alla pieve lavorato da un tale Luca con i suoi figli, un tempo residenti nel castello di Cascia dove possedevano la casa; uno al Borgo; uno a Santa Tea ed uno alla Torre in Piano con più pezzi di terra, stimato oltre settecento fiorini, del quale si conserva la bellissima casa da signore (fig. 9), lavorato da Pagolo d'Andrea di Durante del popolo di Caselli. Sebbene Bernardo e Vieri avessero i beni più cospicui, altri membri della famiglia erano proprietari di poderi a Cascia. Bindo d'Andrea di messer Bindo de' Bardi aveva un podere a Cascia con casa da lavoratore, terra vignata e ulivata, stimato 246 fiorini confinante con il Borro di Socini ed i beni della pieve; un podere con casa da lavoratore nel popolo di Sant'Andrea, sulla piazza del Borgo, unito a più pezzi di terra a Mercatale e fornito di un casolare disfatto e di un fornello da mattoni ancora in uso confinato con gli eredi di Casciano ed i beni dei Foraboschi nel popolo di San Lorenzo. Possedeva inoltre un lotto edificabile nel castello vecchio di Cascia ed un peçço di terra con vigna e castagneto con una terça casa da tenere terra nel popolo della pieve nel luogo conosciuto come Corte Castiglioni, dal nome dell'antico distretto castellano del Castiglione di Poggio alla Regina, ubicata lungo il fosso di Botti.
Il più volte nominato Gerozzo di Francesco Bardi possedeva due poderi nel popolo di Sant'Andrea in luogo detto Chiesimone, uno di cospicuo valore, 342 fiorini, l'altro più piccolo, 85 fiorini, tanto che lo definisce poderozzo, confinato con i beni degli eredi di Niccolaio, Simone e Antonio di Niccolaio de' Bardi, costituiti da un podere in Chiesimone ed uno a Colombare nel popolo delle Serre prossimo ai beni dei Foraboschi. Guido di Agnolo Bardi aveva un podere con casa nel popolo della pieve, mentre i beni di Stoldo e Giovanni di Matteo de' Bardi erano ubicati nel popolo di San Tommè: in Rio di Luco infatti i due fratelli avevano tre poderi ad alta rendita catastale, 262, 340 e 346 fiorini. Tutti i poderi elencati di proprietà cittadina erano condotti a mezzadria ed avevano rendite abbastanza diversificate concentrate sulla produzione di frumento, segale, vino, olio e carne di maiale.
In conclusione alcuni aspetti che emergono dai dati esposti devono essere puntualizzati ed evidenziati. Cascia paese ed il popolo di San Pietro segnano una linea immaginaria di confine oltre la quale, in direzione del Pratomagno, non si spingono i possessi fondiari dei cittadini, fatta eccezione per l'Alpe dei Bardi. Pertanto nei popoli montani di Caselli, Forli, Pontifogno, come abbiamo visto, sono ubicate le proprietà dei piccoli borghesi locali o dei decaduti nobili del contado. I beni delle emergenti casate cittadine sono concentrati nei fertili piani di Cascia, sulle balze che degradano verso l'Arno, più produttive e prossime alle arterie di comunicazione di fondovalle ed al grande mercato granario di Figline. All'interno di questo quadro è possibile inoltre tracciare una suddivisione geografica dei possessi; si può infatti affermare che ogni famiglia abbia tendenzialmente cercato di circoscrivere i propri beni concentrandoli in nuclei abbastanza compatti. Vediamo i Castellani infatti prevalentemente colonizzare l'area prossima all'Arno con beni ad Incisa, Cetina, Ruota, Le Serre e poi a Cascia e San Giovenale. I Foraboschi insediarsi nell'area di San Lorenzo a Cascia; i Bardi occupare tutto il Piano di Cascia fino al Rio di Luco ed i Carnesecchi, infine, la fascia compresa tra il Borgo, San Siro, Ostina e San Giovenale. Le rimanenti terre erano infine spartite tra piccoli proprietari e tra gli enti religiosi locali: la pieve, alcune parrocchiali e l'ospedale di San Lorenzo a Reggello. Da questa generale frammentarietà non differiva molto, come abbiamo visto, l'area di San Giovenale dove figuravano nel 1422 i beni della chiesa di San Giovenale, le proprietà di residenti agiati e di nativi ormai stanziati ed allibrati definitivamente in città ed i grandi poderi di due famiglie fiorentine: Carnesecchi e Castellani. Quest'ultimi, oltre ad essere patroni della chiesa, non dovettero avere un ruolo marginale nella vita sociale della piccola comunità e niente ci vieta di pensare che proprio nel 1422, Simone e Jacopo Castellani, divenuti alla morte del padre Vanni, patroni della chiesa e principali proprietari della zona, abbiano voluto donare alla comunità, per celebrare l'entrata in possesso, il Trittico.
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Catasto 156 (1427 Piandiscò, Castelfranco)
Portata di Papo di Simone di Montecarelli
Possiede un terreno a Ostina confinante con Luca di Luca de' Carnesecchi e con la Chiesa di S. Stefano a Simonti.
Non specifica il nome del luogo, ma il confine con la chiesa di Simonti mi fa pensare alle vicinanze col torrente Resco, quindi con Campiglia e con i Piccardi.
Anche Montecarelli si trova al di qua del torrente e confina con Campiglia.
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Dalla portata del 1427 sembra sia in lite con Giovanni di Niccolo' Carnesecchi suo tutore
Risulta gia' sposato nel 1427
La sua famiglia e' composta da
Luca anni 28
Ghita sua donna anni 22
Piera anni 4
Andrea anni 2
Ho dal dr Paolo Piccardi : Manoscritto 501 ASFi
(4) Contratti di matrimonio e parentadi 1400 Antonio di Paolo Carnesecchi (c.59) f. 1000 1404 Parenti di Michele Serparenti e Maddalena di Paolo di Bartolommeo di Grazzino Carnesecchi f. 1000 (c.332) 1417 Berto di Zanobi Carnesecchi (c.279) f. 1200 1421 Gio. di Niccolo' di Matt.o Carnesecchi (c.102) f. 604 1426 Manetto di Zanobi Carnesecchi (c.29) f. 11001430 Luca di Gio. Carnesecchi (c.88) f. 3501434 Manetto di Zanobi Carnesecchi (c.90) f. 1050 1442 Antonio di Paolo Carnesecchi (c.3) f. 9001446 Luca di Luca Carnesecchi (c.90) f. 1000 1446 Carlo di Bernardo Carnesecchi (c.165) f. 833
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Luca si risposa quindi nel 1446
ANDREA |
1425 o 1427 |
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GIULIANO |
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PIERA |
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15/9/1444 Actum Florentie. Lucas quo .... alterius Luce (S.) Philippi de Carnesecchis pop. S. M. Majoris vendidit Angelo, et Francisco fratribus et fil. Guidonis Angeli comitatus florentie in hospitio justa portam Crucis civitatis Florentie unum petium terre.
Ultime registrazioni del notaio Santi di Giovanni di San Miniato a Sco:
Pag. 263r 5/9/1428 Vendita di un terreno a Ostina loc. Campolungo confinante con Luca Carnesecchi.
Pag. 264r 16/9/1428 Atto in Ostina. Luca di Luca di S. Filippo Carnesecchi compra un terreno loc. Al Piano e altro in loc. la Dipintura,
Pag. 264v 8/11/1428 I capifamiglia di Ostina (primo Luca di Luca Carnesecchi) nominano due rappresentanti, Antonio Biagi e Giovanni di Antonio, che vadano a difendere l'onorabilita' del Rettore di Ostina Antonio di Paolo presso la Diocesi di Fiesole.
Pag. 283r 29/5/1430 Atto in Ostina. Luca di Luca di Ser Filippo citt. fiorentino del pop. di S. Maria Maggiore di Firenze vende a Lorenzo Gucci Francisci di S. Pier Scheraggio un terreno a Cascia loc. A Cascia confinante col fossato di castelnuovo.
Pag. 295r 11/7/1431 Atto in Ostina. Luca di Luca di Ser Filippo citt. fiorentino del pop. di S. maria Maggiore vende a Antonio Fabbri di Ostina un terreno a Cascia e ne compra un altro a Ostina loc. Al Prato. Nello stesso giorno Luca funge da teste per un atto della Soc. della Beata Maria Vergine di Ostina.
Nel gennaio del 1461, Luca da Panzano allora settantenne, dedica uno dei suoi ultimi ricordi alla morte del fratellastro (Carte strozziane, II serie, 9, c. 220r) mentre non aveva annunciato la scomparsa del fratello Matteo, avvenuta tra il 1440 e il 1449,
Quindi e' presumibile Luca Carnesecchi muoia nel 1461
Da tutta la vicenda umana di Luca pare ci si trovi di fronte ad una separazione tra questi Mattei / Carnesecchi ed i Grazini / Carnesecchi
Luca sembra ereditare una notevolissima fortuna in proprieta' fondiarie dal padre
Sembra essere disinteressato alle cariche politiche
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