L’ABATE CARLO MUTTI DI SPICCHIO
Articolo della d.ressa Giulia Grazi
A cavallo fra il sette e l’ottocento l’amena Villa di Bellosguardo a Spicchio, allora quasi in aperta campagna, era di proprietà di Carlo Mutti, che ci soggiornò per anni e ivi morì. Ci siamo dimenticati di chi fosse, e questo è un grave torto, perché il personaggio merita un’attenta considerazione per il suo valore e singolarità . Nel suo libro pubblicato postumo, la Giudeide, viene detto "Carlo Mutti livornese", ma, come vedremo, pur essendo ivi nato, egli fu prevalentemente "spicchiese" . Il campanilista curatore livornese del volume se ne appropria , forse perché, come affermò maliziosamente l’erudito empolese Lorenzo Neri, la città labronica aveva penuria di glorie letterarie.
Il curatore di cui sopra fu nientemeno che il famoso erudito scrittore Francesco Pera (1832-1914) che scoprì il Nostro, d’indole ritrosa ma di bello ingegno, leggendo il suo necrologio su una già datata Gazzetta di Firenze del 23-9-1824, ove si riferisce fra l’altro che l’abate fu istruitissimo nel latino da far rivivere la memoria dei Fra castoro e de’ Vida. Ma l’autore della Giudeide fu rammentato e lodato anche dal famoso P. Mauro Ricci nella sua "Allegra filologia", nonché dal succitato dotto empolese Lorenzo Neri : "Il Mutti era poeta latino, vigoroso e pieno di belle immagini".
La Giudeide è un vero e proprio poema epico in latino classico che narra le peripezie del popolo ebraico, dalla fuga dalla schiavitù egiziana alla morte di Giosuè, in quasi 4000 ben sostenuti esametri. Francesco Pera rintracciò fortunosamente il relativo manoscritto ancora inedito in Sicilia presso certi eredi, inserì la biografia del Mutti nel suo "Ricordi e biografie livornesi" e posteriormente curò e pubblicò la traduzione italiana in prosa del poema con testo originale latino a fronte, coadiuvato e supportato da altri valenti maestri di latinità.
Attingendo dal Pera, profusissimo in merito, torniamo al nostro Autore, che nacque a Livorno il 14 ottobre 1756 da un mercante oriundo comasco e dalla nostrale Costanza Ricci, figlia di una Salvatori, cognome spicchiese per eccellenza.
Appena tredicenne rimase orfano e fu affidato in Spicchio all’ava materna Olimpia Salvadori nei Ricci, che però lo trattenne presso di sé solo per un paio di anni ; il garzoncello dimostrava ingegno e amore delle lettere, ma poteva egli aver agio delle guide sapienti e ottime istituzioni di cui necessitava, rimanendo in casa in una città che patisce difetto delle une e delle altre (!!) ? Fu quindi mandato al Seminario di S.Miniato, dove fu subito soprannominato "il poeta", specie per i suoi versi latini precocemente prodotti, ma anche per quelli in lingua volgare. Aveva tanta dimestichezza in rime e in metriche di ambo le lingue che rispondeva in versi quand’era dimandato. Terminati gli studi nel Seminario, non lasciò il collare ma rimase…un’anima libera e, a quanto riporta un libro francese di letteratura, excentrique. Frequentò con successo l’Università di Pisa, per passare poi a Livorno dove si dimostrò valente oratore . Gli furono offerti uffici onorevoli, de’ quali sempre volle scusarsi per poter condurre vita indipendente, avvantaggiato dal poter godere della libertà amica delle lettere mercé un pingue censo avito e un benefizio ecclesiastico di famiglia. Restò a Livorno finché visse la nonna, poi, cedendo alle attrattive della vita campestre, si ritirò nella sua Villa di Bellosguardo a Spicchio , ora meschino villaggio, un tempo Castello nel piviere di Empoli. Là passò il Mutti gran parte della vita, aderendo alle tesi degli Arcadi . I più vecchi paesani che lo conobbero ne descrivono ancora il lieto umore…si piaceva di allegre brigate (in particolare amava organizzare la festa della pentolaccia)…gite pei dintorni su di un suo carrozzino…camperecce imbandigioni…Sopra tutti gli volevano bene i poveri del paese, che non invano picchiavano all’uscio di sua casa. Ma continuava a recarsi anche a Pisa, senza peraltro (a quel che se ne sa) alcun impegno ufficiale né religioso né laico, ma per soddisfare le sue esigenze intellettuali . Poi, sul declinare dell’età, sentendo il bisogno di respirare nuovamente il purissimo aere di Bellosguardo tornò definitivamente all’ombra di quelle piante dilette a terminare il suo poema e la vita . Morì il 29 agosto 1824, non volendosi valere dell’arte medica in un male che ripetutamente l’aveva minacciato. Aveva in dispetto medici e farmachi e si era dato in balìa della natura nella quale assolutamente fidava. Spirò fra le braccia del Priore di Spicchio e fu accompagnato dai mesti paesani al sepolcro nella Chiesa dedicata a S.Rocco, dove nessun marmo raccoglie il suo nome.
Studiava sempre con un certo Prete Picchiotti suo compagno . Come accennato, era capriccioso e imprevedibile . Officiava in una Cappellina della Villa . Qualche volta faceva suonar la campana come per dirci Messa, e quando il popolo era andato là e’gli faceva una risata in viso, e tornava a casa senza essersi accostato all’altare.
Amava i quadri e dipingeva lui stesso. Avevo un bell’aspetto, era maestoso e pareva un colosso. Molto facoltoso e benestante, ogni mattina si faceva arrivare pesce fresco da Livorno. Si diceva che in sua morte avesse lasciato tutto o quasi all’Ospedale di Empoli.
E’ triste constatare come nel giro di poche generazioni dimentichiamo di avere avuto vicino delle presenze importanti come l’Abate Mutti, probabilmente l’ultimo autore di un poema epico in ben sostenuti esametri di elegante latinità, di non pedissequa ispirazione virgiliana, interprete fedele dell’originale biblico (Reddere curavi fidus interpres) . Inedite sono rimaste sue buone ottave ed altre poesie in metro italiano, che varrebbe la pena rintracciare e lasciare alla posterità, seppur potranno interessare solo a un pubblico di nicchia.
Perché a Spicchio non intitolargli una strada ? non dedicargli un’epigrafe ? non patrocinare la ristampa o una copia anastatica della Giudeide e degli scritti in merito del Pera?
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