I Piccardi di Piandiscò
Parte 6
( dr Paolo Piccardi )
Con questo capitolo arriveremo fino ai giorni nostri, attraversando sia il XIX che il XX secolo.
I nostri nonni dovettero affrontare periodi di grandi difficoltà e sommovimenti, sia sociali che economici. La dominazione dei francesi aveva portato ordine amministrativo, compresa la decisone di separare Piandiscò da Castelfranco, elevandolo a Comune, ma anche la divisione in fazioni, fomentate dalle nuove idee di libertà, sconosciute sotto il regime granducale. Seguendo le diverse sorti delle guerra, truppe francesi e tedesche scorrazzarono ripetutamente per il Valdarno. La coscrizione obbligatoria sottrasse braccia alle campagne e le carestie si successero con inesorabile regolarità, vanamente contrastate dalle importazioni di grano dall’Egitto, carissimo, di pessima qualità e di poca resa. Nel 1814 prese possesso di Firenze Giovacchino Murat, il quale durò poco, perché venne fucilato a Pizzo Calabro nel 1815, in compenso anche a Piandiscò tanti bambini vennero battezzati Giovacchino. A lui successe Ferdinando III e si cominciò ad attribuire questo nome ai nuovi nati, con il paradosso di un mio bisnonno, figlio di Niccolò, che venne imparzialmente battezzato, nel 1828, con il doppio nome Giovacchino Ferdinando. Nel 1817 alla carestia si aggiunse un’ epidemia di tifo che mieté vittime fra la popolazione debilitata. Nel periodo di governo di Ferdinando III e di suo figlio Leopoldo II le cose cominciarono a migliorare e, nell’ ambito delle vaste operazioni di bonifica e di valorizzazione del territorio granducale, si aprì la strada dei Sette Ponti e il ponte sull’Arno a Figline, per la realizzazione del quale fu costituita una Società, al cui capitale partecipò anche il Comune di Piandiscò. Ma le divisioni ripresero quando si iniziò il processo di unità nazionale, culminato con il plebiscito del 22 Marzo 1860.
Seguirono anni di assestamento, interrotti dalla grande guerra del 1914, le cui ripercussioni furono profonde anche a Piandiscò, risvegliando un sentimento di appartenenza e un concetto di patria sconosciuto in passato. Dell’atmosfera che si respirava in quel tempo rimangono i ricordi trasmessi da Nunziatina Lorenzi, sia in un libro di ricordi che nella registrazione di una conversazione della durata di circa 90 minuti che ebbi la fortuna di fare con lei nel 1982. Quei racconti ci riportano una Piandiscò stretta attorno ai propri soldati, compresi i giovanissimi "Ragazzi del ‘99", puntualmente ricordati ogni anno in occasione delle celebrazioni del 4 Novembre. Estemporanei poeti locali composero canzoni sulla dura vita di trincea e sulla nostalgia dei militari al fronte, una delle quali fu murata all’interno del cippo eretto di fronte al palazzo comunale, a ricordo dei caduti in guerra. Successivamente, ai "Ragazzi del ‘99’ venne conferito il cavalierato e in quella occasione venne scattata la foto n° 35, che ritrae Gino Piccardi, al centro, con le medaglie appuntate sul petto, con mio padre Giovanni alla sua destra ed i cugini Ugo, Renato, Guido e Sergio.
L’ avvento del fascismo rispaccò il paese nelle avverse fazioni, ma questa è una storia troppo recente perché i sopravvissuti se la sentano di raccontarla e, purtroppo, i giovani non dimostrano alcun interesse a sollecitare ricordi, tanto che la storia di Piandiscò, anche quella recente, è praticamente sconosciuta ai suoi stessi abitanti. A questo proposito, sarebbe bello che altri sentissero l’ impulso che ha spinto Lido Montaghi, un nostro parente di Figline, a scrivere di getto il racconto della sua vita in un libro spontaneo e ricco di esperienze: dalle tante memorie delle singole famiglie potrebbe nascere una storia collettiva.
Lo svolgimento del racconto dei Piccardi dell’ 800 e del ‘900 richiede una premessa, che ritengo quanto mai necessaria: trattandosi di persone, il cui ricordo è ancora presente nei miei contemporanei, ho deliberatamente evitato di andare alla ricerca dei dettagli delle vite private dei singoli individui, mentre riporterò alcune notizie, che ritengo interessanti, per il solo ramo della mia famiglia.
I Piccardi di Simonti
Dei tanti Piccardi che abbiamo incontrato nei secoli precedenti, solo due rami giungeranno fino a noi, mentre gli altri si sono perduti, alcuni per emigrazioni che ne hanno fatto perdere le tracce, altri per mancanza di discendenza maschile.
Il primo ramo ha sempre abitato a Simonti, partendo da quel Gaspero (battezzato nel 1730 con il nome di Angelo Maria), di cui abbiamo esaminato la dichiarazione delle proprietà del 1776, nel quale veniva descritta la casa, che si trova sull’ altro lato della strada davanti alla chiesa di Simonti e che venne parcellizzata fra gli eredi di Michele Piccardi. I discendenti di Gaspero hanno abitato in quella casa fino ai giorni nostri e di loro allego l’albero genealogico, che ritengo tuttavia incompleto.
I discendenti di Antoniomaria
I discendenti di AntonioMaria e di sua moglie Anastasia Fonterossi furono molto numerosi e si spostarono frequentemente, dando vita a più rami, sparsi fra il Podere di Ostina, le altre proprietà ereditate dal fattore Antocammillo e, successivamente, in altre zone di Castelfranco e di Piandiscò, senza contare le emigrazioni fuori da quel comprensorio.
La divisione dei rami comporta come conseguenza che ancora oggi molti Piccardi ignorano di discendere dallo stesso progenitore, ossia da AntonioMaria, e ritengono che si tratti di semplice omonimia. Di conseguenza, sono avvenuti anche matrimoni fra Piccardi che ritenevano, a torto, di non essere parenti. Va detto, ad ogni buon conto, che la consanguineità andava ben oltre il grado di impedimento. L’esempio più eclatante che ho trovato è quello di Ermanno Piccardi, nato il 9 Luglio 1913, figlio di Piccardi Emilio e di Piccardi Narcisa, detta Cesira, che, il 30 Novembre 1940, sposò Piccardi Vera e si trasferì a Reggio Emilia.
Iniziamo dal primo figlio di Antoniomaria, nato nel 1727, che fu battezzato con il nome di Niccolò, ma che per tutta la vita venne chiamato Gaetano. Di lui sappiamo solo che nacque quando Antoniomaria viveva al Podere di Ostina e lo ritroviamo solo nella dichiarazione dei beni ereditati del 1776. Di lui non sapremo altro e, se rimasto nei pressi di Piandiscò, non risulta essersi sposato ed avere avuto figli.
Il secondo figlio di AntonioMaria fu Lorenzo, nato nel 1732 al Podere di Ostina. Anche nel suo caso il nome di battesimo venne presto abbandonato e sostituito da Gaspero, nome con il quale lo abbiamo già incontrato in qualità di fattore degli Inghirami e le cui vicende sono già state esposte nel capitolo precedente.
Del terzo figlio, di nome Agostino, ci occuperemo per ultimo, perché da lui avremo la discendenza più numerosa e che ci porterà fino a noi.
Il quarto figlio di AntonioMaria, Giuseppe, nacque nel 1741 a Pulicciano, dove nel frattempo AntonioMaria si era trasferito. Morirà celibe nel 1815 al Podere di Ostina.
Il quinto e ultimo figlio di AntonioMaria fu Michelangelo, detto Angelo, nato nel 1752, ossia nel periodo in cui AntonioMaria era tornato ad abitare a Simonti. Partecipe dell’eredità dello zio, Michelangelo si trasferirà stabilmente a Pulicciano, in una delle proprietà ereditate, dove sposerà Assunta Frasconi, che gli darà tre figli maschi: Luigi (1797), Gaetano (1799), Gaspero (1801) e una femmina, Angiola, nata addirittura cinque mesi dopo la prematura morte di Michelangelo, all’età di 61 anni.
Il numeroso gruppo dei discendenti di Michelangelo ci porta fino ai giorni nostri ed è schematicamente rappresentato nell’ albero genealogico allegato.
Gaetano divenne il mezzadro del Pievano di S. Maria a Sco, al Pallatoio, ed ebbe numerosi figli, uno dei quali, David, nato nel 1842, divenne sacerdote e lo incontreremo nel 1903, in occasione della benedizione del nuovo camposanto a sterro della chiesa di San Miniato.
L’ ultimo figlio di Gaetano, Affortunato, nato nel 1856, figura negli elenchi del Comune di Piandiscò con la qualifica di "possidente". Sposò un’altra "possidente", Giuseppa Quercini, nel 1901 ebbe un figlio, di nome Plinio, che si laureò in ingegneria, emigrò a Torino nel 1933 e, successivamente, a Milano. Fu tra i progettisti dell’ idrovolante che, nello specchio d’acqua di Desenzano sul Garda, stabililì il record di velocità della categoria, tuttora imbattuto. L’avvenimento venne immortalato da un documentario, che ho avuto il piacere di condividere con Gabriella, figlia di Plinio, che abita a Milano con la sua famiglia, di cui fa parte Gaia, brillante giornalista sportiva del Corriere della Sera.
Di Gaspero, secondo figlio di Michelangelo, e dei suoi figli sappiamo solo che nacque a Pulicciano e visse anche lui al Pallatoio.
Luigi, il primogenito di Michelangelo, nato nel 1797, ebbe un solo figlio, di nome Angiolo, il quale, sposatosi con Isabella Biondi, si trasferì in via Larga ed ebbe ben sette maschi. Uno di essi, Amato, ebbe un figlio, di nome Rodolfo, che sposò Virginia, una Piccardi del ramo di Agostino, mentre Adriano, del ramo di Agostino, sposerà Andreina di via Larga, del ramo di Michelangelo.
Fra i discendenti di Michelangelo voglio ricordare anche Elio, cantastorie e "poeta a braccio", protagonista di tenzoni declamatorie in ottava rima, che possiamo ancora ascoltare incise su dischi a 45 giri, i cui discendenti vivono a Castelfranco. Ancora Giovanni, che vive in Puglia, dove il nonno si trasferì per amore, avendo conosciuto in tempo di guerra la sua futura sposa, originaria di Alberobello e, infine, Giacomo, dei Piccardi del Palagio, ma che oggi vive a Piandiscò, che mi ha dato un prezioso aiuto nella ricostruzione del suo ramo di famiglia.
Come ho già accennato, non volendo addentrarmi nei fatti privati, lascio agli attuali discendenti di Michelangelo il compito, se ne avranno voglia, di arricchire le loro biografie.
I discendenti di Agostino di Antoniomaria
Occupiamoci adesso di Agostino, terzo figlio di Antoniomaria, il quale nacque nel 1735 a Pulicciano, sposò Maria Maddalena Cuccoli e dal matrimonio nacquero cinque femmine e tre maschi, il primo dei quali fu GiovanCamillo, che verrà sempre citato come Cammillo (1762), il secondo di nome Francesco (1768) e il terzo Antonmaria (1778), come il nonno.
Il ramo di GiovanCammillo è riportato nell’ albero allegato, dal quale si evidenzia che da lui nacquero due figli, ambedue nel Podere di Ostina: Giovacchino, nel 1795 e Federigo nel 1808, dai quali disce un ramo che è giunto fino a noi.
Scorrendo gli Stati delle Anime di Ostina, possiamo osservare che i Piccardi giunsero al Podere in qualità di coloni del marchese Ximenes prima e dei suoi eredi Panciatichi poi. Dal 1841 accanto alla qualifica di "colono" comincia ad apparire quella di "possidente", che si ripeterà negli anni successivi, fino all’acquisizione della piena proprietà del Podere di Ostina, dove i Piccardi hanno abitato fino al 1960 circa, quando decisero per la sua vendita. Mirko, il figlio di uno degli ultimi proprietari del Podere, è tornato di recente ad abitare a Campiglia, proprio dove vissero i primi Piccardi di Piandiscò.
Come accennato, Antonmaria, l’ultimo figlio di Agostino, non si sposò e visse sempre al Podere di Ostina, dove morì senza discendenti.
Ci occuperemo più diffusamente di Francesco, il secondo figlio di Agostino. Anche lui nacque al Podere di Ostina ed ebbe una numerosa discendenza, comprendente quattro maschi, ma solo dei figli di uno di essi, Niccolò, nato nel 1809, sarà possibile seguire le vicende, perché gli altri emigrarono e se ne sono perse le tracce.
Evidentemente la casa era diventata stretta e il reddito insufficiente per così tante bocche, tanto che Niccolò si spostò a San Siro, dove il Censimento lo annovera come "colono, possiede scarsissimo terreno". Si sposò con Maria Giusti ed ebbe tre maschi, tutti a San Siro: Giovacchino Ferdinando (1828), Pietro (1831) ed Egidio (1839). Degli ultimi due non ho trovato ulteriori notizie, quindi ci concentreremo sul solo Giovacchino Ferdinando, che alcuni anziani di Cascia mi hanno detto essere stato il mezzadro della famiglia Luti nel Piano di Cascia. In effetti, la scheda anagrafica del Comune di Reggello lo registra come abitante nella casa n° 261 di Cascia in Piano. Una successiva annotazione lo descrive "emigrato nel Comune di Castelfranco di Sopra il 21 Gennaio 1877". In realtà, quando la numerosa famiglia di Giovacchino lasciò il podere dei Luti non si trasferì a Castelfranco, ma presumibilmente a Piandiscò. Per una incredibile serie di circostanze concomitanti, tutti i registri del periodo 1875-1890 sono assenti sia negli archivi parrocchiali che in quello comunale, pertanto non sappiamo cosa abbia fatto Giovacchino dopo il 1877.
Quando fu allontanato dal podere dei Luti, Giovacchino Ferdinando era già sposato con Giuseppa Arnetoli ed aveva sei figli, il più grande dei quali aveva solo poco più di 17 anni. La cacciata di una famiglia di mezzadri non era infrequente a quell’ epoca, ed è stata più volte oggetto di terribili racconti, ma ci possiamo solo immaginare lo strazio di quei due sventurati, in una fredda mattina di Gennaio, costretti ad ammassare le loro povere cose su di un barroccio ed abbandonare le terre sulle quali avevano versato il loro sudore, accompagnati dai sei figlioletti. Probabilmente Giovacchino a 50 anni era già ammalato oppure debilitato, perché non gli verrà più affidato alcun podere. Di lui se ne perdono le tracce, mentre sua moglie e i suoi figli dovranno trovare ospitalità, di volta in volta, presso i parenti.
Giuseppa Arnetoli, dopo aver abitato alla Casa Bianca e a Codilungo, morì a Simonti il 17 Febbraio 1903 ed ebbe il triste privilegio di inaugurare il nuovo camposanto a sterro presso la chiesa di San Miniato, come annotà il parroco:
N.B. La prima del popolo di San Miniato, che abbia rinnovato questo nuovo cimitero, fatto, e benedetto come sopra 6 Luglio 1902.
I figli di Giovacchino Ferdinando
Di Leopoldo sappiamo ben poco: aveva quasi 16 anni quando si trasferì da Cascia e lo ritroviamo solo nel 1886, venticinquenne e sposato con Palmira degli Innocenti di San Miniato, quando nacque la loro prima figlia, che venne battezzata con il nome di Egidia. In tutto ebbero tre figlie e un maschio di nome Eusebio, ma che venne comunemente chiamato Emilio. Vissero a Simonti fino al 1897, poi si trasferirono e Cetica e, finalmente, a Ostina, dove Leopoldo morì nel 1945, ultraottantenne. Dei figli ho perso le tracce.
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Anche la biografia di Francesco è scarna: nato nel 1864, nel 1891 sposò Anna Perferi e si traferì prima a Codilungo, poi a Reggello. Un dei suoi figli, Lorenzo, morì in guerra nel 1915 e venne così ricordato dal parroco di San Miniato:
22 Luglio 1915 Piccardi Lorenzo di Francesco e Anna Perferi, celibe di anni 21 morto in Guerra contro l’Austria, presso l’Isonzo e dal Comune di Piandiscò fu partecipato alla Famiglia nel dì e anno suddetto. P. Pasquale Cafaggini |
Il suo nome è impresso sul cippo antistante il palazzo comunale di Piandiscò.
Dopo il trasferimento a Reggello si perdono le tracce di Francesco e della sua famiglia.
Aveva nove anni, Luigi, comunemente chiamato "Il Ciolli", quando dovette lasciare Cascia con il resto della famiglia. Le tribolazioni dell’ infanzia non scalfirono il suo carattere, allegro e scanzonato, come dimostra il cappello portato spavaldamente, alla moda di Giacomo Puccini (foto n° 36):
Il Ciolli ebbe la fortuna di sposare Caterina, l’unica figlia di Gaetano Bettini, un commerciante e trasportatore di prodotti agricoli, rimasto prematuramente vedovo, che viveva in una delle prime case del Peschierone. Luigi vide così la sua vita trasformata in un sol colpo, unendo un felice matrimonio ad un’attività che lo teneva lontano dal duro lavoro dei campi, ma molto vicino alle sue passioni: il commercio e il vino, le cui robuste frequentazioni mi sono state raccontate dal nipote Lorenzo, detto "il Biondo", il quale però assicurava di non averlo mai visto in preda ai fumi dell’ alcool.
Dopo Faustina e Augusta, dal matrimonio di Luigi con Caterina nacque Virginia (1900), che andrò sposa con quel Rodolfo Piccardi, che abbiamo già visto, figlio di Amato, del ramo di Michelagelo di Antoniomaria.
Da Rodolfo e Virginia nacque Ernesto (1923), il quale, dopo essere scampato ai pericoli della seconda guerra mondiale e alla deportazione in Germania, proprio il giorno seguente la sua liberazione, mentre stava camminando in una cittadina tedesca, ebbe la triste sorte di venire investito da un camion che, sbandando, invase il marciapiede e lo uccise. Il suo corpo venne rimpatriato e adesso riposa nel cimitero di San Miniato.
Dopo Ernesto, nel 1925, nacque Lorenzo, da tutti conosciutio come "Il Biondo", il quale, divenuto abile trombettista, si traferì presto a Firenze, dove costituì un proprio complesso musicale per entrare poi a far parte del gruppo che, al suono delle chiarine d’argento, accompagna il Gonfalone di Firenze. Toccò a lui l’onore di suonare il "Silenzio" in occasione dell’ omaggio che Firenze rese al campo di concentramento di Auschwitz. E’ scomparso di recente, nel 2008, lasciando i figli Graziano, Fabio, Lucia, Grazia ed i nipoti.
Dopo Lorenzo nacque Rosanna, che ha il privilegio di abitare con la sua famiglia nel complesso detto "Le Fabbriche", fulcro in epoche remote delle attività industriali di San Miniato e dopo Rosanna nacque Massimo, padre di Sonia, alla quale, precedendola, ho tolto il piacere di fare questa ricerca, ma che devo ringraziare per il valido aiuto e incoraggiamento.
Tornando ai figli di Luigi detto Ciolli, dopo Virginia nacque Gaetano (1904). Anche lui sposò una Piccardi, Andreina, figlia di Adriano del ramo di Michelangelo, figlio di Antoniomaria. Abitarono sempre in Via Larga, quella che adesso è stata ribattezzata Via San Miniato..
Anche Oliviero, il primogenito di Gaetano e di Andreina, sposò una Piccardi, Sara, figlia di Pietro detto "Il Rosso" e Pia Orlandini. Oliviero apprese dallo zio Lorenzo l’arte della tromba, ma in lui prese il sopravvento lo spirito imprenditoriale, che lo portò a creare una importante industria di imballaggi, che trasmise ai figli Marco, Alessandro e Antonella.
Dopo Oliviero nacque Renata e, infine, Adriano, che ancora oggi porta avanti la tradizione dei Camarlenghi della Compagnia dell’ Assunta di San Miniato.
Riprendendo i figli di Luigi detto Ciolli, troviamo Gaetano (1904), che nel 1937 si trasferì a Milano, dove tuttora vivono figli, nipoti e bisnipoti, e Guido, il quale invece rimase in via Larga, dopo aver sposato Annunziata, da tutti conosciuta come Nina.
Veniamo adesso a Santi, ultimo figlio di Giovacchino Ferdinando, nato nel 1874 e trasferitosi a Firenze nel 1907, ebbe due figli, Ugo e Sergio, che ebbe due figlie, Paola e Gabriella.
Termino il lungo elenco dei figli di Giovacchino Ferdinando con il primogenito, Raffaello (foto n° 37), per il solo motivo che era mio nonno, nato il 18 Maggio 1859, tre settimane dopo che il Leopoldo II, il Granduca "Canapone", aveva lasciato Firenze.
Quando, tanti anni fa, mio cugino Riccardo mi mostrò un libretto ricoperto di cartapecora che aveva trovato in fondo ad un cassetto durante il suo trasloco dalla Casa Bianca, credetti di aver trovato il diario contenente la storia dei Piccardi, perché nei miei ricordi di infanzia, quella era la casa dove era nato mio padre e, mi immaginavo, tutti i miei antenati.
In realtà, la lettura di quel libretto costituì il punto di partenza per questa ricerca, ma anziché darmi risposte, mi pose solo un insieme di interrogativi.
Iniziato nel 1796, il "quadernuccio" non era dei Piccardi e non riguardava la Casa Bianca:
La foto n° 38 ne riproduce la prima pagina, e questa è la sua trascrizione:
J. M.a S. A dì 20 Agosto 1796 Il presente quadernuccio coperto di Carta Pecora Biancha di Carte N: 65 è di Andrea Bened:ti di Campia- no Popolo di S: M.a a Scò Podeste- ria di Castelfranco di Sopra quale si vole servire per farsi fare le ricevute a suoi creditori chiede ndo grazia a Dio che gli conceda un buon principio e un ottima fine A dì 28: Agosto 1797 Da Andrea Benedetti per saldo di farine……………………….. ( ) 7.10.- spese ( ) -.2.5 Niccolò Cuccoli Cont. |
Nelle annotazioni del libretto, la Casa Bianca appare solo nel 1879, quando era di proprietà di Giuseppe Dori. Di questo edificio la prima notizia l’ho trovata in documenti del 1566, dai quali appare che era di proprietà di Giovanni Bencivenni, un cuoiaio di Firenze, per poi passare ai Salvadori, come narrato nel quinto capitolo.
La Casa Bianca (foto n° 39) era dotata anche di un mulino, che sfruttava l’ "acquino" che scorreva lungo la strada e che alimentava anche una adiacente gualchiera. Nel 1682 una bambina di quattro anni rimase impigliata nelle pale del mulino e vani furono i soccorsi per salvarla.
Scorrendo le pagine del libretto e non trovando mai nominati i Piccardi, notai che vi erano riportati i saldi dei conti di varie generazioni di Benedetti nel loro peregrinare da un podere all’ altro, fino a quando, giunto al 1887, mi imbattei nel nome "Vermiculli Filippiano", che mi riportò alla mente un certo "Zio Barinco", di cui avevo sentito parlare in famiglia. Mi era stato detto che lo zio Barinco era un orfanello, affidato dall’ Istituto degli Innocenti, cosa molto consueta a quei tempi e gradita dalle famiglie di Paindiscò, che, con la diaria pagata dall’ Istituto potevano affrontare gli acquisti di ciò che non producevano autonomamente.
Dai registri dell’ Istituto degli Innocenti appresi che il neonato era stato portato il 26 Agosto 1844 dalla figliola della Carolina Mazzanti levatrice di via Romana e che, dopo il periodo dell’ allattamento, trascorso a San Michele di Sotto, venne affidato ai coniugi Benedetti alla Casa Bianca.
Scoprii anche l’origine di un cognome tanto inconsueto: il funzionario che ogni giorno si doveva inventare una diecina di cognomi, la mattina di quel 26 Agosto iniziò attribuendo al primo neonato il cognome "Vermicelli" e proseguì con i successivi arrivi cambiano una sola vocale, quindi Vernicalli, Vermicolli eccetera, fino al Filippiano, al quale toccò la "u" di Vermiculli.
Anche Filippiano ebbe il suo bravo soprannome, Barinco, di significato quanto mai oscuro, che accettò volentieri, tanto da firmarsi indifferentemente Vermiculli Filippiano oppure Vermiculli Barinco quando fu chiamato a fare il testimone di nozze.
In una delle ultime pagine del quadernuccio ho trovato le prove di scrittura di Filippiano Vermiculli e di Teresa e Pasquale Benedetti (foto n° 40):
Dai registri dell’ Istituto degli Innocenti e dagli Stati delle Anime parrocchiali risulta evidente che Pasquale e Assunta, gli ultimi dei Benedetti compilatori del quadernuccio, non avendo avuto figli, popolarono la casa con gli orfanelli degli Innocenti, arrivando ad ospitarne fino a cinque, fra i quali Pulcheria Crescioli, che diverrà la sposa di mio nonno Raffaello, che si trasferì pertanto alla Casa Bianca.
Pulcheria, da tutti chiamata Annina, nacque il 29 Maggio 1866, ossia l’anno successivo la proclamazione a capitale d’ Italia di Firenze, che si riempì in breve tempo di funzionari, civili e militari, con le conseguenze del caso. Lasciata nella ruota di piazza SS. Annunziata, accompagnata da una mezza medaglietta raffigurante la Madonna di Montenero, la neonata si vide assegnare il cognome Crescioli. In quell’ anno un Rag. Crescioli era amministratore dell’ Istituto e, probabilmente, il funzionario se lo vide passare davanti quando dovette attribuire un cognome alla bambina.
Raffaella e Annina si sposarono in San Miniato il 23 Maggio 1884 ed il giorno seguente si recarono agli Innocenti per riscuotere la dote di 23 lire e 20 soldi.
Adesso si era chiarito il mistero dei passaggi di mano del libretto: posseduto da sempre dai Benedetti, quando l’ultimo, Pasquale detto "Il Sole", morì, nella Casa Bianca rimasero il vecchio zio Barinco, la Pulcheria detta Annina e Raffaello, suo marito. Questo spiega anche perché mio nonno e i suoi discendenti venivano definiti "del Sole", non per la loro abbagliante bellezza, ma perché abitavano nella casa che era stata di Pasquale, detto "Il Sole".
Il quadernuccio riporta anche la firma di Raffaello, riprodotta nella foto n° 41.
Dopo Annunziata e Assunta, nel 1892, nacque il primo maschio, al quale venne attribuito il nome del nonno, Giovacchino. Dai registri dell’ anagrafe di Piandiscò risulta che se ne andò, appena sedicenne, a Genova per un anno e, successivamente, a Roma. Trovò la morte nella prima guerra mondiale e adesso riposa nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova, fra i soldati caduti. In guerra morirono anche i mariti della due sorelle maggiori, Annunziata e Assunta.
Nel 1896 nacque una bambina, alla quale venne attribuito il nome di Gesuina, come andava di moda in quei tempi. Quando le bambine con questo nome si presentarono per essere cresimate davanti al Vescovo, questi storse il naso e rimproverò il parroco per aver abusato di un nome improprio (ma non sembra si sia lamentato per le bambine battezzate con il nome Cristina). Nel 1918 Gesuina si sposò con Gino Giunti di Reggello e si trasferì a Firenze in Via delle Centostelle, che avrà una parte importante nella nostra storia.
Nel 1899 nacque Alfredo, da tutti chiamato Gino, l’unico dei Piccardi che per tutta la vita si occupò del podere della Casa Bianca. Sposato con Nella Quercini, ebbe un figlio di nome Riccardo che per lungo tempo ricoprì la carica di Camarlingo della Compagnia dell’ Assunta di San Miniato. Dal matrimonio di Riccardo con Lola nacque Cinzia.
Nel 1902 nacque Pasquale. Sposatosi con Maddalena Quercini, sorella della cognata Nella, nel 1938 si trasferì a Firenze ed ebbe una figlia di nome Ebe.
L’ ultimo figlio, mio padre, nacque il primo Gennaio 1907. Probabilmente era nato il 31 dicembre 1906, ma i suoi ritennero di fargli un piacere ringiovanendolo di un anno. Non potevano immaginare quali conseguenze avrebbe comportato tale decisione. Quello non fu il solo pasticcio che combinarono la mattina del battesimo perché in chiesa gli imposero il nome Giovanni ma in Comune, dimentichi di avere già un figlio di nome Giovacchino (chissà con quale nome lo chiamavano), imposero lo stesso nome anche all’ ultimo nato. Avvedutisi dell’ errore, in Comune fu deciso di assegnargli il doppio nome di Giovacchino Giovanni. Anche questo sarà oggetto di disguidi, in particolare quando dovette prestare il servizio militare.
Neppure mio padre si sentiva nato per il duro lavoro dei campi e, ottenuta la patente di guida, lasciò la Casa Bianca per trasferirsi a Firenze, ospite della sorella Gesuina in Via Centostelle, a quel numero 48 dove abitava anche una ragazza di nome Dina Cammelli, che sarebbe diventata mia madre.
Approfittando del fatto che in quella casa aveva abitato anche Ernesto Rossi, esponente politico di primo piano dell’ antifascismo e nel periodo del dopoguerra, mio fratello Piero è riuscito a convincere il Comune ad apporre sulla sua facciata una targa commemorativa, che così recita:
Ernesto Rossi economista, politico, giornalista, esponente di Giustizia e Libertà sostenuto dalla madre Elide Verardi fece di questa casa luogo di lotta antifascista al prezzo di carcere, confino ed esilio |
Che Ernesto Rossi fosse un pretesto per ricordare i nostri genitori, nonché i nonni, zii e cugini materni risultò evidente quando Piero pronunciò il discorso per l’inaugurazione della targa.
Ottenuto da mio padre l’impiego di autista della Misericordia con l’obbligo di risiedere nell’ edificio della Sede in piazza del Duomo, i miei vi si trasferirono e li nascemmo mio fratello Piero (1936) ed io (1940).
Durante la guerra, quella casa accolse anche le famiglie dei nostri zii materni, fino a venti persone, circostanza che, contrariamente alle apparenze, rese meno duro tale periodo, almeno per noi fanciulli.
A proposito di guerra, il fatto che mia padre fosse stato "ringiovanito" di un anno, anziché fargli un favore, gli arrecò un grave danno, perché il 1907 fu l’ultima classe richiamata alle armi e, pertanto, lo possiamo considerare il più anziano combattente. Per nostra fortuna ci ha lasciato un diario dettagliato della sua esperienza al fronte, lo sbarco dgli Alleati in Sicilia, la risalita della penisola fino a Cassino, quando si ammalò di tifo e fu salvato dalle cure e dalle continue trasfusioni di sangue offerto dai suoi commilitoni. Dopo aver ricevuto per tre volte l’ Estrema Unzione, le cure fecero effetto e iniziò una lunga convalescenza. E’ particolarmente commovente la lettera che scrisse a mia madre non appena uscito dal pericolo. Questa lettera fa parte di un carteggio di 493 pagine che i miei genitori si scambiarono durante il periodo di guerra e che conservarono gelosamente. Solo di recente abbiamo trovato la forza d’animo di aprirlo e di pubblicarlo.
Io ho avuto due figlie, Silvia e Michela, mentre da Piero sono nati Daniela e Lorenzo. Da quest’ultimo Alberto, per il momento l’ unico discendente di Raffaello che ne continuerà il cognome.
Siamo arrivati ai giorni nostri. Termina così la lunga cavalcata che attraverso i secoli ci ha permesso di ricostruire la storia dei Piccardi di Piandiscò ed inizia la cronaca, che non rientra nei miei scopi.
Anche se è stata dissepolta dalla polvere degli archivi una gran mole di documenti, sono certo che altrettanti aspettano ancora di tornare alla luce. Per quanto riguarda le vicende degli anni a noi più vicini, sarei lieto di ricevere i contributi dei Piccardi che leggeranno queste note e che ringrazio per l’attenzione.
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