Spigolature ceramiche tra Toscana, Umbria e Piemonte
di Valentino Minocchi
Al termine della Grande Guerra Zulimo Aretini, ceramista di Monte San Savino (Ar), da' inizio in Toscana a un' intensa ed appassionata attività nel settore fittile che, con queste brevi note, cercheremo di approfondire. ( nota 1 ) Un doveroso approfondimento per enucleare quelle sinergie e quei momenti topici che, nel corso dei primi anni Trenta, porteranno questo artefice ad elaborare un suo personale linguaggio figurativo che giungerà al suo massimo sviluppo con la seconda stagione produttiva in Umbria: qui, a Torgiano, anche le creazioni plastiche dell'Aretini contribuiranno a determinare uno straordinario successo dell'imprenditoria umbra nell'industria ceramica e dolciaria. Dopo il periodo di lavoro svolto a Castiglion Fiorentino come direttore della manifattura O. Pasini & C. Industria italiana del giocattolo di Firenze (1921-‘24), cui segue la parentesi di Arezzo (1925-’26), l’attività di Zulimo Aretini continua in Umbria. Difatti, è per diretto interessamento di Biagio Biagiotti e Giovanni Buitoni che l’Aretini lascia la Toscana alla volta di Perugia dove, in società con il Biagiotti, fonda la Maioliche Zulimo Aretini economicamente supportata dal Buitoni. I due imprenditori umbri, già proprietari dal 1920 della Maioliche Deruta, ai quali nel 1925 si era unito Giuseppe Baduel, avevano fondato il Consorzio Italiano Maioliche Artistiche (CIMA) a Perugia. Era, il Consorzio, una commerciale nata per promuovere e vendere le produzioni fittili delle manifatture consorziate o associate che, al 1929, arriveranno ad essere: Società Anonima Maioliche Deruta; Società Anonima Maioliche Zulimo Aretini; Società Ceramica Umbra; Società Anonima La Salamandra; Società Anonima Maioliche Castelli; prof. Alfredo Santarelli. In questo contesto arrivano in Umbria maestri dell’arte ceramica, artefici di solida preparazione capaci di progettare e realizzare una propria manifattura tra i quali è anche Zulimo Aretini. Inizia così per il ceramista di Monte San Savino una feconda e proficua stagione produttiva (1926-’29), in un ambito industriale aperto alla libertà espressiva, in una regione dove in questo periodo si generano feconde sinergie tra vari settori manifatturieri da quello alimentare (industrie Buitoni e Perugina) a quello editoriale (fotografico e tipografico) fino a quello pubblicitario (Poligrafico Buitoni). Tuttavia a causa della crisi economica del ‘29 questa stagione produttiva si interrompe, e si assiste alla riorganizzazione del Consorzio, alla chiusura di tutti gli stabilimenti manifatturieri e alla concentrazione delle produzioni nelle due sole fabbriche di Deruta e di Perugia. Ed è così che, dopo i successi perugini, obtorto collo Zulimo Aretini torna ad Arezzo. Inizia la sua ennesima la stagione produttiva (1930-’34) in una città non ancora travolta dalla crisi economica dove in questi anni si concretizzano tutta una serie di restauri architettonici, e l’edificazione di nuovi palazzi, che caratterizzeranno l’Arezzo novecentesca . ( nota 2 )Tuttavia, nonostante le intraprendenti iniziative politico-culturali che in questi anni fervono in città, nel corso dei primi anni Trenta la vita economica registra una progressiva contrazione della produzione manifatturiera con il conseguente aumento della disoccupazione; nel 1933, anche la principale industria locale, la Società Anonima Costruzioni Ferroviarie Meccaniche (SACFEM), è sull'orlo del fallimento, come testimonia anche il motto "Or che le fabbriche son chiuse assai, W la FIAT che no[n] si chiude mai" apposto su L'orologio del cantastorie dell’Aretini
Ill. 1 Z. Aretini, L'orologio del cantastorie (foto Gaburri, Arezzo).
Il manufatto, oltre ad evidenziare l’impiego di un nuovo linguaggio espressivo, anticipa quelli che saranno i prossimi sviluppi figurativi di Aretini. Dalla plastica emerge un ricercato linguaggio iconografico che culmina in un modellato ironico e gioioso con cui l’artefice rende caricaturale il cantastorie. Tuttavia, è dal cartiglio giustapposto a corredo del fittile che si ottengono interessanti spunti di riflessione che proiettano l’attenzione in una città piemontese, sede della FIAT, ovvero Fabbrica Italiana Automobili Torino. Ci piace ricordare a tal proposito che proprio a Torino era la sede della manifattura di bambole in "pannolenci". ( nota 3 ) Una fabbrica che nel corso degli anni Venti amplia le sue produzioni con la creazione di plastiche fittili che, in misura del salotto borghese, portano nelle case una piacevole ventata di modernità. Alla continua ricerca della bellezza, per un mercato perennemente affamato di novità, intorno al 1927 la Lenci realizza una prima serie di statuine per l’arredo della casa italiana, una morbida fusione di forme fatta di personaggi moderni con una produzione principalmente rivolta ad una clientela alto borghese, cosmopolita e à la page. Pupazzetti in ceramica con i quali venivano raccontati frammenti di vita quotidiana in forma elegante e sfiziosa con soggetti di tipo popolare per un mondo proiettato nella modernità, lontano da qualsiasi problematica di tipo ideologico e sociale .( nota 4 ) Nel 1929 anche Ugo Ojetti, critico e teorico della rinascita delle arti decorative italiane, nel catalogo della mostra tenutasi alla Galleria Pesaro di Milano, così ne individuava gli sviluppi moderni: "ultimogenita della Lenci è la ceramica". E ancora lo studioso sottolineava che "con la manifattura Lenci la terraglia tenera torinese ritorna alla sana tradizione italiana: ripudia la ripetizione del modello antico anche se illustre, ma, come gli antichi maestri romagnoli, marchigiani, veneti e liguri, nell’attenersi al naturalismo lo concepisce ed esprime in modo nobile, con grazia, con serenità, misura e spontaneità: nelle plastiche e nelle decorazioni lenciane la materia non predomina, ma idealizzata, diventa armonia, ordine e perfezione formale>>. ( nota 5 ) L’opificio Lenci era un vivace spazio di sperimentazione, una creativa realtà industriale aperta alla libertà intellettuale ed espressiva. Tuttavia, la crisi del ’29 comporterà l’ingresso di nuovi soci nella proprietà della manifattura torinese e quindi la cessione a questi ultimi della ditta: con la nuova gestione i suoi prodotti saranno meno raffinati e più seriali, per fruitori meno colti e abbienti. Dal salotto dei ruggenti anni Venti la ceramica Lenci passerà al tinello piccolo borghese degli anni Cinquanta , ( nota 6 ) perdendo così l’arguzia, il fascino, la galanteria, l’amore per l’esotico,la cinica indifferenza e la spensierata gaiezza che avevano caratterizzato le prime produzioni fittili. Nel 1933 per la manifattura torinese finisce l’epoca degli anni ruggenti, travolti dalla crisi economica, e con essa la cultura d’arredo. ( nota 7 )La mostra delle innovative ceramiche Lenci nel 1929 e il favorevole apprezzamento ricevuto dalla stampa specialistica ("Domus" e "La casa bella"), protrattosi nel tempo con una lunga eco, suscitarono l’interesse del ceramista Zulimo Aretini per la città capitale dell’automobile: Torino. Quindi, se intorno al 1933 con il cartiglio giustapposto sull’Orologio del cantastorie l’Aretini documenta una drammatica situazione locale - la principale industria aretina è sull’orlo del fallimento - relaziona peraltro quel fenomeno locale con la vivacità economica della città sede della più importante industria automobilistica nazionale. Di Torino egli sicuramente aveva più volte sentito parlare anche durante il precedente periodo di lavoro svolto in Umbria (1926-’29), in relazione all’Unione Nazionale Italiana Cioccolato Affini (UNICA) di Torino ed al tentativo, vano, di acquisire il fiore all’occhiello della famiglia Buitoni: l’Industria dolciaria Perugina. Nel frattempo, in Umbria, nel 1932 era avvenuta la riorganizzazione del consorzio CIMA con la chiusura di tutti gli stabilimenti salvo quello storico di Deruta e quello ex La Salamandra di Perugia, attivi con la nuova denominazione di Società Anonima Maioliche Deruta e CIMA Perugia. E mentre ad Arezzo l'Aretini si interrogava sul futuro dell'industria italiana, a Perugia, dove Giovanni Buitoni termina il suo mandato politico in qualità di podestà (1930-'34), le industrie Buitoni-Perugina stavano per iniziare la prima grande campagna pubblicitaria che arriverà a contagiare ogni ambiente sociale innescando un evento promozionale che passerà alla storia: la raccolta delle figurine de I quattro moschettieri. Una sensazionale raccolta con una valanga di premi, primo fra i quali un’autovettura Fiat Balilla; icona simbolo del lusso moderno. ( nota 8 )Tutto comincia il 18 ottobre 1934, alle ore 13,45, quando dallo studio dell’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR) di Torino, Angelo Nizza e Riccardo Morbelli vanno in onda con un programma radiofonico basato sul celebre romanzo di Alexandre Dumas: I tre moschettieri. Si tratta di una parodia goliardica e dissacrante, che strizza l’occhio all’attualità politica, alla cronaca e all’Italia di regime. In questo contesto, quando Nizza e Morbelli propongono di creare un album figurine con i personaggi della rivista radiofonica, Giovanni Buitoni recepisce l’importanza dell’idea, la sponsorizza trasformando quelle figurine in una preziosa collezione da abbinare ai prodotti alimentari delle consociate Buitoni-Perugina. Sarà un abile disegnatore-umorista torinese, Angelo Bioletto, a creare i vari personaggi delle figurine del concorso .
Ill. 2 Album delle figurine del concorso "I quattro moschettieri", 1935 (Archivio Storico Buitoni Perugina).
Nel 1934 Zulimo Aretini si trasferisce da Arezzo a Torgiano. La sua nuova impresa lo vede collaborare a fianco del figlio Galileo cui è intestata la ditta Ceramiche Artistiche Italiane (CAI) in società con il commerciante Alberto Carnesecchi di Sesto Fiorentino. In questo dinamico contesto provinciale, l’Aretini, quando torna per la seconda volta in Umbria, sceglie come sede della sua nuova manifattura la Vecchia Fornace di Torgiano, un castello medievale sito a pochi chilometri da Perugia, il cui territorio amministrativo confina con quello di Deruta: l'ennesima manifattura aretiniana si colloca a metà strada tra i due citati centri manifatturieri umbri in un vecchio ma funzionale opificio. Del resto, negli anni di quel breve ma intenso soggiorno in Toscana, in cui l'Aretini aveva attivato la manifattura Arretium, era andata maturandosi nel Professore una profonda riflessione artistica sui principali stili, movimenti e tendenze del primo Novecento. Come infatti avvertono alcune sue produzioni di questi anni, animate da un rinnovato ardore artistico, sono maturi i tempi perché l’urgenza artistica dell’Aretini s’apra impetuosamente la strada verso il suo vertice che coincide proprio con l’arrivo del nostro a Torgiano. Sono questi gli anni in cui nelle produzioni industriali si afferma progressivamente un moderno di maniera, un cambiamento cui anche l’architetto e designer Giò Ponti contribuì intervenendo autorevolmente sull’argomento con un breve ma significativo articolo apparso nel 1935 sul "Corriere dei Ceramisti", dove egli sosteneva che la modernità non era da identificarsi con quella che ha stabili caratteristiche, ma con quella che costituiva piuttosto "un fenomeno evoluzionistico in rapporto con il progredire più avanzato della civiltà". Per cui, modernità "è ciò che rappresenta sforzo, arte, creazione, tormento di una classe di artisti, di uomini di valore, di esperienza direi quasi d’eccezione", giungendo alla conclusione che "tutto ciò che non è autentico, che non è d’autore è fuori della modernità". Conformemente a questo dettato, una personalità indomita come quella di Zulimo Aretini, artista sempre in cammino, non poteva certo adagiarsi su quello che fino a quel momento era stato il punto di arrivo della sua arte. In questo contesto egli trasfonde nelle sue opere la sua sagace ironia che trova il modo di raccontare la quotidianità divertendosi e al tempo stesso divertendo. Anche il Maestro si abbandona ad una visione introspettiva, dissezionando dal punto di vista psicologico le debolezze umane per mettere a nudo, con marcato compiacimento, quelle che sono le emozionanti sensazioni della vita moderna .
Ill. 3 CAI, Torgiano, Fanciulli col fungo; part. bozzetto (Monte San Savino, Museo del Cassero). I tratti ironici e caricaturali del Fanciullo presentano analogie con il Giocatore di golf di Marcello Dudovich e, come genere, trova affinità con i Bimbi di Sandro Vacchetti: cfr. A. Panzetta, Le ceramiche, cit., pp. 17; 153-155.
Dalle creazioni del Professore traspaiono la leggerezza e la fragilità delle cose, lo scherzo, in una continua reinvenzione con l'occhio attento a un mondo esclusivamente domestico e rurale, che tuttavia non tralascia di meditare anche sui più recenti e innovativi percorsi artistici. Fittili che, impiegati nell’arredo del quotidiano, trasmettono una quieta bellezza capace di confortare il giornaliero nel panorama delle domestiche esperienze estetiche e sentimentali. Ceramiche che con dignità affondano le proprie origini nelle più nobili tradizioni manifatturiere ed artistiche .
Ill.4 F.lli Fanciullacci - Montelupo Fiorentino - Fanciulli col fungo, h cm 22. I due pupazzetti, che sul fondo recano dipinta la sigla FF (Fratelli Fanciullacci), potrebbero essere stati prodotti, su specifica commissione, dalla CAI di Torgiano con l’apposizione del marchio della manifattura richiedente; oppure si potrebbe trattare di un modello ceduto sul volgere degli anni Trenta dallo stesso Aretini alla manifattura montelupina.
Spunti iconografici intelligenti, elegantemente ironici da strapaese, carichi di una ricca tavolozza cromatica che genera una caleidoscopica sinfonia di colori. Una ceramica artistica non troppo impegnativa, divertente e divertita, pregiata anche se di tipo seriale, supportata da una vincente politica commerciale basata su cataloghi pubblicati a stampa dal CIMA prima (1925-’32) e dalla Maioliche Deruta e CIMA poi (1934-’37). ( nota 9 )
Ill. 5 Società Anonima Maioliche Deruta e CIMA Perugia, Listino speciale CD per Confettieri e Dolcieri, Perugia, s.d., Fanciulli col mazzetto, mod. Z 1592 e Z 1594.
Ill. 6 Maioliche Deruta e CIMA, Fanciullo col mazzetto (proprietà privata).
Una politica merceologica di ampio raggio che, in associazione con i prodotti delle consociate Buitoni e Perugina, sostanzierà con il gusto degli alimentari il successo di questo felice abbinamento che tuttavia, una volta consumate le leccornie dolciarie, avrebbe generato la disponibilità di un manufatto fittile da reimpiegare come soprammobile nelle case moderne. Nonostante la capacità di diversificare la produzione per soddisfare lo spettro più ampio delle preferenze dei consumatori, le vicende economiche del ‘29, e del risolutivo intervento governativo del 1937, che determina la fine di ogni concorso a premio, comportano anche la cessazione di questa ennesima stagione industriale in un Paese dove, mentre le arti decorative maggiori celebrano i trionfi della romanità, quelle minori offrono ancora la possibilità d’essere ironici, di sorridere e di usare la caricatura. Dalla fine degli anni Trenta si conclude, per la produzione ceramica in Umbria, quella fertile stagione di sperimentazione creativa iniziata negli anni Venti e continuata, con una diffusione largamente popolare, nel corso dei Trenta ma che definitivamente si interromperà nel 1939 a seguito del trasferimento di Giovanni Buitoni negli USA. Cessa così quel fecondo periodo in cui l’imprenditoria umbra aveva beneficiato delle sinergie nate dall’iniziativa di lungimiranti capitani d’impresa. Una bella pagina di storia industriale si chiude ed una vivace stagione produttiva definitivamente si interrompe. La successiva produzione fittile si orienterà verso una lunga fase (di oltre un decennio) fatta per lo più di riedizioni di modelli elaborati precedentemente e che finiranno per adeguarsi al gusto dei mutati tempi.
Nota 1 Cfr. V. Minocchi, Zulimo Aretini Ceramista di Monte San Savino, Città di Castello, 2010.
Nota 2 Cfr. V. Minocchi, L’arte ceramica nell’aretino tra le due guerre radici antiche e sviluppi moderni, Pratovecchio-Stia, 2018.
Nota 3 Cfr. M. Giorgi; H. Somalvico, Le bambole Lenci e le bambole di stoffa italiane, Santarcangelo di Romagna, 2003.
Nota 4 Cfr. A. Panzetta, Le ceramiche Lenci catalogo dell’archivio storico 1928-1964, Torino, 1992.
Nota 5 Cfr. U. Ojetti, Mostra delle ceramiche di Lenci, Milano, Galleria Pesaro, 1929, Milano, 1929, pp. 7-28.
Nota 6 Pilade e Flavio Garella, che già dal 1933 erano entrati come soci esterni nella Lenci, nel 1937 subentrano ai coniugi Scavini fondatori della ditta. "La cura Garella produsse effetti positivi, almeno dal punto di vista dei conti aziendali, assicurando per un lungo tempo la sopravvivenza dell’azienda anche in tempi travagliati come quelli della Seconda Guerra mondiale, ma il rispetto delle regole economiche, indispensabili per raddrizzarne le sorti, avrebbe finito per snaturarne l’essenza. Il conto economico prevalse sulla creatività. […] L’azienda avrebbe continuato a produrre bambole e ceramiche, ma anziché anticipare le tendenze del pubblico e, in certi casi, anche a indirizzarle come era avvenuto nella prima fase, si sarebbe per lo più limitata ad assecondare le mode consolidate. [...] Nel 1997, a sessant’anni dall’acquisizione, la proprietà della Lenci è passata dalla famiglia Garella alla Bambole Italiane srl che ha continuato l’attività fino al 2002": cfr. A. Panzetta, Le ceramiche, cit., pp. 21-37; P. L. Bassignana, Lenci nel panorama industriale torinese fra le due guerre, in Lenci. Sculture in ceramica 1927-1937, a cura di V. Terraroli; E. Pagella, Torino, 2010, pp. 29-39.
Nota 7 Cfr. D. Sanguineti; G. Zanelli, Ceramiche Lenci tra pubbliche esposizioni e strategie commerciali, in Lenci. Sculture, cit., pp. 41-51.
Nota 8 Cfr. V. Minocchi, Imprenditoria umbra nell'industria ceramica e dolciaria, Foiano della Chiana, 2017.
Nota 9 Intorno alla metà degli anni Trenta la Maioliche Deruta e CIMA stampa uno speciale listino-catalogo in cui condensa, ed integra con modelli di gusto moderno, alcune delle precedenti linee di produzione ceramica messe a punto nel corso degli anni dalle varie Società già consorziate nel CIMA: cfr. Società Anonima Maioliche Deruta e CIMA Perugia, Listino speciale CD per Confettieri e Dolcieri, Perugia, s.d. Questo speciale listino dimostra come alcune delle creazioni realizzate in questi anni dall'Aretini abbiano perso l'originaria paternità, adesso sostituita dal nome della fabbrica dove venivano serialmente prodotte (CIMA-Perugia, Beta-Perugia, Beta-CIMA-Perugia o Beta Deruta-Perugia) oppure dal nome della località sede della Società manifatturiera (Deruta-Perugia o solo Perugia). È questo il caso dei Fanciulli col fungo (cfr. ill.3 ill. 4) che, ferma restando la postura in cui sono immortalati i corpi dei personaggi, adesso diventano Fanciulli col mazzetto (cfr. ill. 5 ill. 6). Difatti, oltre alle lievi varianti costituite dal berretto del fanciullo e dall'acconciatura della fanciulla, ambedue orfani dei funghi, i due pupazzetti esibiscono ora, con civettuola ironia, dei colorati mazzetti floreali.
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