Wikipedia : Piazza SS Annunziata--Firenze

 

 

 

 

 

Breve presentazione della d.ressa Paola Ircani Menichini.

 

 

Laureata presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Firenze, da molti anni si occupa di ricerche storiche.

Ha studiato sotto la guida del p. Eugenio M. Casalini, osm, già docente alla Facoltà Teologica Marianum di Roma e responsabile dell’Archivio storico della SS. Annunziata di Firenze.

Si è diplomata in Re Archivistica presso la scuola specialistica dell’Archivio Segreto Vaticano nel 1990.

Collabora all’Archivio Storico della SS. Annunziata di Firenze e alle edizioni della Biblioteca della Provincia Toscana dell’Ordine dei Servi di Maria.

Coordina la redazione del periodico bimestrale La SS. Annunziata di Firenze, noto per la pubblicazione di articoli inediti di storia religiosa e di arte.

Ha studiato il Quattrocento fiorentino e toscano tramite i documenti dell’epoca quali il Catasto del 1427 e i registri di amministrazione dei Servi di Maria; altre sue ricerche d'archivio hanno interessato varie aree della Toscana.

Dal 30 gennaio 2008 è socio corrispondente dell'Accademia dei Sepolti di Volterra e dal 2009 socio corrispondente dell'Istituto Storico dei Servi di Maria di Roma.

 

Sito http://ricordare.xoom.it/index.html

Profilo http://ricordare.xoom.it/profilo.html

 

 

 

Principali pubblicazioni

 

 

 

I fatti del Giansenismo toscano nelle ‘Ricordanze’ di P. Costantino M. Battini, OSM, in "La SS. Annunziata di Firenze", vol. II, Firenze 1978.

 

Notari pistoiesi tra la fine del secolo XIII e l’inizio del secolo XIV, in "Bullettino Storico Pistoiese", LXXXVII, Pistoia 1985.

 

Ambiente e società a Rosignano nel secolo XVI, Pistoia 1989.

 

Fornitori di ceramiche e di stoviglie alla SS. Annunziata tra il secolo XV e il secolo XIX, in "La SS. Annunziata di Firenze", vol. IV, Firenze 1990.

 

Chiese e Castelli dell’Alto Medioevo (secc. V- XI) in Bassa Val di Cecina e in Val di Fine, Livorno 1993.

 

Storia e fonti delle origini di Santa Maria del Poggio (SS. Annunziata di Pistoia), in "Testi dei ‘Servi de la Donna di Cafaggio’", vol. V, Firenze 1995.

 

Gente e terre del Gabbro dall’antichità all’Unità d’Italia, in " Gabbro - gente terre e documenti ", Livorno 1996.

 

Vita quotidiana e storia della SS. Annunziata di Firenze nella prima metà del Quattrocento, Firenze 2004.

 

Il convento di Firenze e la sua relazione con la ripresa di Montesenario (1404), in "Il Chiostro alle origini dei Servi", Firenze 2005 e in "1304-1404. Due Centenari ed oltre. Documenti di storia e suggestioni d’attualità ". Quaderni di Montesenario, Firenze 2006.

 

Il quotidiano e i luoghi di Volterra nel catasto del 1429-30, Migliorini Editore, Volterra 2007.

 

Francesco Inghirami, e il disegno-incisione di una moneta d'argento del 1592 per il p. Costantino M. Battini della SS. Annunziata di Firenze, socio dell'Accademia dei Sepolti (1814), in Rassegna Volterrana LXXXVI, 2009, Editrice Accademia dei Sepolti di Volterra.

 

Memorie, della Chiesa, e convento della SS. Annunziata di Firenze di P. Filippo M. Tozzi dei Servi di Maria - trascrizione e note a cura di Eugenio M. Casalini, osm e Paola Ircani Menichini, Firenze 2010.

 

Il monastero e il conservatorio di s. Marco, poi s. Lino in s. Pietro nel Settecento e nel periodo napoleonico, in Rassegna Volterrana 2010, LXXXVII.

 

Conservatorio con vista: san Lino in san Pietro e la città di Volterra nei primi decenni dell’Ottocento, in Rassegna Volterrana 2010, LXXXVII.

 

Le lampade votive d'argento della cappella della SS. Annunziata di Firenze, Firenze 2011 (con p. Eugenio M. Casalini, osm).

 

La storia della pieve di San Michele e della Compagnia della Natività di Maria del Gabbro (sec. XIV-XIX). Le pievi e le chiese di Rosignano, Vada, Castelvecchio e Castelnuovo della Misericordia nelle visite pastorali dei secoli XV – XVII, Rosignano, 2011.

 

 

 

 

La Diocesi di Volterra e l’Accademia dei Sepolti presentano

IL IV CENTENARIO DELLA VISITA
DEL GRANDUCA COSIMO II

A VOLTERRA (1612):

ASPETTI POLITICI E RISVOLTI RELIGIOSI

 

Giovedì 13 Settembre 2012

Cappella della Croce di Giorno (g.c.)

presso la Chiesa di San Francesco in Volterra

 

Ore 15,30
Saluto delle Autorità.
Introduzione del Dott. Umberto Bavoni,
Primo Censore dell’Accademia dei Sepolti.

Ore 16,15 - Prof. Giovanni Cipriani:
"Il Granduca Cosimo II de' Medici a Volterra nel 1612"

Ore 16,45 - Dott.ssa Paola Ircani Menichini:
"La gran devotione de le genti - Affetto per il sacro e religiosità a Volterra all’epoca della visita di stato del granduca Cosimo II".

Ore 17,15 - Mons. Armando Volpi:
"Per crucem ad lucem. La Passione era veramente necessaria?"

Ore 18 – Chiesa di San Francesco: Celebrazione dei Primi Vespri della Solennità della Esaltazione della Santa Croce, presieduti da S.E. Mons. Alberto Silvani, vescovo di Volterra.

 

 

 

 

 

 

 

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CONTRIBUTI DI PAOLA IRCANI MENICHINI SU QUESTO SITO

 

Un contributo alla storia dei Carnesecchi

 

Alcune notizie sui Carnesecchi  Notizie su alcuni Carnesecchi

 

 

 

 

 

SPIGOLATURE DI STORIA FIORENTINA

 

 

 

 

MALTEMPO

 

In un registro della SS. Annunziata, fondo Conventi soppressi dal governo francese, 119, 34, foglio 83 è ricordato che dall’agosto 1542 all’ottobre 1542 "la saetta" cadde cinque volte "sulla lanterna della cupola del Duomo nel medesimo luogo e in altri posti della città".

Sempre nel medesimo registro al foglio 143r si trova scritto: "A dì 12 d’agosto 1547, Ricordo questo dì come venne un’acqua grossissima in Firenze la quale durò hore quattro in circha con grandine, tuoni e saette e fece un grandissimo danno in di molti luoghi e di poi a dì 13 venne a hora 12 una piena di verso el Mugello di tal sorte che gittò giù el Ponte al Borgho, Ponte Saginale, Ponte a Vicchio, Ponte a Vico, Ponte a Sieve con di molte case, chiese, mulina e con una gran perdita di persone in gran quanità e robe d’ogni sorte e molto bestiame d’ogni sorte e qui in Firenze per la gran quantità d’acqua Arno entrò per la sponda di Santa Maria delle Grazie e alagò el terzo di Firenze e alzò l’acqua intorno a Santa Croce una picca buona e più alla Porticciola d’Arno mandò a terra circa braccia sexanta del muro d’Arno".

Il padre cronista poi ricorda con meraviglia mista ad orrore il "vedere le robe, el bestiame insieme colle persone morte giù per Arno cosa che trecento anni ne fu mai più veduta. Et più detta pioggia con detta piena Muglione, Africo e Rifredi vennono in tal sorte grossi che andò giù alquanti mulini insieme colli ponti e con perdita di asai robe e il simile fu in Val di Bixenzio che allagò in tutto Prato così si stima detto danno che sa el valsente più di tre milioni d’oro senza le persone che sono affogare per detta acqua e piena si stimano che siano al numero di duemilia persona fra grande e piccolo". E conclude:

" Iddio sia quello che habbi compassione alle povere anime e a noi che doni la sua grazia acciò ci riduciamo al ben vivere. Questo ricordo ho scripto acciò li posteri vedino quali sono li judicii dello altissimo Iddio".

 

 

 

Firenze non era nuova a disastrose calamita' ricordava il Villani la grande alluvione del 1333 in questi termini apocalittici

 

 

Qui comincia il libro dodecimo, il quale, nel suo cominciamento faremo memoria d'uno grande diluvio d'acqua che venne in Firenze e quasi in tutta Toscana.

 

 

Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre, essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a

Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: "Vigilate, che·nnon sapete il dìe né l'ora del iudicio Dio", il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti cominciòe

a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l'alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano

aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la

città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l'acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio: "Misericordia, misericordia!" per le genti ch'erano in pericolo,

fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond'era sì grande il romore e 'l tumulto, ch'apena si potea udire il suono del tuono. Per la detta pioggia il fiume d'Arno

crebbe in tanta abondanza d'acqua, che prima onde si muove scendendo de l'alpi con grande rovina ed empito, sì che sommerse molto del piano di Casentino, e poi tutto il piano d'Arezzo, delValdarno

di sopra, per modo che tutto il coperse e scorse d'acqua, e consumòe ogni sementa fatta, abbattendo e divellendo li alberi, e mettendosi inanzi e menandone ogni molino e gualchiere ch'erano in Arno, e

ogni edificio e casa presso a l'Arno che fosse non forte; onde periro molte genti.

E poi scendendo nel nostro piano presso a Firenze, acozzandosi il fiume della Sieve con l'Arno, la qual era per simile modo isformata e grandissima, e avea allagato tutto il piano di Mugello, non

pertanto che ogni fossato che mettea inn-Arno parea un fiume, per la quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l'Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch'elli coperse tutto il piano di San

Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l'empito de l'acqua, non potendola lo spazio ove corre

l'Arno per la città ricevere, e per cagione e difetto di molte pescaie fatte infra la città per le molina, onde l'Arno per le dette pescaie era alzato oltre l'antico letto di più di braccia VII; e però salì

l'altezza de l'acqua alla porta de la Croce a Gorgo e a quella del Renaio per altezza di braccia VI e più; e ruppe e mise in terra l'antiporto de la detta porta, e ciascuna delle dette porte per forza ruppe e

mise in terra. E nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de' Tintori incontro a la fronte del dormentorio de' frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la

quale rottura venne l'Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d'acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de' frati minori, e poi tutta la città di qua da l'Arno; generalmente le rughe

coperse molto, e allagò ove più e ove meno; ma più nel sesto di San Piero Scheraggio e porte San Piero e porte del Duomo, per lo modo che chi leggerà per lo tempo avenire potrà comprendere i

termini fermi e notabili onde faremo menzione apresso. Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l'acqua infino al piano di sopra de l'altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la

porta. E in Santa Liperata infino a l'arcora de le volte vecchie di sotto al coro; e abbatté in terra la colonna co la croce del segno di san Zanobi ch'era ne la piazza. E al palagio del popolo ove stanno i

priori salì il primo grado della scala ove s'entra, incontro a la via di Vacchereccia, ch'è quasi il più alto luogo di Firenze. E al palagio del Comune ove sta la podestà salì nella corte di sotto dove si

tiene la ragione braccia VI. Alla Badia di Firenze, infino a piè de l'altare maggiore, e simile salì a Santa Croce al luogo de' frati minori infino a piè de l'altare maggiore; e in Orto San Michele e in

Mercato Nuovo salì braccia II; e in Mercato Vecchio braccia II, per tutta la terra. E Oltrarno salìo ne le rughe lungo l'Arno in grande altezza, spezialmente da San Niccolò, e in borgo Pidiglioso, e in

borgo San Friano, e da Camaldoli, con grande disertamento delle povere e minute genti ch'abitavano in terreni. In piazza infino a la via traversa, e in via Maggio infino presso a San Felice.

E il detto giuovidì ne l'ora del vespro la forza e empito de l'acqua del corso d'Arno ruppe la pescaia d'Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch'è a lo 'ncontro e dietro al borgo a San Friano, in

due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch'era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta. E rotta la detta pescaia d'Ognesanti, incontanente rovinò e cadde

il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è

stipato per la preda de l'Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l'Arno che v'è salì e valicò l'arcora del ponte, e per le case e botteghe che v'erano suso, e per soperchio dell'acqua

l'abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l'Arno valicò l'arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il

palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr'Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E cadde in Arno la statua di Mars, ch'era in sul pilastro a piè del detto ponte

Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione. E non sanza

cagione fu detto, che per isperienza s'è provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Mars, e quante case avea dal ponte Vecchio a quello da la Carraia, e infino alla gora lungo l'Arno

rovinato, e in borgo Sa·Iacopo, eziandio tutte le vie lung'Arno di qua e di là rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro molte case male fondate per la

città in più parti. E se non fosse che la notte vegnente rovinò del muro del Comune dal prato d'Ognesanti da braccia CCCCL per la forza dell'acqua, la quale rottura sfogò l'abondanza della raccolta

acqua, onde la città era piena e tuttora crescea, di certo la città era in grande pericolo, e per montare l'acqua in tutte parti della città il doppio che non fece; ma rotto il detto muro, tutta l'acqua

ch'era ne la città ricorse con grande foga a l'Arno, e fu venuta quasi meno e nella città fuori del corso d'Arno il venerdì ad ora di nona, lasciando la città e tutte le vie e case e botteghe terrene e

volte sotterra, che molte n'avea in Firenze, piene d'acqua di puzzolente mota, che non si sgombrò in sei mesi; e quasi tutti i pozzi di Firenze guastò, e si convennero rifondare per lo calo del letto

d'Arno. E seguendo il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d'Ertignano, e di Settimo, d'Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a

Signa, e del contado di Prato, coperse l'Arno diversamente in grande altezza, guastando i campi, vigne, menandone masserizie, e le case e molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato

Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse

l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di San Miniato e di Fucecchio e Montetopoli e di

Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l'Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo

canale infino in mare, che prima non v'era; e da l'altro lato di Pisa isgorgò ne li Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e guastò tutto 'l piano

di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese. Questo diluvio fece alla città e contado di Firenze infinito danno di persone

intorno di IIIc, tra maschi e femine, piccioli e grandi, ch'al principio si credea di più di IIIm, e di bestiame grande quantità, di rovina de' ponti e di case e molina e gualchiere in grande numero, che

nel contado non rimase ponte sopra nullo fiume e fossato che non rovinasse; di perdita di mercatantie, panni lani di lanaiuoli per lo contado, e d'arnesi, e di masserizie, e del vino, che·nne

menòe le botti piene, assai ne guastòe; e simile di grano e biade ch'erano per le case, sanza la perdita di quello ch'era seminato, e il guastamento e rovina delle terre e de' campi; l'acqua coperse e

guastò, i monti e piaggie ruppe e dilaniò, e menò via tutta la buona terra. Sì che a stimare a valuta di moneta il danno de' Fiorentini, io che vidi queste cose per nullo numero le potrei né saprei

adequare, né porrevi somma di stima; ma solo il Comune di Firenze sì peggiorò di rovina di ponti e mura di Comune e vie, che più di CLm di fiorini d'oro costaro a·rrifare. E questo pericolo non fu

solamente in Firenze e nel distretto, con tutto che l'Arno per la sua disordinata abondanza d'acqua in quella peggio facesse, ma dovunque hae fiumi o fossati in Toscana e in Romagna, crebbono per

modo che tutti i loro ponti ne menaro e usciro di loro termini, e massimamente il fiume del Tevero, e copersono le loro pianure d'intorno con grandissimo dannaggio del contado del Borgo a

Sansipolcro, e di Castello, di Perugia, di Todi, d'Orbivieto, e di Roma; e il contado di Siena e d'Arezzo e la Maremma gravò molto. E nota che·nne' dì che fue il detto diluvio e più dì appresso in

Firenze ebbe grande difetto di farina e di pane per lo guasto delle molina e de' forni; ma i Pistolesi, Pratesi, Colle, e Poggibonizzi, e l'altre terre del contado e d'intorno, soccorsono con grande

abondanza di pane e di farina la città di Firenze, che venne a grande bisogno. Fecesi questione per li savi Fiorentini antichi, che allora viveano in buona memoria, qual era stato maggiore diluvio, o

questo, o quello che fu gli anni Domini MCCLXVIIII. I più dissono che l'antico non fu quasi molto meno acqua, ma per l'alzamento fatto del letto d'Arno, per la mala provedenza del Comune di

lasciare alzare le pescaie a coloro ch'aveano le molina inn-Arno, ch'era montato più di braccia VII da l'antico corso, la città fu più allagata e con maggiore damaggio che per l'antico diluvio; ma a cui

Dio vuole male li toglie il senno. Per lo quale difetto avenuto delle pescaie incontanente fu fatto dicreto per lo Comune di Firenze che infra' ponti nulla pescaia né molino fosse, né di sopra a

Rubaconte per ispazio di IIm braccia, né di sotto a quello dalla Carraia per ispazio di IIIIm braccia, sotto gravi pene; e dato ordine, e chiamati oficiali a fare rifare i ponti e le mura cadute. Ma tornando

al proposito a la quistione di sopra, crediamo che questo diluvio fosse troppo maggiore che l'antico, che solamente non fu tanto il crescimento per piova, come fue per terremuoto. Di certo che l'acqua

chiara surgea d'abisso con grandi sampilli sopra più terreni; e questo vedemo in più parti, e eziandio in sulle montagne; e però più a pieno avemo messo in nota in questa cronica di questo disordinato

diluvio a perpetua memoria, perch'è istata grande novità da notare, che dapoi che·lla città di Firenze fu distrutta per Totile Flagellum Dei, non ebbe sì grande aversità e damaggio come fu questo.

 

 

 

Archivio del convento della SS. Annunziata di Firenze, Ricordanze di padre Costantino Battini:

23 aprile 1787.

[…] È da notarsi che in questa mattina medesima è stata una gagliarda brinata con diaccio, che si vuole sia stata di grave pregiudizio alla campagna, specialmente alle viti, che attesa la molto avvanzata stagione, hanno già sbocciato. Vi è stato chi da questo stravagante successo ha preteso fare il prognostico per l'esito del divisato congresso [l’assemblea dei Vescovi di Toscana voluta da Pietro Leopoldo].

29 maggio domenica 1791. Verso le 4 ore dopo il mezzo giorno è caduta una orribile e spaventosa grandine nella parte di qua d’Arno in Firenze e nei suoi circondari fuori della Porta S. Gallo e Porta a Pinti. La sua direzione è stata da tramontana a mezzogiorno. Ha devastato la campagna per qualche miglio fuori di città esterminando intieramente la raccolta del grano prossimo a mietersi, rovinando affatto le viti, e danneggiando quasi del tutto gli olivi. Il nostro podere della Lastra e il podere del Ferro ossia del Romito sono restati sotto questo flagello, non avendo gli altri sofferto alcun danno. Questo nostro convento e molte delle sue case ha sofferto molto nei vetri delle finestre, calcolandosi che il danno ascenda alla somma di circa 300 scudi, a cui unito il danno dei poderi devastati, si rende assai notabile il pregiudizio che ha arrecato al convento questo disastro. È stata così grossa abbondante e rovinosa questa grandine, che la Chiesa si è riempita d'acqua all'altezza di quasi un braccio, rigurgitando furiosamente dai chiostri contigui con riddursi l'acqua intorno alla cappella della SS. Nunziata dove il pavimento va ad abbassarsi considerabilmente ed essendo in un anno accaduto due volte di empirsi così la Chiesa d'acqua. L’una nel mese di agosto 1790 in occasione di fierissimo temporale accaduto al fare del giorno; l'altra quest'oggi 29 maggio 1791. Quindi pensano i PP. di farvi uno sfogo, o chiusino affinché accadendo una simile disgrazia altre volte, si possa facilmente liberare la Chiesa dall'acqua poiché tre ore di tempo non sono bastate in questa occasione a vuotarla, quantunque vi siano state impiegate non poche persone.

Nella sera essendo io uscito per la città, trovai in alcuni luoghi moltissima grandine ammontata, ed in alcune strade appena si poteva passare. E oggi 31 maggio in cui scrivo fuori di Porta S. Gallo tutt’ora si trovano i fossi pieni di grandine congelata.

Questo terribile flagello mi richiama alla mente un danno assai maggiore sofferto nella nostra Tenuta di Maremma da una grandine simile l'anno passato, cioè verso il dì 13 giugno 1790, avendo tralasciato inconsideratamente di notarlo per essere allora occupati in cose più dispiacevoli e disgustose.

Questa grandine orribile caduta nella campagna grossetana ci devastò una raccolta di circa 200 moggia di grano, oltre gli altri danni nei pascoli, avendo occupato le tenute del Terzo, del Bagno ed il Fitto della Mensa del vescovado di Grosseto.

Per rimediare al sofferto pregiudizio i PP. sono venuti in deliberazione di prendere a censo 2000 scudi co’ quali rimettere in piedi la sementa e supplire alle altre spese della Tenuta di Maremma, la quale in questa occasione tra lucro cessante e danno emergente ha sofferto pregiudizio di più di tre mila scudi.

 

 

 

 

 

 

 

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