LA MADONNA E I MISTERI DEL ROSARIO
DI MARCO MATTIA
Il fatto che un dipinto del Vasari, la pala d’altare " La Madonna e i misteri del rosario" fosse posta davanti ,quasi ad occultare, un'altra opera creduta scomparsa da secoli, è stato considerato dal team del Professor Seracini un precedente importante.
Il Masaccio affrescò la Trinità in Santa Maria Novella tra il 1424 e il 1425.
Il ritrovamento dell’opera avvenne in due momenti differenti.
Attorno al 1860 a seguito di lavori di restauro venne rinvenuto l’affresco nella parete di sinistra della terza navata di Santa Maria Novella, parete alla quale era stata addossato un altare con una pala , La madonna e i misteri del rosario del Vasari, durante il restauro diretto da quest’ultimo nel 1570 , restauro legato alla controriforma come racconta lo studioso Roberto Lunardi nel sito smn.it :
Nel 1565 cominciò l'imponente ristrutturazione operata da Giorgio Vasari per volere di Cosimo de' Medici il quale dispose il riordinamento dell'edificio ecclesiale secondo quanto si stava stabilendo al Concilio di Trento, onde ottenere i favori del pontefice domenicano Pio V e con essi la corona granducale. Per prima cosa fu fatto un elenco della parti da rinnovare e fu deciso l'abbattendo del ponte, del coro e delle antiche cappelle per costruire i nuovi altari monumentali, uno per campata e due addossati alla controfacciata, allineati lungo le pareti delle navate e che sarebbero stati poi consacrati tra il 1577 e il 1578. Le finestre furono ridotte in altezza, allargate e incorniciate; le pareti imbiancate e gli affreschi antichi scialbati, distrutti o nascosti dietro i nuovi altari. Così fu nascosta anche la 'Trinità' di Masaccio ritornata soltanto da pochi decenni nel suo luogo originario e fatta per essere vista dalla porta di accesso alla chiesa dalla parte del cimitero degli Avelli, anch'essa murata dal Vasari. L'altare maggiore fu spostato in avanti e dietro vi trovò posto il nuovo coro. Per fare un altro accesso alla chiesa dalla parte della navata orientale, nella parete della quarta arcata furono abbattuti due avelli ed aperta una porta nel cui vano, oggi richiuso, è venerata la statua della 'Madonna del Rosario'. Accanto si vede ancora l'acquasantiera che vi fu messa al tempo del Vasari e fatta fare da Bartolommeo Cederni.
Il dipinto venne smontato, restaurato e posto in altro luogo nella chiesa, cosa che all’epoca suscitò molte polemiche.
Nel 1952, durante un altro restauro, venne rinvenuta la parte inferiore dell’affresco, la parte dove è raffigurato lo scheletro che simboleggia la morte con l'iscrizione :
"IO FU GIÀ' QUEL CHE VOI SETE E QUEL CH’I SON VOI ANCO SARETE".
I ricercatori diedero per scontato che fosse l’originale ubicazione dell’opera e ,fatto il lavoro di restauro proprio li la posero, dove è visibile al pubblico adesso.
Giorgio Vasari invece racconta un’altra cosa .
Da Le Vite , Biografia del Masaccio :
"… In Santa Maria Novella ancora dipinse a fresco sotto il tramezzo della chiesa una Trinità che è posta sopra l’altar di S. Ignazio, e la Nostra Donna e S. Giovanni Evangelista, che la mettono in mezzo contemplando Cristo crucifisso. Dalle bande sono ginocchioni due figure, che per quanto si può giudicare, sono ritratti di coloro che la feciono dipignere; ma si scorgono poco, essendo ricoperti da un ornamento messo d’oro. Ma quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro…"
A differenza da quello che si racconta forse l'ubicazione originale della Trinità non era la parete della terza navata, ma il tramezzo di Santa Maria Novella, come ci racconta lo stesso Vasari..
Dal disegno sottostante si comprende con facilità che il tramezzo era distante dalla parete della terza navata
.
In verità gli stessi studiosi domenicani, redattori e curatori del sito internet smn.it vero e proprio punto di riferimento per gli storici ,sono dubbiosi sull’identificazione della terza navata come il luogo dove fu affrescata la Trinità sostenendo che venne spesso confusa con il Crocefisso della Trinità , altra opera presente in Santa Maria Novella. Ciò che si evince è che una testimonianza attendibile è proprio quella del Vasari contenuta nella biografia del Masaccio de Le Vite.
Da Le Vite, Biografia di Giorgio Vasari :"… E perché il signor Duca, veramente in tutte le cose eccellentissimo, si compiace non solo nell’edificazioni de’ palazzi, città, fortezze, porti, logge, piazze, giardini, fontane, villaggi, et altre cose somiglianti, belle, magnifiche et utilissime, e comodo de’ suoi popoli, ma anco sommamente in far di nuovo e ridurre a miglior forma e più bellezza, come catolico prencipe, i tempii e le sante chiese di Dio, a imitazione del gran re Salamone, ultimamente ha fattomi levare il tramezzo della chiesa di Santa Maria Novella, che gli toglieva tutta la sua bellezza, e fatto un nuovo coro e ricchissimo dietro l’altare maggiore, per levar quello che occupava nel mezzo gran parte di quella chiesa; il che fa parere quella una nuova chiesa bellissima, come è veramente. E perché le cose, che non hanno fra loro ordine e proporzione, non possono eziandio essere belle interamente, ha ordinato che nelle navate minori si facciano, in guisa che corrispondano al mezzo degl’archi, e fra colonna e colonna, ricchi ornamenti di pietre con nuova foggia, che servino con i loro altari in mezzo per cappelle e sieno tutte d’una o due maniere. E che poi nelle tavole che vanno dentro a’ detti ornamenti, alte braccia sette e larghe cinque, si facciano le pitture a volontà e piacimento de’ padroni di esse cappelle. In uno dunque di detti ornamenti di pietra, fatti con mio disegno, ho fatto per monsignor reverendissimo Alessandro Strozzi vescovo di Volterra, mio vecchio et amorevolissimo padrone, un Cristo crucifisso, secondo la visione di Santo Anselmo, cioè con sette virtù, senza le quali non possiamo salire per sette gradi a Gesù Cristo, et altre considerazioni fatte dal medesimo maestro Andrea Pasquali, medico del signor Duca, ho fatto in uno di detti ornamenti la Ressurrezione di Gesù Cristo in quel modo che Dio mi ha inspirato, per compiacere esso maestro Andrea mio amicissimo…"
La Madonna e i misteri del rosario
Di Giorgio Vasari
In architettura ecclesiastica il termine tramezzo viene impiegato per designare la parete che divide la chiesa aperta al pubblico da quella riservata ai soli religiosi. I tramezzi affrescati o ponti con le scene della Vita e della Passione di Cristo rappresentano un fenomeno culturale ed artistico tipico della devozione e della spiritualità e quello di Santa Maria Novella non fa eccezione. Le notizie che ci sono pervenute lo descrivono come affrescato e su due piani, quindi se il Vasari scrive " sotto il tramezzo" probabilmente si riferisce alla parte bassa , in ogni caso difficile che si riferisca al luogo dove lo ammiriamo ora, obbiettivamente distante dal tramezzo stesso. In altre occasioni, in altre biografie delle Vite, il Vasari dice "sopra"[ biografia di Giotto:… A man destra, sopra la sepoltura de’ Gaddi e nella medesima chiesa, fece sopra il tramezzo un S. Lodovico a Paulo di Lotto Ardinghelli, et a’ piedi il ritratto di lui e della moglie di naturale...] o "sotto" [ biografia di Taddeo Gaddi … E sotto il tramezzo che divide la chiesa, a man sinistra sopra il Crocifisso di Donato, dipinse a fresco una storia di S. Francesco, d’un miracolo ch’e’ fece nel resuscitar un putto che era morto cadendo da un verone…] o "nel tramezzo" [ biografia del Margaritone :… a Roma in S. Ianni et in S. Piero e parte in Pisa in S. Catarina, dove, nel tramezzo della chiesa, è appoggiata sopra un altare una tavola…] a seconda della posizione dell'opera.
Cercando di capire se fosse davvero un modus operandi quello del Vasari di smontare affreschi destinati alla distruzione per occultarli in un altro luogo ho tentato la ricerca di una prova , come il CERCA TROVA della battaglia di Scannagallo proprio nella pala d’altare che occultava la Trinità, La Madonna e i misteri del rosario. Le foto in rete di quest’opera sono scarse e in genere a bassa risoluzione ma in un database fotografico curato dall’Istituto Universitario Olandese di storia dell’arte di Firenze ho trovato una vecchia foto in bianco e nero e ingrandendo l’immagine ho notato quella che sembrava una scritta, minuscola e non decifrabile. Su un’altra foto, quella di un santino, scaricata da un sito d’aste per collezionisti, l’iscrizione è più evidente. Un santo, alla sinistra della Madonna con Gesù bambino, porge un rosario ad un uomo, proprio sopra la testa di un angioletto. La scritta è posta nei grani della corona, dall’alto verso il basso. Dopo averla ingrandita e passata al negativo ho letto SEGNAL. Questa scritta risulta ad oggi sconosciuta sia agli studiosi che ai custodi dell’opera. Scontato il tentativo di risolverlo come se fosse un altro gioco di parole ma a differenza del CERCA TROVA il cui risultato è un nome proprio la cosa è un po’ più complessa e si presta a varie interpretazioni.
Il rebus anagrammato è composto da SEGNAL e CORONA e si ottengono varie soluzioni: ANCOR SEGNALO e L'ARCANO SEGNO sono valide e corrette. Splendida , ma purtroppo sgrammaticata, è SOGNA NEL ARCO , riferita naturalmente alla Trinità del Masaccio che era celata dietro la pala d'altare del pittore aretino., ma sopratutto riferita alla sua posizione ed al contenuto. Così Giorgio Vasari nella sua autobiografia delle Vite a proposito dei lavori di restauro da lui condotti in Santa Maria Novella:
"… E perché le cose che non hanno fra loro ordine e proporzione non possono eziandio essere belle interamente, ha ordinato che nelle navate minori si facciano, in guisa che corrispondano al mezzo degl’archi, e fra colonna e colonna, ricchi ornamenti di pietre con nuova foggia, che servino con i loro altari in mezzo per cappelle e sieno tutte d’una o due maniere; e che poi nelle tavole che vanno dentro a detti ornamenti, alte braccia sette e larghe cinque, si facciano le pitture a volontà e piacimento de’ padroni di esse cappelle..".
La Madonna e i misteri del rosario era una di quella tavole, posta sopra un altare, e la Trinità , proprio dietro ad essa, era nel mezzo dell'arco. Nella parte bassa dell’opera è rappresentato lo scheletro, adagiato sopra un sarcofago sul quale è posta l' iscrizione : IO FU’ GIÀ QUEL CHE VOI SETE, E QUEL CH’I’ SON VOI ANCO SARETE, il memento mori. E' lo scheletro che parla, che ci ricorda che alla fine tutti moriremo, ma proprio perchè dorme il sonno eterno e non può parlare, sogna. Sogna nell'arco, appunto.
LE CONCLUSIONI
L’attività di mecenatismo del Duca Cosimo I e la grande attenzione per il valore simbolico e propagandistico delle immagini e degli edifici affiancato ad una vigorosa azione politica è l’efficace metodo per il consolidamento del potere. Molto significativo è il trasferimento della residenza della famiglia a Palazzo Vecchio, già sede del Comune e quindi della Repubblica, che segna il definitivo tramonto di tutte le speranze d’indipendenza, ormai irrealizzabile con l’Impero spagnolo che domina lo scacchiere politico internazionale.
Giorgio Vasari è profondamente permeato dalla cultura cortigiana di quegli anni e asseconda ogni richiesta celebrativa ed encomiastica del Duca Cosimo e naturalmente ciò avviene anche per il restauro e l’abbellimento di Palazzo Vecchio.
Sei affreschi nel salone dei cinquecento raccontano sei episodi di due guerre combattute e vinte da Firenze , contro Pisa e contro Siena, una combattuta dal governo popolare ed una dal Duca Cosimo, una vinta in quattordici anni ed una in quattordici mesi.
Le vite , autobiografia del Vasari :
"...Le quali storie dico trattano delle cose di Fiorenza, dalla sua edificazione insino a oggi, la divisione in quartieri, le città sottoposte, nemici superati, città soggiogate, et in ultimo il principio e fine della guerra di Pisa, da uno de’ lati, e dall’altro il principio similmente e fine di quella di Siena; una dal governo popolare condotta et ottenuta nello spazio di quattordici anni, e l’altra dal Duca in quattordici mesi, come si vedrà;..."
Il Vasari sottolinea con enfasi la durata delle due guerre, sia nella sua autobiografia delle Vite che nei Ragionamenti.
L'arte è il mezzo che usa la politica per il confronto, la forza del Duca da un lato e i tempi lunghi e la precarietà dall'altra, l'efficienza del condottiero contro il caos della democrazia senza un leader. Quello che cercava Cosimo con quegli affreschi non era illustrare la storia della città , ma era il consenso. Quei sei affreschi sono un meraviglioso esempio di propaganda. Da questo punto di vista non è difficile comprendere come per La battaglia di Anghiari non ci sia mai stato posto in alcun palazzo o edificio mediceo. Era il dipinto del maestro più grande a cui Dio stesso fece dono delle capacità, era l’opera che affascinò e sconvolse gli artisti contemporanei , era un magnete che attirava sguardi e catalizzava l’attenzione. E raccontava le gesta eroiche dei nemici, una vittoria del governo popolare.
Il Vasari era probabilmente combattuto: da un lato l’amore per l’arte e dall’altro la paura di disubbidire, disattendere la volontà del Duca. Non credo che disubbidendo rischiasse la vita, senz’altro però avrebbe seriamente messo a rischio la stima dell’Imperatore ed i rapporti personali. Architetto di corte al quale il Duca aveva addirittura affidato il restauro e l’abbellimento della propria dimora, godeva indiscutibilmente di privilegi che Cosimo I aveva esteso anche alla famiglia, come racconta Vasari nella sua biografia:
"…Delle quali mie fatiche, ancora che continue, difficili e grandi, ne fui dalla magnanima liberalità di sì gran Duca, oltre alle provisioni, grandemente e largamente rimunerato con donativi, e di case onorate e comode in Fiorenza et in villa, perché io potessi più agiatamente servirlo; oltre che nella patria mia d’Arezzo mi ha onorato del supremo magistrato del Gonfalonieri et altri ufizii, con facultà che io possa sostituire in quegli un de’ cittadini di quel luogo; senzaché a ser Piero mio fratello ha dato in Fiorenza ufizî d’utile, e parimente a’ mia parenti d’Arezzo favori eccessivi: là dove io non sarò mai per le tante amorevolezze sazio di confessar l’obligo che io tengo con questo signore…"
Forse Giorgio Vasari non se l’è sentita di distruggere la Battaglia di Anghiari e forse l’ha nascosta davvero nella torre della vacca, come la Trinità del Masaccio intonacata proprio sotto la superficie di una parete e quelle scritte nei suoi dipinti indizi celati ulteriormente con l’escamotage degli anagrammi.
In definitiva penso si tratti di un gesto d’amore e mi auguro che alla Battaglia di Scannagallo venga concesso il beneficio del dubbio, se non l’assoluzione con formula piena perché riconosciuti sbagliati i principi e i metodi dell’attuale ricerca . Quello che credo è che ci sia un’altra strada percorribile e credo anche che se ci fosse una sola possibilità di ritrovare la Battaglia di Anghiari senza danneggiare un’altra opera , debba essere cercata, non solo per il suo immenso valore artistico, ma anche per quello che rappresenta, cioè l’attaccamento ai valori repubblicani , libertà e democrazia . Ed i metodi della ricerca sono senz’altro quelli del Professor Massimiliano Pieraccini dell’Università di Firenze, metodi non invasivi e assolutamente rispettosi.
RICERCA DI : MARCO MATTIA
FONTI:
Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori Aut. Giorgio Vasari
Palazzo Vecchio Storia e arte Aut. Fiorenza Scalia 1979
Palazzo Vecchio Guida alla fabbrica , ai quartieri e alle collezioni Aut. Ugo Muccini e Alessandro Cecchi
I fatti principali della storia di Firenze Aut. Arcangelo Piccioli 1850 e consultabile on line
Arte nel tempo Dalla crisi della Maniera al Rococò Aut. Pierluigi De Vecchi e Elda Cerchiari
Il sito smn.it
Il sito www.archeofirenze.unisi.it con disegni in 3d e video sull’edificazione nel corso dei secoli di palazzo vecchio..
Il sito Niki photo web site Database fotografico dell’Istituto Universitario Olandese di storia dell’arte
Il sito collections.delcampe.net per la foto del santino della Madonna e i misteri del rosario
La Battaglia di Anghiari di Leonardo
La Battaglia di Anghiari era una pittura murale di Leonardo da Vinci, databile al 1503 e già situata nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. A causa dell'inadeguatezza della tecnica il dipinto venne lasciato incompiuto e mutilo; circa sessant'anni dopo la decorazione del salone venne rifatta da Giorgio Vasari, non si sa se distruggendo i frammenti leonardiani o nascondendoli sotto un nuovo intonaco o una nuova parete: i saggi finora condotti non hanno sciolto il mistero
Nell'aprile del 1503 Pier Soderini, gonfaloniere a vita della rinata Repubblica fiorentina, affidò a Leonardo, da qualche anno tornato in città dopo il lungo e prolifico soggiorno milanese, l'incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Si trattava di un'opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi, e che l'avrebbe visto faccia a faccia con il suo collega e rivale Michelangelo, a cui era stato commissionato un affresco gemello su una parete vicina, la Battaglia di Càscina (29 luglio 1364, contro i Pisani).
La scena affidata a Leonardo invece era la battaglia di Anghiari, cioè un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440; nel complesso la decorazione doveva quindi celebrare il concetto di libertas repubblicana, attraverso le vittorie contro nemici e tiranni.
Dopo un viaggio a Pisa nel luglio, Leonardo iniziò infine a progettare il grande dipinto murale che, come per altre sue opere, non sarebbe stato un affresco, ma una tecnica che permettesse una gestazione più lenta e riflessiva, compatibilmente col suo modus operandi. Dalla Historia naturalis di Plinio il Vecchio recuperò l'encausto, che adattò alle sue esigenze.
Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, né si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.
Leonardo in particolare, dopo molti studi e tentativi, mise in opera il suo dipinto, ma come nel caso dell'Ultima Cena anche questa scelta tecnica si rivelò drammaticamente inadatta quando era ormai troppo tardi. Predispose due enormi pentoloni carichi di legna che ardeva, generando una temperatura altissima che avrebbe dovuto essiccare la superficie dipinta, puntandoveli direttamente (vi sono diversi studi descritti nei suoi manoscritti). La vastità dell'opera non permise però di raggiungere una temperatura sufficiente a far essiccare i colori, che colarono sull'intonaco, tendendo inoltre ad affievolirsi, se non a scomparire del tutto. Nel dicembre 1503 l'artista interruppe così il trasferimento del dipinto dal cartone alla parete, frustrato dall'insuccesso.
Paolo Giovio vide i resti del dipinto e ne lasciò una viva descrizione nella sua vita di Leonardo: "Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui Pisani, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell'intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce. Ma il rammarico per il danno inatteso sembra avere straordinariamente accresciuto il fascino dell'opera interrotta".
Tra le migliori copie tratte dal cartone di Leonardo c'è quella di Rubens, oggi al Louvre. Perduto anche il cartone, le ultime tracce dell'opera furono probabilmente coperte nel 1557 dagli affreschi del Vasari.
In realtà, nonostante i disastri, l'opera era stata in gran parte completata, infatti Leonardo ci aveva lavorato per ben un anno con sei assistenti. Malgrado i danni nella parte alta, quindi, questa Battaglia di Anghiari rimase esposta a Palazzo Vecchio per diversi anni; molti la videro. Alcuni la riprodussero. Rubens, però, interpretò la parte centrale da una copia o forse dal cartone (sicuramente non dai resti del dipinto, essendo nato nel 1577, quando la profonda ristrutturazione di Giorgio Vasari era già stata messa in opera). Il dipinto di Rubens offre un'idea abbastanza chiara di cosa fosse l'affresco di Leonardo.
Esiste ancora la Battaglia di Anghiari?
Il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, che allora era la Sala del Maggior Consiglio della Repubblica di Firenze, è la più grande sala per la gestione del potere mai realizzata in Italia. Oggi è lunga 54 metri e alta 18, ma ai tempi di Leonardo era molto diversa: era più spartana e meno decorata. Fu il Vasari a trasformarla su richiesta di Cosimo I de' Medici: per accentuare l'imponenza della sala, la raccorciò e l'innalzò di ben 7 metri, su consiglio dell'anziano Michelangelo. In alto fece realizzare il soffitto dorato a cassettoni su cui si scorge il trionfo di Cosimo, il nuovo sovrano di Firenze, e la sottomissione della città e dei quartieri. Ai lati dipinse sei affreschi, simbolo della potenza dei Medici: da una parte la presa di Siena e dall'altra la sconfitta di Pisa.
Ovviamente tutte queste modifiche potrebbero aver distrutto il capolavoro di Leonardo, ma è anche vero che il Vasari aveva una grande ammirazione per Leonardo e che forse non avrebbe osato distruggere una sua opera. Si può citare il caso emblematico e per certi versi analogo della Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella: nonostante l'opera fosse da Vasari ampiamente lodata nelle Vite, egli, chiamato ad aggiornare la decorazione della chiesa, non esitò a coprire l'affresco con un altare moderno e una nuova pala; l'opera non fu però distrutta, infatti fu possibile recuperarla nel 1860.
Si può, quindi, supporre che Vasari abbia tentato, in qualche modo, di mantenere il dipinto, forse ricoprendolo. Indagini termografiche hanno rivelato che sulla parete ovest, quella che rappresenta la sconfitta dei Pisani, un tempo dovevano esserci quattro enormi finestre, oggi murate: alcuni studiosi, quindi, ritengono che Leonardo non avesse potuto dipingere su questa parete, date le dimensioni, ma piuttosto sulla parte est dove, invece, le aperture erano solo due.
Il Vasari è molto chiaro nei suoi scritti: il lato sinistro della parete era riservato a Michelangelo, quello destro a Leonardo e, considerando tutte le modifiche che ha subito la sala, alcuni studiosi ritengono che il nucleo del dipinto probabilmente si trova nella zona sopra la porta di sud-est. Su questa zona della parete sono stati fatti dei saggi esplorativi ed è emerso, al suo interno, un secondo muro. I sondaggi però non hanno ancora permesso di sapere se le due pareti sono appoggiate l'una all'altra oppure se è stato lasciato un piccolo spazio vuoto, un'intercapedine, che tutelerebbe e proteggerebbe il dipinto leonardiano. I risultati di un'indagine compiuta da un'equipe del National Geographic, guidata dall'ingegner Maurizio Seracini, direttore del Center of Interdisciplinary Science for Art, Architecture and Archaeology di San Diego, , i cui risultati sono stati resi pubblici nel marzo 2012, sembrano aver rivelato tracce di pigmenti sottostanti l'affresco vasariano, compatibili con colori usati da Leonardo in altre opere. Tuttavia molti studiosi sono scettici a tale riguardo e ritengono che si debba procedere ad analisi più approfondite. Ovviamente l'ipotesi, ma soprattutto il desiderio, che una così grande opera, anche se non riuscita, ma così carica di storia, ci sia ancora e che magari si trovi solo a poche decine di centimetri dall'osservatore, scatena le fantasie di molte persone.
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Un ulteriore particolare che ha acceso diverse fantasie deriva proprio dall'affresco del Vasari dedicato alla Vittoria di Cosimo I a Marciano in val di Chiana, nello stesso salone: fra le molte bandiere verdi dipinte ve n'è una che reca una scritta in bianco "CERCA TROVA". La scritta, che è difficilmente leggibile da un osservatore perché si trova molto in alto, è contemporanea al dipinto, e ciò fa presupporre che sia stata apposta dallo stesso Vasari, e stranamente non segue le pieghe della bandiera. Recentemente è stato pubblicato un articolo dagli storici Alfonso Musci (Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Palazzo Strozzi) e Alessandro Savorelli (Scuola normale superiore di Pisa) sulla rivista Rinascimento, che fornisce l'interpretazione della scritta legandola a testi di cronache (di Bernardo Segni, Antonio Ramirez de Montalvo, Domenico Moreni) relative alla Battaglia di Scannagallo (1554).
I documenti contengono dettagliate descrizioni araldiche delle insegne antimedicee presenti a Marciano della Chiana, tra cui quella di otto bandiere verdi con il ricamo del verso dantesco: "Libertà va cercando, ch'è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta" (Purgatorio I, vv. 70-72). Tali bandiere verdi di "libertà" erano state donate da Enrico II di Francia alle truppe del banchiere repubblicano Bindo Altoviti, guidate da Piero Strozzi e da Giambattista Altoviti. Dopo la disfatta dei repubblicani e delle truppe francesi, le insegne - cadute nelle mani dei vincitori e consegnate al Granduca Cosimo - sarebbero state esposte nella navata centrale della basilica di San Lorenzo.
Ricostruendo il tema della fortuna e della damnatio della più antica insegna fiorentina (Libertas) nel ciclo pittorico ideato dal granduca Cosimo I de' Medici e da Vincenzo Borghini nel Salone dei Cinquecento, i due studiosi spiegano il "CERCA TROVA" come allusione 'morale' al verso dantesco e al destino infausto dei repubblicani ("cercar la libertà e trovar la morte") e smentiscono così la fantasiosa interpretazione che si trattasse di un indizio da caccia al tesoro.
La battaglia di Anghiari fu combattuta il 29 giugno 1440
La battaglia di Anghiari fu combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi ed una coalizione guidata dalla Repubblica di Firenze.
L'esercito della coalizione concentratosi nei pressi del piccolo borgo di Anghiari comprendeva 4000 soldati del Papa, guidati dal cardinale Ludovico Trevisan, un pari contingente fiorentino, ed una compagnia di 300 cavalieri di Venezia, guidati da Micheletto Attendolo. Alle truppe si aggiunsero volontari di Anghiari.
Le forze milanesi, numericamente superiori, erano guidate da Niccolò Piccinino per conto del duca Filippo Maria Visconti e raggiunsero la zona nella notte del 28 giugno. A queste si unirono altri 2000 uomini della città di Sansepolcro. Confidando nell'elemento sorpresa e nelle maggiori dimensioni del proprio esercito, Piccinino ordinò un attacco per il pomeriggio del 29 giugno, ma la polvere sollevata dai milanesi sulla strada tra Sansepolcro e Anghiari allertò Attendolo, che si preparò alla battaglia.
I cavalieri veneziani bloccarono l'avanguardia milanese sull'unico ponte attraverso il canale che proteggeva il campo della coalizione. Attendolo e i veneziani tennero il ponte permettendo alla maggior parte dell'esercito della coalizione di prepararsi allo scontro, ma furono fatti retrocedere dai rinforzi dei milanesi guidati dai capitani Francesco Piccinino e Astorre II Manfredi. I milanesi avanzarono ma il loro fianco destro fu presto ingaggiato dalle truppe papali e costretto a retrocedere sul ponte. La battaglia proseguì per quattro ore, fino a quando una manovra di accerchiamento tagliò fuori un terzo delle truppe milanesi sul lato toscano del canale. La battaglia proseguì nella notte e terminò con la vittoria della coalizione.
Lo scontro, descritto ironicamente da Machiavelli (che scrisse Ed in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d'altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò), deve la sua notorietà alla sua rappresentazione realizzata da Leonardo da Vinci a Palazzo Vecchio (Firenze). L'opera, in seguito, andò perduta, ma ne rimane testimonianza attraverso i lavori di Rubens e di Biagio di Antonio (della scuola di Paolo Uccello). Analisi più precise del numero di perdite portarono lo storico britannico Michael Mallett ad ipotizzare in circa 900 i morti complessivi della battaglia.
EFFETTIVA REALIZZAZIONE DELL'OPERA
Gentile Ingegner Carnesecchi, La ringrazio sinceramente per quello che ha fatto
Le foto sono bellissime e le scritte perfettamente leggibili. Spero che tutto ciò possa interessare a qualcuno che sappia anche dare delle risposte. Giustissimo aver pubblicato anche la versione delle otto bandiere verdi con con la scritta "Libertà va cercando, ch'è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta", versione che conoscevo e che rispetto come se fosse mia ma su cui ho anche qualcosa da obbiettare. Le scriverò i prossimi giorni.
Tra le tante cose che sono state scritte sui quotidiani in queste ultime settimane riguardo il dipinto di Leonardo c'è anche il punto di vista di uno studioso che ha anche un ruolo istituzionale importante che sostiene che Leonardo non dipinse mai La battaglia di Anghiari. Probabilmenete proprio per l'autorevolezza della fonte alla notizia è stata data una certa rilevanza.
Cercando di conoscere i fatti e le persone che hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia di Firenze del XVI secolo ho cercato nei carteggi di Giorgio Vasari , di Michelangengelo Buonarroti e di altre personalità dell'epoca, come ad esempio Pier Soderini.
Le allego una lettera inviata proprio da quest'ultimo a Iafredus Kardi , probabilmente un provveditore del comune di Firenze, il 9 ottobre del 1506, che è la nota delle spese sostenute da Leonardo e collaboratori, proprio per eseguire la Battaglia di Anghiari.
Davvero importante è l'ultima voce, datata 30 aprile 1513 , il pagamento del lavoro di un falegname che ha costruito una armatura per proteggere il dipinto.
La fonte è il libro " Carteggio inedito di artisti dei secoli XIV XV XVI di Giovanni Gaye" pubblicato da Google e consultabile on line.
http://books.google.it/books?id=blUGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&dq=Carteggio+inedito+d'artisti+dei+secoli&hl=it&sa=X&ei=G6NqUcKRA4b7PLOPgZAL&ved=0CDMQ6AEwAA#v=onepage&q=Carteggio%20inedito%20d'artisti%20dei%20secoli&f=false
La ringrazio ancora, distinti saluti, Marco Mattia.
Egregio Ingegner Carnesecchi, Le scrivo per cercare di spiegare i miei dubbi circa la tesi che la scritta CERCA TROVA sia legata al motto " Libertà va cercando, ch'è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta".
Premesso che questa è senz'altro una tesi estremamente fondata, sicuramente molto più di quella che l'autore abbia intenzionalmente celato un anagramma per indicare l'ubicazione della Battaglia di Anghiari, vorrei comunque farle notare alcune cose.
Dalla lettura dei carteggi del Vasari, pubblicati in internet dall'associazione Memofonte, emergono fatti storici che fanno si che quelle lettere diventino una cronaca attendibile di quegli anni ma emerge a tratti anche la vita privata del Vasari.
Vincenzo Borghini, lo Spedalingo de Nocenti, è amico intimo e consigliere dell' artista aretino. Per volonta' del duca Cosimo cura il progetto del restauro e dell'abbellimento di Palazzo Vecchio, grande promotore dell'Accademia del disegno, è estremamente erudito e interessato , più che alla forma ,al " concetto" che esprime un'opera d'arte.
Le lettere del Borghini al Vasari pubblicate sono oltre 120 e, sopratutto attorno al 1565, lo Spedalingo parla dei lavori per la sala grande ed esprime il suo giudizio sulle immagini e gli epitaffi.
In queste lettere che Le invio, si potrà rendere conto di quanto sia ponderato l'utilizzo di ogni singola parola per le epigrafi sugli affreschi, tanto che ad un certo punto arriva ad escludere un termine , non tanto perchè il significato non è quello voluto, quanto al fatto che nel corso delle ricerche effettuate su antichi testi d'arte non ne ha mai ritrovato uno uguale ( file 9).
In parole povere se essi avessero voluto esprimere un concetto con delle parole scritte su quella bandiera , l'avrebbero senz'altro fatto nella maniera giusta, senza approssimazione.
La ringrazio ancora, a presto , Marco Mattia.
http://www.carnesecchi.eu/gen9_pdf.pdf
http://www.carnesecchi.eu/gen10_pdf.pdf http://www.carnesecchi.eu/gen11_pdf.pdf
Egregio Ingegner Carnesecchi,le scrivo per riferirle una coincidenza interessante in merito alla vicenda dell'anagramma, il restauro e l'abbellimento di Palazzo Vecchio ed un antenato illustre della sua famiglia.
I giorni scorsi ho contattato la Professoressa Maraschio, la presidente dell'Accademia della Crusca, per raccontarle un episodio narrato dal Vasari nella biografia del Bramante.
"Entrò Bramante in capriccio di fare in Belvedere, in un fregio nella facciata di fuori, alcune lettere a guisa di ieroglifi antichi, per dimostrare maggiormente l’ingegno ch’aveva e per mettere il nome di quel Pontefice e ‘l suo; e aveva così cominciato: IULIO II PONT. MASSIMO, et aveva fatto fare una testa in profilo di Iulio Cesare, e con due archi un ponte che diceva: IULIO II PONT., et una aguglia del Circolo Massimo per MAX. Di che il Papa si rise, e gli fece fare le lettere d’un braccio che ci sono oggi alla antica, dicendo che l’aveva cavata questa scioccheria da Viterbo sopra una porta, dove un maestro Francesco architettore messe il suo nome in uno architrave intagliato così, che fece un San Francesco, un arco, un tetto et una torre, che rilevando diceva a modo suo: MAESTRO FRANCESCO ARCHITETTORE."
Nel 1503 Papa Giulio II affidò al Bramante i lavori per il collegamento tra il Palazzo Apostolico e la residenza estiva del Belvedere e l'architetto, che godeva della stima del pontefice , tentò un'iscrizione come se fosse un rebus.
Il Papa Re se la ride ma opta per una soluzione più consona al contesto.
Sessanta anni prima dei lavori a Palazzo Vecchio un architetto di fama si dilettava con i rebus ed il fatto che Giorgio Vasari riporti l'episodio e lo consideri un fatto importante della vita del Bramante rende la cosa degna di nota.
La Professoressa Maraschio, gentile, mi ha risposto ed informato che un grammatico dell' Accademia fiorentina, Cosimo Bartoli , si firma Neri Dortelata, anagramma di "ordinalettere", perché ha inventato un alfabeto ortofonico.
Cosimo Bartoli, come sa, è figlio di Matteo e Cassandra Carnesecchi ed era una persona molto colta ed ha avuto un ruolo importante nella storia dell'evoluzione della lingua italiana e da quello che ho appreso dalla lettura della corrispondenza avuta con Giorgio Vasari ha avuto un ruolo importantissimo anche nello studio e nel progetto dei dipinti, degli affreschi e delle sculture volute dal Duca Cosimo I per Palazzo Vecchio.
Le lettere inviate dal Bartoli al Vasari presenti nel carteggio di quest'ultimo sono oltre settanta ed io gliene invio tre che se lei avrà voglia e tempo di leggere la aiuteranno a comprendere il ruolo avuto nella vicenda dal Bartoli e quanto davvero nulla fosse lasciato al caso ed all'approssimazione durante i lavori di restauro ed abbellimento di Palazzo Vecchio.
http://www.carnesecchi.eu/gen14_pdf.pdf
http://www.carnesecchi.eu/gen15_pdf.pdf http://www.carnesecchi.eu/gen16_pdf.pdf
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