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indice generale : http://www.carnesecchi.eu/indice.htm

Storia dei Carnesecchi

 

TRACCE E COMMITTENZE ARTISTICHE

 

Tutte le notizie sulla Madonna di Brema e sul trittico Carnesecchi e sull'Annunciazione di Paolo Uccello

le devo ai dottori Cecilia Frosinini e Roberto Bellucci dell' Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro

 

qualora abbia travisato in alcun modo il senso dei loro articoli in particolar modo nei dettagli tecnici

sono immediatamente pronto a modificare o a tagliare nel senso da loro specificato

 

 

 

 

 Madonna dell'umilta di Masolino Brema

 Annunciazione di Paolo Uccello Santa Maria Maggiore Firenze ( disperso )

 Trittico Carnesecchi di Masaccio e Masolino (scomposto e in parte disperso )

 Tabernacolo Carnesecchi di Domenico Veneziano National Gallery di Londra

 Madonna con Bambino e Santi (segnalato dalla dottoressa Cecilia Scalella )

 Cassone matrimonio Carnesecchi – Lanfredini attribuito allo Scheggia

 Libro d’ore Carnesecchi - Capponi

 

 

 

 

 

 

 

 

I Carnesecchi come abbiamo visto si cognominano cosi solo a partire dagli anni tra il 1380 e il 1390 avanti si chiamavano Grazini e/o Mattei ed ancor prima Duranti e puo’ essere che questo Duranti debba gia’ intendersi come cognome

Non so dire , per il momento , quando vennero a Firenze e neppure ho la certezza di quale fosse il loro luogo d’origine ( sebbene molti elementi inducano a pensare a Cascia nel Reggello

 

I Duranti inizialmente erano radicati nel Sesto di San Pancrazio , solo successivamente passarono nel popolo di Santa Maria Maggiore cioe’ nel Sesto Duomo

 

 

Ricevo dal dr Paolo Piccardi

 

Manoscritto 514 ASF

Ho trovato queste notizie, che penso anticipino di un quarto di secolo la presenza del cognome Carnesecchi insieme a "Grazzini":

Il notaio è Niccolò di Piero Mazzetti da Sesto (1370-1391).

Il compilatore annota che roga molto per i Beccuti e per i Carnesecchi, ma riporta solo i seguenti due atti:

 

2/4/1387

Domina Zabaina filia emancipata Manetti Neri de' Medici, et uxor Zenobi Berti Grazzini de' Carnesecchi, populi Sancte Marie Maioris, donat bona quondam D.ne Altiere matri sue, et uxori Manetti Neri de' Medici.

 

3/7/1387

Testamentum Pauli olim Berti Grazzini Duranti populi S. M. Maioris. Il compilatore annota nel margine sinistro: "Carnesecchi" 

 

 

Come abbiamo visto come " Durantis "avevano gia' avuto un ruolo politico abbastanza importante 8 Priori avanti il 1363 e il Gonfalonierato di Berto dei Duranti nel 1358

 

 

 

 

 

Da questo momento appartenerranno al popolo di Santa Maria Maggiore cioe' al Quartiere di San Giovanni Gonfalone Drago

 

Successivamente diventando molte le famiglie si disperderanno per la citta’ pur rimanendo fortemente legati al popolo di Santa Maria Maggiore

 

 

 

 

 

 

Quindi risulta perfettamente logico che la prima traccia dei Duranti / Carnesecchi si trovi non jn Santa Maria Maggiore bensi nella chiesa di Santa Maria Novella

 

 

 

 

Basilica di Santa Maria Novella

 

 MOPH XVI, 165 rr. 6-12 (§ 46), testimonianza 1233 di fra Frugerio da Penne. Frugerio incontra san Domenico in Bologna e con lui viaggia per la durata di 4 mesi "et amplius", da inizio sett. a fine dic. 1219 almeno; in questo lasso di tempo visitano e sostano anche "in conventu florentino". Esisteva dunque un insediamento domenicano fiorentino già nel 1219. Non campare il nome di fra Giovanni da Salerno nelle fonti storiche e legende di Domenico, né nelle Vitae fratrum.

12.XI.1221, atto di donazione ed insediamento nella chiesa di Santa Maria Novella e sue pertinenze. "Nos Hugolinus divina provindentia hostiensis et velletrensis episcopus et sancte romane ecclesie cardinalis et apostolice sedis legatus..., auctoritate legationis qua fungimur, instituimus et ponimus et ordinamus te fr. Iohannem ordinis Predicatorum, pro te et omnibus tuis fratribus dicti ordinis et pro toto ipso ordine accipientem, in ecclesia et de ecclesia Sancte Marie Novelle cum suis domibus et cimiterio et sex starioris terre circa ecclesiam pro orto faciendo ut in ipsa stetis habitetis et moremini in perpetuo et divina officia in ea celebretis, statuentes ut hec nostra institutio permaneat illibata et perpetuo valitura... - Acta sunt hec omnia Florentie in choro dicte ecclesie presentibus dno Iohanne florentino episcopo, Chianni preposito et Dono archipresbitero florentino et quibusdam canonicis ecclesie Sancte Reparate, dominice incarnationis anno 1221° pridie idus novembris, indictione 10a, presentibus testibus Marabottino de Campi et Buoncambio Soldi ..." (ASF, SMN 12.XI.1221, una delle due pergamene sotto medesima segnatura; nell'altra, medesimo luogo e data, Ugolino dà facoltà a procuratori di vendere taluni terreni di proprietà della chiesa e cappella SMN, siti e in Polverosa e presso la medesima chiesa, "pro reficiendis et ampliandis domibus predicte ecclesie in quibus dicti fratres ordinis Predicatorum decenter valeant commorari").

Da http://www.smn.it/gioslr11.htm

 

 

 

 

 

 

"In S. M.a novella sotto le volte per andare al Pellegrino: Ser Pero di Durante Ricoveri et filiorum." Lapide sormontata dallo stemma dei Carnesecchi

E’ il piu’ antico stemma dei Duranti Carnesecchi che io conosca ( cortesia Roberto Segnini )

 

Nel 1617 esce un' opera del Sermantelli che descrive le lapidi in Santa Maria Novella

Per primo parla di una lapide con uno stemma uguale a quello dei Carnesecchi e recante la scritta :

Ser Pero di Durante Ricoveri et filiorum

SEPOLTUARIO Manoscritto 812 pagina 258 ( si tratta del Manoscritto di Niccolò Sermantelli conservato all' A. S. F ).

Monumento con arme e lettere dè Carnesecchi

S. Piero di Durante Ricoveri et filiorum

( in allegato alla cartella 1243 dell' Archivio Ceramelli Papiani, vi è lo stemma dei chiostri fotografato e classificato col n° 153 che provo a descrivere:

Sopra lo scudo vi è una mezza cintura da cavaliere con una parte che esce sulla sinistra come fosse allacciata. All' interno di detta cintura un fiore con cinque petali. Lo Stemma riporta un rocco che ha nel centro della base un motivo di tre losanghe compenetrate.

Contrariamente a quanto di solito raffigurato, nella parte alta dello scudo vi sono 4 liste (oro) e altre 4 ( azzurre ) intervallate tra loro ).

 

Fotografia contenuta nella raccolta Ceramelli Papiani ( per la cortesia del dr Paolo Piccardi )

 

 

 

 

 

FILIPPO DI PERO SEPOLTO IN SANTA MARIA NOVELLA : UNA CARTAPECORA

 

Nella filza conservata in ASF e numerata col 625 cioe' nel "il Sepoltuario fiorentino" del Rosselli manoscritto degli anni intorno al 1650 si legge :

  

"Segue un registro di Morti stati anticamente seppelliti in questa chiesa di S.Maria Novella, cavato da un Libro che è appresso a Frati di questo convento scritto in cartapecora e ripartito secondo l’ ordine de giorni de 12 mesi dell’ anno

elenco Morti S.M.N segue un lungo elenco:

e a pag.796………………. Aprilis 1363 ………….Filippo di Pero Carnesecca ……….pop. S. Marie Maioris

 

E' presumibile si tratti di Filippo di Pero di Durante morto appunto nel 1363 . In questo caso se ne potrebbe dedurre che Pero di Durante fosse detto " il Carnesecca " e quindi come conseguenza da questo suo soprannome e' probabile prendano il nome i Carnesecchi

Forse tale cartapecora era gia' conosciuta nel XV - XVI secolo ; forse e' in questo soprannome la prova del legame di Pero con i Carnesecchi ,

 

 

Quindi nel 1363 i Carnesecchi erano gia’ radicati nel popolo di Santa Maria maggiore ma hanno le loro sepolture in Santa Maria Novella

 

 

 

CARNESECCHI SEPOLTI IN SANTA MARIA NOVELLA

Questi elenchi sono tratti dal formidabile lavoro di consultazione d’archivio e regestazione che sta svolgendo il dr Paolo Piccardi

 

Solo molti anni dopo ritroviamo dei Carnesecchi sepolti in Santa Maria Novella 

 

ASF……Manoscritti 589……………..Morti Firenze 1701-1750

10/3/1724 Carnesecchi Giuseppe di Benedetto pop. di S. Felicita sepolto in S. Maria Novella

Manoscritti 590………….Morti Firenze ………….1751-1800
21/5/1789 Carnesecchi Antonio fu PierMaria di anni 62 sepolto in S. Maria Novella

 

 

 

 

 

DUOMO

 

 

 

 

 

 

Secondo Oddone Ortolani e' ascrivibile al patronato dei Carnesecchi :

 

 

 

Cappella SS Sacramento Duomo di Firenze (1449) fondata da Bernardo

 

In "Pietro Carnesecchi " di Oddone Ortolani 

Dice Oddone Ortolani infatti alla pagina 2 "…….La cappella gentilizia in Santa Maria del Fiore , sormontata dallo stemma di famiglia , resta ancor oggi a dimostrare resta ancor oggi a dimostrare la floridezza di quel periodo di fortuna."

 

E nella nota dice : "Anche la cappella del SS Sacramento in Duomo fu fondata da un Carnesecchi ( Bernardo ) nel 1449 "

 

Di questa notizia non ho trovato , per il momento , alcuna conferma

 

 

Rapporto fra i Carnesecchi e il Duomo:

1) Simeone di Paolo di Berto C. ricoprì l'incarico di "operaio" (cioè soprintendente) dell'Opera del Duomo nel maggio-agosto 1421, unico della sua famiglia ad ottenere questo ufficio.

2) Nel 1432 si ha notizia di una vendita all'Opera da parte di Bernardo di Cristofano C. di più di mille libbre di piombo in lame da utilizzare per gli organi del Duomo.

1432 agosto 27

A Bernardo Charnesechi e chonpagni fiorini diciotto lire due soldi XVI, detti denari sono per libbre millequarantatre di pionbo in lame si chonperò per gli orghani a ragione di fiorini XVIII el migliaio

 

Devo queste informazioni alla cortesia

Dr. Lorenzo Fabbri
Archivista
Opera di S. Maria del Fiore
Via della Canonica, 1
I-50122 Firenze

 

 

Sto cercando di verificare ( a mezzo documenti ) la notizia del patronato Carnesecchi sulla cappella del SS. Sacramento riportata da Oddone Ortolani e chiedo anche qui aiuto

 

 

 

 

 

 

Ho dal Dr. Lorenzo Fabbri Archivista
Opera di S. Maria del Fiore Via della Canonica, 1 50122 Firenze

 

 

Nel "Catalogo cronologico dei Canonici della chiesa Metropolitana fiorentina " opera di Salvino Salvini del 1751 compaiono 4 canonici di questa famiglia :

 

Piero del senatore Andrea di Paolo Carnesecchi dal 1533 morto 1 ottobre 1567

Andrea di Pierfrancesco senatore Andrea Carnesecchi dal 1558 morto 3 dicembre 1591

Piero di Francesco di Ridolfo Carnesecchi dal 1605 morto 1634

Giovanni di Pierfrancesco del senatore Cristofano Carnesecchi dal 1643 morto 25 ottobre 1648

 

-

 

 

 

 

 

CARNESECCHI SEPOLTI IN DUOMO

Questi elenchi sono tratti dal formidabile lavoro di consultazione d’archivio e regestazione che sta svolgendo il dr Paolo Piccardi

 

I rapporti col Duomo dei Carnesecchi sono episodici 

 

ASF……….Manoscritti 587……………Morti

25/10/1648 Sig.re Can.co Giovanni Carnesecchi in Duomo

 

 

 

ASF……….Manoscritti 589……………..Morti Firenze 1701-1750


12/2/1732 Carnesecchi Gio.Andrea di Antonio anni 40 sepolto in Duomo
26/11/1737 Carnesecchi Vincenzo di PierMaria sepolto in Duomo

 

 

 

 

da : Roberto Ciabani Le famiglie di Firenze Bonechi editore : appartennero al popolo di Santa Maria Maggiore e sul fianco di questa chiesa apposero il loro stemma  ( ??? )

 

 

Santa Maria Maggiore

 

 

Santa Maria Maggiore è una delle chiese più antiche di Firenze, anteriore almeno all'Undicesimo secolo. Secondo il Vasari fu ricostruita nella seconda metà del secolo Tredicesimo, con forme gotiche. L'interno ogivale, a tre navate divise da arcate a sesto acuto sostenute da pilastri a sezione quadrata, termina con tre cappelle a fondo piano. Prima è stato ristrutturato da Gherardo Silvani, forse seguendo un'idea di Bernardo Buontalenti, e poi rimaneggiato nel settecento. L'aspetto in cui si presenta oggi è dovuto ai restauri eseguiti fra il 1912 ed il 1913, che hanno eliminato le aggiunte barocche ed inserito il nuovo altare maggiore e la cappella a destra di questo. Le opere conservate nella chiesa sono varie. Fra queste l'altare della cappella a sinistra della maggiore, una Madonna in trono col Bambino, bassorilievo ligneo del Tredicesimo secolo e attribuito a Coppo di Marcovaldo e Santa Rita da Cascia, una tela dipinta da Primo Conti nel 1949.

Su un lato della Chiesa, dove c'è il campanile, si ha un piccolo busto chiamato "La Berta" e si dice che si tratto di una'erbivendola che, con grandi sacrifici abbia donato alla Chiesa una campana che avrebbe dovuto avvertire con i suoi rintocchi, i contadini arrivati in città, che le porte di Firenze stavano per chiudere e che era l'ora di tornare a casa.

La chiesa conteneva la sepoltura di Brunetto Latini e anche la tomba attribuita a Savino degli Armati che si dice fosse inventore degli occhiali .(Il Manni dice di aver letto in un sepoltuario della chiesa , la memoria di un sepolcro distrutto durante i restauri , che recava questa iscrizione : " Qui diace Salvino d'Armato degli Armati di Fir. Inventor degli occhiali Dio gli perdoni la peccata .Anno Domini MCCCXLVII.

Fu sotto il patronato di diverse famiglie del gonfalone abitanti li vicino come I Carnesecchi ed i Cerretani

 

 

 

 

Nella raccolta Ceramelli Papiani ci sono due fotografie di due cibori di Santa Maria Maggiore attribuiti a Mino da Fiesole: uno con uno stemma e l' altro con due stemmi dei Carnesecchi.

 

 

 

In Santa Maria Maggiore troviamo diverse tracce dei Carnesecchi

 

 

 ……vengono poi alla Cappella di Santa Maria Maddalena Penitente tre lapide , delle quali la piu' vicina al pilastro e' di Michele di Filippo de' Carnesecchi

ivi seppellito nel 1401…………..( Richa Giuseppe :Notizie istoriche delle chiese fiorentine ) il Rosselli parla pero’ molto piu’ credibilmente di Luca di Filippo ( da controllare ! )

 

 

 

 La sepoltura di Zanobi e di Cristofano Carnesecchi ( datata 1430 secondo il Benvenuti ) Nota Bene : pero' Zanobi e Cristofano morirono tra il 1416 e il 1417

" In S. M.a Magg.re più Capp.le e sepolture con iscriz.ne Zenobij, et Cristofori Berti de Carnesecchis 1430. ( Benvenuti : Stemmario fiorentino )

 

 

 (fotografia di Ilio Carnesecchi )

 

 

 

 

Ricevo dalla cortesia del dr Paolo Piccardi questi elenchi di altri Carnesecchi sepolti in Santa Maria Maggiore

 

Gli elenchi purtroppo sono solo seicenteschi 

 

ASF…………..Manoscritti 587…………..Morti

 

12/5/1605 Carnesecchi Filippo di Francesco in S. Maria Maggiore

 

23/7/1607 Carnesecchi Francesco Antonio in S. Maria Maggiore

 

27/11/1608 Carnesecchi Giovanbattista in S. Maria Maggiore

 

21/3/1609 Carnesecchi Bartolomeo di Zanobi in S. Maria Maggiore

 

22/8/1610 Carnesecchi Francesco di Giovanni in S. Maria Maggiore

 

12/12/1610 Carnesecchi Andrea di Giovanfrancesco in S. Maria Maggiore

 

17/3/1614 Carnesecchi Francesco del popolo di S. Trinita in S. Maria Maggiore

 

9/10/1615 Carnesecchi Giovanbattista in S. Maria Maggiore

 

5/8/1619 Carnesecchi Vincenzio in S. Maria Maggiore

 

29/8/1620 Carnesecchi Leonardo di Raffaello pop. S. Pier Maggiore in S. Maria Maggiore

 

1/9/1621 Cav.e Carnesecchi Raffaello in S. Maria Maggiore

 

23/2/1622 Carnesecchi Giovanni di Giovanni in S. Maria Maggiore

 

9/3/1623 Carnesecchi Ridolfo di Francesco pop. S. Maria del Fiore in S. Maria Maggiore

 

13/12/1627 Carnesecchi Orazio di Giovanfrancesco pop. S. Trinita in S. Maria Maggiore

 

3/11/1634 Ill.mo Sig.e Can.co Pietro Carnesecchi pop. del Duomo in S. Maria Maggiore

 

10/8/1635 Carnesecchi Antonfrancesco di Francesco in S. Maria Maggiore

 

25/2/1636 Carnesecchi Pierfrancesco in S. Maria Maggiore

 

28/5/1645 Carnesecchi Giovanbattista in S. Maria Maggiore

 

28/10/1645 Carnesecchi Francesco in S. Maria Maggiore

 

17/12/1648 Sig. Antonio del Sig. Paolo Carnesecchi del pop. di S. Stefano sepolto in S. Maria Maggiore nella sua sepoltura appie' dell' altare di S. Caterina

 

14/5/1649 Molto Rev.do Sig.re Ottavio Carnesecchi di anni 60 Pop. di S. Frediano sepolto in S. Maria Maggiore come sep.o e' l'ultimo di sua famiglia

 

 

 

ASF………..Manoscritti 588………………Morti

 

12/11/1655 Carnesecchi Francesco in S. Maria Maggiore

 

7/3/1662 Sig.re Zanobi Carnesecchi di Giovanbattista pop. S. Maria Ughi sepolto in S. Maria Maggiore nella sua cappella di S. Zanobi

 

3/2/1665 Sig. Luigi Carnesecchi del Sen.re Raffaello in S. Maria Maggiore

 

7/3/1679 Sig.e D.e Ferrando Carnesecchi anni 84 in S. Maria Maggiore

 

29/6/1687 Carnesecchi Alessandro del Sig. Avv. Buonaventura di mesi 14 in S. Maria Maggiore

 

10/1/1692 Ill Sig.re Sen.re Francesco Carnesecchi di anni 74 in S. Maria Maggiore ( La sepoltura del senatore Francesco di Giovanbattista di Zanobi Carnesecchi (1617-1691) ( Manni : Il Senato fiorentino ) )

 

31/12/1698 Carnesecchi LuigiMaria del Sig. Avv. Buonaventura di anni 6 in S. Maria Maggiore

 

 

 

ASF……Manoscritti 589……………..Morti Firenze 1701-1750

 

2/3/1708 Carnesecchi Avv.to Gio.Bonaventura anni 81 sepolto in S. maria Maggiore nel suo sepolcreto

13/2/1742 Carnesecchi Ill.mo Francesco fu Bonaventura di anni 63 sepolto in S. Maria Maggiore nel suo sepolcreto

 

 

Manoscritti 590………….Morti Firenze ………….1751-1800

 

22/1/1756 Carnesecchi Ridolfo fu Francesco sepolto in S. Maria Maggiore nel suo sepolcreto

 

 

 

Le Cappelle all’interno di Santa Maria Maggiore , sono secondo il Richa

 

 Entrando partendo da destra :

 

Cappella dei Rimborti

Cappella Panciatichi

Cappella di Deo di Vanni Del Beccuto 1386 (Cappella di San Biagio )

Cappella Carnesecchi sormontata dallo stemma dei Carnesecchi-Capponi -Velluti

Cappella di Deo di Vanni Del Beccuto

 

Cappella maggiore : Cappella di Barone Cappelli

 

A Sinistra vicino all'Altar maggiore

Cappella di Bernardo Carnesecchi

Cappella degli Orlandini

Cappella di Pagholo Carnesecchi

Porta laterale

Cappella dei Bartolini poi del senatore Giovanni Buoni

Altare dei Cerretani

 

 

 

 

 

……..la quarta Cappella e' dei Carnesecchi la cui arme : che qui vedessi ,oltre l' avere le tre liste d'oro con un rocco sotto d'oro , mostra da una parte l'arma

dei Capponi e dall'altra quella dei Velluti , mediante due donne entrate in casa Carnesecchi , che furono Violante di Piero Capponi e Maria Velluti questa madre

e quella moglie di Zanobi Carnesecchi che restauro' la Cappella di stucchi dorati nella volta con certe graziose storiette della vita di S. Zanobi dipinte da

Bernardino Poccetti

Nelle nicchie laterali le due statue di San Bartolommeo , e di San Zanobi , sono delle prime opere fatte da Gio: Caccini e la tavola sull'altare , ove e' dipinto

San Francesco di Assisi in atto di ricevere le Sacre Stimate , e' delle belle opere , che abbia fatto Pier Dandini. ………

…..( Richa Giuseppe :Notizie istoriche delle chiese fiorentine )

 

 Lo stemma dei Carnesecchi : nella navata sud tra l'arme dei Capponi e quella dei Velluti ( da Agostini : Pietro Carnesecchi )

 

Lo Zanobi di cui si parla e’ il figlio del senatore Bartolomeo titolare del Banco Carnesecchi—Strozzi di cui si parla in altra pagina

 

 

 

 

…….Nella Nave poi a tramontana la piu' prossima all'Altar grande e' la Cappella che serve alla Comunione , fondata da Bernardo Carnesecchi nel 1449 , ed e'

stata dipinta tutta a grottesco nei nostri tempi . Evvi pero' in alto un divoto antico Crocifisso dipinto sul muro ,e tenuto in venerazione con i cristalli che lo coprono

Sotto del quale vedesi la tavola , dove Maria da l'abito al Beato Stock ,opera di Pisello Piselli…………..( Richa Giuseppe :Notizie istoriche delle chiese fiorentine )

 

 

…….Alle Cappelle lateralmente contigue all'Altar maggiore , avvi in un tondo di marmo breva iscrizione , che dice :

SEP. BERNARDI CHRISTOFANI DE CARNESECHIS MCCCCXLIX…………..( Richa Giuseppe :Notizie istoriche delle chiese fiorentine )

 

 

 

   La cappella Carnesecchi istituita da Pagholo Carnesecchi e’ andata nel tempo completamente dispersa

 

 …………..La terza cappella e' dei Carnesecchi . ove eravi gia' una pittura di Giotto giusta Leopoldo del Migliore , ma secondo Giorgio Vasari la tavola

era di Masaccio , e di lui pure la predella , ove in alcune piccole figure aveva dipinto la Nativita' di Cristo : in luogo di questa vi e' oggi una di Onorio Marinari

e dentrovi Cristo che apparisce a Santa Maria Maddalena dei Pazzi con gli strumenti della Passione nelle mani degli Angioli

 

 

delle tre Cappelle dei Carnesecchi in santa Maria Maggiore questa e’ la piu’ importante per l’importanza degli artisti che vi lavorarono : Masaccio , Masolino , Paolo Uccello

 

 

 

Cappella di Pagholo Carnesecchi in Santa Maria Maggiore

 

 

 Il patronato del secondo altare della navata sinistra di Santa Maria Maggiore, secondo l'attestazione delle fonti, apparteneva ai Carnesecchi, famiglia magnatizia del popolo di Santa Maria Maggiore

I Carnesecchi si erano cosi cognominati tra il 1390 e il 1402 . Erano un gruppo  che aveva come eponimo un certo Durante . I Duranti avevano partecipato alle cariche pubbliche con notevole successo nel periodo 1330-1360

I Carnesecchi avevano notevoli proprieta' fondiarie nel piviere di Cascia

 

Il documento di fondazione della Cappella dei Carnesecchi in Santa Maria Maggiore figura tra le carte dell'archivio Niccolini di Camugliano

(fondo: Antico , Segnatura : 6 Inserto 1,h vecchia segnatura C 1 4 1, h )

vedi sito http://www.archivistorici.com/archivi/ns.asp?wci=home&lng=1040&cur=3057

 

Dalle fonti, Francesco Albertini prima e Giorgio Vasari poi, ci è testimoniata in Santa Maria Maggiore di Firenze l'esistenza di una cappella, dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, affrescata da Paolo Uccello e i cui arredi comprendevano una tavola d'altare opera di Masaccio e Masolino. Si può verosimilmente ritenere che non di una cappella vera e propria si trattasse, ma di un altare a nicchia, addossato alla parete della navata sinistra, sulla cui mensa d'altare sarebbe stato il trittico,

 

 

 

L'annunciazione di Paolo Uccello

nella Cappella Carnesecchi

 

Dedicare un capitolo autonomo di una monografia su Paolo Uccello ad un'opera perduta, potrebbe sembrare, se non altro, uno spreco di spazio e di tempo. Invece non è affatto inutile provare ad elaborare alcune riflessioni su quella che dovette essere un'occasione particolarissima di incontro, di collaborazione, di studio, nella Firenze del primo Quattrocento: un'occasione di scambio intellettuale e di maestria tecnica, presumibilmente "alla pari", senza cioè nessuna delle supremazie che a posteriori ci hanno insegnato i manuali di una storia dell'arte letta in chiave evoluzionistica.

Dalle fonti, Francesco Albertini prima e Giorgio Vasari poi, ci è testimoniata in Santa Maria Maggiore di Firenze l'esistenza di una cappella, dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, affrescata da Paolo Uccello e i cui arredi comprendevano una tavola d'altare opera di Masaccio e Masolino. Si può verosimilmente ritenere che non di una cappella vera e propria si trattasse, ma di un altare a nicchia, addossato alla parete della navata sinistra, sulla cui mensa d'altare sarebbe stato il trittico,

Trittico rappresentante, secondo il Vasari, "una Nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano, e nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre; e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo, con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare" . Sopra di esso, come coronamento, Paolo Uccello avrebbe dipinto su muro una Annunciazione.

G. VASARI, Le Vite, a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, vol. II, pp. ... e p. 292. Nella Vita di Masaccio viene detto: "Dipinse ancora in Santa Maria Maggiore accanto alla porta del fianco, la quale va a San Giovanni, nella tavola d'una cappella una Nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano, e nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre; e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo, con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare". Nella Vita di Paolo Uccello: "Lavorò ancora in Santa Maria Maggiore in una cappella allato alla porta del fianco che va a San Giovanni, dove è la tavola e predella di Masaccio, una Nunziata in fresco, nella quale fece un casamento degno di considerazione e cosa nuova e difficile in quei tempi, per essere stata la prima che mostrasse con bella maniera agli artefici, e con grazia e proporzione mostrando il modo di fare sfuggire le linee, e fare che in un piano lo spazio che è poco e piccolo acquisti tanto, che paia assai lontano e largo; e coloro che con giudizio sanno a questo con grazia aggiungere l'ombre a' suoi luoghi ed i lumi con colori, fanno senza dubbio che l'occhio s'inganna, che pare che la pittura sia viva e di rilievo. E non gli bastando questo, volle anco mostrare maggiore difficultà in alcune colonne che scortano per via di prospettiva; le quali ripiegandosi rompono il canto vivo della volta dove sono i quattro evangelisti, la qual cosa fu tenuta bella e difficile; ed in vero Paolo in quella professione fu ingegnoso e valente". 

L'attestazione comune delle fonti relativa ad una collaborazione (o, forse meglio, concomitanza di esecuzione) tra Paolo Uccello e Masolino per la cappella Carnesecchi, non è stata oggetto di particolare attenzione da parte della critica, presumibilmente a causa della perdita del complesso originario. Poche e veloci annotazioni hanno indicato come chiave di lettura la precedente comune iniziazione presso il Ghiberti, - attestata dal Libro di Antonio Billi e dal Vasari - alla cui bottega, durante i lavori per la Porta Nord, sono nominati fra le maestranze un Paolo di Dono e un Maso di Cristofano. Rimandando la discussione su Paolo di Dono a quanto esposto nel saggio di Annamaria Bernacchioni, in questa stessa sede, l'identificazione del lavorante del cantiere ghibertiano con Masolino sembrerebbe ormai da scartarsi dopo le precise argomentazioni addotte dal Milanesi e le puntuali prove fornite recentemente da Ugo Procacci. Ma leggiamo la chiarificazione nella bella prosa di questo studioso: "occorre ... ricordare quanto siano frequenti le omonimie quando ancora non esistevano i cognomi o erano di scarso uso; a Firenze, per quello che è a mia conoscenza, vivevano tre Tommaso di Cristofano nei primi decenni del Quattrocento, e uno di questi - il cui nonno si chiamava Braccio, mentre l'avo di Masolino aveva nome Fino - era un orafo, iscritto regolarmente all'Arte della Seta. Sembra quindi più logico pensare che sia stato costui l'aiuto del Ghiberti, data anche la sua continuità nel lavoro (e non un'esperienza di poco più di un mese, come fu per Donatello, o di ragazzo, come per Paolo Uccello, che noi troviamo al lavoro per quasi cinque anni, ma da quando era decenne); ed è anche da presumere che l'errore dell'anonimo scrittore cinquecentesco e del Vasari sia derivato proprio dall'aver essi conosciuto i ricordati documenti che erano certo facilmente consultabili presso l'Arte di Calimala".

Le motivazioni della compresenza di Masolino e Paolo Uccello nella decorazione della cappella Carnesecchi, dunque, andranno cercate altrove: forse in una scelta dei committenti che, residenti nel popolo di Santa Maria Maggiore, avrebbero potuto indirizzarsi verso Paolo Uccello per motivi di conoscenza personale poiché sua madre apparteneva ad una famiglia della stessa parrocchia, i Del Beccuto.

Non è comunque nemmeno da escludersi il fatto che in questi primissimi anni del terzo decennio del secolo il giovane Paolo Uccello e Masolino, più anziano - ma esordiente sulla scena fiorentina - avessero un qualche genere di frequentazione di lavoro. La conduzione in comune della decorazione di una cappella fa evidentemente pensare ad un legame stretto e, verosimilmente, determinato legalmente: purtroppo da questo punto di vista nessuna documentazione precisa ci viene in aiuto. Il fatto che entrambi fossero maestri immatricolati all'Arte dei Medici e Speziali farebbe propendere per un rapporto alla pari, come quello che si stringeva con la stipula della compagnia. Nulla osta a ciò, a quanto ci è dato di sapere. Vorremmo però che venisse posta la debita attenzione al fatto che l'immatricolazione di Paolo Uccello è di un genere un po' particolare: egli infatti si iscrive all'Arte molto giovane, intorno ai 18 anni, nel 1415. In genere questo atto legale sanciva una professionalità già raggiunta e un certo giro di lavoro: solo in tal caso sembra che valesse la pena pagare la tassa dovuta all'Arte. Ed è proprio circa questo punto che il caso di Paolo Uccello si distacca dalla norma: egli infatti si immatricola gratuitamente, in quanto figlio di altro iscritto, il barbiere Dono. Essendo ormai ben noto come la piena fruibilità dei diritti "costituzionali" della Repubblica fiorentina si otteneva solo con l'iscrizione ad un'Arte, è evidente che colui che aveva la possibilità di farlo senza alcuna penalizzazione finanziaria si affrettasse ad esercitare il suo diritto non appena raggiunta la maggiore età.

È quindi sempre possibile, allo stadio attuale delle cose, pensare che Paolo Uccello forse da poco esercitava il mestiere di pittore (dopo la iniziale attività come garzone di bottega presso il Ghiberti e dopo un ignoto, ma evidentemente necessario, periodo di educazione all'arte presso una bottega pittorica). Quanto a Masolino, pur essendo rientrato a Firenze solo nel 1422, quasi quarantenne, era comunque un maestro più che avviato e, presumibilmente, di qualche notorietà anche in patria. Un tale ritardo nell'attività autonoma di Paolo Uccello potrebbe spiegare l'assenza di opere (e di documenti di lavoro) precedenti la sua andata a Venezia. Intorno al 1423 egli potrebbe quindi aver scelto di appoggiarsi a Masolino, forse anche in posizione subordinata. In qualche modo l'esperienza non ebbe successo: forse Masolino e Masaccio stabilirono in questa stessa occasione un sodalizio di ben altra sostanza. Da tutto questo complesso di ragioni e concomitanze si potrebbe forse comprendere meglio la stessa scelta, da parte di Paolo Uccello, di lasciare Firenze nel 1425, cosa non facilmente comprensibile se egli fosse stato maestro di sicurezza di mercato.

Certo che molte potevano essere le affinità elettive tra Masolino e Paolo Uccello: fra tutte l'interesse per un certo ambiente d'Oltralpe e per le sperimentazioni tecniche. Molti anche i punti di contatto tra quest'ultimo e Masaccio, in direzione di emergenti problematiche comuni di resa dello spazio. Se vogliamo stare alle parole del Vasari fu proprio in Santa Maria Maggiore che Paolo fece "cosa nuova e difficile in quei tempi, per essere stata la prima che mostrasse con bella maniera agli artefici, e con grazia e proporzione mostrando il modo di fare sfuggire le linee, e fare che in un piano lo spazio che è poco e piccolo acquisti tanto, che paia assai lontano e largo ... la qual cosa fu tenuta bella e difficile".

Quello che non è possibile credere è che la posizione di Masaccio fosse subordinata a quella di Masolino: qui i documenti, sensatamente interpretati, danno un'altra indicazione. La matricola di Masaccio all'Arte è del 1422; l'artista è senz'altro molto giovane, appena ventenne, ma immediatamente dopo, a tre mesi di distanza, licenzia un'opera autonoma, il Trittico di San Giovenale. C'è dunque da parte sua la necessità di giustificare il proprio lavoro, e, d'altra parte, una condizione economica familiare che gli consente, prima, di vivere a Firenze fin dal 1419 circa e, poi, di mettersi presto in proprio. L'immatricolazione, dunque, funzionale ad un'attività concreta, ne fa un maestro autonomo de iure e de facto. Pare più probabile, quindi, che il sodalizio con Masolino sia stato di tipo paritario. Come ormai ben noto, ma mai abbastanza ricordato, un vincolo di "compagnia" non necessariamente prevedeva una equanime spartizione del lavoro. Addirittura poteva sussistere senza alcuna attività comune: quello che si intendeva fosse in comune era il provento dei lavori assunti, sia separatamente che in comune.

Evidentemente troppo pochi sono i punti precisi di riferimento per parlare con una qualche certezza di un argomento tanto complesso come quello degli scambi culturali di questo straordinario momento della nostra storia. Ma anche dalla consapevolezza della scarsità di dati a nostra disposizione si può partire per allargare il campo delle considerazioni.

 

 

 

 

 

 

 

Ipotesi sull'inizio della collaborazione tra Masaccio e Masolino

La nuova ipotesi di ricostruzione del Trittico Carnesecchi.

 

Ancora oggi non sappiamo niente di certo circa le occasioni che fecero iniziare la collaborazione tra Masaccio e Masolino, esiste comunque l'ipotesi che l'occasione di incontro possa essere stata la committenza della famiglia Carnesecchi per un Trittico per la cappella in Santa Maria Maggiore a Firenze. Questa famiglia aveva beni e possedimenti nelle campagne intorno a San Giovenale, ed un suo membro commissionò nel 1423 la Madonna dell'Umiltà a Masolino (Brema).
Del Trittico Carnesecchi sopravvivono oggi soltanto due pannelli: il San Giuliano di Masolino (Museo di Arte Sacra di Firenze) e il pannello di predella con le Storie di San Giuliano attribuita a Masaccio (Museo Horne di Firenze). Faceva parte del Trittico anche una Madonna che fu rubata negli anni '20 del Novecento da una chiesa di Novoli. A Montauban in Francia esiste un altro scomparto di predella con Storie di San Giuliano. Fu acquistata nell'Ottocento sul mercato antiquario di Roma dal Ingres. Alla sua morte fu collocata nel Museo a lui dedicato e successivamente attribuita a Masolino.
Fino a adesso si riteneva che la predella di Montauban di Masolino potesse far parte del Polittico Carnesecchi
ma le indagini dell'OPD hanno dimostrato che invece la predella del Polittico è quella di Masaccio al Museo Horne di Firenze, infatti è dipinta sulla stessa tavola di legno del San Giuliano di Masolino e presenta la stessa tecnica e tipo di preparazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Il Trittico Carnesecchi

in Santa Maria Maggiore a Firenze

una collaborazione tra Paolo Uccello, Masolino e Masaccio

 

queste note sono composte estrapolando brani dagli scritti dei

dottori Cecilia Frosinini e Roberto Bellucci

Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro
viale Filippo Strozzi, 1
50129 FIRENZE
ITALY

Mi scuso con gli autori se non ho reso appieno il loro pensiero

 

 

Questa e' un'opera per buona parte perduta

La ricostruzione dell'assetto originario, della cappella Carnesecchi nel suo insieme e del trittico in specifico, non è possibile oltre un certo limite, dato il laconico ripetersi delle fonti e la perdita di buona parte dell'originale complesso.

Dalle fonti, Francesco Albertini prima e Giorgio Vasari poi, ci è testimoniata in Santa Maria Maggiore di Firenze l'esistenza di una cappella, dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, affrescata da Paolo Uccello e i cui arredi comprendevano una tavola d'altare opera di Masaccio e Masolino. Si può verosimilmente ritenere che non di una cappella vera e propria si trattasse, ma di un altare a nicchia, addossato alla parete della navata sinistra, sulla cui mensa d'altare sarebbe stato il trittico,

Trittico rappresentante, secondo il Vasari, "una Nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano, e nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre; e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo, con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare" . Sopra di esso, come coronamento, Paolo Uccello avrebbe dipinto su muro una Annunciazione.

G. VASARI, Le Vite, a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, vol. II, pp. ... e p. 292. Nella Vita di Masaccio viene detto: "Dipinse ancora in Santa Maria Maggiore accanto alla porta del fianco, la quale va a San Giovanni, nella tavola d'una cappella una Nostra Donna, Santa Caterina, e San Giuliano, e nella predella fece alcune figure piccole della vita di Santa Caterina e San Giuliano che ammazza il padre e la madre; e nel mezzo fece la Natività di Gesù Cristo, con quella semplicità e vivezza che era sua propria nel lavorare". Nella Vita di Paolo Uccello: "Lavorò ancora in Santa Maria Maggiore in una cappella allato alla porta del fianco che va a San Giovanni, dove è la tavola e predella di Masaccio, una Nunziata in fresco, nella quale fece un casamento degno di considerazione e cosa nuova e difficile in quei tempi, per essere stata la prima che mostrasse con bella maniera agli artefici, e con grazia e proporzione mostrando il modo di fare sfuggire le linee, e fare che in un piano lo spazio che è poco e piccolo acquisti tanto, che paia assai lontano e largo; e coloro che con giudizio sanno a questo con grazia aggiungere l'ombre a' suoi luoghi ed i lumi con colori, fanno senza dubbio che l'occhio s'inganna, che pare che la pittura sia viva e di rilievo. E non gli bastando questo, volle anco mostrare maggiore difficultà in alcune colonne che scortano per via di prospettiva; le quali ripiegandosi rompono il canto vivo della volta dove sono i quattro evangelisti, la qual cosa fu tenuta bella e difficile; ed in vero Paolo in quella professione fu ingegnoso e valente".

 

Il trittico, dunque, sarebbe stato sopra la mensa d'altare, e sopra di esso, come coronamento, Paolo Uccello avrebbe dipinto su muro la sua Annunciazione; qualcosa di simile all'altare del Maestro di Signa nella pieve di San Donnino a Villamagna, questo in versione rinascimentale (con pala quadra e non trittico).

Questa collocazione della mensa d'altare a parete sembra confermata anche dal fatto che sul retro lo scomparto del San Giuliano ritiene un gancio originale in ferro, segno che oltre a poggiare sull'altare era assicurato tramite di esso al muro retrostante.

Dell'intero complesso sopravvissero allo smembramento seguito al rinnovamento seicentesco dell'edificio sacro soltanto la Madonna col Bambino e lo scomparto del San Giuliano, con la sua predella, rinvenuti ed identificati come appartenenti al Trittico tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Il 31 gennaio del 1923 la Madonna col Bambino, venne trafugato dalla chiesa di Santa Maria a Novoli e da allora non è stata più ritrovata.

Al Trittico Carnesecchi sono riferibili, in via ipotetica, due diversi scomparti di predella raffiguranti lo stesso soggetto iconografico (Storie di San Giuliano) e quindi entrambi collegabili all'unico laterale principale sopravvissuto: attribuiti incontrovertibilmente uno a Masolino (quello del Museo Ingres di Montauban) e uno a Masaccio (Museo Horne, Firenze). Niente di certo sappiamo circa la loro provenienza, essendo stati entrambi acquistati sul mercato antiquario in epoca relativamente recente. Di per sé la diversa attribuzione non offre alcun sostegno all'ipotesi di appartenenza o meno al perduto complesso Carnesecchi per nessuna delle due tavolette, se non che per alcune fonti l'autore delle storie della predella sarebbe stato Masaccio. Tra queste attestazioni, di rilievo è quella data dalla prima edizione delle Vite del Vasari che, come è noto, viene considerata di particolare attendibilità circa l'attività di Masaccio e nella quale lo storico aretino dà a Masaccio solo la predella del Trittico Carnesecchi. Il ritrovamento dei due scomparti maggiori con la loro autografia masolinesca sembrerebbe andare in direzione di una conferma al silenzio del Vasari relativamente alla parte principale del Trittico e quindi rafforzerebbe l'idea di prendere in considerazione la tavoletta Horne, di Masaccio, appunto, come unica parte sopravvissuta della predella Carnesecchi proprio in virtù della sua autografia.

Sono però le novità tecniche emerse dalle indagini attuali che permettono di riferire la predella Horne al Trittico Carnesecchi in modo incontrovertibile. Identici sono infatti, nel San Giuliano e nella predella Horne le caratteristiche del legno, della tela e del gesso usati per gli strati preparatori. I due supporti infatti mostrano fibratura identica e caratteristiche tali da indicare la provenienza da uno stesso tronco. La tela ha un rapporto trama-ordito identico, molto diverso da quello più fitto generalmente riscontrabile in tutti gli altri dipinti di Masaccio e Masolino. Anche la preparazione sembra essere la stessa, contribuendo a dare alle lastre radiografiche dei due dipinti delle inusuali risultanze di scarsissima radio-opacità.

 

 

Ecco i pannelli sopravvissuti del Trittico Carnesecchi :

San Giuliano

http://www.artpx.com/quat/images/Masolino_Fi_SStefano_al_Ponte_SGiuliano.jpg

Madonna rubata esiste una vecchia foto d'archivio, pubblicata sul libro :

The Panel Paintings of Masolino and Masaccio: The Role of Technique, a cura di C.B.Strehlke e C.Frosinini, Milano 2002

Storie di San Giuliano di Masaccio

http://www.masaccio2001.it/cgi-bin/italiano/opere.shtml

(è l'opera n.2, da ingrandire con un click)

 

o, in alternativa, Storie di san Giuliano di Masolino

http://www.montauban.com/connection_ingres/P-auteur1/N325.HTM

(c'è un'immagine miniatura da ingrandire con un click)

 

Un attento esame del San Giuliano (purtroppo con la sola possibilità di istituire confronti con vecchie foto della Madonna col Bambino), induce a nuove e interessanti considerazioni circa la ricostruzione del trittico originale. Il trittico, anche se costruito con carpenteria di tradizionale impianto tardogotico, presentava l'elemento assai innovativo di un coronamento ad arco tondo, come inequivocabilmente dimostrano i segni tracciati sul nudo legno venuti alla luce dopo la rimozione della cornice tarda. Con queste linee di disegno, in fase di approntamento degli strati preparatori si lasciavano indicazioni precise alle maestranze che dovevano stendere tela e gesso, ragion per cui essi diventano oggi, dopo le numerose modifiche e manipolazioni cui il dipinto è stato sottoposto, assai più significativi delle zone di margine, sempre assai danneggiate.

Lungo entrambi i bordi laterali del pannello si rilevano tracce di colatura del gesso originale, segno che le dimensioni sono quelle originali e che i tre scomparti principali erano evidentemente costruiti separatamente gli uni dagli altri, ottenendo poi un ricongiungimento in fase di montaggio finale del complesso. Le giunzioni tra le tre tavole dovevano poi essere mascherate con elementi di incorniciatura, quali colonnine tortili. Questi minori elementi erano spesso incollati soltanto in corrispondenza delle terminazioni e semplicemente giustapposti al supporto per tutta la lunghezza, ragione per cui non si rilevano alla RX tracce di chiodi sul lato sinistro del pannello, quello confinante con lo scomparto centrale. Lungo il margine destro, invece, quello esterno, si notano tracce di 3 chiodi, certo destinati a collegare un più importante elemento di cornice.

Mentre in larghezza il pannello presenta tutte le evidenze di mantenere le misure originarie, in lunghezza deve esserci stata una resecazione al basso, di circa 4-5 cm. La superficie dipinta è infatti irregolarmente tagliata, ma soprattutto, assai significative sono le tracce di una spianatura sul retro, fatta per alloggiare la traversa, e i segni di due chiodi (rimossi e la cui sede è stata stuccata) che collegavano questo elemento al supporto. Trovandosi questi alla estremità attuale del pannello, sembrerebbero indicare la perdita di un'area corrispondente alle stesse dimensioni della spianatura visibile, tenendo conto che la traversa fosse situata più o meno al centro della spianatura e, come tradizionalmente nelle carpenterie fiorentine, la traversa bassa fosse collocata alla base del trittico.

Anche la traversa superiore era alloggiata in un'area di spianatura del supporto ed in RX sono ben visibili le tracce dei chiodi, ad un'altezza che comunque, innalzandosi al di sopra della sorgente degli archi, deve far presupporre che il Trittico fosse dotato di una struttura architettonica complessa al di là di una semplice incorniciatura. Questo non solo per nascondere agli occhi dell'osservatore la traversa che altrimenti sarebbe risultata visibile, ma anche perché, per ragioni strutturali, posizionare una traversa oltre la sorgente degli archi trova una sua ragione soltanto se deve servire da sostegno anche a strutture soprastanti di un certo peso.

I pur scarsi elementi che servono all'ambientazione spaziale delle figure, analizzati con puntualità, permettono di precisare che il campo dipinto doveva ospitare una sorta di Sacra Conversazione ambientata in un unico spazio indiviso. Le figure poggiano su un basamento marmoreo marezzato, il cui piano è incorniciato da una fascia grigio scura, forse pietra serena. Nello scomparto del San Giuliano questa fascia è visibile orizzontalmente, lungo il fondo e al proscenio, prima del gradino, e lateralmente, sul lato corto, alla destra dell'osservatore. Il basamento costituiva quindi l'ambiente scenico dell'intero trittico, e se ne può osservare la conclusione, a destra, in corrispondenza della chiusura fisica del trittico stesso. Il fatto che non esista un'identica conclusione sul lato sinistro dello scomparto del San Giuliano prova che la figurazione dovesse proseguire senza soluzione di continuità nell'adiacente pannello centrale. Infatti in questo la fascia grigia è presente soltanto in corrispondenza dei lati lunghi, in continuità, così come omogenea e congrua è la marezzatura del marmo del pavimento in entrambi gli scomparti. Oltre all'unificazione dello spazio interno e alla forma ad arco tondo degli scomparti, uno dei tanti segni del lento processo di elaborazione nel passaggio da trittico a pala unificata è dato dall'insolita particolarità costruttiva rivelata dalle misure identiche tra scomparto centrale e laterale. Questa notazione è emersa da un'approfondita disamina dei due dipinti e da una loro elaborazione per via informatica. Le misure note attraverso le schede OA e le diverse pubblicazioni, infatti, se si esclude quelle indicate da Ugo Procacci, erano errate e, si ha l'impressione, copiate le une dalle altre senza alcuna verifica. La resecazione in basso del San Giuliano e l'impossibilità di verifiche sul perduto scomparto della Madonna di Novoli, sembravano precludere la possibilità di lavorare in questa direzione. Ma un percorso di osservazione relativa alla unitarietà del basamento su cui poggiano le figure, ha reso usare questo elemento come punto di riferimento, misurandolo sulle immagini digitalizzate di entrambe le opere, e quindi riproporzionarle l'una all'altra in modo da far coincidere gli elementi di esso. Il risultato è stato estremamente interessante: una volta ricreata la continuità del basamento, anche i peducci di imposta delle centine si sono venuti a trovare allineati. Anche lo scomparto di Novoli è diventato a questo punto misurabile ed è risultato identico al suo laterale, sia in altezza che in larghezza.

L'abbandono di una gerarchia tra scomparti, insieme alla adozione dello spazio interno unificato, doveva dar luogo ad un effetto degno di attenzione per coerenza di impostazione. In esso l'aspetto di priorità devozionale era fatto salvo in parte da due accorgimenti: la figura della Madonna, in realtà, è di proporzioni maggiori del San Giuliano, tenendo conto del fatto che è seduta e comunque anche questa forma di rispetto, nascosta ad una prima occhiata, viene riproposta con garbo e understantment dall'avere l'aureola di pochi centimetri più alta rispetto a quella del santo.

Un'altra notazione interessante può essere condotta, dal punto di vista iconografico, sul complesso Carnesecchi: infatti l'insolito seggio della Vergine, un alto basamento, che spesso ha indotto la critica a considerare l'immagine sacra come una "Madonna dell'Umiltà", riecheggia invece, con ogni verosimiglianza, un altare. Il gruppo della Vergine con il Bambino, quindi, conterrebbe un richiamo specifico al sacrificio di Cristo immolatosi sul Golgota , il cui gesto viene reiterato dal sacrificio eucaristico. Inoltre la Vergine, in questo contesto, sarebbe presentata come Maria Mater Ecclesiae, l'appellativo che presumibilmente sta dietro anche al titolo della chiesa di Santa Maria Maggiore che ospitava il Trittico Carnesecchi.

Le peculiarità tecniche

La serie di indagini ottiche cui sono stati sottoposti i pezzi riferiti al Trittico Carnesecchi ha dato come risultato l'individuazione di alcune caratteristiche tecniche inusitate nell'ambiente fiorentino contemporaneo. Sia la veste del San Giuliano che quella della Madonna (per quanto ci è dato di osservare in fotografia) sono infatti realizzati usando un colore semitrasparente (lacca rossa nel caso del San Giuliano) su un fondo preparato a foglia metallica (argento nel San Giuliano) fittamente incisa per simulare un tessuto peloso. Inusitato non è naturalmente l'utilizzo della foglia metallica come base del colore, del quale si hanno innumerevoli esempi lungo tutto l'arco della pittura fiorentina fino a questo momento; innovativo è invece lo speciale trattamento a incisione, ben diverso, nell'effetto che si raggiungeva, dal graffito. Infatti l'incisione non era praticata sul colore per mettere in luce l'argento sottostante, ma direttamente sulla foglia metallica, prima ancora della stesura del pigmento, per ottenere un effetto materico, di tessitura della veste, che probabilmente doveva addirittura suggerire ai contemporanei, l'individuazione di una stoffa specifica. Tale attenzione agli effetti naturalistici della veste è particolarmente evidente nel tipo di incisione che si individua sul San Giuliano dove la distribuzione, la lunghezza dei singoli tratti, la profondità delle incisioni, suggeriscono non solo una stoffa di tipo "pesante" ma anche le luci e le ombre delle pieghe tramite l'infittirsi o il diradarsi del tratto. Sia per il tipo di effetto materico ricercato, sia per il colore, Masolino sembrerebbe aver qui riprodotto un abito di "velluto pavonazzo".

Altri importantissimi elementi di innovazione tecnica sono verificabili sul San Giuliano e contribuiscono a rafforzare l'ipotesi di una conoscenza altera acquisita da Masolino in ambiente extra italiano. Gli incarnati non sono costruiti secondo la tradizionale tecnica del verdaccio di base, cui si conforma indistintamente quasi tutta la pittura fiorentina del Trecento e del Quattrocento, ma con pennellate sovrapposte e affiancate di bianco, rosa e arancio. Tecnica che è stata osservata e analizzata scientificamente su altri tre dipinti di Masolino, appartenenti al Polittico bifronte per i Colonna.

Il dato di gran lunga più significativo è comunque quello dell'utilizzo del medium a olio, almeno per alcuni pigmenti: è infatti nella stesura calda, corposa e modulata della fodera di pelliccia del manto del Santo che si individua con facilità l'uso di un legante a olio, l'unico che può permettere le pennellate larghe e coprenti con cui è steso il pigmento. Il ritrovarne l'applicazione anche sul San Giuliano, oltre a costituire una evidente anticipazione cronologica di quanto finora conosciuto, fornisce una prova in più per attribuire la paternità di questa introduzione su larga scala a Masolino. Da quanto detto finora circa le molte innovazioni riscontrabili nel dipinto in esame, sembra infatti sempre più plausibile l'ipotesi di una diretta conoscenza da parte dell'artista di tecniche nuove, imparate in contesti estranei non solo a Firenze, ma probabilmente anche all'Italia. Le novità che egli introduce vengono recepite con rapidità quasi incredibile da coloro che entrano in rapporto con lui.

Il patronato del secondo altare della navata sinistra di Santa Maria Maggiore, secondo l'attestazione delle fonti, apparteneva ai Carnesecchi, famiglia magnatizia del popolo di Santa Maria Maggiore: il nostro trittico fu con ogni probabilità commissionato da Paolo di Berto di Grazino dei Carnesecchi, patrono della cappella dal 1406 al 1427, anno della sua morte.

Queste considerazioni circa la committenza, rendono verosimile che l'esecuzione della cappella Carnesecchi trovi nel 1423 un terminus post quem, in relazione, appunto, alla possibilità di aver precedentemente conosciuto Masaccio, Masolino e Paolo Uccello nei loro esiti pittorici. Grazie alle chiarificazioni di Ugo Procacci abbiamo oggi la possibilità di riconoscere nel 1428 un preciso terminus ante quem: infatti in un atto notarile del 29 gennaio di quell'anno, si dichiara che Paolo di Berto di Garzino de' Carnesecchi in suoi codicilli testamentari risalenti ad un anno prima (e cioè al gennaio 1426/27) aveva indicato i nomi delle persone cui sarebbe spettata la decisione circa l'elezione del cappellano "cappellae per eum ornatae et factae in dicta ecclesia Sanctae Mariae Maioris sub vocabulo Sanctae Catharinae et sui altaris, et alia plura ut latius et plenius constat per dictos codicillos". Si tratta evidentemente di disposizioni date dal testatore poco prima della morte, che infatti avvenne di lì a poco, il 6 febbraio 1426/27. Le persone deputate, tra cui la vedova del defunto, monna Simona, e i tre figli maschi del testatore adempivano ora all'incarico avuto e pochi giorni dopo l'ecclesiastico su cui era caduta la scelta (già identificato nell'atto precedente) ricevé la nomina ufficiale. In questa seconda parte del documento si hanno quelle specificazioni in più circa la cappella che permettono di circoscriverne la datazione: la si definisce infatti "cappellae et altaris Sanctae Catharinae erectae et factae per dictum olim Paulum patrem ipsorum in ecclesia Sancta Mariae Maioris de Florentia, fulcitae tabulae, paramentis et aliis ad dictam cappellam, necessariis pietrae et armis dicti Pauli designatae". Dall'atto notarile si può quindi dedurre che nel gennaio 1427 la tavola dell'altare era già stata fatta, ma non si può dire da quanto tempo. C'è comunque la possibilità di trovare altri elementi utili alla datazione del Trittico Carnesecchi, grazie all'esame della documentazione biografica nota circa Masolino e Paolo Uccello: il primo, infatti, parte il 1° settembre 1425 per l'Ungheria, al servizio di Pippo Spano e rientrerà a Firenze solo dopo il dicembre 1426, alla morte dello Scolari. Quanto a Paolo Uccello, dal 1425 risulta assente da Firenze, per un lungo soggiorno veneziano, pressoché continuativo, fino al 1431. Sembra perciò possibile restringere il periodo in cui poté avvenire la decorazione della cappella Carnesecchi tra il 1423 e il 1425.

 

Paolo di Berto di Grazino di Durante Carnesecchi ( ( ? ) -- 1426 o 1427 )

4 volte Priore nel 1400 , nel 1409 , nel 1415 , nel 1422

2 volte Gonfaloniere di giustizia 1404 1415

Buonuomo nel 1395, nel 1421, nel 1425

Gonfaloniere di compagnia nel 1393 ( Pagholo di Berto Gratini -------------Alle bocche della piazza )

Era eletto nei dieci di Balia nel 1405 , quando si tratto' di ricevere la citta' di Pisa in dedizione e di impadronirsi anche delle altre fortezze

Nel 1407 fu commissario di Pisa

Console delle arti per i medici e gli speziali almeno13 volte e per la mercanzia almeno11 volte

Speziali : 1394,1396,1398,1400,1403,1404,1406,1408,1414,1415,1416,1418,1420, (mancano i dati antecedenti al 93 e dall'agosto 1421 all'agosto 1429)

Mercanzia : 1401, 1405,1406,1408,1409,1411,1413,1415,1416,1418,1420, (mancano i dati antecedenti al 93 e dall'agosto 1421 all'agosto 1429)

Il fratello Cristofano console degli speziali 1397,1400,1402,1404,1407,1409,1411,1413,1415, muore tra il 1416 e il 17 (mancano i dati antecedenti al 93)

Il fratello Zanobi console degli speziali 1401,1405,1410,1412,1414 , muore tra il 1416 e il 17 (mancano i dati antecedenti al 93 )

Il figlio di Paolo : Simone console degli speziali 1421,1439,(mancano i dati dall'agosto 1421 all'agosto 1429)

Praticamente i figli di Berto di Grazino furono quasi ininterrottamente consoli dell'arte dei Medici e Speziali dal 1394 al 1420 ( non conosco i dati antecedenti al 1393 )

 

Carnesecchi consoli dell'Arte dei Medici e degli Speziali (Arte a cui erano iscritti anche i pittori ) Mancano i dati antecedenti al 1393 e dall'agosto 1421 all'agosto 1429

 

1394

Paolo

1404

Paolo

1414

Paolo

1395

 

1404

Cristofano

1414

Zanobi ( muore tra il 16 e il 17 )

1396

Paolo

1405

Zanobi

1415

Paolo

1397

Cristofano

1406

Paolo

1415

Cristofano ( muore tra il 16 e il 17 )

1398

Paolo

1407

Cristofano

1416

Paolo

1399

 

1408

Paolo

1417

 

1400

Paolo

1409

Cristofano

1418

Paolo

1400

Cristofano

1410

Zanobi

1419

 

1401

Zanobi

1411

Cristofano

1420

Paolo

1402

Cristofano

1412

Zanobi

1421

Mancano dati

1403

Paolo

1413

Cristofano

1422

Mancano dati

 

Elezioni delle Arti . A partire dal dicembre del 1393, la Mercanzia registrava i risultati delle elezioni dei magistrati della stessa Mercanzia e dei consoli di 20 delle 21 arti (le elezioni dell'Arte dei Giudici e Notai non erano controllate dalla Mercanzia e, ad eccezione di un'elezione nel 1393, esse sono del tutto mancanti dall'archivio-dati). I registri dell'Archivio della Mercanzia ("Tratte dei consolati delle arti") non sono sopravvissuti integralmente. Dei circa diciannove volumi di elezioni fra il 1393 e il 1538, che dovevano essere originariamente presenti, cinque non sono sopravvissuti. Ci sono di conseguenza delle lacune nei dati. I risultati delle elezioni sono completi dal dicembre 1393 all'agosto 1421, dall'agosto 1429 al dicembre 1443, dall'agosto 1465 all'aprile 1474, e dall'aprile 1480 al dicembre 1497. Non abbiamo codificato materiale dopo questa data, anche se siamo riusciti invece a colmare la lacuna degli anni 1433-34, mancanti dal registro 83 della Mercanzia, grazie al registro 109 ("Bastardello di Tratte"). I registri della Mercanzia continuano, dopo un'altra lacuna fra gli anni 1498 e 1507, fino alla fine delle Repubblica. Per gli anni mancanti del quindicesimo secolo, forse si potrebbero, con alcune ricerche, trovare fonti per individuare i "seduti" del magistrato della Mercanzia, ma è dubitabile che si possa reperire un ampio spettro di nomi per le altre arti.

 

La dottoressa Frosinini faceva notare ,a questo proposito :

 

Da parte mia, trovo assai interessante il fatto che Paolo di Berto di Grazino Carnesecchi sia stato console dell'Arte dei Medici e Speziali ben 13 volte. All'arte dei Medici e Speziali, infatti, erano immatricolati i pittori e quindi la sua carica lo rende un committente per eccellenza di materiali artistici! Forse le sue scelte non furono tanto legate alla territorialità (cioè a Reggello), come avevamo ipotizzato in passato, ma alla sua carica politica. Nel senso che aveva a che fare con artisti su base quasi quotidiana e, forse, che gli artisti stessi dovevano avere un occhio di riguardo nei suoi confronti (probabilmente, come avviene oggi, erano pronti a fargli degli "sconti")!

 

 

 

 

 

. Ricevo per la cortesia della dottoressa Cecilia Scalella

 

Gent. Sig. Carnesecchi, non so se le può interessare, ma continuando la mia ricerca sul pittore fiorentino "Francesco" ho trovato che in una dichiarazione del catasto del ’27, 1° luglio 1427, il pittore Franco di Pietro (fratello del pittore Francesco di Pietro) abitava in una casa, situata nel popolo di Santa Maria Maggiore, casa appartenete agli eredi di Paolo Carnesecchi, cfr. W. Jacobsen, "Die Maler von Florenz zu beginn der Renaissance", Berlin, 2001, p. 558.


Il testo in tedesco è così:
"Franco di Pietro dipintore del popolo di Sancta Maria Magiore di Firenze......Hat chaseta in pop. Sancta Maria Magiore, gehörte den Erben des Paolo Carnesecchi... in sul canto del chiasso della via dell’Alloro.

 

La cosa anche se non inerente sembra suffragare questa consuetudine di Paolo con i pittori

.

 

 

 

Nell'affrontare lo studio della cappella Carnesecchi è particolarmente significativo l'intreccio di dati storici che emerge daIl'esame della committenza. Il dato più significativo della storia della famiglia Carnesecchi è il radicamento nel Valdarno e, nello specifico, a Cascia di Reggello, il luogo da cui proviene il cosiddetto Trittico di San Giovenale, realizzato nel 1422 da Masaccio. Recentemente è stata avanzata l'interessante ipotesi di un'originaria destinazione fiorentina per l'opera prima di Masaccio, ma anche accettata l'idea di una collocazione successiva dell'opera a Cascia, non va dimenticato che, altrettanto importante per il nostro discorso, è l'origine dal paese del Valdarno superiore, dei Castellani, probabili committenti del trittico di Masaccio, e il radicamento negli stessi luoghi dei Carnesecchi, committenti della cappella di Santa Maria Maggiore. ( vedi pagina 14 : per i rapporti con il Valdarno superiore )

La famiglia Carnesecchi, inoltre, interviene in concomitanza di un'altra impresa artistica che può essere all'origine della scelta degli artisti per l'altare di famiglia in Santa Maria Maggiore: la Madonna dell'Umiltà, oggi a Brema, commissionata nel 1423 a Masolino. Infatti la tavola di Brema presenta sulla base lo stemma dei Carnesecchi insieme a quello dei Boni, loro consorti, forse in relazione ad un matrimonio tra membri delle due famiglie. Ne consegue un interessante rapporto incrociato di committenza che sfuma quasi nel mecenatismo: i Carnesecchi avrebbero avuto modo, già dai primissimi anni del terzo decennio del Quattrocento, di conoscere, artisticamente parlando, sia Masaccio che Masolino, l'uno al suo esordio (per quanto ci è dato di conoscere fin qui), l'altro al suo rientro a Firenze. Queste considerazioni circa la committenza, rendono verosimile che l'esecuzione del Trittico Carnesecchi si situi intorno al 1423.

 

Di enorme interesse è dunque la possibilità che l'opera segni il debutto della collaborazione tra Masaccio e Masolino, collaborazione che dovette certamente essere un rapporto legalmente codificato secondo la prassi e le leggi dell'epoca, e non semplicemente nata su base spontanea, di "affinità elettive", fatto che non può in alcun modo inserirsi nelle costumanze di un'epoca e di un mestiere rigidamente codificato..

Rileggendo i documenti è possibile azzardare una ricostruzione cronologica degli eventi che può anche in qualche modo contribuire ad un chiarimento della cronologia delle opere dei due maestri e delle reciproche influenze e degli interscambi stilistici e tecnici. Sembrerebbe dunque che il rientro di Masolino a Firenze sia coinciso con una compagnia, precedente a quella con Masaccio, stipulata con Francesco d'Antonio, artista minore, uscito dall'orbita di Lorenzo Monaco. Il nome di Tommaso di Cristofano ricorre spesso, infatti, collegato a quello di Francesco d'Antonio, il quale gli fa da garante proprio nel primo dei documenti fiorentini, il contratto di affitto per una casa nel 1422. E' d'altronde verosimile che Masolino, assente dal panorama fiorentino fino a quella data che lo vede già trentottenne, sia stato attivo fuori dalla città e vi sia ritornato solo in vista di precise occasioni di lavoro. Un contratto di compagnia, oltre ad assicurargli l'appoggio economico e di mercato di un artista ben assestato in loco, poteva anche esonerarlo dall'onere di doversi aprire una bottega pagando la notevole tassa d'entratura connessa all'esercizio commerciale. Il rapporto di compagnia, come ormai dovrebbe essere ben noto, non presupponeva necessariamente la conduzione di attività in comune: i compagni avevano esclusivamente l'obbligo di condividere guadagni e perdite. Ma nel caso di Francesco d'Antonio e Masolino è possibile identificare una attività artistica comune, nei brani superstiti di affreschi della Cappella della Croce della chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani ad Empoli. La compagnia tra i due artisti venne sciolta, forse alla scadenza prevista, forse con anticipo, ma certo non in modo pacifico, dato che nel marzo del 1424 si ha un atto legale inerente la composizione di una lite tra Masolino e Francesco d'Antonio. Il documento non è specifico nel merito di queste "omnia eorum lithes", ma il fatto che come arbitri vengano eletti due pittori fa chiaramente intendere che essi erano ritenuti competenti in merito all'argomento del contendere. La data del documento è evidentemente solo un terminus ante quem della data di scioglimento della compagnia, ma attesta, in modo certo, che prima del 1424 Masolino era libero da vincoli legali e quindi poteva stipulare compagnia con altro artista, Masaccio dunque.

 

Le vicende storiche dell'altare Carnesecchi seguono le mutazioni architettoniche della chiesa di Santa Maria Maggiore, dovute prima alle nuove esigenze liturgiche disposte dal Concilio di Trento e poi all'adeguamento ai cambiamenti di gusto del XVII secolo. Nel 1521 la chiesa passa ai carmelitani riformati che danno inizio a tutta una serie di ammodernamenti; i Carnesecchi più volte adducono scuse di carattere economico per non procedere ad alcun lavoro alla cappella di loro patronato. Infine, il 9 gennaio 1650, i carmelitani ottengono dall'arcivescovo di Firenze il permesso di demolirla, poiché "come antica, e con una cortina che sporta in fuora, guasta ogni ordine di detta chiesa". Nel 1651 la cappella viene soppressa e del polittico, dato ad un membro della famiglia che ne aveva avuto il patronato, si perdono le tracce.

ASF, Conventi Soppressi 114, S. Maria Maggiore, vol. 29, Memoriale, c. 110: "Per li molti rispetti niuno si trovò che ci volesse metter le mani per disfar detta cappella, stette imperfetta havendo disfatto l'altare e levato quelle pietre che stavano per cadere, siccome ancora li Padri concessero al signor Luigi [Carnesecchi] uno dÈ patroni, l'ancona che era a detta cappella, havendola cara per l'antichità di casa sua, e questo fu sotto dì 8 marzo 1651". E ancora: "È stata guastata da restauri fattivi con poca cura. Le mani, parte delle vesti e della faccia sono state ridipinte con colore a vernice".

Nel 1677, il Bocchi dà notizia del fatto che la nuova cappella attendeva di essere ornata con una tavola di Onorio Marinari, che nel 1684, secondo la descrizione del Del Migliore, era già in loco. Il Baldinucci nel 1696 ricorda comunque l'antica decorazione della cappella citando Masaccio e Paolo Uccello come autori: "E in Santa Maria Maggiore, in una cappella allato alla porta del fianco verso San Giovanni, ove già era una tavola e una predella di mano di Masaccio,... [Paolo Uccello] fece una Nunziata in fresco".

Del Trittico Carnesecchi, smembrato e alienato in pezzi separati, si ebbe nuovamente notizia solo con i censimenti su vasta scala dei beni artistici promossi nell'Italia postunitaria e condotti, per quanto riguarda la Toscana, dai "regi ispettori" Carlo Pini, prima, Guido Carocci, poi. Nel 1895 questi segnala nella chiesa di Santa Maria a Novoli (nell'immediata periferia fiorentina) una Madonna col Bambino, ubicata in canonica forse a causa dei lavori di ammodernamento della chiesa avvenuti sulla metà del secolo. Le uniche notazioni interessanti riguardano la quasi completa ridipintura del manto della Vergine. Nel 1899 lo stesso Carocci segnala una tavola con San Giuliano [fig. 2] nella chiesa di San Giuliano a Settimo, presso Scandicci, borgata sulla strada che conduce verso Lastra a Signa. La tavola non era stata citata dall'inventario redatto dal Pini nel 1863, ma poiché il Carocci la rinviene in canonica, è possibile che vi si trovasse anche 25 anni prima e non fosse stata vista dal Pini. Nel 1913, nell'inventario della chiesa di Santa Maria a Novoli, una nota in calce di Matteo Marangoni riconosce la Madonna come vicina a "Masolino da Panicale del quale ricorda vagamente la maniera". I due scomparti, al momento del loro ritrovamento, erano accomunati da una aggiunta che dimostrava come avessero avuto, in un qualche momento della loro storia, una collocazione intermedia uguale: una cortina con nappe, dipinta in rosso, sulla cuspide, a mascherare la fascia esterna venuta in evidenza dopo la rimozione della cornice originale, e che sormontava anche parte del fondo oro lungo i bordi delle due tavole.

Nei primi anni venti i due dipinti vengono pubblicati da Offner e Toesca e identificati come parti del Trittico Carnesecchi. Nel 1922 Carlo Gamba, allora ispettore onorario alle Belle Arti, scrive una relazione circa un sopralluogo da lui effettuato insieme a Pietro Toesca alla chiesa di San Giuliano: consiglia di rimuovere al più presto il dipinto, poiché "Acton, Berenson e compagni" hanno fatto ripetute offerte per acquistarlo. Pochissimi giorni dopo l'opera viene ritirata e portata alla Galleria degli Uffizi, ufficialmente per essere restaurata. In realtà sappiamo che il restauro avvenne solo intorno al 1935 (forse poco prima, in occasione dell'esposizione del dipinto alla Mostra di Firenze Sacra del 1933); da tutto il carteggio si ricava perciò l'impressione che il ritiro del dipinto fosse motivato da legittime preoccupazioni circa possibili alienazioni e che il restauro fosse solo una scusa addotta. Che poi non si trattasse di timori esagerati è dimostrato dal fatto che nemmeno un anno dopo, il 31 gennaio del 1923, l'altro dipinto, la Madonna col Bambino, venne trafugato dalla chiesa di Santa Maria a Novoli e da allora non è stata più ritrovato.

 

 

 

TRITTICO CARNESECCHI : SAN GIULIANO

 

 

 

 

 

 

 

Trittico Carnesecchi : Predella dipinta da Masaccio 

Predella conservata al museo Horne di Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

E' da notare come l’ex palazzo Guidalotti , nel 1427 di proprieta' dei fratelli Simone , Giovanni , Antonio Carnesecchi figli di Paolo di Berto e di Luca Carnesecchi di Luca di ser Filippo , si affacciasse sui palazzi dei Del Beccuto

 

 

 

 

Del Beccuto .( in verde scuro ) : in particolare di Deo di Deo Del Beccuto (verde scuro perimetrata di giallo ) che da sul canto ai Guidalotti

 

 

 

 

Tesi di

Hugh Hudson

School of Art History, Cinema, Classics and Archaeology The University of Melbourne

 

 

La tesi sostenuta su base documentaria da Hugh Hudson e' che Andreola Carnesecchi avesse sposato Deo di Deo Del Beccuto

Andreola era figlia (?) di Zanobi di Berto di Grazino Carnesecchi fratello di Paolo Carnesecchi ( patrono della Cappella Carnesecchi in Santa Maria Maggiore )

Questa parentela coi Del Beccuto avrebbe favorito l'incarico a Paolo Uccello per l'affresco della cappella Carnesecchi 

 

La cosa puo’ anche essere vera infatti

 

 i Carnesecchi e i Del Beccuto erano della stessa Parrocchia Santa Maria Maggiore e vicini di casa

 i tre fratelli Carnesecchi :Zanobi,Cristofano,Paolo figli di Berto erano tutti iscritti all'arte dei Medici e Speziali ( Arte in cui erano iscritti anche i pittori ) pure iscritto alla stessa arte era Deo di Deo Del Beccuto ( che ne sara' console nel 1413,1415,1419,1421,1430,1431 )

 

 

Senza alcun dubbio ci sono motivi di parentela  tra Manetto di Zanobi Carnesecchi e i Del Beccuto infatti :

 

 

Ricevo dal dr Piccardi

Manoscritto 515

 

 Continuando l'esame di questi spogli notarili mi confermo nella convizione che li abbia fatti un Gherardini che cercava notizie dei suoi.

Si capisce anche in che condizioni fosse l' archivio, sia perchè descrive alcuni protocolli particolarmente "in disordine ", sia perchè ritrovo nel 515 (che è marcato C) notai e atti già visti nel 513. 

Comunque, c'è questo atto interessante:

pag. 155 notaio Ser Paolo di Lorenzo Benivieni 1438-1474

c. 245 Domina Teodora Soror Felicis filii Adulti D.i Alterius dei Beccuti nubit Sancti Pieri Matthei olim merciario populi S. Michaelis Vicedominorum cum illa dote, quam dicet Manettus Zenobi de Carnesecchis.

 

Evidentemente c'è stato un matrimonio con un componente la famiglia Beccuto, La dote l'ha stabilita un Carnesecchi, forse perchè le due famiglie non si trovavano d'accordo.

Domanda: cosa c'entra Manetto con la dote di un altro? Erano solo vicini o c'era qualcosa d'altro?

 

 

 

 Biografia di Paolo Uccello (1397 - 1475)

Paolo di Dono nasce nel 1397 da Dono di Paolo, barbiere e chirurgo, e da Antonia di Giovanni del Beccuto. Malgrado Pratovecchio in Casentino si fregi d'avergli dato i natali, la sua città di nascita è probabilmente Firenze, dove Dono aveva preso residenza nel 1373. Della formazione artistica di Paolo non si è certi.
Il Vasari lo dice discepolo di Antonio Veneziano, ma la notizia mostra discrepanze cronologiche. E' più probabile ch'egli fosse a bottega da Gherardo Starnina. Si sa che nel 1407 egli fosse garzone per il Ghiberti, per la rifinitura della prima porta del Battistero fiorentino. Molti pensano che da qui derivi il suo soprannome Paolo degli Uccelli o dell'Uccello, come egli stesso si firma, poiché il giovane pittore attende specialmente ai volatili rappresentati nel fregio. Al 1415 risale la notizia della sua immatricolazione all'Arte dei medici e degli speziali, al 1424 quella della sua entrata nella compagnia di San Luca.
Nel 1425 è chiamato a Venezia per dedicarsi a parte dei mosaici. Realizza un "San Pietro" sulla facciata, ormai perduto, anche se presente nelle testimonianze pittoriche di Gentile Bellini. Torna a Firenze nel 1430: c'è traccia della sua presenza nel registro del catasto, istituito nel 1427. Paolo fa domanda per lavorare al Duomo di Firenze nel 1432, ma è probabile che stesse già lavorando a qualcosa, pur se di questa commissione non si ha notizia. L'Opera del Duomo gli affida, nel 1436, la realizzazione d'un grande affresco equestre destinato alla navata sinistra. L'opera è dedicata a John Hawkwood, detto l'Acuto, capitano delle truppe fiorentine nel secolo precedente.
Dal 1443 al 1445 lo stesso committente gli richiede dei cartoni per le vetrate di tre occhi della cupola. Due dei cartoni ancora esistenti rappresentano una "Natività" ed una "Resurrezione", mentre quello con l'"Annunciazione"; è andato perduto. Alle vetrate si aggiunge la decorazione della facciata posteriore del Duomo con la "sfera delle ore", un orologio con quattro teste di profeti su ciascun angolo.
Nel 1445 Donatello, caro amico di Paolo, lo chiama a Padova. Qui il pittore attende alla realizzazione di personaggi illustri in Casa Vitaliani. Si tratta di figure colossali, per questo soprannominate i "Giganti", oggi perdute, che all'epoca ebbero forse influenza sul Mantegna. Altre notizie della sua vita provengono negli anni seguenti (1442, 1446, 1457) dal catasto fiorentino.
Nel 1465, la Confraternita del Corpus Domini gli affida la decorazione della predella della sua chiesa d'Urbino, con i "Miracoli dell'Ostia". Si ferma in città fino al 1469, lavorando anche con suo figlio, all'epoca molto giovane. Nel 1469 ancora il catasto dà testimonianza della sua vita, di cui Paolo parla con parole di disagio: "truovomi vecchio (...) e con la dona inferma". L'11 novembre del 1475 fa testamento e muore un mese dopo.

 

 

 

 

 

 

 

http://www.elsewhereonline.com.au/place/the-monuments-of-florence-real-and-imagined-in-the-early-renaissance-the-development-of-single-point-perspective-in-painting-by-dr-hugh-hudson

 

The Monuments of Florence, Real and Imagined, in the Early Renaissance: The Development of Single-Point Perspective in Painting* by Dr Hugh Hudson

 

http://digilander.libero.it/gasparo/Hugh_Hudson1.pdf l’articolo qui sotto trascritto ma impreziosito da note importanti

 

Opposite the principal train station of Florence in the northwest quarter of the city stands the imposing church of Santa Maria Novella, distinguished by its slender belltower, long nave, elegant marble façade, and fine courtyards with cypress groves at either side. Inside are some of Italy’s most dazzling late Medieval and Renaissance mural painting cycles: Domenico Ghirlandaio’s Stories of the Virgin and Saint John the Baptist in the magnificent Tornabuoni Chapel behind the high altar, Nardo di Cione’s Purgatory, Hell, Paradise, and Last Judgment in the Strozzi Chapel on the left of the transept, and Filippino Lippi’s Stories of Saints Philip and John the Evangelist in the Filippo Strozzi Chapel on the right of the transept. In the lower nave of the church on the west wall is another chapel with exceptional decoration. Pilasters of white marble with rose marble Corinthian capitals support a rose marble entablature, framing the entrance to a tall, barrel vaulted chapel. In front of the pilasters, heavily robed figures kneel in prayer, while the Virgin and Saint John the Baptist stand inside the chapel on either side of the Trinity: God the Father supporting Christ on the cross, with the Holy Spirit flying between them. This is not a real chapel, of course, but Masaccio’s celebrated mural painting of a fictive chapel, called the Trinity.
As many undergraduate students of art history learn, one of the most distinctive innovations of early Renaissance art in Florence is single-point perspective. Very little is securely known, however, about its rapid development in painting in the first decades of fifteenth century. What conditions in Florence, especially in and around the Santa Maria Novella quarter, during the second half of the 1420s led to the stunning semblance of reality in Masaccio’s Trinity? That is to say, how did painters come into contact with the first developments in perspective, what kind of patrons did it appeal to, and how was it ultimately used? Rather than a conventional altarpiece depicting figures disposed in a shallow space within a gothic frame, or a mural painting of biblical scenes, Masaccio envisaged a virtual chapel with classical architecture, and figures receding into its depths in the nave of the gothic church. Certainly, space was at a premium, where even the patronage rights to individual piers were fought over by wealthy families. In the early Renaissance the chapels in the nave were of different styles, depending on the taste and means of the patrons and the administration of the friars, at the time they were made. Amid competition from rival families, a fictive chapel was perhaps one way to enhance the appearance of a donor’s patronage. But how was this novel solution conceived? Traditionally, the artist, architect, and engineer Filippo Brunelleschi is credited with the invention of single-point perspective and its application to the architectural features in the Trinity. Despite the volume of literature on Renaissance perspective little has been written about the artistic debates surrounding the validity of its introduction into painting, or the social climate that made it desirable in Florence in the 1420s, whether in regard to the painting of a fictive chapel or painting in general.
Standard accounts routinely attribute the invention of single-point perspective to Brunelleschi in the early decades of the fifteenth century, while Donatello is often said to have been the first to apply it to relief sculpture (albeit imprecisely), Masaccio the first to apply it to large-scale painting, and Alberti the first to put it down in writing. Standard accounts also often give the impression that despite minor differences of approach all those who worked with perspective were primarily interested in achieving a resolution of common technical issues, rather than coming to grips with the significance of perspective as an aspect of their specific artistic (or indeed literary) practices. But does the historical and visual evidence sustain such a straightforward synopsis? This article will argue that it does not, and that even in the early Renaissance there are indications of varied views on the significance of single-point perspective and the identity of its key practitioners that should not be discounted.
Brunelleschi was indeed referred to as a ‘perspectivist’ in a brief reference in a letter written in 1413 by the poet Domenico da Prato to Alessandro di Michele Rondinelli (‘prespettivo, ingegnoso uomo Filippo di ser Brunellescho, ragguardevole di virtudi e di fama’), a tantalizingly early but laconic and ambiguous source. The author did not mention any specific work by Brunelleschi; moreover, it is not clear that the term ‘prospettivo’ here refers to an expert in the depiction of perspective, as it is now understood, rather than just a maker of ‘views’. In modern Italian the word for perspective (‘prospettiva’) can allude in a general sense to any panorama, and in the early fifteenth century there is no reason to expect that the word (or any of its cognates) would already have had a particular technical definition, especially in the vocabulary of a poet. The sculptor and architect Filarete did credit Brunelleschi with the invention of the modern rules of perspective in a more technically specific context, in his treatise on architecture, written c. 1460–64, as did Antonio di Tuccio de’ Manetti in his short collection of biographies of Renaissance Florence’s most remarkable men, written c. 1494–97. Clearly, Brunelleschi’s contribution to the development of perspective made an impression on his contemporaries and followers. However, there is no surviving written description of his actual technique, or a perspective depiction definitely by Brunelleschi with which to reconstruct it.
In his extended biography of Brunelleschi written around the 1480s, Manetti famously described two panels by Brunelleschi (now lost), showing perspectival depictions of a view of the Baptistery from the door of the Cathedral, and the Piazza della Signoria in Florence from the end of Via dei Calzaiuoli. Manetti explained how Brunelleschi guaranteed the verisimilitude of his depiction of the Baptistery. There was a tiny hole in the reverse of the panel through which the viewer looked to see a mirror held in place in front of the panel. Looking with one eye, the viewer observed a reflection of the painting of the Baptistery on the obverse of the panel through the hole, that is, from the point determined by Brunelleschi, the point at which the perspective construction gave a convincing impression. Manetti called Brunelleschi’s approach to perspective scientific because it involved a rule ‘setting down properly and rationally the reductions and enlargements of near and distant objects in correct proportion to the distance in which they are shown’. What that rule was Manetti did not say, probably because he did not know. Brunelleschi’s preparatory design for the perspective would have been obscured when he coloured the images, as Manetti said he did. There is no reason to doubt that Brunelleschi’s panels showed a relatively convincing depiction of two of Florence’s most important monuments. However, whether the construction method underlying their depiction was as systematic as Manetti and others have believed is open to question.
Donatello’s beautiful, classicising Saint George and the Dragon marble relief on the base of his statue of Saint George, made for the niche of the Armourers’ Guild on the outside of Orsanmichele, along Via dei Calzaiuoli from the Baptistery (now in the Bargello Museum in Florence), is datable to the late teens of the fifteenth century. It has been described as among the earliest surviving instances of the application of the new perspective. However, linear perspective is confined to the facade of the small building behind the princess and the pavement within, visible through a doorway—minor features in which the perspective seems in fact to be rather irregular. Donatello’s Feast of Herod bronze relief panel for the font of Siena’s Cathedral Baptistery, made in the mid-1420s, shows a brilliantly complex, multi-layered depiction of space. Elements of single-point perspective have been found in the tiles on the floor and the architecture, but there is no overall convergence of the orthogonals (the edges on the sides of box shapes converging to a vanishing point). Thus, the examples most commonly cited of Donatello’s contribution to single-point perspective suggest, if anything, a relaxed approach rather than a systematic one.
Masaccio’s Trinity (c. 1425–27) is probably the earliest surviving painting of the Florentine Renaissance to show a consistent set of converging orthogonals (at least in the barrel vault where the orthogonals are most clearly visible). Yet it is difficult to establish whether it also shows an entirely consistent system of proportionally diminishing spatial values (the forms shown receding into the distance diminishing in size in a proportional manner) because Masaccio did not show the floor of the chapel, which is depicted as though slightly above eye level. Thus, it is difficult to establish the rate of diminution within the depicted space. The ribs of the barrel vault give the strongest indication that there is a consistent system of diminution, although even this indication is ambiguous in parts. It has been assumed that Brunelleschi must have inspired or designed the fictive architecture in this work, and that the appearance of mathematical precision is part of its religious meaning. Certainly, the classical architecture is much more elaborate and close to Brunelleschi’s style than in any other work of Masaccio, and the perspective is much more an important feature of the work than any other work of his, but their collaboration on this painting remains a hypothesis in the absence of any firm evidence.
As the Trinity is such a compelling image and one that is apparently convincing in its depiction of forms in space, writers sometimes give in to the temptation of exaggerating its mathematical precision. In fact it applies perspective inconsistently, but then there is probably no Renaissance painting in which every line and shape conforms precisely to an overall perspective plan. Probably only a modern computer would be capable of such precision. In 1996, J.V. Field presented a thorough review of Renaissance approaches to perspective, including that of the Trinity after making new measurements of the paint surface, concluding: ‘Like other artists of the fifteenth century, Masaccio and Donatello were interested in a form of truth that was essentially visual rather than mathematical, though mathematics might be used in attaining to it. That a picture that is so impressively visually correct as the Trinity can turn out to be mathematically faulty is a warning against confusing artist with mathematician.’ According to Field, the abaci—the flat blocks surmounting the capitals on the columns—are not consistently measured; those at the front are too long to have been planned mathematically.
Furthermore, as Joannides pointed out, the arch over the foremost columns should be foreshortened, since it is seen from below, whereas Masaccio depicted it face on as a series of semi-circles. A series of increasingly flat ellipses would have provided the correct appearance of a foreshortened arch only from a single viewpoint in the church (fairly close to the painting), from all other positions it would have looked distorted. And so Masaccio compromised the single-point perspective of his work, probably in order to create a regular appearance from further away. An analogous phenomenon occurs in Uccello’s Equestrian Monument for Sir John Hawkwood (1436) in Florence Cathedral, where the horse and rider are depicted as seen face on while the sarcophagus on which the horse stands and its base are depicted as seen from below, probably to avoid certain undesirable effects of showing the whole structure in consistent perspective: the horse’s feet would have appeared cut off by the sarcophagus, Hawkwood’s face would have been less clearly visible, and from a distance the horse and rider would have appeared distorted. The idea that Masaccio was the first to create a large-scale painting in something approaching single-point perspective also needs to be treated with caution, as is discussed below.
Alberti’s treatise on painting De Pictura written in Latin in 1435 (and translated into the vernacular as Della Pittura in 1436) includes a shorthand method for producing an accurate view of a scene, which uses a ‘veil’ of squaring through which the artist looks and which they use as a reference for plotting the relationships between forms in the scene to be depicted. Alberti defended this method from critics who said it did not require artists to develop any real understanding of the depiction of objects in space. More complex was his second method, one that provides the two key features that this article takes to constitute the basis of single-point perspective (converging orthogonals and a proportionally diminishing scale of objects receding in space). Essentially, it required the artist to plot where the visual rays between points on the ground plan of the scene to be depicted (using for the example a grid of square paving) would cut the picture plane, using these intersections to locate the transversals in the composition (those straight lines parallel to the picture plane). The method exploits geometry rather than calculation to depict a pavement of squares in perspective, allowing the artist also to determine the appropriate heights of objects depicted on the pavement.
Though more rigorous than any earlier written perspective method, this is not to say that the method is itself highly sophisticated. Alberti frankly admitted at the outset of his text: ‘Mathematicians measure the shapes and forms of things in the mind alone and divorced entirely from matter. We, on the other hand, who wish to talk of things that are visible, will express ourselves in cruder terms.’ Indeed, a recent mathematical analysis of Alberti’s perspective method has found it wanting, in terms of determining the precise relationship between horizontal, vertical, and orthogonal proportions.
Modern art historians have often struggled to accommodate the claims by early writers that one of the protagonists in the development of perspective in early Renaissance Florence was Paolo Uccello (c. 1397–1475). Manetti singled out Uccello among the artists who followed Brunelleschi in the application of perspective, and Giorgio Vasari alternatively credited Uccello and Masaccio with the leading role in the application of perspective to the field of painting. What has made it difficult for these claims to be accepted is Uccello’s non-canonical uses of perspective. While a number of his paintings demonstrate a knowledge of standard single-point perspective (for example, the Hunt in the Forest in the Ashmolean Museum in Oxford), throughout his oeuvre numerous instances occur in which he ignored the standard approach, adopting varied and unusual uses (notably, the Nativity in the reserve collection of the Uffizi in Florence, in which the sinopia—the underlying preparatory drawing—depicts a standard perspectival grid, while in the painting on the intonaca—the final layer of plaster—there are two vanishing points at the lateral edges creating a strangely distorted appearance of space). Furthermore, even when Uccello used perspective in a more-or-less straightforward manner, he sometimes did so ironically, as in the Battle paintings in the National Gallery, London, and the Galleria degli Uffizi in Florence, in which he contrived to show the broken lances on the ground, and even the tufts of grass growing thereon, in a perspectival grid. How could a founder of canonical perspective have used it so inconsistently and anti-illusionistically?
Loath to ignore the early sources, some modern writers have attempted either to discredit them, or to make him the exception that proves the rule, as it were. Thus, Uccello has appeared in modern literature as a late follower of his peers whose influence on the development of perspective was actually inconsequential, or an aberration, an eccentric personality, simultaneously obsessed with perspective and yet unable or unwilling to adhere seriously to its most important rules. However, historical evidence, discussed below, suggests Uccello was professionally and socially linked to the milieu in which the new approach to perspective found its earliest expression in painting. Specialist writers on Uccello have also suggested that he may have been providing a commentary on the work of Brunelleschi and Alberti (neither primarily a painter), by pointing out the artificial restrictions that single-point perspective creates. Uccello was by no means the only painter in the early decades of the fifteenth century to resist or ignore the strictures of single-point perspective. In three respects Uccello’s approach belongs to a more complex reading of the significance of perspective in the late Medieval and early Renaissance period: in its recognition of the technical, expressive, and philosophical or theological limitations inherent in standard single-point perspective.
While single-point perspective created using the second method described by Alberti generates a consistent diminution of scale in forms as they recede into space in front of the viewer, this is at the expense of visual consistency across the picture plane. The further forms are laterally from the centre, the greater their distortion. This is a well-known phenomenon in specialist perspective studies, but one to which the common viewer of artworks, accustomed to conventions of visual representation, would probably give little consideration under normal conditions. Piero della Francesca addressed the problem in the thirtieth proposition of the first book, and the twelfth proposition of the second book, of De Prospectiva Pingendi (On Perspective for Painting), referring to unnamed critics of perspective who doubted its rationality, but he did not accept that peripheral distortion invalidated the application of perspective to the visual arts. Leonardo da Vinci returned to the problem in Manuscript A of his Discorsi. Art historians agree that Leonardo understood the problem of lateral distortion, however, there is disagreement as to what approach or approaches he may have pursued to overcome the problem.
In other words, the Florentine single-point perspective method may not be an entirely mathematically precise method of depicting space in two dimensions, and is not an entirely consistent approximation of it, but is rather a system for creating a degree of illusion of regularly constructed space, one that privileges the diminution of forms away from the picture plane. The inherent difficulties in correlating the depiction of three dimensional objects in two dimensional space with the biological reality of vision were not so much resolved by Renaissance theorists as minimised through limiting the angle of vision (to avoid lateral distortion) and creating a pre-determined position for a viewer’s eye (to allow the artist to create the most convincing impression of depth from a single view and to avoid the complexities of binocular vision). For practical reasons neither strategy would find general acceptance in painting: artists needed at times to depict wide angles of vision to create broad settings for their subjects and viewers usually move around in front of artworks—looking with both eyes! Furthermore, as explained in reference to Uccello’s Equestrian Monument, other aspects of single-point perspective can at times be at odds with the desire for clearly legible forms in painting.
One aspect of Uccello’s work that writers have not failed to praise is his imaginative and innovative imagery, replete with fantastically elaborate dragons, fierce thunderstorms, the pageantry of war, and the elegance of the Renaissance hunt. Might not his unconventional use of perspective be associated with his quest for novelty and the liberation of imagery from the monotony of canonical standards? A similar suggestion has been made to explain why most fourteenth-century artists, who were not that far from achieving single-point perspective, might have resisted it, and why even many fifteenth-century artists who evidently were capable of using the technique often chose not to. There is a well-known written source that also suggests such an interpretation. In the introduction to his handbook on painting, Cennino Cennini cited two reasons why painting can be considered a higher art: its basis in theory on the one hand, and its poetic licence on the other. For Cennini the painter is not constrained to follow theoretical considerations, indeed the occasional poetic disregard for theory is part of what distinguishes a painter from a lesser artisan. Recently, it has been proposed that his handbook may have been written as a codification of late fourteenth-century artists’ practices for the purpose of allowing the painters’ guild to better oversee their members’ professional activities. Thus, his sentiment might well have expressed an orthodox point of view. Would the development of single-point perspective in the decades following the writing of his treatise negate such a view?
An indication that the rational application of geometry, on which single-point perspective is based, might not have convinced all commentators of its ability to provide a framework for representing the complexity of the world (and the universe) in the early Renaissance period is provided by the writings of the humanist Nicholas of Cusa, called Cusanus, particularly his most famous work, De Docta Ignorantia (On Learned Ignorance), completed in February 1440. Although Cusanus affirmed that God created the world using arithmetic, geometry, music, and astronomy (the quadrivium—four of the liberal arts comprising the basic courses of a Medieval university) he used logical arguments to demonstrate the incompatibility of standard geometry and the concept of infinity, or put another way, the incommensurability of the human mind and divinity. In one instance he argued that an infinitely large circle would be equivalent to an infinitely long straight line whose circumference is everywhere and whose centre is nowhere. If this sounds paradoxical, that was evidently Cusanus’ intention, to show that the finite logical tools available to the human mind are insufficient to understand God’s infinite reality. Cusanus’ demonstrations of the ambiguities of infinite geometry parallel to some extent Uccello’s use of perspective, in as much as both highlight the limits of geometry, rather than its ability to represent a clearly comprehensible order.
Some artists and humanists might have had differing views about single-point perspective as an orthodoxy, however, Florentine patrons may have had their own intentions in its use as well. The Trinity’s verisimilitude is, of course, not restricted to the architectural setting. Two of the most riveting aspects of the work are the life-size figures of the presumed donors. They are unusually depicted without any kind of framework (fictive or real) around them. Instead, they kneel in front of the fictive architectural structure surrounding the sacred figures. Since most of the original edges of the painting have been destroyed, there could possibly have been a surrounding frame, but in any event, the directness of their depiction is innovative, posed between the viewer and the sacred figures, rather than among the sacred figures, as was more customary.
While their identity remains uncertain, documents provide a clue: a tomb slab near the painting was dedicated to Domenico Lenzi and his family, presumably when Domenico died in January 1427. Little is known about Domenico as an individual, and the family as a whole has not been the subject of a sustained study as other families of their time have. Scholars of the Trinity have drawn attention to the fact that a Benedetto di Domenico Lenzi became Prior at Santa Maria Novella c. 1426–28, and that a Lorenzo di Piero Lenzi (Domenico’s cousin) was Gonfaloniere di Giustizia (effectively the mayor) in August and September 1425, as evidence for the extended family’s possible influence over the commission. Further information about the social standing of the Lenzi and another family, the Carnesecchi, that commissioned paintings with conspicuous displays of perspective before and after the Trinity can help to explain the circumstances in which the taste for perspective in painting initially developed.
Disparate sources indicate that the Lenzi grew in prominence in the Santa Maria Novella quarter from the late fourteenth century, without ever joining the inner-circle of the most powerful families in Florence. They owned adjacent properties on the Piazza di Ognissanti on the north bank of the Arno, a little south of Santa Maria Novella. Being well outside the second city wall of Florence, this location did not represent the most desirable real estate in the city. Nevertheless, some time before 1470, two brothers and an uncle of the family—Lorenzo and Pietro di Anfrione and Francesco Lenzi—built an impressive palazzo on their properties, which currently serves as the French Consulate.
The fact that the palazzo was built by three members of the family says something about the importance of collective patronage in early Renaissance Florence. Even if Domenico is the patron represented in the Trinity, the commission would have been planned in partnership with the Dominican friars, and served as a collective monument for Domenico, his wife, and his descendents (the tomb slab was inscribed for him and his family ‘Domenico di Lenzi et Suorem’), and served more generally as a symbol of the success of the extended Lenzi family. An Anfrione di Lorenzo di Piero Lenzi is known to have held the important office of Operaio (building supervisor) at the Cathedral from June 1436. . Based on their patronymics (the string of names identifying the individual, their father, their grandfather and so on), it seems that Lorenzo, Anfrione, and, Lorenzo and Pietro represent three generations of a significant dynasty of power and patronage in Florence.
The most prominent member of the family was Lorenzo di Piero Lenzi, whose name appears frequently in sources in this period. In late 1412 and early 1413 a man of that name was a leader and representative of the Guelf party (Parte Guelfa), a semi-official association predominantly representing the interests of Florence’s conservative, oligarchic families, and was again in 1424–25. In 1416 a Lorenzo di Piero Lenzi appears in a ledger of the Confraternity of Saint Peter Martyr, the company of laity and friars based in Santa Maria Novella, which exercised considerable influence over the administration of patronage at the convent and church. In the same year a Lorenzo di Piero Lenzi appears in the records of the Magistrato dei Pupilli, a communal institution providing judges and notaries to administer the property of orphans. In 1434 a Lorenzo di Piero Lenzi sold Paolo Uccello a house in Via della Scala, perhaps the Lorenzo Lenzi who was among five supporters of the Medici threatened with exile by anti-Medici officials in that year. Granted, there may well have been more than one person with that name in Florence in the early fifteenth century, but the fact remains that the Lenzi family were conspicuous members of Florentine society at the time, particularly in the Santa Maria Novella quarter. That they buried their dead in the principal church of the quarter, as well as in Ognissanti, their local church, confirms their high social standing. In addition, the Lenzi had a chapel dedicated to Saint Catherine in the church of the Spedale degli Innocenti.
Paolo Uccello’s association with the Lenzi may not have been entirely casual. His wealthy and powerful relative from his mother’s family, Deo Beccuti, owned land in Castello, a number of kilometres northwest of Florence, an area favoured by the leading patrician families of the Santa Maria Novella quarter because of its proximity to the quarter, its location on the main road to Prato, and its elevated position on a foothill of Mount Morello, affording a view over the surrounding countryside and the city of Florence. The tax return of a Giovanni di Domenico Lenzi shows that in 1427 he owned land in Castello neighbouring that belonging to Deo Beccuti, as well as a house in Florence on the Piazza di Ognissanti, next to his kinsman Lorenzo di Piero Lenzi. Any knowledge Uccello might have gained through his relative about the landowners in the Santa Maria Novella quarter, such as the Lenzi, would have been helpful when he bought his house from one of them in 1434, but landowners were also important art patrons, so Uccello’s interest in the Lenzi family and other prominent landowning families in the quarter would have been a professional concern. As it happens, Anfrione di Lorenzo di Piero Lenzi was among the operai who oversaw the final stages of the commission for Uccello’s Equestrian Monument for Sir John Hawkwood in the Cathedral in 1436.
The idea of an indirect association of Uccello through his relative Deo Beccuti with prominent landowners and patrons in and around the Santa Maria Novella quarter is supported by the important case of the Carnesecchi Chapel in Santa Maria Maggiore, the modest church on Via de’ Cerretani, mid-way between Santa Maria Novella and the Cathedral. The sombre Medieval interior is now crowded with Baroque decoration, however, it previously contained a number of important Renaissance paintings by Uccello, Masolino, Masaccio, and Botticelli. The most distinguished early Renaissance survival in the church is Giovanni di Francesco’s small Crucifixion, painted on a blue background in an arch, high in the chapel on the left of the main altar. The decoration of the Carnesecchi Chapel, dedicated to Saint Catherine of Alexandria, was provided for in the will of Paolo di Berto di Grazino de’ Carnesecchi, who died on the 4th of February 1428. He was a prominent citizen, holding numerous important government offices, and he was, like Lorenzo di Piero Lenzi, a leader of the Guelf party in the second and third decades of the century.
A tax return of his sons Simone, Antonio, and Giovanni shows they were concerned with the financial maintenance of the chapel as directed in their father’s will (‘La chapella di santa chatérina di santa maria maggiore de avere per testimente di nostro padre ognni ano due […] di valuta’), and an entry in a ledger of Santa Maria Novella shows that his heirs also paid for commemorative ceremonies to be held in the principal church of the quarter (‘Rede d[i] paolo d[i] berto carnesechi dono dare f[iorin]j 5 lanno p[er] i fino/ i dieci annj p[er] uno rinovali […] pietaza p[er] […]ldecto paolo mori ad[i] 4 d[i] febraio 1427’). These services no doubt reflected the family’s desire to achieve recognition in the principal church of the quarter at this time, even if, unlike the Lenzi, they might not have been able to afford to commission a lasting monument there.
The Carnesecchi altarpiece, although broken up after 1653, can be reconstructed from earlier descriptions and its surviving panels. The commission was granted jointly to Uccello, Masolino, and Masaccio, three of the leading avant-garde painters in early Renaissance Florence. Vasari recorded that Uccello painted an Annunciation and Four Evangelists in the vaulted summit (now lost). Following the demolition of the chapel, an Annunciation by Uccello (the same one?) was recorded in guidebooks as fixed to a column in the church until the early nineteenth century, after which there are no further notices of it. Vasari made remarkable claims for Uccello’s contribution to the project, describing:

…an Annunciation in fresco, in which he made a building worthy of consideration, a new and difficult thing for those times, being the first that showed in a fine manner to artists and with grace and proportion, [it] showed how to make the lines escape [towards a vanishing point] and to show space on a plane, that is little and small, so much so that something that appears far seems large: and they who colour with good judgment of this, with grace adding the shadows in their place and the highlights, with colours, deceive the eye, such that the picture appears real and in relief. And not satisfied with doing this, he wanted also to show the great difficulty of some columns foreshortened by means of perspective, which bend round and break the corner of the vault, where there are the four Evangelists: a thing considered fine and difficult; and truly Paolo was ingenious and skillful in his profession.

Of the three scenes in the altarpiece described by Vasari, the panel depicting Saint Catherine is lost, the central panel showing the Virgin and Child has not been seen since it was stolen in the 1920s, although its appearance is known from photographs, and the Saint Julian is now housed in the Museo d’Arte Sacra in Florence. The two panels known to modern art historians are now attributed to Masolino, on stylistic grounds. Vasari also described three predella panels: a Scene from the Life of Saint Catherine and a Nativity, which are lost, and a Scene from the Life of Saint Julian, which has been identified with the small and badly damaged panel in the Museo Horne, Florence, on the basis of the analysis of its panel support.
From Vasari’s precise description it is known the Carnesecchi Chapel was located on the north wall of the church, beside a door providing access to the street leading to the Baptistery (Via de’ Cerretani). The left aisle of the nave on the north side is not particularly wide, and so the chapel was probably not a space separated by walls from the rest of the church, but an altar with an altarpiece against the wall. However, the fact that the altarpiece was vaulted suggests it was of some depth, more solid than a flat panel. Vasari praised in particular Uccello’s depiction of columns, illusionistically foreshortened within the curve of the vault at the top of the altarpiece. It seems that Uccello overcame the constraints imposed by the format of the altarpiece to create an impression of architecture in perspective.
Paul Joannides argued that a notice of the chapel by Paolo Carnesecchi in January 1427 describing it as furnished (‘fornita’) meant that the decoration had been completed by that time. The commission would most likely have been completed before the end of 1425, by which time Masolino was in Hungary and Uccello was in Venice. Joannides dated Masolino’s contribution, and so presumably the whole commission, to around 1423 on stylistic evidence and the large workload Masolino had around 1424–25. Thus the work most likely predates Masaccio’s Trinity and may well have exerted some influence over it.
How Uccello, Masolino, and Masaccio came to collaborate on the commission is unknown. Anna Padoa Rizzo suggested that Uccello’s involvement may have been facilitated by his mother’s family. The del Beccuto and the Carnesecchi families each owned large properties adjacent to Piazza di Santa Maria Maggiore, indicating that they were among the leading citizens of the parish. The church would have been a focus for their religious and social activities. Like the Carnesecchi, the del Beccuto had patronage rights within the church, including a chapel dedicated to Saint Blaise. An eighteenth-century genealogy of the del Beccuto family in the Florentine State Archive shows that Deo Beccuti was in fact married to one Andreola di Zanobi Carnesecchi, adding some documentary support to the hypothesis of a social connection between Uccello and his patron. Like the del Beccuto and Lenzi families, the Carnesecchi also owned land in Castello, another indication of their comparable social status.
The taste for avant-garde perspective in art seems to have run in the Carnesecchi family. It was probably Paolo di Berto’s nephew, Bernardo di Cristofano Carnesecchi, who commissioned Domenico Veneziano’s Virgin and Child with God the Father, the Holy Spirit and Saints in the early 1440s for a street tabernacle in front of one of his houses on the Canto de’ Carnesecchi. The tabernacle was located at the point where the present day Via de’ Banchi and Via de’ Panzani meet, between Santa Maria Novella and Santa Maria Maggiore. The detached paintings from the central scene and two fragments of saints’ heads from the sides of the tabernacle are all that survive, now housed in the National Gallery, London. The Virgin and Child are shown on an enormous throne depicted in steep perspective, composed of distinctively Uccellesque, simple, geometric forms, notably the spheres mounted directly on the top of the throne, reminiscent of the spheres decorating the tops of architectural features throughout Uccello’s mural paintings of the Stories of the Virgin and Saint Steven in the Cathedral in Prato, painted c. 1435–36. Interestingly, like his uncle and Lorenzo di Piero Lenzi, Bernardo Carnesecchi was a member of the aristocratic Guelf party. This might be an indication of the kind of patron who favoured artists that contributed to the early development of perspective, since as shall be discussed below, the Guelf party was itself a patron of Brunelleschi and Donatello.
While Vasari sometimes credited aspects of the development of perspective to Uccello and sometimes Masaccio, it would be impossible, and pointless in any case, to try to establish who made the greater contribution first. What is known is that if the Lenzi (or the Dominican friars) were looking for a painter for their ‘chapel’ in 1426 or 1427 Uccello would have been unavailable until at least 12 July 1427, when Deo Beccuti submitted his tax return on his behalf, because Uccello was away designing mosaics for San Marco in Venice. Masolino is thought not to have returned to Florence before mid 1427. So, of the collaborators on the Carnesecchi altarpiece, Masaccio appears to have been the only one who was available. If Uccello pioneered a taste for perspectival art in and around the Santa Maria Novella quarter, on which other artists subsequently capitalised, where might his own interest in it have originated?
In the crucial early decades of the century it has been all but impossible to find substantial evidence of the context in which Uccello’s perspective developed. The earliest surviving paintings that can be attributed with some certainty to Uccello are most probably from the late 1420s or early 1430s (the Creation Stories in the Chiostro Verde of Santa Maria Novella, the del Beccuto Virgin and Child in the Museo di San Marco, Florence, the Annunciation in the Ashmolean Museum, Oxford, and the Saint George and the Dragon in the National Gallery of Victoria, Melbourne). There may, however be a clue in Eve Borsook’s observation of the similarity between Brunelleschi’s reported habit of using squared paper for accuracy when drawing the classical monuments in Rome, and Uccello’s use of squared drawings to enlarge studies for mural paintings. The earliest surviving squared drawing is Uccello’s Study for the Equestrian Monument for Sir John Hawkwood, housed in the Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Florence, although the preparatory squaring visible in the figure of the Virgin in Masaccio’s Trinity shows that the technique had already been in use for some time. Where might painters such as Masaccio and Uccello have become familiar with this aspect of an architect’s practice? In fact, the earliest work by Uccello referred to in a nearly contemporary document is a mosaic he created at San Marco in Venice in 1425. While the documented figure of Saint Peter on the façade has been destroyed, another mosaic of a wheel interlaced with ribbons inside the atrium has been convincingly attributed to Uccello, and a beautiful, geometrically designed pavement in coloured stone of a stellated dodecahedron in perspective under the door of Saint Peter (the current main exit) has been plausibly attributed to him as well.
Thus, Uccello’s art had an architectural aspect from early in his career. Unlike drawings and paintings, in which an artist can modify their design as they work, making pavements required a thoroughly pre-conceived plan and great precision in the cutting of the valuable stones. To avoid mistakes, the masons may well have made cartoons of the artist’s designs, and these might have been enlarged from the artist’s drawing using squared paper. Whether Uccello was involved in this kind of design in Florence before his trip to Venice is unknown, but he probably could not have got the commission without having some prior experience.
In the fifteenth century the most important examples of mosaics, polychrome stonework, and classical architectural features in Florence were in the Baptistery. Because of its cultural and religious importance it had always been adorned with expensive and elaborate ornaments. The significance of its fittings as a source of inspiration for Florentine artists and architects is well known. Diane F. Zervas has argued that the all’antica style pioneered by Brunelleschi and Donatello in the early decades of the fifteenth century, was championed by the Guelf party in its commissions to these artists for the tabernacle and statue of Saint Louis made for the outside of Orsanmichele and the new audience hall of its palazzo, because the antique references lent visual authority to the Party’s claims to a venerable history in the Florentine Republic. In particular, Brunelleschi’s borrowing of classical architectural elements from the Baptistery represented an appropriation of symbols of Florence’s ‘classical’ past. The Chancellor Leonardo Bruni had argued that the Baptistery provided a distinguished classical lineage for Florence’s modern Republic, having been built as a temple by Romans during their Republican era. In fact, the Baptistery’s origins cannot be established conclusively, but it may have originated in the seventh century and been rebuilt in the eleventh or twelfth.
That Brunelleschi depicted the Baptistery in one of the two panels in which he is said to have pioneered perspective was probably no accident. His two ways of looking at the Baptistery are no doubt related: viewing it as a textbook of classical architectural features to be copied and translated into his own commissions, and viewing it as an exercise in perspective projection. The prestige of Rome’s classical monuments justified Brunelleschi’s trip there and the careful efforts he made to record them accurately using squared paper, and much the same might have been true of the Baptistery. Perhaps this is where the origins of single-point perspective should be looked for. The projection of a grid onto the picture plane is conceivably a first step to the development of single-point perspective, in the laying of a regular, geometric matrix over the visual field. This finds is most direct corollary in Alberti’s ‘veil’, described earlier. The artist then has to project the grid onto the ground plan as well, to consider the scene as though looking at it from the side as well as the front, and to realise that the two viewpoints together will provide the required proportions for a single-point perspective representation of the subject.
If single-point perspective originated in the context of Florence’s centre, in the study of its most prestigious monuments by its most important architect who was working on commissions intended to enhance the city’s monuments through references to its ‘classical’ past, its further development in painting seems to have taken place somewhat further away. In particular, in and around the Santa Maria Novella quarter, upwardly mobile families such as the Carnesecchi and the Lenzi were intent on advancing their interests towards the centres of power. As members of the Guelf party they would have been familiar with Brunelleschi’s and Donatello’s commissions for expensive architectural monuments and bronze sculpture for the Guelf party. Edgar Hertlein has presented a strong case for seeing the Trinity as containing allusions to Guelf imagery, not least in the formal similarity of its classical architecture with the tabernacle at Orsanmichele commissioned by the Guelf party from Donatello to house his gilded bronze statue of Saint Louis of Toulouse. Even if the Carnesecchi and the Lenzi were not quite rich enough to afford such expensive monuments for themselves, they were, nevertheless, sufficiently well off to commission painters such as Uccello and Masaccio to emulate these achievements using increasingly sophisticated and illusionistic techniques. Uccello and Masaccio were among the first painters to adapt the new perspective to large-scale paintings, and in doing so they quickly discovered its limitations.
It is telling that the Carnesecchi altarpiece was probably a substantial edifice, and the Trinity is on a monumental scale. It seems that the potential for perspective to evoke grand architectural settings even in constrained physical, and perhaps financial, contexts was appreciated by early patrons. Like many patrician families in Florence, the Lenzi would have been keen to project an image of their wealth and antiquity, and in this context the choice of fictive classical architecture for the Trinity might be interpreted as a strategy aimed at this end, much as the Guelf party’s taste for expensive classicising monuments bespoke its claim to an ancient and privileged position in the commune. In translating the theory of single-point perspective from its inherently limited scope to a monumental scale, artists such as Uccello and Masaccio were virtually obliged to compromise some of its principles, and in the case of Uccello, he seems to have made a virtue out of necessity by highlighting the artificial nature and theoretical limitations of perspective to such an extent that it can indeed be said to have become a part of his subject matter.

Dr. Hugh Hudson, Honorary Fellow, School of Culture and Communication, The University of Melbourne, 2006.

 

 

 

 

 

 

 

 

http://www.elsewhereonline.com.au/place/from-via-della-scala-to-the-cathedral-social-spaces-and-the-visual-arts-in-paolo-uccello2019s-florence-by-dr-hugh-hudson/view

 

From Via della Scala to the Cathedral: Social Spaces and the Visual Arts in Paolo Uccello’s Florence, by Dr Hugh Hudson

 

http://digilander.libero.it/gasparo/Hugh_Hudson2.pdf l’articolo qui sotto trascritto ma impreziosito da note importanti

 

 

This article reconstructs the experience of Florence’s urban spaces from the point of view of one of its most intriguing early Renaissance artists: Paolo Uccello. It assesses the evidence for his personal life and social status, and discusses his professional activity along an itinerary from his home on Via della Scala in the west of Florence to the Cathedral in its centre. In so doing it illustrates the significance of urban spaces as socially charged sites in the life of an artist and the web of associations that connected Florentine society with its communal spaces and artworks. Special attention is given to Uccello’s Nativity mural painting from ¬the cloister of the hospital of Santa Maria della Scala, whose iconography may reflect the support given by Florentine families and government to orphans—a significant aspect of the history of Uccello’s mother’s family and of his own experience as a young man.

As every visitor to the city knows, Florence retains the imprint of its history in its densely packed urban character, its streets lined with imposing Renaissance palaces, forbidding medieval towers, crooked alleyways, paved squares, and the Arno river bisecting the city east to west, in a valley bounded by hills to the north and south. Rising above the city, now as in the fifteenth century when it was built, the terracotta tiles, marble ribs, and lantern of the cupola of the Cathedral can be seen from most parts of the city, a constant reminder of the pre-eminent achievements of the early Renaissance period. Nevertheless, the city has undergone a constant process of transformation, involving the opening up of communal spaces within its urban fabric, such as piazzas, churches, convents, hospitals, cloisters, and loggias. Moreover, streets have been straightened, and intersections widened to aid the flow of traffic. Such disruptions to the urban fabric inevitably cause the loss of built heritage, however, they also create opportunities for urban regeneration, and in particular the employment of the visual arts to adorn new spaces. How, then, did the life of a Florentine early Renaissance artist intersect with the city’s network of communal spaces?

At the end of the nineteenth century, Guido Carocci, Royal Inspector of Excavations and Monuments for the city of Florence and one of the most intrepid scholars of its Renaissance history, created a map of the centre of the city showing the names of the heads of the city’s households where they lived in 1427. It was informed by catasto records, a vast archive of tax documents now housed in the Florentine State Archive, rich in information about the material lives of the city’s citizens. Few artists were included in Carocci’s map, as few were sufficiently wealthy to own valuable real estate near the city centre. An exception is Filippo Brunelleschi, artist, architect, and engineer, whose family home was opposite the small church of San Michele Berteldi in the inner part of the northwest quarter of the city. Carocci’s map shows that on his way to work at the Cathedral Brunelleschi would have left his house, turning left into the Piazza degli Agli, and then right into the Via dei Guidalotti, subsequently leading into the Canto dei Pecori. His view of the Cathedral would have been blocked by the building over the archway, called the Volta dei Pecori (demolished in the nineteenth century), beside the archiepiscopal palace on Piazza San Giovanni. Upon entering the piazza, the most important project of his career would have come into view: the cupola of the Cathedral. Although the street names have changed, as well as the configuration of the city blocks and many of the buildings surrounding them, it would be possible—approximately—to follow in Brunelleschi’s footsteps today.

If such historical reconstruction seems merely picturesque, or even banal, it is nevertheless pertinent to a discussion of the way artists negotiated Florentine society through its spaces. The intense competition for influence over space in the city by individuals, families, the church, guilds, and various government bodies, is brought to light in the individual’s journey through the city. Their progress embodies a negotiation of social boundaries, from the individual’s quarters within the family home to that of the nuclear or extended family (in Brunelleschi’s case he grew up with his brothers in the paternal home that he eventually inherited), into the neighbourhood dominated by the most powerful landowners (the Agli and Guidalotti families who gave their names to its streets and piazzas), and moving towards the centre where the city’s major religious and communal institutions held sway (the administration of the Cathedral’s construction, was delegated by the Signoria to the wealthy and powerful Wool Guild).

For artists less closely tied to the Florentine establishment than Brunelleschi, their social experience of the city could be marginal despite their culturally important works and posthumous fame, and, indeed, it was sometimes further marginalised by writers. The sixteenth-century art historian, Giorgio Vasari, peppered his Le vite de’ piú eccellenti pittori scultori e architettori italiani (Lives of the Most Excellent Italian Painters, Sculptors, and Architects) with accounts of the friendships, rivalries, and love affairs of his subjects in the urban mis-en-scène of the city. Vasari’s anecdotes cast certain early Renaissance artists in a negative light through the literary strategy of setting them in humble domestic or street settings. Although the painter Andrea del Castagno is documented as living near the Cathedral at one point of his life, he was not a citizen of Florence, and so was something of a social outsider. In Vasari’s Le vite his character becomes positively malevolent. According to Vasari, while painting the Equestrian Monument for Niccolò Tolentino in the Cathedral, a boy passing by knocked Andrea’s ladder and for his carelessness was chased all the way to the Canto de’ Pazzi by the artist. Since ‘Canto de’ Pazzi’ literally means the ‘corner of the madmen’, and is located around the corner from the Cathedral, Vasari seems to be implying that Andrea’s preciousness eventually drove him round the bend! Further on in the same life Vasari claimed that Andrea became so jealous of Domenico Veneziano’s much-praised tabernacle painting Virgin and Child with God the Father, the Holy Spirit, and Saints, located at the Canto de’ Carnesecchi near the church of Santa Maria Novella, that he plotted falsely to become Domenico’s friend, winning the secret of oil painting from him by deception, and then mortally wounding him in the street. That the latter episode was fictitious became apparent in the nineteenth century when it was discovered that Veneziano actually outlived Castagno.

There has been considerable academic interest recently in the idea of space as a means of investigating social relations in history. In particular, spaces outside buildings seem alluring for their potential to focus attention on less well known aspects of history, that is, history relating to subjects other than large state, church, or family institutions, especially concerning the lower classes, and behaviours viewed as anti-authoritarian, anti-social, or criminal. For art history too, locating the residences of Florentine Renaissance artists, describing the neighbourhoods, recreating their social networks, and identifying the original locations of their artworks, are important for creating a detailed and historically meaningful picture of their lives. Moreover, this approach is essential for creating a context within which to interpret their works, not merely as isolated aesthetic objects, but as part of the rich fabric of personal and social relations in which they were created. It has been applied with an emphasis on artists’ social connections with each other at the neighbourhood level, as Nicholas Eckstein has done for the community of mostly lower-class artists of the Gonfalone (one of four administrative sub-divisions of each of the city’s quarters) of the Green Dragon. Alternatively, it has been applied with an emphasis on the social connections of an artist’s patrician patrons, as John Spencer has done for Andrea del Castagno. Bill Kent has since identified a need for the investigation of the relationship between the social world of Florentine artists (of the artisan class) and that of their patrician patrons. This article seeks to represent a cross-section of an artist’s social world by examining their experience of traversing the gamut of the city’s spaces from a peripheral street to the city’s most venerable cultural monuments in its centre.

Artworks could serve purely personal functions for the individuals who commissioned or acquired them, as objects providing sensual pleasure, preserving memories, or serving a devotional purpose. However, art was commissioned above all to be seen in communal spaces in which an audience was available to receive whatever messages a patron might wish to communicate. The distinction between private and public in the Renaissance, as now, was often blurred or changeable. Certain domestic spaces were regularly made accessible to particular members of the public for social, commercial, or government transactions, while, conversely, private influence could be exerted over public spaces in various ways, such as the sponsoring of building works in or near communal spaces on the condition that the improvements bore the patron’s familial insignia.

Art was commissioned to decorate furniture and rooms inside the Renaissance home, in particular to commemorate marriages between families, such as the numerous surviving cassone bearing the coats of arms of the bride and groom. These acted as a constant reminder of the social alliances forged by a couple’s marriage. Art distinguished the façade of the home: coats of arms carved in stone were frequently placed at the property lines of buildings to mark the extent of the family property, or over the main door to communicate information to visitors about the occupants. The ubiquitous paintings and sculptures of the Virgin and Child in tabernacles on the outside of houses acted as talismans for the family and passers by.

For well-to-do families artistic patronage usually extended to the local church, where patronage rights over a chapel would be obtained to provide a fitting place to bury and commemorate the family’s dead, and to demonstrate the family’s wealth and power in the neighbourhood. Chapels could be furnished with stone altars covered with expensive fabrics, painted altarpieces, metal candelabra, wooden crucifixes, carved tombstones, and coats of arms. The rich might obtain patronage rights at the principal church of the quarter, in addition to or in preference to, the local church. The wealthiest citizens supported charitable institutions in their neighbourhood and elsewhere in the city, such as hospitals, which also often required a degree of adornment in the form of architectural finishes, sculptures, mural paintings, and panel paintings. Many wealthy families also owned agricultural land and villas beyond the city walls, extending the geographical scope of private patronage considerably.

The most significant patronage in the city was organised in a corporate fashion through confraternities, and civic institutions such as the guilds, the Parte Guelfa (a semi-official institution representing above all the interests of Florence’s conservative oligarchy), and the government’s various bodies. The building of churches, large hospitals, and other major infrastructure projects devoured sums of money that only very large institutions could afford, nevertheless, powerful individuals and families could still hope to influence the decision-making processes of corporate patrons. Thus, a variety of communal spaces within the city, from intimate domestic rooms to public squares, provided contexts for the commissioning of artworks that served to identify their functions to the public, to remind people who owned them or who had provided for them, and to render them dignified and worthy of respect.

A case study of an artist’s relationship with the social spaces of their city, challenging because of the limited direct evidence, is nevertheless valuable for Paolo Uccello (c. 1397–1475). While a legendary figure of early Renaissance art history, his biography has remained for the most part mysterious, obscured by Vasari’s caricature-like sketch of his personality, summed up in four piquant adjectives: ‘solitary, strange, melancholy and poor’ (‘solitario, strano, malinconico e povero’). Granted, the innovative and often fantastic nature of Uccello’s imagery makes his artistic personality seem singular, and for that reason intriguing. However, archival evidence provides a quite different picture of his life than Vasari’s literary topos of the poor, socially isolated artist.

In one of Uccello’s tax returns he indicated that at about the age of 37 he had acquired: ‘a house for me to live in, located in the parish of Santa Lucia near Ognissanti in Via della Scala, [surrounded on its sides by] first, the street, second and third, Gabriello the furrier, and fourth Cristofano the cook, bought on 21 April 1434 from Lorenzo di Piero Lenzi [for] 110 florins’. A later tax return shows he lived in the same house until the end of his life, that is, over a period of more than four decades. From the detailed information Uccello provided about his neighbours, it can be seen how Carocci was able to work out the overall pattern of the city’s occupation from individual tax returns, the information fitting together like pieces of a jigsaw puzzle. Carocci was helped by the fact that many of the major streets of Florence still follow the Renaissance layout, albeit approximately. The long, straight Via della Scala takes much the same route now from the bottom of Piazza di Santa Maria Novella west to the former boundary of the third city wall (since demolished), as it was depicted in the print of the city made shortly after Uccello’s lifetime: the street is visible in the so-called Chain Map woodcut of c. 1510 (Kupferstichkabinett, Staatliche Museen, Berlin), a copy of an engraving of the 1480s, of which only a fragment survives.

Judging from the depiction of the buildings on the part of the street where Uccello lived, near the church of Santa Lucia (even if they represent only an approximation of the buildings that actually lined the street), the low price of Uccello’s house, its distance from the centre of the city, and the blue-collar professions of his neighbours, his domicile would have been a modest one. Nevertheless, Uccello was not poor, as Vasari would have it. In addition to his house in the city, he owned agricultural land at Ugnano, a few kilometres west of the city, from about the age of 28 (if not earlier) until his old age. In 1455, 1458, and 1459 he added to his property there with successive purchases of land. He seems only ever to have increased his land holdings, never to have sold off these investments. Uccello certainly came into contact with the poor, as we learn from a tax return in which he informs the tax officials of a debt owed to him, but not likely to be recovered, by one of his tenant farmers who ‘is poor [and] has nothing’.

Topographically, the northwest quarter of the city, comprising the segment of land in the angle between a point just west of the Piazza di San Giovanni in the city centre, the north bank of the Arno river running to the west, and the road to the Fortezza da Basso (corresponding in part to the present-day Via Faenza) covers much of the administrative Santa Maria Novella quarter, the area surrounding the Dominican church and convent renowned for its patrician families, their impressive palaces, and the lavishly decorated churches they patronised. However, wealth was not evenly distributed in the quarter. Samuel Kline Cohn Jr has argued that the redevelopments that resulted in the opening up of the dense urban fabric in the centre of Florence had a disproportionate effect on members of the artisan and labouring classes. From the late fourteenth century to the end of the fifteenth, the lower classes tended to be redistributed towards the periphery of the city. In Uccello’s time, this seems to have been true of the northwest part of the city. The rich tended to live and conduct their business closer to the centre of the city, within the boundaries of the second city wall. For example, the shops of wealthy wool merchants in the quarter seem to have clustered around the street running between San Michele Berteldi and Santa Trinita (now the Via de’ Tornabuoni), as well as along the Via della Vigna Nuova, while further away from the centre, along the edge of the river the workshops of wool processors were located in a less densely built-up area, where water was used in the dirty and foul smelling procedures of washing and dying fleece. The area was also popular with tanners, and the son of one such tanner, Alessandro di Mariano di Vanni, is better known as Sandro Botticelli (c. 1444–1510). He lived in the parish of Santa Lucia after 1470, near Uccello’s house.

Even though Uccello’s career intersected for some time with that of Brunelleschi in the Cathedral (Uccello executed two mural paintings and designed three stained glass windows there between 1436 and 1444), the distance he travelled between work and home was further, and traversed a greater part of the social spectrum, as it were. So what did it mean socially to be a painter like Uccello living on the outer fringes of the Santa Maria Novella quarter in the mid-fifteenth century?

Since the research of the great archivist Gaetano Milanesi, published as annotations to his 1878 edition of Vasari’s Le vite, it has always been accepted that Uccello’s father was Dono di Paolo, a barber-surgeon from Pratovecchio, a small town east of Florence. Dono (short for Donato) gained his Florentine citizenship in 1373, and married one Antonia di Giovanni Castello del Beccuto in 1387. While Milanese was able to show that Uccello’s father had a coat of arms (a chevron between three lion heads), confirmed by a seventeenth-century description of the family’s tombstone previously in the cloister of Santo Spirito, south of the Arno, being the son of a migrant to Florence in the early fifteenth century could well have been a social disadvantage for Uccello. Since the fourteenth century, the conservative, oligarchic government of Florence generally discriminated against migrants, and made it difficult for them to hold public offices, the chief means of gaining high social status. Uccello’s mother’s family also had a coat of arms (a red field with a white band), but had a very long and respectable, even somewhat distinguished, history in Florence, putting Uccello in the awkward position of being both wellborn and slightly suspect, socially speaking. Compounding Uccello’s difficulty was the fact that his father died by the time Uccello wrote his first will in 1425, at the age of about 28, and it appears he had also been separated from what remained of his nuclear family, since he did not leave anything to family members in his will.

There is further evidence to suggest that Uccello was orphaned. When Uccello was away in Venice working on mosaics for the façade of San Marco in 1427, it fell to a distant relative from his mother’s family, Deo Beccuti, to submit his tax return. Deo described himself as Paolo’s attorney (‘p[r]ochuratore’), and stated that he submitted the return for a notary by the name of Ser Bartolo di Ser Donato Giannini. The death of a young person’s father in Renaissance Florence could call for the involvement of the Magistrato dei Pupilli, a communal institution providing judges and notaries to administer family property for orphans, who in turn dealt with orphans’ legal representatives: procuratores, curatores, and tutores. Uccello’s name has not been found in the Pupilli records, however, the facts that he left nothing to relatives in his will, and that his tax return was submitted by a distant relative while he was in Venice, suggest that he was without close family relations at this time. Ser Bartolo Giannini was Notary of the Signoria on a number of occasions from 1416 to 1438. It is not clear from the evidence whether he helped administer Uccello’s affairs following the death of his father, or merely requested that Deo Beccuti submit Uccello’s tax return while Uccello was away from Florence.

Deo was the most prominent member of Uccello’s mothers’ family at the time, and this may explain why he accepted the responsibility. Carocci identified Deo’s properties on his map, clustered around the Piazza di Santa Maria Maggiore, valuable real-estate near the centre of the city. It may have been because of the location of his mother’s ancestral home in this area that Uccello moved to the northwest part of the city by the age of about 28, and apart from professional trips out of the city, remained there for the rest of his life.

An unpublished, eighteenth-century genealogy of the del Beccuto family, compiled by a descendent, Anton Ranieri Orlandini, shows the male lineage of the most prominent branch of the family, including Deo, but does not make any reference to Uccello’s mother Antonia, or any woman born of the family for that matter. However, from her patronymic, ‘di Giovanni di Castello’, her grandfather’s name is known to be Castello, which was not a particularly common name in Florence. There is, however, one person with that name in the genealogy, Deo’s grandfather’s brother. Thus, Deo and Antonia may have been related through their grandfathers, which is supported by the age difference between Uccello and Deo. In 1427 Deo was 50, while Uccello was about 30, making Uccello approximately one generation younger than Deo. Castello di Lippo del Beccuto, tentatively identifiable in this way as Uccello’s great-grandfather, lived in the parish of Santa Maria Maggiore, as is indicated in a notarial record that also supports the assessment of Uccello’s relationship to Deo suggested here. It seems that when Castello died the tutelage of his sons Vanni and Antonio was assumed by his nephew Deo di Vanni, keeping the two lineages of the family closely bound, an arrangement sanctioned by the Pupilli. The name of one of Castello’s sons, Vanni—short for Giovanni¬, corresponds with Uccello’s grandfather’s name, known from his mother’s patronymic. This incidence of family solidarity provides a precedent for Deo di Deo del Beccuto’s later tutelage of Uccello.

Castello was a man of some social standing, whom the genealogy notes held the government office of prior in 1348, 1351, and 1355. Other archival evidence shows he helped the Signoria fortify the castello at Calenzano against Visconti attack in 1352. In turn, Castello’s great-grandfather was Geremia del Beccuto, who had been employed by the Signoria on works on the road outside the Baptistery in 1289. Thus, Uccello’s mother’s family had established a notable social status in Florence over many generations by the time of Uccello’s birth.

A large, carved pietra serena lintel, described by Carocci as a modern reproduction of a fifteenth-century original, was removed from the del Beccuto palace on the street of their name (Via del Beccuto), presumably at the time the building was demolished in the nineteenth century. The lintel is now housed in the Museo di San Marco in Florence, with hundreds of architectural fragments salvaged from the old centre of Florence. The lintel shows the family’s coat of arms in the centre, inside a wreath with two undulating ribbons flowing to each side. At each end of the lintel is the head of a fantastic, bird-like creature with plumes splayed out at the back and a giant beak, a witty allusion to their family name (becco means beak).

Also housed in the Museo di San Marco is a small mural painting of the Virgin and Child with an unusually expensive gold ground and lapis lazuli drapery. The credit for identifying this sadly damaged painting as a work of Uccello goes to the art historian Alessandro Parronchi, who realised that the inscription on the reverse of the work, ‘formerly in a house of the Del Beccuto [family]’ (‘già in una casa dei Del Beccuto’), and its elegant, gothic-inflected, Renaissance style indubitably linked the work to Uccello. Judging by the painting’s pointed-arch shape, it was originally located over a doorway, perhaps the same one the lintel came from. Together, the artefacts would have expressed symbolically the family’s piety, wealth, taste, and wit.

The del Beccuto had two, or possibly three, chapels in Santa Maria Maggiore. According to Vasari, the family had the chapel to the left of the main altar painted with scenes from the life of Saint John the Evangelist in 1383 by an obscure artist called Lippo, whose chapter in Le vite actually includes works by a number of artists, and nothing remains of the paintings that might help identify the individual responsible. A tomb of a member of the Beccuti family bearing the family’s coat of arms is still in the chapel; it is sometimes identified as belonging to Bruno Beccuti, presumably the Bruno del Beccuto who was a prior of the church. Other evidence shows Carnesecchi family patronage of the chapel: a tabernacle for the sacraments on the left wall of the chapel bears the date 1449 and the arms of the Carnesecchi, and Bernardo Carnesecchi’s tombstone, dated 1449, was recorded in the chapel in the eighteenth century. It is possible the del Beccuto and Carnesecchi families shared patronage rights to the chapel, or that patronage passed from one family to the other.

Deo Beccuti recorded that his father, Deo di Vanni, established a chapel dedicated to Saint Blaise in his testament notarised in 1386, without specifying its location within the church. However, the eighteenth-century antiquary, Giuseppe Richa, referred to a chapel founded in that year, third on the right from the entrance to the church, with a panel painting by the seventeenth-century artist Ottavio Vannini and his student Antonio Giusti, showing the martyrdom of Saint Blaise, with Saints Michael and John the Evangelist. An altarpiece that apparently stood in the chapel by 1423 is now lost. The chapel remained in the del Beccuto family until at least the seventeenth century. Further, Richa wrote that Deo di Vanni also had the patronage rights to the chapel to the right of the main altar, where he recorded an inscription declaring his foundation of the chapel in 1383 in language that left no doubt as to his own view of his high social standing: ‘SEP. NOBILIS VIRI DEI VANNIS DE BECCVDIS SPECTABILIS/ HONORABILIS QVI PRIMA DIE IVNII DOTAVIT AN. D. MCCCLXXXIII.’.

From sifting the fragmentary archival, artistic, and archaeological evidence, art historians such as Anna Padoa Rizzo and the present author have pieced together a picture of a long association between Uccello and Deo Beccuti, in which the patriarch of the artist’s mother’s family seems to have fostered the young man’s career in the absence of his father. Evidence of connections between Deo Beccuti and Uccello exists from the period Uccello was about 16 to about the age of about 36. Most importantly, Deo Beccuti had connections with Uccello’s earliest presumed patrons: the Confraternity of Saint Peter Martyr (it seems likely that Uccello worked in c. 1413 at their hospital at Castello just outside Florence, to which Beccuti had donated money for its renovation), the Bartoli family (in 1416 Uccello may have helped paint the street tabernacle near Castello belonging to this family with which Beccuti had financial dealings), and the Carnesecchi family (early sources state that Uccello helped paint the altarpiece, datable on current evidence to c. 1423, for a member of the family in Santa Maria Maggiore in Florence, the family from which Beccuti’s wife came), and as Padoa Rizzo suggested, Beccuti most likely commissioned the Virgin and Child now in the Museo di San Marco in the early 1430s.

Uccello’s 1458 tax return provides the first information about his wife and children. He named his wife, Tomasa di Benedetto Malifici, aged 25 (compared with his 62 years!), his six-year-old son Donato, and his daughter Antonia, who was just over a year old. Nothing is known about the social status of Uccello’s wife. At 200 florins, her dowry was neither particularly small nor large for a Florentine artist’s wife. The fact that she possessed a family name might suggest she came from a distinguished family, or one with pretensions. A little investigation of the tax records of the Florentine State Archive reveals that there were at least two Benedetto Malificis in Florence in 1427, one of who was potentially Uccello’s father-in-law. By coincidence, both of them were named Benedetto di Piero, while neither of them claimed to be particularly wealthy. One of them lived on Via della Scala, so Uccello might have met the family of his wife on the street where he lived. In the fifteenth century it was much more likely for an artisan or labourer to marry within their own gonfalone than for a member of the patriciate.

Uccello’s wife appears in the most famous of Vasari’s anecdotes concerning the artist, when one night she called him to bed he reportedly responded: ‘Oh what a sweet thing this perspective is!’ (‘Oh che dolce cosa è questa prospettiva!’). It is usually understood from this exchange that Uccello preferred to work on his perspective studies than sleep with his wife. Another interpretation, however, may be inferred from the words Vasari chose, no doubt carefully: that for Uccello the prospect of going to bed with his wife was a sweet thing (prospettiva meaning perspective and prospect). Both interpretations would have been intended more for the amusement of Vasari’s readers than their edification. Another of Vasari’s anecdotes concerning Uccello’s home relates that it was filled with the artist’s drawings of animals, which he kept there because he was too poor to afford real animals. It is, though, far from unusual for an artist to have drawings of animals at their disposal for the design of artworks. Ironically, Vasari admitted that he admired Uccello’s skill as a draughtsman, and that he was a collector of Uccello’s drawings, including a study of a beautifully foreshortened bull made for a painting then in the Medici Palace. Why, then, make Uccello (and Castagno, and other early Renaissance artists) the subject of disreputable anecdotes? Perhaps for no other reason than Vasari’s long series of artists’ lives would have made rather heavy-going reading if every artist was accorded the same reverential tone that he gave his favoured contemporaries, such as Michelangelo.

If the acquaintances Uccello made on his street might have lead to marriage, it seems they might also have lead to a commission for work. A mural painting by Uccello, datable on stylistic criteria after the late 1430s, was once found in the Spedale di Santa Maria della Scala (subsequently renamed San Martino alla Scala) on the same part of the street where Uccello lived. The hospital was founded in the early fourteenth century by a local benefactor, Cione di Lapo Pollini, and it took on the role of caring for abandoned children; by the fifteenth century its administration was taken over by the Silk Guild. The smallish mural painting of the Nativity (140 by 215 cm) was originally in the arch above the door leading from the cloister of the hospital into the foyer in front of its chapel. The painting has been detached from the wall, and is now stored with its sinopia (the underdrawing on the preparatory layer of plaster) in the reserve collection of the Uffizi, due to its poor state of preservation.

While no document concerning the work’s commission has been found, Annamaria Bernacchioni suggested that the commission might relate to the presence of the children’s Confraternity of the Archangel Raphael in the hospital. The confraternity moved into the chapel and rooms between the present-day Via degli Orti Oricellari and the courtyard by 1427, which they renovated at their own expense. It had prominent supporters, including Pope Eugenius IV, who approved an alternative name for it, in recognition of the impressive nativity play it performed in 1430: the Confraternity of the Nativity of Our Lord (perhaps helping to account for the subject of Uccello’s painting). He also issued bulls to obtain accommodation for the confraternity at the hospital, not far from the entrance to his apartment at Santa Maria Novella on Via della Scala. The confraternity might well have known the paintings Uccello executed in 1437 for the Confraternity of the Purification at the Spedale di San Matteo in the north of the city, since that confraternity was a splinter group that had separated from them in 1427. The groups maintained good relations after the split, visiting each other every year on the feast days of their patron saints. Thus, Uccello was a local artist whose work would have been familiar to those at the hospital.

The Nativity has been discussed by art historians as much for its sinopia, showing a regular perspectival grid, as for the composition of the final painting itself. Indeed, the sinopia is unique in the Renaissance in establishing only the perspective for the final composition, not the figures, architecture, or natural landscape features. The grid informs the finished painting’s unusual use of perspective, showing two sharply contrasting views: one of a Nativity scene taking place in front of a wooden shelter whose perspective is aligned to a point at the far right, and another view of the landscape with a pavement whose perspective is aligned to a point at the far left of the picture. Art historians have interpreted this experimentation with perspective as an instance of Uccello’s engagement with this key technical feature in the development of the visual arts in Florence in the fifteenth century.

Alessandro Parronchi interpreted the separate vanishing points as a critique of Brunelleschian and Albertian orthodox single-point perspective. He related this approach specifically to Vitellione’s observation in Book III of his Perspectiva that an object is only seen distinctly when it falls on the central axis between the viewer’s eyes. If this theoretical interpretation of Uccello’s imagery seems perhaps too erudite for a hospital for abandoned children housing a confraternity for children, it may be relevant that Brunelleschi (the reputed discoverer of single point perspective) had been one of the Operai (on the board of works) of the Silk Guild that administered the hospital, although his duties related to the construction of the Spedale degli Innocenti in the 1420s, well before Uccello’s work was painted at the Spedale di Santa Maria della Scala. Even so, there seems to be no definite imagery within the composition, such as blurred images at the lateral edges, to support Parronchi’s interpretation. Franco and Stefano Borsi interpreted the bi-focal perspective of the Nativity as an allusion to the duality of Christ’s incarnation, divine and human.

Alternatively, the divergence of the perspectival views towards the right and the left in Uccello’s Nativity, with the view to the right dominating, may have a moral and religious significance. The prominence of the sheep in the left foreground, near the point where the two perspective views separate, recalls the passage in the Bible in Matthew 25: 32–46 from Christ’s discourse on the Mount of Olives describing the separation of the sheep from the goats:

 

And before him shall be gathered all the nations: and he shall separate them one from another, as a shepherd divideth his sheep from the goats:

And he shall set the sheep on his right hand, but the goats on the left.

Then shall the King say unto them on his right hand, Come, ye blessed of my Father, inherit the kingdom prepared for you from the foundation of the world:

For I was an hungred, and ye gave me meat: I was thirsty and ye gave me drink: I was a stranger, and ye took me in:

Naked, and ye clothed me: I was sick, and ye visited me: I was in prison and ye came unto me.

Then shall the righteous answer him, saying Lord, when saw we thee an hungred, and fed thee? or thirsty, and gave thee drink?

When saw we thee a stranger, and took thee in? or naked, and clothed thee?

Or when saw we thee sick, or in prison, and came unto thee?

And the King shall answer and say unto them, Verily I say unto you, Inasmuch as ye have done it unto one of the least of these my brethren, ye have done it unto me.

Then shall he say unto them on the left hand, Depart from me, ye cursed, into everlasting fire, prepared for the devil and his angels:

For I was an hungred, and ye gave me no meat: I was thirsty, and ye gave me no drink:

I was a stranger, and ye took me not in: naked, and ye clothed me not: sick, and in prison, and ye visited me not.

Then shall they also answer him, saying, Lord, when saw we thee an hungred, or athirst, or a stranger, or naked, or sick, or in prison, and did not minister unto thee?

Then shall he answer them, saying, Verily I say unto you, Inasmuch as ye did it not to one of the least of these, ye did it not to me.

And these shall go away into everlasting punishment; but the righteous into life eternal.

 

Part of the same text (the latter part of Matthew 25: 34) provides a central inscription in the fourteenth-century mural painting Allegory of Mercy in the Sala dell’Udienza of the Misericordia in the Piazza di San Giovanni in Florence, one of the most important charitable institutions in Florence in the late Medieval and early Renaissance period. Like the Spedale di Santa Maria della Scala, it cared for foundlings, among its other charitable activities. The Allegory of Mercy has been described as the earliest instance of the representation of the works of mercy in an Italian philanthropic institution, and as such the model for a number of mural painting cycles of similar subject matter in Tuscany, some of them in hospitals. The best-known Tuscan depiction of the seven acts of mercy (the six acts referred to in Matthew plus the burying of the dead added by the Catholic Church) is the glazed terracotta relief frieze, mostly by Santi Buglioni, on the façade of the Ceppo Hospital at Pistoia, dating from the 1520s.

The separation of the sheep and goats seems rarely to have been depicted in art literally. A relief of the subject is found on a fourth-century Italian marble sarcophagus lid in the Metropolitan Museum of Art in New York. An important example is found among the sixth-century mosaics in the church of Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna. If the iconography of Uccello’s Nativity does relate to the parable of the sheep and the goats, it could be interpreted as an allusion to the charitable work undertaken at the hospital, especially for children. While the children might be reassured that they will be cared for at the hospital by the image of the Virgin adoring the Christ Child, or (metaphorically) by the image of the shepherds watching over their flocks, the administrators of the hospital could be assured (allegorically) that ultimately their charitable work would be rewarded by Christ.

The Nativity may also hint at the punishment Christ alluded to for those who did not act mercifully. While the dominant view of the Christian story of the Nativity leads to the vanishing point on the right (traditionally the virtuous side and in the painting it is also on Christ’s right), the subsidiary one leads to a tiny gallows in the distant landscape at the left (traditionally the ‘sinister’ side). That the motif of the gallows might not just be an insignificant landscape feature, but a symbol, is suggested by the figure of Securitas in Ambrogio Lorenzetti’s Effects of Good and Bad Government in the Palazzo Pubblico in Siena, whose attribute is a man hanging from a gallows. The iconography of the Nativity apparently represents two paths: the Christian path leading to eternal life on the right, and another leading to ignominy on the left, a moral message on the rewards for charity and the danger of straying from the Christian path.

The Nativity is not an isolated instance of neighbourhood patronage. Some of Uccello’s most famous mural paintings are to be found in the Chiostro Verde (‘Green Cloister’) of the ex-convent of Santa Maria Novella, around the corner from where he lived. Elsewhere, the present author has argued that the commission for the Stories of Genesis mural painting cycle on three walls of the cloister probably relates to the presence of the Confraternity of Saint Peter Martyr at the convent, and that Uccello’s involvement with the project may have come about partly through his and his relative Deo Beccuti’s dealings with the confraternity.

If Uccello’s route is retraced in a hypothetical journey made in the late 1450s from his home to the Cathedral, much as was done for Brunelleschi, the topographical landmarks that would have stood out as spaces of particular significance for him can be identified. Walking down Via della Scala he would have passed the hospital from which the street took its name, where he painted the Nativity. He might have heard the voices of the orphaned children his painting overlooked in the cloister, and given thought to the difficulties he had faced as a young man in Florence without a father. His own family history demonstrates how Florentine families and the city’s government were concerned with protecting the young in a time of high mortality, and perhaps Uccello’s Nativity itself alludes to this.

At the end of the street he would have entered the Piazza di Santa Maria Novella where the magnificent church and convent rise, near which he had lived in his twenties, and for which he later painted scenes from Genesis in its cloister. Seeing work commencing on the spectacular white marble façade of the church he might well have recalled that the patron, Giovanni Rucellai, who lived only a few blocks away on the south side of the piazza, was also an owner of his work. Crossing into the present-day Via dei Banchi on the other side of the piazza he would have come to the intersection known as the Canto dei Carnesecchi where Domenico Veneziano painted the tabernacle that allegedly inspired Castagno’s envy, most probably for one of the Carnesecchi, a leading family in the area. As modern commentators have done, Uccello might have noted how its robust use of perspective and pure geometric forms was influenced by his own works in that vein.

Following the Via de’ Cerretani, Uccello would have passed on his right the houses of his wealthy relative Deo Beccuti, surrounding the small Piazza di Santa Maria Maggiore, even perhaps glimpsing above their door the Virgin and Child he painted for his mother’s family. Inside the church, sixteenth-century sources inform us he painted an Annunciation impressive for its pioneering use of perspective. The altarpiece to which it belonged was commissioned by Paolo di Berto Carnesecchi, from the family into which Deo Beccuti had married, making Uccello a very distant relation of his patron. To square the circle, as it were (constituting Uccello, Deo Beccuti, Paolo Carnesecchi, and Filippo Brunelleschi) Paolo di Berto Carnesecchi would have known Brunelleschi from their time together as representatives of the Gonfalone Dragon on the government Consiglio del Popolo in 1400. Brunelleschi’s house was located in the small block south of Deo Beccuti’s properties, and Uccello would have given some thought to the technical innovations of this most famous artist and architect, as even a fifteenth-century source suggests. From such a social context it is not very far to the upper echelons of Florentine society. Deo Beccuti also owned property in the parish of San Lorenzo, the heartland of the Medici, located a little further up Via de’ Cerretani and a small block to the north. Moreover, he was a neighbouring landlord of Cosimo de’ Medici in Calenzano, and had financial dealings with Averardo de’ Medici.

Coming to the Baptistery in a matter of minutes, Uccello might have recalled how one of his distant ancestors had worked there, how he himself had been commissioned to paint a tabernacle for it in the early 1450s (which if it was completed is lost), and how his son and daughter were baptised there. Uccello might then have stepped into his workshop situated on the piazza to examine the small paintings of the Virgin and Child that were probably being produced by an assistant to his designs in this period. Then entering the soaring space of the Cathedral he could not have failed to see his enormous mural painting of the Equestrian Monument for Sir John Hawkwood on the wall of the left aisle, and on the inner façade, the enormous Clockface with Four Male Heads (Evangelists?). At this point Uccello might have recalled his dealings over many years with the rich and powerful Operai of the Wool Guild. Finally, approaching Brunelleschi’s cupola, he would have seen far above his head the three large stained glass windows he designed for its drum: the Annunciation, Nativity, and Resurrection.

 

Dr Hugh Hudson, Honorary Fellow, School of Culture and Communication, The University of Melbourne.

 

 

 

 

 

 

 

Sembra che nella chiesa di Cascia di Reggello, ci siano molte lapidi di Carnesecchi (sembra perche' non ho molta conoscenza a proposito )

 

A Cascia di Reggello esistono moltissime memorie dei Carnesecchi perche li avevano vasti possessi ,

alle vicende di Cascia e alla presunta origine dei Carnesecchi in Cascia ho dedicato un apposita pagina di questo sito

 

 

 

 

 

ASF- Filza 625- Rosselli Sepoltuario fiorentino

Chiesa di San Marco- stemma 147

 

Descrizione:

 

Accanto al detto presso L’ Altare del Martini, chiusino tondo di marmo de Carnesecchi con loro Arme et Inscrizione.

Di Giovanni di Leonardo Carnesecchi e suorum.

 

 

Importante e' notare :

Liste specchiate rispetto alle precedenti:( ho specchiato come esempio lo stemma sopra riportato)

Le bande partono con oro, segue azzurro, oro, azzurro, oro, azzurro.

( Contributo di Roberto Angelo Segnini )

 

puo' essere che semplicemente sia avvenuto un ribaltamento del lucido con conseguente ribaltamento del disegno sul manoscritto : occorrera' verificare la lapide 

 

 

Questo Giovanni Carnesecchi e’ probabilmente il seguace di Savonarola , processato per il rifornimento di armi al convento di San Marco , che ha voluto esser seppellito nel medesimo convento

 

 

 

 

Quartiere di S. Spirito

 

S. FELICE IN PIAZZA

Man. 624 pag.153 stemma 18

 

Fu anticamente Abbazzia de monaci Silvestrini.

 

… Altare moderno della Famiglia del Rosso intitolato in S. Antonio con bellissima tavola di mano di F. detto il Vannino.

A man sinistra dell’ Altare, Arme del Rosso e de Carnesecchi nel med. Scudo.

 

 

 

Arme del Rosso e de Carnesecchi nel medesimo scudo

Lo stemma è diviso verticalmente a metà in due parti ( partito). Non vi è descrizione di colori. Lo scudo è preceduto da altri nominati del Rosso.

Indicativamente: A sinistra castello su due piani e fondo scuro: sulla destra Arme de Carnesecchi.

 

 

 

 

Quartiere di S. Maria Novella

 

OGNISSANTI

Man. 625 pag.901 stemma 33

 

Fu questa Chiesa anticamente edificata per opera et industria de Padri Umiliati.

 

… Si descriveranno appresso le Sepolture di questa Chiesa con la maggior brevità, e distinzione, che sia possibile.

… Passato il Lastrone de Signorini nel mezzo di Chiesa a dirittura del pergamo, Quadro di marmo con suo chiusino simile entrovi l’ Arme de Carnesecchi e le seguenti parole- Sep. del Cav.e Virgilio Carnesecchi. 

 

 

Virgilio Carnesecchi cavaliere di Santo Stefano , probabilmente architetto od ingegnere della famiglia che tenne gli uffici a Pietrasanta

 

 

 

Un patronato :

 Chiesa di S. Angelo a Lecore ( Signa Firenze )

 

Nel luogo oggi occupato dalla chiesa sorgeva anticamente un oratorio intitolato a San Michele Arcangelo. Poco distante sono stati rinvenuti i resti di quello che doveva essere il primitivo edificio parrocchiale dedicato secondo la tradizione a San Biagio, così come si ricava anche dalla Decima pontificia relativa a questo luogo. Intorno all'anno Mille la chiesa apparteneva già al vescovo di Firenze.
Successivamente il patronato passava dai Pulci ai Soldi, alle monache fiorentine di Sant'Orsola e ai Carnesecchi; infine, nel 1693, diveniva proprietà dei Bardi di Vernio.
La chiesa riceveva il titolo di prioria nel 1712. Il complesso subiva, quindi, un considerevole restauro nel 1943.

L'edificio presenta una sobria struttura esterna con portale rettangolare inquadrato da stipiti in pietra serena. Sulla controfacciata Santa Caterina da Siena (1943), del pittore fiorentino Ermanno Toschi. Il San Biagio (1900) è di Maria Lori. Alla parete sinistra, cappella con Deposizione, dipinto di Piero Bargellini (1992).

Nella cappella sinistra del transetto, tela raffigurante la Madonna col Bambino, santi, devoti e i misteri del rosario. Alle spalle di San Giovanni Battista e di Santa Caterina d'Alessandria si indovinano in secondo piano i ritratti delle committenti, colte nell'atto di rivolgere i propri sguardi in direzione dell'osservatore. Il dipinto è di mano di Bernardino Monaldi, che lo ha firmato e datato (1589) sul frammento di ruota di Santa Caterina d'Alessandria.

L'opera, in origine, era collocata sull'altare sinistro della navata, dedicato al Santissimo Rosario.
All'altare maggiore crocifisso in cartapesta dipinta dei XVIII secolo.
La cappella a destra dell'altare maggiore accoglie la tela cinquecentesca con San Macario in trono tra San Gerolamo e San Francesco d'Assisi, opera del fiorentino Giovanni Bizzelli databile fra il 1585 e il 1590. Il dipinto era stato eseguito per la confraternita di San Macario che aveva la propria sede nel locale annesso alla chiesa, oggi adibito a cappella.

Al centro della parete destra, altare con Madonna col Bambino (gesso dipinto?) di stile rinascimentale. Segue fonte battesimale con grande rilievo in terracotta dipinta raffigurante il Battesimo di Cristo, eseguito da padre E. Rossi all'inizio del nostro secolo.

Adiacente alla chiesa si trova l'ampia cappella eretta nel 1576 circa, un tempo sede dell'antica Compagnia di San Macario, fondata il 12 dicembre 1584 e soppressa al tempo di Pietro Leopoldo. All'interno, Cristo morto, scultura lignea del XVIII secolo.

 

 

 

??????

 

Giuseppe Richa notizie istoriche delle chiese fiorentine

Tomo II pg 16

Quartiere Santa Croce chiesa di San Piero Scheraggio

………….L'ultima cappella da quella parte e' di S. Antonio da Padova , tutta essendo di maniera moderna fatta fare dai Padri Inquisitori ; e voltando a sinistra la prima a sinistra era dei Carnesecchi Duranti , ma di presente e' dell'Arte dei Mercatanti con una Tavola antica alla gotica , e Mariano di Neri di Durante nel 1462 lascio due doti da 10 fiorini d'oro alle fanciulle del popolo di San Piero a Scheraggio per testamento rogato da ser Piero da Firenze

 

 

molto probabilmente non e' dei Duranti / Carnesecchi ma di Mariano di Nese di Durante anche lui di Ostina

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Contract for Pontormo's purchase of the two lots on which he subsequently built his house an Via Laura (the modern Via della Colanna) from the Spedale degli Innocenti, May 19, 1529 ASF, NA 5418 (Lorenzo Cioli, 1529), fols. 152-152v: (47) [In margin] Venditio.

 

Yhesus Maria. In Dei nomine amen. Anno Damini nostri Iesu Christi ab eius salutifera incarnatiaoe MDXXVIIII, indictione II et die XVIIII mensis Maii. Actum in cancelleria hospitalis [deleted: Sancte Marie] Innocentium, presentibus etc. Raphaelle Chiari de Casavechia et Zenobio Betti de Rusticis de Florentia, testibus etc. Cunctis pateat evidenter qualiter Reverendus dominus Petrus Giachinus, modernus Prior hospitalis Sancte Marie Nove de Innocentibus [sic], et spectabiles viri Hieronimus Antonii de Gondis et Franciscus Ioannis de Carnesechis, duo ex Operariis hospitalis Sancte Marie predicte, visa ante potestate et balia eisdem concessa per dominos Consules Artis Porte Sancte Marie et Consilium del XXXVI dicte Artis, in sufficienti numero congregati in sala seu audientia magna dicte Artis una cum dicto Reverendo domino Priore et Operariis sub die XV mensis Martii proxime preteriti MDXXVIII manu mei notarii infrascripti, ad infrascripta peragendum, ad que omnia etc. et contenta in ea dicti dominus Prior et Ope rarii se retulerunt et referunt, sequentes et sequi volentes formam et modum eisdem datum per dictos dominos Consules et Consilium del 36, facientes omnia et singula infrascripta cum protestatione quod dictos dominum Priorem et Operarios, apposita premissa semper et intellecta et reperta in principio, media et fine presentis contractus et instrumenti, quod ipsi non intendunt per predicta vel infrascripta seipsos neque eorum heredes et bona obligare per aliquod verbum appositum vel quomodolibet insertum in predictis vel infrascriptis vel aliquo predictorum et infrascriptorum, sed solum bona dicti hospitalis Sancte Marie Innocentium. Et volentes procedere ad predictam venditionem vigore di[c]te eorum au[c]toritatis et pro implemento eiusdem, servatis servandis et omnibus et singulis aliis solepnitatibus substantiatis et requisitis secundum ordinamenta dicte Artis et dicti eorum officii, et ad cautelam predicta et infrascripta omnia et singula viva voce confirmando et approbando, et omni meliori modo etc., iure proprio et in perpetuum etc., dederunt et vendiderunt etc. Iacobo Bartolomei Iacopi, pictori de Puntormo, presenti, pro se et eius heredibus et successoribus recipienti et ementi, duo casalaria, seu duo siti [that is: situs] destinati ad faciendum domos, sine aliqua coperta, quilibet ipsorum per longitudinem brachiorum LXV vel circa, et brachiorum X per largitudinem, vanum cuiuslibet ipsorum, cum omnibus et singulis eius [that is: eorum] pertinentiis etc., siti in populo Sancti Michaelis Vice-dominorum de Florentia et in via detta Via Laura, quibus a I dicta via, a II[degrees] bona Capituli Cathedralis ecclesie florentine, a III murus Orbatelli, a IIII[degrees] bona dicti hospitalis, infra predictos confines etc., cum omnibus et singulis etc., ad habendum etc., et construendum domum quando accipiendum etc., et cesserunt iura etc., et constitutum procuratorem etc. Et in effectu promiserunt defensionem generalem dictorum bonorum et de evictione in forma plenissima etc. Et predictam venditionem et iurium cession em et omnia et singula suprascripta fecerunt et vendiderunt pro pretio et nomine veri et iusti pretii florenorum centum largorum de auro in aurum nitidorum ab [that is: ad] omnes expensas ghabelle Artis Porte Sancte Marie pro habenda licentiam [that is: licentia]. Quad quidem pretium dicti dominus Prior et Operarii prefati fuerunt confessi habuisse et recepisse a dicta Iacobo de Puntormo, vocantes se bene pagati etc., renumptiantes exceptioni non numerate pecunie etc. Que omnia promiserunt attendere etc. et contra etc., sub pena dupli dicti pretii, que etc., qua etc., pro quibus obligaverunt etc., renumptiantes guarantigie etc. Rogantes etc.

 

 

 

 

     

Una lapide a Lecce :

 

Su un libro ( consigliatomi dal dottor Celentano di Foggia ) " Lecce sacra " di Giulio Cesare Infantino (Ristampa anastatica Forni editore ) opera del 1634 trovo la conferma a quanto detto dal Madaro

…………………………………….

Chiesa di San giovanni d'Aimo

Questa nobil chiesa dedicata al precursor di christo Giovan Battista , convento dei padri predicatori; fu fondata da Giovan d'Aimo Leccese nell'anno 1388.

…………………………………….. Nel suolo della Chiesa vicino al Rosario in bel Marmo si legge

Hiiacet Nobilis Vir Sylvester olim Serij de Piglis de Florentia .

Nel medesimo marmo si legge

Hic iacet Nobilis Vir Andreas Carneseccus Florentinus cuius iussa fuit translata lapis hac marmorea die xx , mensis Marzij anno Domini MDLXXX quem tumulum deduxit prole suis que omnibus florentinii

Cioe' quanto detto successivamente dal Madaro: " I Carnesecchi appartennero a famiglia fiorentina, che si trasferì nella città di Lecce, dove si accasarono e stabilirono la loro dimora. Si costruirono una tomba propria nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Vetere (a.1580), che oggi più non esiste, e concedettero che potessero avervi sepoltura tutti i fiorentini che venissero a morire a Lecce, se ne giovarono, infatti, i Peruzzi, i Giugni, gli Ammirato".

 

 E a Lecce troviamo pure :

Lecce ............ Corte dei Carnesecchi

 

 

……… dalla pubblicazione di Italo Madaro "Guida pratica della città di Lecce", Lecce 1904, (pag. 213), si evince che nel censimento del 1901 la corte "Potenza" prende il nome di Corte dei Carnesecchi, e la stessa risulta (p. 219) ubicata a destra di via Imperatore Adriano.

Si legge, inoltre, (p. 36) che: " I Carnesecchi appartennero a famiglia fiorentina, che si trasferì nella città di Lecce, dove si accasarono e stabilirono la loro dimora. Si costruirono una tomba propria nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Vetere (a.1580), che oggi più non esiste, e concedettero che potessero avervi sepoltura tutti i fiorentini che venissero a morire a Lecce, se ne giovarono, infatti, i Peruzzi, i Giugni, gli Ammirato".

 

 

 

Ho dall'amico dr. Roberto Celentano di Foggia

 "corte" (che nel periodo in esame implica l'idea di una casa piuttosto ampia, probabilmente analoga alle c.d. "case palazziate" delle famiglie di una certa importanza e consistenza

CORTE.
Il lemma, che nasce nel latino medievale (cohors-cortis), non equivale esattamente, nel periodo in esame, al nostro cortile, perché contiene l'idea di un luogo per lo più recintato o chiuso. Nel XII sec., ad esempio, nell'Europa centro-settentrionale sta a significare l'abitato intorno al castello signorile. Non molto più tardi designerà, per estensione, lo stesso consilum o assemblea del signore, che si teneva per l'appunto in un luogo chiuso (in questo senso richiamo alla sua memoria la Corte dei Rossi, di cui dovrebbe rammentare qualcosa...).
Vero è -e questo è opportuno che l'abbia sempre presente- che l'area semantica di un lemma riceve coloriture diverse secondo il luogo ed il tempo in cui è usato, sicché bisognerebbe sapere che uso se ne faceva nel lessico leccese seicentesco, ma sono portato a credere che nel suo caso il sostantivo in esame non individui il luogo della mercatura quanto piuttosto il luogo ove abitavano i Carnesecchi.
Peraltro, evidenzio che è estremamente probabile che i due siti (quello dedicato all'eventuale mercatura, e l'abitazione) coincidessero

 

 

 

 

 

 

Come detto i Carnesecchi appartenevano al popolo di Santa Maria Maggiore cioe' erano del Quartiere di San Giovanni Gonfalone Drago

 

Al catasto del 1427 risultano possedere diverse case : eccole sulla cartina segnate in azzurro

 

 

 

 nella cartina sono chiaramente indicate le dimore di :

Bernardo Carnesecchi di Cristofano di Berto di Grazino Duranti

Simone Carnesecchi e fratelli di Paolo di Berto di Grazino Duranti

Luca Carnesecchi di Luca di Ser Filippo di Matteo Duranti

 

 

 

 

 Egregio Architetto

sono capitato sull'interessante sito Limen

Volevo fare una richiesta ......................

I Carnesecchi nel catasto del 1427 occupavano diverse case intorno a Santa Maria Maggiore , io vorrei cercare di capire a chi appartenevano prima di loro

Le saro' grato ,se anche non potendo darmi una risposta , mi riscontrera' la presente

cordiali saluti

 

Egr. Ingegnere,

La ringrazio di averci scritto,

allo stato attuale non abbiamo ricerche sul popolo di S. Maria Maggiore di Firenze,

ci riserviamo di tuttavia di farLe avere un aggiornamento appena possibile.

Cordialmente

Lorenzo Pagnini responsabile beni culturali

 

 

 

 

 

Ricevo per la cortesia della dottoressa Cecilia Scalella

 

 

.

………… continuando la mia ricerca sul pittore fiorentino "Francesco" ho trovato che in una dichiarazione del catasto del ’27, 1° luglio 1427, il pittore Franco di Pietro (fratello del pittore Francesco di Pietro) abitava in una casa, situata nel popolo di Santa Maria Maggiore, casa appartenete agli eredi di Paolo Carnesecchi, cfr. W. Jacobsen, "Die Maler von Florenz zu beginn der Renaissance", Berlin, 2001, p. 558.


Il testo in tedesco è così:
"Franco di Pietro dipintore del popolo di Sancta Maria Magiore di Firenze......Hat chaseta in pop. Sancta Maria Magiore, gehörte den Erben des Paolo Carnesecchi... in sul canto del chiasso della via dell’Alloro.

.

 

 

 

 

 

Palazzo Carnesecchi

 

 

 

 Il palazzo sull'attuale via Rondinelli ospita ora il negozio Bojola

Il bis-nonno dell'attuale propritario , il sig .Bojola piemontese, venne a Firenze alla fine dell'800, insieme ad un certo numero di altri piemontesi, e qui fu tra i fondatori di un importante circolo culturale e di altre attività. Grazie alla sua buona amicizia con Carlo Lorenzini, (Collodi : l'autore di "Pinocchio") comprò questo palazzo "Carnesecchi", accanto, appunto, a dove il Lorenzini abitava.

Dopo qualche anno aprì negozio, che fu uno dei più importanti di Firenze, importanza che tuttora mantiene

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo delle cento finestre---FIRENZE

Da Wikipedia

 

 

Il Palazzo delle Cento Finestre, già conosciuto come Palazzo del Centauro, si trova in piazza Santa Maria Maggiore a Firenze. Sui quattro lati in effetti si dispone un numero di aperture di poco inferiore a cento.

In questi sito si trovavano anticamente le case dei manovelli, dei Carnesecchi e forse dei Martini. Alla fine del Quattrocento numerosi di questi edifici vennero acquistati da Michele di Carlo Strozzi, ma solo all'inizio del XVIII secolo venne edificato un vero e proprio palazzo gentilizio, probabilmente dal 1720. Nel 1744 Giuseppe Zocchi includeva già una vista del Palazzo del Sig. Marchese Strozzi, del Centauro, e della Strada che conduce a S. M. Novella nella famosa serie di incisioni di vedute di Firenze. L'appellativo del Centauro deriva dal fatto che all'epoca il gruppo scultoreo di Giambologna di Ercole con il cenaturo Nesso (1599) si trovava davanti al palazzo, dove convergevano via dei Cerretani, via Panzani, via de' Rondinelli e via dei Banchi, e solo poco prima della metà dell'Ottocento venne spostato nella loggia dei Lanzi. Da allora il palazzo è conosciuto come delle Cento Finestre.

Nel 1757 Jacopo Carlieri nel Ristretto delle cose più notabili della città di Firenze segnalava il palazzo non solo come completo, ma anche come già passato alla famiglia Martini.

Da una descrizione catastale del 1801 si evince come il palazzo fosse esternamente molto simile ad oggi, mentre gli ambienti interni erano disposti in maniera diversa: non esiste più lo scalone centrale dal grande vano centrale che portava ai due appartamenti prinicpali nei quali era diviso il palazzo. Oltre la stretta via Teatina esistevano le scuderie e i vani di servizio dell'edificio: un passaggio sopraelevato tutt'ora esistente collega il palazzo principale a queste strutture.

Nel 1810 il palazzo fu acquistato da Elisabetta Ganucci, vedova Galli Tassi, e fu probabilmente allora che furono iniziati i lavori di ristrutturazione e abbellimento che determinarono le monumentali forme attuali degli ambienti interni dell'edificio.

Tre sale al primo piano lungo via de' Cerretani presentano ancora le decorazioni di quegli anni, quali affreschi con soggetti mitologici e allegorici (Hermes e Pallade, Afredite ed Hera, Scene dell'Iliade e dell'Odissea, Allegoria dell Arti e delle Stagioni), attribuiti al caposcuola della pittura neoclassica a Firenze, il pratese Luigi Catani, forse coadiuvato da Gasparo Bargioni (1810-1813 circa).

Durante il periodo di Firenze Capitale il palazzo ospità la Prefettura della Provincia di Firenze. Nel 1868 la Provincia si trasferì a Palazzo Medici-Riccardi e il palazzo venne venduto dal barone Isacco Franchetti, di origine ebraica e nobile dal 1859 per i meriti verso Casa Savoia, che fece risistemare il palazzo da Giuseppe Poggi. L'architetto del piazzale Michelangelo intervenne all'esterno, aggiungendo il balcone sul portale ed i timpani sulle finestre del piano nobile, nell'androne prolungandolo verso la corte interna, per permettere l'accesso delle carrozze, e ricostruì lo scalone monumentale dotandolo di grandi finestre che ne illuminassero i vani.

L'ambiente interno più interessante è la grande Sala da Ballo, dove recentemente sono stati riscoperti i colori originari dell'epoca del Poggi: intonaco azzurro con stucchi ed elementi architettonici a rilievo in bianco. I medaglioni decorativi riproducono temi legati alla musica e al ballo e circondano un affresco di una dea alata su una nuvola, con fiori e putti, risalente probabilmente agli anni a cavallo tra Sette e Ottocento. Rislae allo stesso periodo anche uno studio decorato a grottesche, e paesaggini, e la sala da pranzo, con scene di caccia dipinte.

Nel 1875, dopo un nuovo cambio di proprietà, l'edificio perse la fuinzione di residenza privata: all'interno furono ricavati ufficie e vennero aperti i negozi al primo piano, sostituendo alle finestre inginocchiate le vetrine che si vedono ancora oggi. Nel Novecento, dagli anni Quaranta al 1967 ospitò la sede regionale della Rai, poi di una compagnia assicurativa e oggi della Banca Popolare di Milano.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da Roberto Ciabani : Le famiglie di Firenze  edizioni Bonecchi

Numerose furono le proprieta' dei Carnesecchi ; a Firenze ebbero case in via dei Vecchietti , via del Campidoglio e in via Teatina ma la residenza piu' prestigiosa fu il palazzo di via Cerretani che ancora oggi e' individuabile dal busto di Ferdinando I sopra il portone .

 

 

 

 

PALAZZO CARNESECCHI ( EX PALAZZO GUIDALOTTI )

 

Un'altro palazzo appartenente ai Carnesecchi nel 1427 era sul canto ai Guidalotti ed era appartenuto appunto ai Guidalotti .

 

 

I Guidalotti avevano partecipato alle cariche del comune sin dagli inizi del priorato . E non compaiano nelle cariche oltre il 1350

ser

ydraw

office

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1286

2

1

21

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GUIDALOTTI

5

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1

1

0

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GUIDALOTTI

5

1298

8

1

0

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GUIDALOTTI

5

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8

1

21

SIMONE

GUIDALOTTI

5

1317

8

1

32

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RINUCCIO

GUIDALOTTI

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5

1343

8

1

0

LIPPO

LAPO

GUIDALOTTI

5

1344

8

1

0

BARTOLOMEO

DANTE

GUIDALOTTI

5

1350

12

1

0

BARTOLOMEO

DANTE

GUIDALOTTI

 

I Guidalotti pur scomparendo dalle cariche pubbliche sono presenti con due fuochi nel catasto del 1427. Quindi non scompaiono col 1350

Quindi non si puo' desumere alcunche' sulla data in cui i Carnesecchi entrarono in possesso del loro palazzo

 

 

 

E' da notare come questo palazzo , nel 1427 di proprieta' dei fratelli Simone , Giovanni , Antonio Carnesecchi figli di Paolo di Berto e di proprieta' di Luca Carnesecchi di Luca di ser Filippo , si affacciasse sui palazzi dei Del Beccuto

 

 

 

 

Del Beccuto .( in verde scuro ) : in particolare di Deo di Deo Del Beccuto (verde scuro perimetrata di giallo ) che da sul canto ai Guidalotti

 

 

 

 

 

 

 

  "La Villa della Quiete già di S.A.S. con suo Palazzo, e terreni soliti andare con detta Villa, con tutte sue ragioni e appartenenze, con il

Corritore, che conduce alle Monache di Boldrone, e fino allo stanzino di detto Corritore, dal quale stanzino in qua inclusive sino a detta

Chiesa di Boldrone si intenda riservato all'A.S. e non compreso in questa vendita porta detta Villa, e beni nel Contado di Firenze Potesteria di

Sesto Popolo di Santa Maria a Quarto, confina a detti beni, a primo verso Levante via di Careggi, beni delle Monache di S. Giuliano, e beni

degl'Alborghetti detti la Loggia de Bianchi, 2° verso mezzogiorno via confinante con li Generotti, 3° verso Ponente beni de Carnesechi e

verso settentrione beni delle Monache di Boldrone del Signor Marchese Vettori, con il muro dell'Androne infradescritto".

Arroto 1650 n. 80

Conservatorio dele Montalve.

 

 

 

 

 

 

CASE DEI CARNESECCHI IN VIA LARGA

 

 

 

 

 http://www.palazzo-medici.it/mediateca/iconografia_scheda.php?id=9

 

Stefano Buonsignori, 1584

1) Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata

L'autore:
L’autore della prima e più importante pianta prospettica di Firenze realizzata sulla base di un rigoroso rilievo topografico è Stefano Buonsignori, monaco olivetano, cosmografo presso il granduca Francesco I de’ Medici (A. Fara, in Magnificenza alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla fine del Cinquecento, catalogo della mostra (Firenze), Milano, Electa, 1997, pp. 305-307).
L'opera:
Come attesta l’iscrizione l’opera è dedicata al granduca Francesco I. L’autore si è raffigurato vicino all’arme dell’ordine olivetano, in basso al centro, su un’altura in corrispondenza di Porta San Pier Gattolini con in mano uno staziografo e una bussola, strumenti necessari per compiere il rilievo. La mappa associa il rilevamento in proiezione orizzontale proprio di una planimetria a una visione assonometrica degli alzati degli edifici, rappresentati per la prima volta tutti secondo il medesimo orientamento. Ogni edificio notevole è accompagnato da un numero che rimanda alla legenda di 225 voci posta sulla destra della pianta.
Iscrizioni:
al margine superiore, al centro: "Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata"; a sinistra, sopra la fortezza, nota di 17 richiami relativi alla fortezza; a destra, entro cartella "Al Ser.mo Gran Duca Francesco Medici. Io ho con molta diligenza descritta in disegno Fiorenza Città degna per la bellezza e per la magnificenza sua d’esser veduta da tutti gli huomini e la mando a V.A. accioché in una vista rimirandola si compiaccia d’esser Principe e Re di Città tanto nobile e tanto illustre che il celebrarla è superfluo; et s’allegri di rivedere in lei gli ornamenti fatti da V.A. dal padre vostro e da vostri maggiori, amandola come benefattore e padre, che Dio sempre la feliciti Sono di V.A. Don Stefano monaco montolivetano"; nell’angolo a destra in basso, entro cartella, legenda dei luoghi notabili con 225 richiami numerici in cinque colonne; al di sotto, in quattro righe, note sugli ospedali e confraternite non compresi nell’indice; alla base della cartella: "D. Stefani formis"; alla base della cartella a sinistra "Bona.ra Billocardus ori/fex fecit Flo. 1584"
L'iconografia del Palazzo:
Palazzo Medici (n. 156) è delineato con particolare precisione. Inquadrato da sud-ovest, l’edificio mostra la facciata su via de’ Gori, con il muro merlato d’angolo, in maniera da rendere visibili il giardino e il cortile situati all’interno. Si rilevano varie informazioni e testimonianze sull’assetto dell’edificio e del contesto urbano circostante. La loggia d’angolo del palazzo appare chiusa, dopo le ristrutturazioni di circa sessant’anni prima. Al giardino si accede o da una porta architravata sulla strada o da un’altra con frontone curvilineo che collega col cortile e che è fiancheggiata da quattro finestre rettangolari. Su via Larga, accanto al palazzo sorge l’edificio annesso un secolo prima, poi il giardino e la casa di Lutiano e infine la casa di Pierfrancesco de’ Medici (la "casa vecchia" di famiglia). Sulla stessa strada all’angolo opposto rispetto a quello di Palazzo Medici, sorge il Palazzo dei Della Casa poi Panciatichi; accanto a questo ci sono le due case dei Carnesecchi. Sull’attuale via Ginori le due case adiacenti al muro merlato erano diventate di proprietà dei Medici a metà Cinquecento. Di fronte a tali edifici, sull’altro lato della strada si vedono i palazzi Neroni e Montauto; all’angolo con piazza San Lorenzo si trova il Palazzo Della Stufa già evidenziato nella Pianta della Catena (vedi: Iconografia/Nelle piante di Firenze/Pianta della Catena, 1471-1482 circa) un secolo prima. A sud, sull’altro lato di via de’ Gori, davanti alla residenza medicea si trovano infine la chiesa di San Giovannino dei Cavalieri e il convento dei gesuiti.

 

 

 

Palazzo Capponi Covoni

 

 

http://www.consiglio.regione.toscana.it/Istituzione/Palazzi/Palazzo/capponi.asp

 Palazzo Capponi Covoni

Le prime notizie di palazzo Capponi si hanno tramite il catasto nel 1427: a quel tempo, sul luogo dove due secoli dopo sarebbe sorta l’imponente dimora, c’erano alcune piccole e modeste case.

Nel 1458 due di quelle abitazioni in via Larga, oggi via Cavour, vennero acquistate da Agnolo Tani, il direttore della filiale del Banco Medici a Bruges nelle Fiandre, che vi andò a risiedere. Le proprietà passarono per via ereditaria alla famiglia dei Carnesecchi, che per un lungo periodo affittò l’edificio.
L’ultimo dei pigionali, a partire dal 1620, fu Piero di Girolamo Capponi, che era alla ricerca di un’abitazione più prestigiosa rispetto alla casa di famiglia nel Fondaccio di Santo Spirito. Piero di Girolamo era uno dei più ricchi banchieri fiorentini dell’epoca, e apparteneva a quella famiglia Capponi che aveva prodotto, tra l’altro, il condottiero Neri Capponi, e poi il gonfaloniere Piero. Nel 1623 il banchiere acquistò le case Carnesecchi e un altro edificio più modesto situato nella retrostante via del Cocomero (oggi via Ricasoli), dando inizio alla realizzazione del palazzo.

Del lavoro fu incaricato l’architetto fiorentino Gherardo Silvani, seguace del Buontalenti. La ristrutturazione fu effettuata dal 1623 al 1625. Alla fine, il palazzo si presentò con una nuova facciata di stampo buontalentiano. Nelle parti decorate come le balaustre e i battiporta appaiono spesso le teste di cappone, in riferimento alla famiglia. All’interno il Silvani realizzò al piano nobile un grande salone e una cappella privata.
Nel Settecento la famiglia attraversò, con gli ultimi Medici e poi con i Lorena, un periodo di rinnovata floridezza. E decise di ingrandire il palazzo. Nel 1730 i fratelli Pier Roberto, Giuliano e Girolamo Capponi riuscirono ad aggiudicarsi il palazzo Milanesi Covoni in via Larga, confinante con il loro a nord. I due palazzi furono così unificati e modernizzati.

 

 

 

 

 

 

 

Sesto Fiorentino: notizie di storia, geografia, arte - Pagina 162
di Arturo Villoresi - 1988
... "Mulino di Pagolo". Sul finire del XVIII secolo (e fino ai giorni nostri) ...
1498 nel contratto di vendita della villa Carnesecchi a Simone Corsi. ...
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CASCIA DI REGGELLO

 

 

 i Carnesecchi avevano case anche a Borgo a Cascia, vicino a san Siro, ed anche a san Giovenale .

 

 

 

 

 

Uno strano stemma ad Ostina

 

 

 

 

 

Il Machiavelli meditò le sue Istorie Fiorentine nel piano di Cascia ai Merenzi ospite dei Carnesecchi

da II territorio di San Giovenale ed il Trittico di Masaccio Ricerche ed ipotesi Ivo Becattini

 

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo Quarantotti a PISA

 

 

 

si trova a Pisa, in Via Tavoleria.

Si tratta di un palazzo medievale appartenuto prima ai Carnesecchi e poi ai Quarantotti, dai quali prese il nome. Fu costruito aggregando vari edifici preesistenti, risalenti al XII secolo, dei quali sono restati alcuni elementi costruttivi e decorativi sulle paresti esterne del palazzo. Sulla facciata sono visibili i profili di due torri, con i relativi archi di scarico, ora tamponati, e buche pontaie. Di un'altra torre, al centro della facciata, restano visibili le tracce con gli archi ribassati e i resti di un loggiato con quadrifore trilobate al primo piano.

 

 

 

 

 

 

 

UN CASTELLO a FIANO vicino a CERTALDO

 

Castello di Santa Maria Novella

 

Del castello di Santa Maria Novella si hanno notizie intorno al 1020.
In epoca assai remota vi fu un castello dei Gianfigliazzi distrutto dai ghibellini dopo la battaglia di Montaperti.
Subito ricostruito fu di nuovo distrutto nel 1313, quando Corrado Gianfigliazzi si oppose inutilmente alle truppe del fratello di Arrigo VII - Baldovino di Lussemburgo - Arcivescovo di Treviri. A seguito di tale distruzione il castello rimase abbandonato per oltre cento anni.
Nel XV secolo, esso fu riedificato con le forme odierne dalla famiglia Samminiatesi passando poi agli Acciaiuoli, ai conti Alberti e quindi ai Carnesecchi , sicuramente presenti nel 1705, come attestato da una lapide.
Da questi passò per via femminile alla famiglia Aulla e quindi ai Franceschi Galletti che fra il 1820 e il 1860 operarono delle sostanziali trasformazioni di gusto neogotico.
Una serie di lapidi nella chiesa, anch'essa risalente all'XI secolo, ma più volte rimaneggiata, attestano la completa estinsione nel 1898 della famiglia di Alessandro Lottaringhi della Stufa marchese e conte del Calcione. La proprietà andò così alle sorelle Bertoli e da esse al nobile casato dei Ruschi.
Proprietario attuale è l'Azienda Agricola Castello di Santa Maria Novella S.r.l.

 

  Non sono ancora riuscito a definire quale sia il ramo di Carnesecchi estintosi negli Aulla

 

 

 

 

 

 

L'incrocio dell' attuale via Rondinelli ( ex via Carnesecchi ) con via Cerretani formava il Canto ai Carnesecchi

 

 

Scrive Giuseppe Maria Mecatti nel suo " Storia genealogica della nobilta' e cittadinanza di Firenze " ( Napoli 1754 ) alle pagine 40 e 41

 Carnesecchi

Sono molto antichi , e si dissero gia' dei Duranti . Hanno avuto 49 Priori , 11 Gonfalonieri , ed 8 senatori ; oltre ad un Cavaliere di Malta , ed alcuni Cavalieri di San Stefano . Per loro chiamasi il Canto de' Carnesecchi dal Centauro , ove era la casa di Francesco Maria , il quale non e' molto ch'e' passato all'altra vita senza successione .

 

 

 

 

 

Il Canto ai Carnesecchi era anche chiamato anche Canto del Centauro , dal gruppo marmoreo del Giambologna oggi sotto la Loggia della Signoria .

 

Su questo angolo di via stava un tempo il Tabernacolo Carnesecchi

 

 

Io non so se questo dipinto fosse stato commissionato da un Carnesecchi oppure fosse opera della pieta’ popolare

 

 

The taste for avant-garde perspective in art seems to have run in the Carnesecchi family. It was probably Paolo di Berto’s nephew, Bernardo di Cristofano Carnesecchi, who commissioned Domenico Veneziano’s Virgin and Child with God the Father, the Holy Spirit and Saints in the early 1440s for a street tabernacle in front of one of his houses on the Canto de’ Carnesecchi. The tabernacle was located at the point where the present day Via de’ Banchi and Via de’ Panzani meet, between Santa Maria Novella and Santa Maria Maggiore. The detached paintings from the central scene and two fragments of saints’ heads from the sides of the tabernacle are all that survive, now housed in the National Gallery, London. The Virgin and Child are shown on an enormous throne depicted in steep perspective, composed of distinctively Uccellesque, simple, geometric forms, notably the spheres mounted directly on the top of the throne, reminiscent of the spheres decorating the tops of architectural features throughout Uccello’s mural paintings of the Stories of the Virgin and Saint Steven in the Cathedral in Prato, painted c. 1435–36. Interestingly, like his uncle and Lorenzo di Piero Lenzi, Bernardo Carnesecchi was a member of the aristocratic Guelf party. This might be an indication of the kind of patron who favoured artists that contributed to the early development of perspective, since as shall be discussed below, the Guelf party was itself a patron of Brunelleschi and Donatello.

Dr Hugh Hudson, Honorary Fellow, School of Culture and Communication, The University of Melbourne. 

 

 

TABERNACOLO CARNESECCHI

Dipinto da Domenico Veneziano c. 1435 - 1440

National Gallery ---Londra

 

 The Virgin and Child Enthroned

National Gallery

This and and two other frescoes are part of a street tabernacle painted at the Canto de' Carnesecchi, near the Piazza S. Maria Novella in Florence. (This is now the point where the Via de' Banchi meets the Via de' Panzani.) The two heads are fragments of two full-length saints who stood on either side of the tabernacle. Vasari says that this tabernacle was one of Domenico's first works in Florence.
The painting shows a dignified and aristocratic Madonna seated on an elegant throne decorated with cosmati work. The Christ Child gives a sign of blessing; above, the foreshortened figure of God the Father is seen to dispatch the dove of the Holy Spirit.
The elaborate and accurate perspective construction of the throne, to some extent influenced by Paolo Uccello, is indicative of Domenico's interest in the rules of perspective.

National Gallery

 

 

 

 

 

 The two heads are fragments of two full-length saints who stood on either side of the tabernacle. Vasari says that this tabernacle was one of Domenico's first works in Florence.

 

 

 

 

 

 

Avrei bisogno di entrare in contatto con qualche esperto d'arte per avere ulteriori informazioni su questa opera

 

 

 

 

 Quanto sia biasimevole in una persona eccellente il vizio della invidia, che in nessuno doverebbe ritrovarsi, e quanto scelerata et orribil cosa il cercare sotto spezie d'una simulata amicizia, spegnere in altri, non solamente la fama e la gloria, ma la vita stessa, non credo io certamente che ben sia possibile esprimersi con parole, vincendo la sceleratezza del fatto ogni virtù e forza di lingua, ancora che eloquente. Per il che, senza altrimenti distendermi in questo discorso, dirò solo che ne' sì fatti alberga spirito, non dirò inumano e fero, ma crudele in tutto e diabolico, tanto lontano da ogni virtù, che non solamente non sono più uomini, ma né animali ancora, né degni di vivere. Conciò sia che quanto la emulazione e la concorrenza, che virtuosamente operando cerca vincere e soverchiare i da più di sé per acquistarsi gloria et onore, è cosa lodevole e da essere tenuta in pregio come necessaria ed utile al mondo, tanto per l'opposito, e molto più, merita biasimo e vituperio la sceleratissima invidia, che non sopportando onore o pregio in altrui si dispone a privar di vita chi ella non può spogliare de la gloria, come fece lo sciaurato Andrea dal Castagno, la pittura e disegno del quale fu per il vero eccellente e grande, ma molto maggiore il rancore e la invidia che e' portava agli altri pittori, di maniera che con le tenebre del peccato sotterrò e nascose lo splendor della sua virtù. Costui per esser nato in una piccola villetta detta il Castagno, nel Mugello, contado di Firenze, se la prese per suo cognome quando venne a stare in Fiorenza; il che successe in questa maniera; essendo egli nella prima sua fanciullezza rimaso senza padre, fu raccolto da un suo zio che lo tenne molti anni a guardare gli armenti, per vederlo pronto e svegliato e tanto terribile, che sapeva far riguardare non solamente le sue bestiuole, ma le pasture et ogni altra cosa che attenesse al suo interesse. Continuando, adunque, in tale esercizio, avvenne che fuggendo un giorno la pioggia, si abbatté a caso in un luogo, dove uno di questi dipintori di contado che lavorano a poco pregio dipigneva un tabernacolo d'un contadino, onde Andrea, che mai più non aveva veduta simil cosa, assalito da una sùbita maraviglia, cominciò attentissimamente a guardare e considerare la maniera di tale lavoro. E gli venne subito un desiderio grandissimo et una voglia sì spasimata di quell'arte, che senza mettere tempo in mezzo, cominciò per le mure e su per le pietre co' carboni o con la punta del coltello, a sgraffiare et a disegnare animali e figure, sì fattamente che e' moveva non piccola maraviglia in chi le vedeva. Cominciò dunque a correr la fama tra' contadini, di questo nuovo studio di Andrea onde, pervenendo (come volle la sua ventura) questa cosa agli orecchi d'un gentiluomo fiorentino, chiamato Bernardetto de' Medici, che quivi aveva sue possessioni, volle conoscere questo fanciullo; e vedutolo finalmente et uditolo ragionare con molta prontezza, lo dimandò se egli farebbe volentieri l'arte del dipintore; e rispondendo]i Andrea che e' non potrebbe avvenirli cosa più grata, né che quanto questa mai gli piacesse, a cagione che e' venisse perfetto in quella, ne lo menò con seco a Fiorenza, e con uno di que' maestri che erano allora tenuti migliori, lo acconciò a lavorare. Per il che seguendo Andrea l'arte della pittura, et agli studii di quella datosi tutto, mostrò grandissima intelligenza nelle difficultà dell'arte, e massimamente nel disegno. Non fece già così poi nel colorire le sue opere, le quali facendo alquanto crudette et aspre, diminuì gran parte della bontà e grazia di quelle, e massimamente una certa vaghezza che nel suo colorito non si ritruova. Era gagliardissimo nelle movenze delle figure e terribile nelle teste de' maschi e delle femmine, faccendo gravi gli aspetti loro e con buon disegno. Le opere di man sua furono da lui dipinte, nel principio della sua giovanezza, nel chiostro di San Miniato al Monte, quando si scende di chiesa per andare in convento, di colori a fresco, una storia di San Miniato e San Cresci, quando dal padre e dalla madre si partono. Erano in San Benedetto, bellissimo monasterio fuor della porta a Pinti, molte pitture di mano d'Andrea in un chiostro et in chiesa, delle quali non accade far menzione, essendo andate in terra per l'assedio di Firenze. Dentro alla città, nel monasterio de' monaci degl'Angeli, nel primo chiostro dirimpetto alla porta principale, dipinse il Crucifisso che vi è ancor oggi, la Nostra Donna, San Giovanni, e San Benedetto e San Romualdo. E nella testa del chiostro che è sopra l'orto, ne fece un altro simile, variando solamente le teste e poche altre cose. 1n Santa Trinita, allato alla cappella di maestro Luca, fece un Santo Andrea. A Legnaia dipinse a Pandolfo Pandolfini in una sala molti uomini i)lustri ~. E per la Compagnia del Vangelista un segno da portare a processione, tenuto bellissimo. Ne' Servi di detta città lavorò in fresco tre nicchie piane, in certe cappelle; l'una è quella di San Giuliano, dove sono storie della vita d'esso Santo con buon numero di figure et un cane in iscorto che fu molto lodato; sopra questa, nella cappella intitolata a S. Girolamo, dipinse quel Santo secco e raso, con buon disegno e molta fatica, e sopra vi fece una Trinità, con un Crucifisso che scorta, tanto ben fatto, che Andrea merita per ciò esser molto lodato, avendo condotto gli scorti con molto miglior e più moderna maniera, che gl'altri inanzi a lui fatto non avevano. Ma questa pittura, essendovi stato posto sopra dalla famiglia de' Montaguti una tavola, non si può più vedere. Nella terza, che è a lato a quella che è sotto l'organo, la quale fece fare Messer Orlando de' Medici, dipinse Lazzaro, Marta e Maddalena. Alle monache di San Giuliano fece un Crucifisso a fresco sopra la porta, una Nostra Donna, un San Domenico, un San Giuliano et uno San Giovanni, la quale pittura, che è delle migliori che facesse Andrea, è da tutti gl'artefici universalmente lodata. Lavorò in Santa Croce alla cappella de' Cavalcanti un San Giovanni Battista et un San Francesco, che sono tenute bonissime figure; ma quello che fece stupire gl'artefici, fu che nel chiostro nuovo del detto convento, cioè in testa dirimpetto alla porta, dipinse a fresco un Cristo battuto alla colonna, bellissimo, facendovi una loggia con colonne in prospettiva, con crociere di volte a liste diminuite, e le pareti commesse a mandorle, con tanta arte e con tanto studio, che mostrò di non meno intendere le difficultà della prospettiva, che si facesse il disegno nella pittura. Nella medesima storia sono belle e sforzatissime l'attitudini di coloro che flagellano Cristo, dimostrando così essi nei volti l'odio e la rabbia, sì come pazienza et umiltà Gesù Cristo, nel corpo del quale, arrandellato e stretto con funi alla colonna, pare che Andrea tentasse di mostrare il patir della carne, e che la divinità nascosa in quel corpo serbasse in sé un certo splendore di nobiltà; dal quale mosso, Pilato che siede tra' suoi consiglieri, pare che cerchi di trovar modo per liberarlo. Et insomma è così fatta questa pittura che s'ella non fusse stata graffiata e guasta, per la poca cura che l'è stata avuta, da' fanciulli et altre persone semplici che hanno sgraffiate le teste tutte e le braccia e quasi il resto della persona de' Giudei, come se così avessino vendicato l'ingiuria del Nostro Signore contro di loro, ella sarebbe certo bellissima tra tutte le cose d'Andrea. Al quale, se la natura avesse dato gentilezza nel colorire, come ella gli diede invenzione e disegno, egli sarebbe veramente stato tenuto maraviglioso.

Dipinse in Santa Maria del Fiore l'imagine di Niccolò da Tolentino a cavallo, e perché lavorandola un fanciullo che passava dimenò la scala, egli venne in tanta còlera, come bestiale uomo che egli era, che sceso gli corse dietro insino al canto de' Pazzi. Fece ancora nel cimitero di S. Maria Nuova in fra l'Ossa un Santo Andrea che piacque tanto, che gli fu fatto poi dipignere nel reffettorio dove i servigiali et altri ministri mangiano, la cena di Cristo con gl'Apostoli, per lo che acquistato grazia con la casa de' Portinari e con lo spedalingo, fu datogli a dipignere una parte della cappella maggiore, essendo stata allogata l'altra ad Alesso Baldovinetti, e la terza al molto allora celebrato pittore Domenico da Vinezia, il quale era stato condotto a Firenze per lo nuovo modo che egli aveva di colorire a olio.

Attendendo dunque ciascuno di costoro all'opera sua, aveva Andrea grandissima invidia a Domenico, perché se bene si conosceva più eccellente di lui nel disegno, aveva nondimeno per male che, essendo forestiero, egli fusse da' cittadini carezzato e trattenuto; e tanta ebbe forza in lui perciò la còlera e lo sdegno, che cominciò andar pensando, o per una o per altra via di levarselo dinanzi. E perché era Andrea non meno sagace simulatore che egregio pittore, allegro quando voleva nel volto, della lingua spedito e d'animo fiero et in ogni azzione del corpo, così come era della mente, risoluto, ebbe così fatto animo con altri come con Domenico, usando nell'opere degl'artefici di segnare nascosamente col graffiare dell'ugna, se errore vi conosceva. E quando nella sua giovanezza furono in qualche cosa biasimate l'opere sue, fece a cotali biasimatori con percosse et altre ingiurie conoscere che sapeva e voleva sempre, in qualunche modo, vendicarsi delle ingiurie.

Ma per dire alcuna cosa di Domenico, prima che venghiamo all'opera della cappella, avanti che venisse a Firenze, egli aveva nella sagrestia di S. Maria di Loreto, in compagnia di Piero della Francesca, dipinto alcune cose con molta grazia, che l'avevano fatto per fama, oltre quello che aveva fatto in altri luoghi, come in Perugia una camera in casa de' Baglioni, che oggi è rovinata, conoscere in Fiorenza. Dove essendo poi chiamato, prima che altro facesse, dipinse in sul canto de' Carnesecchi, nell'angolo delle due vie che vanno l'una alla nuova, l'altra alla vecchia piazza di S. Maria Novella, in un tabernacolo a fresco una Nostra Donna in mezzo d'alcuni santi. La qual cosa, perché piacque e molto fu lodata dai cittadini e dagl'artefici di que' tempi, fu cagione che s'accendesse maggiore sdegno et invidia nel maladetto animo d'Andrea contra il povero Domenico: per che, deliberato di far con inganno e tradimento quello che senza suo manifesto pericolo non poteva fare alla scoperta, si finse amicissimo d'esso Domenico; il quale, perché buona persona era et amorevole, cantava di musica e si dilettava di sonare il liuto, lo ricevette volentieri in amicizia, parendogli Andrea persona d'indegno e sollazzevole. E così continuando questa, da un lato vera e dall'altro finta, amicizia, ogni notte si trovavano insieme a far buon tempo e serenate a loro inamorate; di che molto si dilettava Domenico; il qual amando Andrea da dovero, gli insegnò il modo di colorire a olio che ancora in Toscana non si sapeva. Fece dunque Andrea, per procedere ordinatamente, nella sua facciata della cappella di S. Maria Nuova, una Nunziata che è tenuta bellissima per avere egli in quell'opera dipinto l'Angelo in aria, il che non si era insino allora usato. Ma molto più bell'opera è tenuta dove fece la Nostra Donna che sale i gradi del tempio, sopra i quali figurò molti poveri, e fra gl'altri uno che con un boccale dà in su la testa ad un altro; e non solo questa figura ma tutte l'altre sono belle affatto, avendole egli lavorate con molto studio et amore, per la concorrenza di Domenico. Vi si vede anco tirato in prospettiva, in mezzo d'una piazza, un tempio a otto facce isolato e pieno di pilastri e nicchie, e nella facciata dinanzi benissimo adornato di figure finte di marmo; et intorno alla piazza è una varietà di bellissimi casamenti, i quali da un lato ribatte l'ombra del tempio, mediante il lume del sole, con molto bella, difficile et artifiziosa considerazione. Dall'altra parte fece maestro Domenico, a olio, Gioachino che visita S. Anna sua consorte, e di sotto il nascere di Nostra Donna, fingendovi una camera molto ornata et un putto che batte col martello l'uscio di detta camera con molta buona grazia. Di sotto fece lo sposalizio d'essa Vergine con buon numero di ritratti di naturale, fra i quali è Messer Bernardetto de' Medici, conestabile de' Fiorentini, con un berettone rosso, Bernardo Guadagni, che era gonfaloniere, Folco Portinari et altri di quella famiglia. Vi fece anco un nano che rompe una mazza, molto vivace, et alcune femine con abiti indosso vaghi e graziosi fuor di modo, secondo che si usavano in que' tempi. Ma questa opera rimase imperfetta, per le cagioni che di sotto si diranno. Intanto aveva Andrea nella sua facciata fatta a olio la morte di Nostra Donna, nella quale, per la detta concorrenza di Domenico e per essere tenuto quello che egli era veramente, si vede fatto con incredibile diligenza in iscorto un cataletto dentrovi la Vergine morta, il quale, ancora che non sia più che un braccio e mezzo di lunghezza, pare tre. Intorno le sono gl'Apostoli fatti in una maniera che, se bene si conosce ne' visi loro l'allegrezza di veder esser portata la loro Madonna in cielo da Gesù Cristo, vi si conosce ancora l'amaritudine del rimanere in terra senz'essa. Tra essi apostoli sono alcuni Angeli che tengono lumi accesi, con bell'aria di teste e sì ben condotti, che si conosce che egli così bene seppe maneggiare i colori a olio, come Domenico suo concorrente. Ritrasse Andrea in queste pitture, di naturale, Messer Rinaldo degl'Albizi, Puccio Pucci, il Falgavaccio che fu cagione della liberazione di Cosimo de' Medici, insieme con Federigo Malevolti, che teneva le chiavi dell'Alberghetto; parimente vi ritrasse Messer Bernardo di Domenico della Volta, spedalingo di quel luogo, inginocchioni, che par vivo; et in un tondo nel principio dell'opere se stesso, con viso di Giuda Scariotto, come egl'era nella presenza e ne' fatti. Avendo dunque Andrea condotta questa opera a bonissimo termine, accecato dall'invidia per le lodi che alla virtù di Domenico udiva dare, si deliberò levarselo d'attorno, e dopo aver pensato molte vie, una ne mise in essecuzione in questo modo; una sera di state, sì come era solito, tolto Domenico il liuto, uscì di S. Maria Nuova, lasciando Andrea nella sua camera a disegnare, non avendo egli voluto accettar l'invito d'andar seco a spasso, con mostrare d'avere a fare certi disegni d'importanza. Andato dunque Domenico da sé solo a' suoi piaceri, Andrea, sconosciuto, si mise ad aspettarlo dopo un canto, et arrivando a lui Domenico nel tornarsene a casa, gli sfondò con certi piombi il liuto e lo stomaco in un medesimo tempo; ma non parendogli d'averlo anco acconcio a suo modo, con i medesimi lo percosse in su la testa malamente, poi lasciatolo in terra se ne tornò in S. Maria Nuova alla sua stanza e, socchiuso l'uscio, si rimase a disegnare in quel modo che da Domenico era stato lasciato. Intanto essendo stato sentito il rumore, erano corsi i servigiali, intesa la cosa, a chiamare e dar la mala nuova allo stesso Andrea micidiale e traditore; il qual, corso dove erano gl'altri intorno a Domenico non si poteva consolare, né restar di dir: "Oimè fratel mio, oimè fratel mio". Finalmente Domenico gli spirò nelle braccia, né si seppe, per diligenza che fusse fatta, chi morto l'avesse; e se Andrea, venendo a morte, non l'avesse nella confessione manifestato, non si saprebbe anco.

Dipinse Andrea in S. Miniato fra le torri di Fiorenza una tavola, nella quale è una Assunzione di Nostra Donna con due figure, et alla Nave a l'Anchetta, fuor della porta alla Croce, in un tabernacolo, una Nostra Donna. Lavorò il medesimo in casa de' Carducci, oggi de' Pandolfini, alcuni uomini famosi, parte imaginati e parte ritratti di naturale; fra questi è Filippo Spano degli Scolari, Dante, Petrarca, il Boccaccio et altri. Alla Scarperia in Mugello dipinse sopra la porta del palazzo del vicario una Carità ignuda molto bella, che poi è stata guasta. L'anno 1478, quando dalla famiglia de' Pazzi et altri loro aderenti e congiurati, fu morto in S. Maria del Fiore Giuliano de' Medici e Lorenzo suo fratello ferito, fu deliberato dalla Signoria che tutti quelli della congiura fussino come traditori dipinti nella facciata del palagio del Podestà; onde essendo questa opera offerta ad Andrea, egli come servitore et obligato alla casa de' Medici, l'accettò molto ben volentieri; e messovisi la fece tanto bella che fu uno stupore, né si potrebbe dire quanta arte e giudizio si conosceva in que' personaggi ritratti per lo più di naturale, et impiccati per i piedi in strane attitudini e tutte varie e bellissime. La qual opera perché piacque a tutta la città e particolarmente agl'intendenti delle cose di pittura, fu cagione che da quella in poi, non più Andrea dal Castagno, ma Andrea degl'Impiccati fusse chiamato. Visse Andrea onoratamente, e perché spendava assai e particolarmente in vestire et in stare onorevolmente in casa, lasciò poche facultà quando d'annî 71 passò ad altra vita. Ma perché si riseppe, poco dopo la morte sua, l'impietà adoperata verso Domenico che tanto l'amava, fu con odiose essequie sepolto in S. Maria Nuova, dove similmente era stato sotterrato l'infelice Domenico d'anni cinquantasei. E l'opera sua cominciata in S. Maria Nuova rimase imperfetta e non finita del tutto; come aveva fatto la tavola dell'altar maggiore di S. Lucia de' Bardi, nella quale è condotta con molta diligenza una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, S. Giovanni Battista, S. Nicolò, S. Francesco e S. Lucia; la qual tavola aveva poco inanzi che fusse morto, all'ultimo fine perfettamente condotta, etc. Furono discepoli d'Andrea, Iacopo del Corso, che fu ragionevole maestro, Pisanello, il Marchino, Piero del Pollaiuolo e Giovanni da Rovezzano, etc.

FINE DELLA VITA D'ANDREA DAL CASTAGNO E DI DOMENICO VlNIZIANO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 .

 

Ricevo dalla dottoressa Cecilia Scalella la notizia dell’esistenza di una piccola tavola d’altare, raffigurante la Madonna con Bambino e Santi, conservata al Museo dell’Ospedale degli Innocenti, su cui compaiono gli stemmi dei Carnesecchi e dei Peruzzi

 

Le invio una foto dell'opera attribuita da Federico Zeri e da Richard Offner nel 1968 al cosiddetto "Maestro del Cristo docente" alias "Maestro Francesco", un anonimo artista attivo a Firenze negli anni 1350 - 1390. L'opera in questione è una piccola tavola d'altare raffigurante la Madonna con Bambino e i Santi Caterina, Giovanni Battista, Maria Maddalena e Giovanni Evangelista ed è conservata al Museo dell'Ospedale degli Innocenti. Ai lati estremi della predella sono ben visibili e due stemmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 non ho informazioni documentarie su questo matrimonio tra i Carnesecchi e i Peruzzi 

 

 

 

 

 

 

 

 Madonna dell'umilta' o Madonna Boni--Carnesecchi

Dipinta da Masolino nel 1423 e conservata a Brema

 

Quanta misericordia e' in Dio

 

Avevo precedentemente utilizzato un'immagine inesatta e di cio' avevo il dubbio

Internet e' un mezzo potente e la cortesia delle persone lo rende ancor piu' potente .

Debbo alla competenza della dottoressa Cecilia Frosinini e del dr Roberto Bellucci la correzione dell'errore

Ricevo e ringrazio sentitamente :
Abbiamo letto il suo sito sui Carnesecchi e possiamo sciogliere i suoi dubbi sulla Madonna di Brema di Masolino.
In effetti l'immagine che lei pubblica su internet non è quella giusta.
La vera Madonna dell'Umiltà di Brema la può trovare anche in internet, alla seguente pagina:
http://www2.kah-bonn.de/1/15/p/04.jpg
.........................
Il fatto che la Madonna di Brema sia chiamata "Boni-Carnesecchi" deriva dal fatto che sulla base del dipinto ci sono gli stemmi delle due famiglie. Forse l'opera venne commissionata in occasione di un matrimonio: le risulta documentariamente? L'opera è anche datata (sempre nell'iscrizione sulla base) al 1423.
Se vuole bibliografia :
The Panel Painting of Masolino and Masaccio. The Role of Technique, edito dalla nuova Casa Editrice 5 Continents, per adesso in lingua inglese, che raccoglie i risultati dell'indagine svolta dall'Opificio, National Gallery e Philadelphia Museum of Art. a cura di C.B.Strehlke e C.Frosinini, Milano 2002
(c'è un catalogo dei dipinti di Masaccio e Masolino, con schede relative anche alla Madonna di Brema). Sempre nel libro c'è un capitolo anche sul Trittico Carnesecchi (opera dei due artisti) con foto delle opere e ipotesi di ricostruzione.
Cecilia Frosinini e Roberto Bellucci
Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro
viale Filippo Strozzi, 1
50129 FIRENZE
ITALY

 

 

Ed infatti alla sinistra di chi guarda e' visibile lo stemma dei Carnesecchi

 

 

 

non ho informazioni documentarie su questo matrimonio tra i Carnesecchi e i Boni 

 

Quindi possiamo rilevare come ci siano apparentamenti con i Peruzzi e con i Boni di cui al momento non ho i particolari

 

 

 

 

 

Anno 1467 Matrimonio di Giuliano di Simone di Paolo di Berto Carnesecchi con Cassandra di Jacopo Lanfredini

 

 

 

 

 

CHRISTIE’S

Sale 7197, Lot 23
Attributed to Giovanni di Ser Giovanni Guidi, Lo Scheggia (San Giovanni Valdarno, nr. Arezzo 1406-1486 Florence)
A Cassone: central panel: The Triumph of David; testate (end panels): Hercules and the Lernaean Hydra; and Hercules saving Deianeira from Nessus, all three panels inset into an Italian Baroque-style polychrome-painted, parcel-gilt cassone, probably 19th Century and incorporating earlier elements, with restorations and additions; and the arms of Carnesecchi and Lanfredini families
Tempera and silver on gold ground panel
Central panel: 15 5/8 x 51 1/4 in. (39.7 x 130.2 cm.);
End panels: 15 7/8 x 19 3/4 in. (40.3 x 50.2 cm.);
The Cassone overall: 27 1/4 in. (69.2 cm.) high, 74 1/8 in. (188.3 cm.) wide, 27 5/8 in. (70.2 cm.) deep
Estimate: £400,000-600,000

 

Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia (San Giovanni Valdarno, 1406 - 1486) fu un pittore italiano, fratello di Masaccio. 

 

 

 of two of Pollaiuolo's paintings, one being the Hercules and Nessus of the Jarves ... to say that these two families of Lanfredini and Carnesecchi intermarried in the persons of Giuliano Carnesecchi and Cassandra Lanfredini in the year 1467. ...
links.jstor.org/sici?sici=0951-0788(190604)9%3A37%3C52%3ATNHP%3E2.0.CO%3B2-M -

The New Haven Pollaiuolo
Herbert Cook
Burlington Magazine for Connoisseurs, Vol. 9, No. 37 (Apr., 1906), pp. 52-53

 

 

 

 

 

 

 

Un libro d'ore Carnesecchi Capponi conservato alla Trivulziana di Milano

 

 

spett.le Società Storica Lombarda

Trovo sul vostro sito :

 

– Persone, Luoghi, Materia, anni XCI – C (1964 - 1973), serie IX, Vol. I-VI , Milano, Cisalpino, 386 pag.

Carnasecchi ( famiglia fiorentina - libro d'ore - III91)……………………………

……………..avrei bisogno di conoscere di quali materiali disponete relativamente a questa famiglia

 

 

le indicazioni da Lei riportate sono tratte dagli indici della nostra rivista "Archivio Storico Lombardo" .

Nell""Archivio Storico Lombardo" 1968 all'interno dell'Articolo di C. Santoro Biblioteche di Enti e di Bibliofili attraverso i codici della Trivulziana alla pag. 91 sotto la voce bibliofili si trova la seguente frase:

"... CARNASECCHI e CAPPONI. Per queste due famiglie fiorentine venne eseguito un grazioso libro d'ore, quattrocentesco, con fregi ed iniziali miniate di scuola fiorentina (n. 464) . Porro 330; Santoro p. 90 n. 150 ..."

 

Mentre nell'"Archivio Storico Lombardo" 1971-72-73 all'interno della recensione realizzata da M. Bendiscioli relativa al libro di A. D'Addario Aspetti della controriforma a Firenze (- Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXXVII, Roma 1972) alla pag. 451 compare la seguente frase:

"... La terza serie (nn. XXIII -LXV, p. 413-446) si riferisce a Figure di credenti e associazioni religiose nella Firenze del 1500 e costituisce il maggiore contributo del volume della Storia della spiritualità fiorentina: qui figurano, tra l'altro, copia d'una lettera del Carnasecchi ai "Cardinali dell'Inquisizione" del 9 luglio 1567 ed un dispaccio del residente fiorentino a Roma del 21 sett. 1567 sull'autodafé per la condanna dello stesso Carnasecchi (p. 419) . ...".

 

Restando a Sua disposizione le porgiamo distinti saluti.

Società Storica Lombarda

 

Avete la possibilita' di dirmi dove e' conservato questo libro d'ore ( e a chi posso rivolgermi per saperne di piu' )

cosa vuol dire N.464 ?

cosa vuol dire Porro 330 ?

cosa vuol dire Santoro P90 n.150 ?

Questo libro potrebbe essere un pezzo assai interessante e pochissimo conosciuto !

 

siamo lieti di poterle essere utili, il manoscritto dovrebbe essere conservato presso la biblioteca Trivulziana alla quale consigliamo di rivolgersi. (02.884.63690 / 02.884.63696 Fax 02.884.63698 e-mail: ASCB.Trivulziana@comune.milano.it)

Per "Libro d'ore" si intende un manoscritto di preghiere per la meditazione individuale, il n. 464 dovrebbe corrispondere al numero di inventario della Trivulziana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Una testa di Baccio Bandinelli

 

Nei tempi ne' quali fiorirono in Fiorenza l'arti del disegno pe' favori et aiuti del Magnifico Lorenzo Vecchio de' Medici, fu nella città un orefice chiamato Michelagnolo di Viviano da Gaiuole, il quale lavorò eccellentemente di cesello, d'incavo, per ismalti e per niello et era pratico in ogni sorte di grosserie. Costui era molto intendente di gioie e benissimo le legava, e per la sua universalità e virtù a lui facevano capo tutti i maestri forestieri dell'arte sua et egli dava loro ricapito, sì come a' giovani ancora della città, di maniera che la sua bottega era tenuta et era la prima di Fiorenza. Da costui si forniva il Magnifico Lorenzo e tutta la casa de' Medici, et a Giuliano fratello del Magnifico Lorenzo, per la giostra che fece su la piazza di Santa Croce, lavorò tutti gl'ornamenti delle celate e cimieri et imprese con sottil magisterio; onde acquistò gran nome e molta famigliarità co' figliuoli del Magnifico Lorenzo, a' quali fu poi sempre molto cara l'opera sua et a lui utile la conoscenza loro e l'amistà, per la quale e per molti lavori ancora fatti da lui per tutta la città e dominio egli divenne benestante, non meno che riputato da molto nell'arte sua. A questo Michelagnolo, nella partita loro di Firenze l'anno 1494, lasciorno i Medici molti argenti e dorerie e tutto fu da lui segretissimamente tenuto e fedelmente salvato fino al ritorno loro, da' quali fu molto lodato dappoi della fede sua e ristorato con premio. Nacque a Michelagnolo l'anno 1487 un figliuolo, il quale egli chiamò Bartolomeo, ma di poi, secondo la consuetudine di Firenze, fu da tutti chiamato Baccio.

Desiderando Michelagnolo di lasciare il figliuolo erede dell'arte e dell'avviamento suo, lo tirò appresso di sé in bottega in compagnia d'altri giovani, i quali imparavano a disegnare, perciò che in que' tempi così usavano e non era tenuto buono orefice chi non era buon disegnatore e che non lavorasse bene di rilievo. Baccio, addunque, ne' suo' primi anni attese al disegno, secondo che gli mostrava il padre, non meno giovandogli a profittare la concorrenza degli altri giovani, tra' quali s'addomesticò molto con uno chiamato il Piloto, che riuscì di poi valente orefice e seco andava spesso per le chiese disegnando le cose de' buoni pittori, ma col disegno mescolava il rilievo, contrafacendo in cera alcune cose di Donato e del Verrocchio, et alcuni lavori fece di terra di tondo rilievo. Essendo ancora Baccio nell'età fanciullesca, si riparava alcuna volta nella bottega di Girolamo del Buda, pittore ordinario su la piazza di San Pulinari, dove essendo un verno venuta gran copia di neve e di poi dalla gente ammontata su detta piazza, Girolamo rivolto a Baccio gli disse per ischerzo: "Baccio, se questa neve fussi marmo, non se ne caverebbe egli un bel gigante come Marforio a giacere?" "Caverebbesi", rispose Baccio, "et io voglio che noi facciamo come se fusse marmo." E posata prestamente la cappa, messe nella neve le mani e da altri fanciulli aiutato, scemando la neve dove era troppa et altrove aggiugnendo, fece una bozza d'un Marforio di braccia otto a giacere, di che il pittore et ognuno restorono maravigliati, non tanto di ciò che egli avesse fatto, quanto dell'animo che egli ebbe di mettersi a sì gran lavoro così piccolo e fanciullo. Et invero Baccio avendo più amore alla scultura che alle cose dell'orefice, ne mostrò molti disegni, et andato a Pinzirimonte, villa comperata da suo padre, si faceva stare spesso innanzi i lavoratori ignudi e gli ritraeva con grande affetto, il medesimo facendo degli altri bestiami del podere. In questo tempo continovò molti giorni d'andare la mattina a Prato vicino alla sua villa, dove stava tutto il giorno a disegnare nella cappella della pieve, opere di fra' Filippo Lippi, e non restò fino a tanto che e' l'ebbe disegnata tutta ne' panni immitando quel maestro in ciò raro; e già maneggiava destramente lo stile e la penna e la matita rossa e nera, la quale è una pietra dolce che viene de' monti di Francia, e segatele le punte conduce i disegni con molta finezza. Per queste cose, vedendo Michelagnolo l'animo e la voglia del figliuolo, mutò ancora egli con lui pensiero, et insieme consigliato dagli amici lo pose sotto la custodia di Giovanfrancesco Rustici, scultore de' migliori della città dove ancora di continovo praticava Lionardo da Vinci. Costui, veduti i disegni di Baccio e piaciutigli, lo confortò a seguitare et a prendere a lavorare di rilievo e gli lodò. grandemente l'opere di Donato, dicendogli che egli facesse qualche cosa di marmo, come o teste o di basso rilievo. Inanimito Baccio da' conforti di Lionardo, si messe a contraffar di marmo una testa antica d'una femmina, la quale aveva formata in un modello da una che è in casa Medici, e per la prima opera, la fece assai lodevolmente e fu tenuta cara da Andrea Carnesecchi, al quale il padre di Baccio la donò et egli la pose in casa sua nella via Larga, sopra la porta nel mezzo del cortile che va nel giardino. Ma Baccio seguitando di fare altri modegli di figure tonde di terra, il padre volendo non mancare allo studio onesto del figliuolo, fatti venire da Carrara alcuni pezzi di marmo, gli fece murare in Pinti nel fine della sua casa, una stanza con lumi accomodati da lavorare, la quale rispondeva in via Fiesolana, et egli si diede ad abbozzare in que' marmi figure diverse, e ne tirò innanzi una fra l'altre in un marmo di braccia dua e mezzo, che fu un Ercole che si tiene sotto fra le gambe un Cacco morto; queste bozze restorono nel medesimo luogo per memoria di lui.

In questo tempo essendosi scoperto il cartone di Michelagnolo Buonarroti, pieno di figure ignude, il quale Michelagnolo aveva fatto a Piero Soderini per la sala del Consiglio grande, concorsono, come s'è detto altrove, tutti gli artefici a disegnarlo per la sua eccellenza. Tra questi venne ancora Baccio e non andò molto che egli trapassò a tutti innanzi, perciò che egli dintornava, et ombrava, e finiva, e gl'ignudi intendeva meglio che alcuno degli altri disegnatori: tra' quali era Iacopo Sansovino, Andrea del Sarto, il Rosso ancor che giovane et Alfonso Barughetta spagnolo, insieme con molti altri lodati artefici. Frequentando più che tutti gli altri il luogo Baccio et avendone la chiave contraffatta, accadde in questo tempo che Piero Soderini fu deposto dal governo l'anno 1512 e rimessa in stato la casa de' Medici. Nel tumulto addunque del palazzo per la rinnovazione dello stato, Baccio da sé solo segretamente stracciò il cartone in molti pezzi; di che non si sapendo la causa, alcuni dicevano che Baccio l'aveva stracciato per avere appresso di sé qualche pezzo del cartone a suo modo: alcuni giudicarono che egli volesse tòrre a' giovani quella commodità perché non avessino a profittare e farsi noti nell'arte; alcuni dicevano che a far questo lo mosse l'affezzione di Lionardo da Vinci, al quale il cartone del Buonarroto aveva tolto molta riputazione; alcuni, forse meglio interpretando, ne davano la causa all'odio che egli portava a Michelagnolo, sì come poi fece vedere in tutta la vita sua. Fu la perdita del cartone alla città non piccola et il carico di Baccio grandissimo, il quale meritamente gli fu dato da ciascuno e d'invidioso e di maligno. Fece poi alcuni pezzi di cartoni di biacca e carbone, tra' quali uno ne condusse molto bello d'una Cleopatra ignuda, e lo donò al Piloto orefice.

 

 

 

 

 

 

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  ing. Pierluigi Carnesecchi La Spezia anno 2003