La Stamperia di Bagno a Ripoli

Del dr. Paolo Piccardi

 

 

 

 

L' invenzione della stampa a caratteri mobili viene considerata un evento rivoluzionario, paragonabile a quella della ruota, per l'impatto che provocò nel progresso dell' umanita. Se, infatti. la ruota serviva per trasportare le cose, la stampa favoriva la circolazione del sapere.

La riproduzione di testi scritti aveva raggiunto, nel XV secolo, proporzioni importanti, rivolgendosi non solo alla classe colta, rappresentata dagli eruditi e dai facoltosi amanti di testi riccamente legati e miniati. Molte persone avevano scoperto il piacere della lettura, non necessariamenti di testi filosofici o di carattere religioso, ma, anzi, di quella che potrebbe essere denominata "amena lettura"; quindi il numero di richieste di libri cresceva costantemente

Dopo la prima applicazione, a Magonza, dell' invenzione della stampa a caratteri mobili, questa forma di riproduzione si espanse molto rapidamente in Europa, anche a Firenze, dove fece la sua comparsa fra il 1471 e il 1472 (Le Opere di Virgilio con commento di Senio, stampato da Bernardo Cennini e Domenico, suo figlio).

Anche se i libri a stampa furono, almeno inizialmente, rifiutati dalla classe colta, che continuava a preferire libri ben scritti, ma, soprattutto, riccamente miniati, la differenza di prezzo fra un libro a stampa e uno manoscritto, di 1 a 10, portò a un rapido declino delle commesse ai "cartolai", tanto che il piu' celebre di costoro, Vespasiano da Bisticci, nel 1479 decise di cedere la sua attività posta nella attuale via del Proconsolo al 14r, dove ancora oggi si puo' ammirare il bel portale sormontato da un libro scolpito in pietra. Forse la decisione di abbandonare l' attivita' e di ritirarsi all' Antella a scrivere i suoi ricordi fu accelerata anche dal fatto che la città, proprio in quel periodo, fu investita da una violenta pestilenza, che forse fu anche la causa della morte del nostro copista Francesco di Paolo Piccardi.

Le Monache Domenicane di S. Iacopo di Bagno a Ripoli avevano raggiunto punte di assoluta eccellenza nella pratica della scrittura e della miniatura. Come vedremo, a questa attività manuale si affiancò un laboratorio per la stampa dei libri, dopo che il Monastero fu trasferito a Firenze..

Il maggior numero di informazioni sull’ attività della Stamperia lo dobbiamo a Padre Vincenzio Fineschi, domenicano archivista di Santa Maria Novella, il quale pubblicò il frutto delle sue ricerche nel 1781 ( nota 1 )

Lo spunto gli derivò dal rinvenimento, nell' archivio di sua cura, di un libretto di 130 pagine, ricoperto da cartapecora, contenente la "brutta copia" degli atti relativi alla Stamperia dall'anno 1476. Padre Fineschi lo esaminò e fu spinto ad ulteriori ricerche archivistiche per delineare la storia sia del Monastero femminile, che della Stamperia annessa.

Nella sua descrizione delle vicende che portarono alla creazione del Monastero delle monache di S. Iacopo di Ripoli, Padre Fineschi si avvalse delle ricerche svolte dai suoi predecessori Domenicani e dal Gesuita Giuseppe Richa e pubblicate un quarto di secolo prima (nota 2 ) .

Dalle fonti citate dal Richa, apprendiamo che S. Domenico, ottenuta l' approvazione del suo Odine da Papa Innocenzo III, al tempo del Concilio Lateranense del 1213, si preoccupo' di combattere i movimenti eretici inviando i suoi religiosi in diversi luoghi, fra i quali Firenze, dove trovarono una prima accoglienza nel Conventino di S. Iacopo a Ripoli, fuori della città, sulla via di Arezzo.

Questo Conventino era stato edificato da Diomiticidiede di Buonaguida del Mercatante, forse della casata dei Lamberti, e donato a Giovanni da Velletri, Vescovo di Firenze, nel 1214, con atto rogato da Ser Restauro Giudice che così viene riportato nei suoi passi più significativi: "1214, pridie nonas Maii Diomiticidiede fil. olim Bonaguide hoc donationis instrumentum fecit etc. pro Dei timore et anime mee et parentum meorum remedio, dono Domino Domino Ioanni divina gratia Flor. Episcopo Ecclesiam B. Iacobi Apostoli in infrascripto predio fundatam et eius Rectoribus Deo ibidem servientubis in perpetuo, videlicet una, petiam terre positam in plano de Ripoli: a prmo latere est ei strata, a 2. Filiorum Arrighetti Saccoli, a 3. Ecclesie SS. Trinitatis a 4. Mainetti Mainardi. Ego Diomiticidiede Bonaguide, et Domina Orrabile eius Uxor. Rainerius Tolomei testis. Brunus olim Bruni Ind. Ego Restaurus Iudex et Tabellarius etc." ( nota 3 ) Quella riportata è la trascrizione fatta dal Canonico Biscioni, perchè il Richa non riuscì a rintracciare l' atto originale.

I Domenicani non si trattennero a lungo nel Conventino, sia per il rapido aumento del loro numero, sia perchè richiamati ad operare nella città, data la gran fama del B. Giovanni da Salerno, primo Priore mandato da S. Domenico a Firenze. Il Vescovo provvide ad ospitarli, inizialmente, presso la Chiesa e l' ospedale di San Pancrazio, fino al trasferimento, nel 1221, in Santa Maria Novella.

La temporanea permanenza in San Pancrazio è documentata da un libro in cartapecora segnato L.C.I. e conservato in Santa Maria Novella, che contiene un documento che recita: "Anno 1216. Fr. Guidus Conversus fuit receptus ad Ordinem a B. Dominico, et ab eo indutus in Hospitalis S. Pancratii, quia Fratres non habentes adhuc locum proprium, in dicto Hospitali se receptabant". ( nota 4 )

Assecondando i desideri del Santo fondatore, il B. Giovanni da Salerno decise di fondare un "Monastero di buone Donne che vivessero collegialmente coll' abito dellì Ordine, detto della Penitenza" ( nota 5 ) Ottenuto il consenso del Vescovo, nel 1224, introdusse nella stessa struttura provvisoria alcune donne di nobile lignaggio, alle quali fu assegnata la regola di S. Agostino e le costituzioni dell' ordine Domenicano. La severità della regola indusse a denominare tali monache "le Rinchiuse" o "le Romite di Ripoli" ( nota 6 ) e spinse molte nobili famiglie a chiedere che vi fossero ospitate loro appartenenti.

Non sappiamo se il Conventino venisse abbandonato da tutti i Domenicani, ma sappiamo per certo che rimase di proprietà del Vescovo Giovanni, il quale, nel 1229, provvide a trasferirvi le donne, che avevano deciso di ritirarsi presso il Convento di Santa Maria Novella e che erano diventate troppo numerose per convivere con i Padri Domenicani.

Lo strumento relativo fu rintraciato dal Richa presso il Convento delle Monache di San Domenico e così dettaglia non solo la cessione, ma anche le prerogative del Monastero di S. Iacopo di Ripoli: "1229 Ioannes Ep. Flor. ... Dilecta in Cr.o Soror Abbatissa. Tua et Sororum clara merita Nos inducunt, ut in quantum in Deo possumus, vestre studeamus providere quieti, et cum habeatis firmum propositum famulandi Altissimo Creatori,, in cuius servitio cepistis iam fideliter ac provide militare etc. Et ideo vos Omnes, quas in Domino sincera diligimus caritate, vestrasque successores et Monasterium, seu reclusorium sub nostra et B. Io.is Bapt. custodia, protectione ac defensione suscipimus. Hoc videlicet intellecto, ut propter huiusmodi susceptionem quam facimus, nullos redditus, prestationes, vel obventiones aliquas Nobis, aut Flor. Episcopatui, neque Successoribus nostris teneamini prestare, aut reddere debeatis, nec etiam Nos vel Nostri Successores, aut alius pro Nobis pro Flor. Episcopatu a Vobis et Monasterio vestro aliquid de predictis petere vel exigere valeamus. Sed volumus ut Nos et Nostri Successores de Vobis curam perpetuam et dignam sollecitudinem habeamus. Ut si quisque malignus presumeres forsitam vestrum laudabile propositum impedire ... ut decet correcturus ipsius malignitatis excessum. Ad maiorem quidem evidentiam, et cautelam vestram de Fratrum nostrorum consilio et assensu, damus Vobis et vestris Successoribus in perpetuum quidquid ius nobis et Episcopatui fuerat acquisitum ex donatione, et concessione, quam olim Diomiticidiede Nobis recipientibus pro Ecclesia S. Iacobi construenda, et pro personis in eadem Ecclesia moraturis, fecit de quodam petio terre, in quo fuerat postmodum fundata Ecclesia supradicta, de qua donatione fuit confectum publicum instrumentum manu Ser Restauri Iud. et Not. et manu Bruni Iudicis Ordinarii fuit subscriptum. Statuimus preterea de ipsorum Fratrum nostrorum consensu, et nostro decreto perpetuo valituro sancimus et volumus, ut tam Vos quam vestri successores ulterius habeatis plenissimam libertatem. Ac Vos et vestrum Monasterium nuper constructum in quo Deo Creatori servitis, absolvimus, eximimus et liberamus ab omni onere prestationum, reddituum et servitiorum, si que Nobis et Episcopatui Flor. prestare aut facere debeatis. Inhibemus quoque universe nostre Diec. et Disctricti sub excomunicationis per per presentia scriptam quatenus nos et Monasterium Vestrum nullus audeat molestare, vel aliquam Vobis perturbationem inferre, sed libere maneatis. Salva tamen semper correctione Episcopi et Ecclesie Flor. reverentia. Datum Flor. An. MCCXXIX.

Ego Ioannes Ep. Flor Ego Opetinus Can. Flor..

Ego Clarus Prop. Flor Ego Presbyter Pax Can. Fl.

Ego Mag. Boninsegna Florens. Archid. Ego Mugnarius Fl. Can.

Ego Herrigus Can. Flor. et Plebanus de Sexto Ego Presbyter Orlandus Flor. Can.

Ego Gentilis Can. Flor. Ego Ugolinus Flor. Can. (nota 7 )

Numerosi sono i rogiti notarili nei quali appare il Monastero femminile di S. Iacopo di Ripoli, sia come percettore di lasciti estamentari, che come protagonista di contratti. Presso l’ Archivio di Stato di Firenze ho rinvenuto lo stralcio di un contratto del Marzo 1271: "Actu Florentiae . D. Iacoba Prioressa D. Monasterii S. Jacobi de Ripoli Ordinis Fratrum Predicatorum dixit quod hodie Pratese de Prato, et Gaccia de Adimaribus venerunt cum Isabetta voc. betta fil. Chiari Arrighetti pop. S Stephan. ad Pontem, et cum d.a D.na Prioressa vellet recipere da Isabetta ipsi ceperunt eandem, et possuerunt sup. unum equu et Ego Rainierii fil. q. Baldesi". (nota 8 )

Padre Fineschi riporta stralci di un contratto del 1274 per l'acquisto, da parte del monastero, di alcuni pezzi di terreno nel popolo di San Marcellino nel Piviere di Ripoli: "Actavianus Bonfilioli di Ripule S. Felicis in Piazza vendit Presbitero Iacobo Cappellano Ecclesiae S. Iacobi de Ripolis pro Monasterio dominarum Priorisse reclusarum".

Anche dopo il trasferimento a Bagno a Ripoli, il numero delle religiose continuò a crescere. Purtroppo, in breve tempo, il luogo prescelto si dimostrò troppo isolato, e quindi pericoloso e sconveniente per un convento di monache, tanto che i responsabili del Monastero e alcuni magnati fiorentini rivolsero una petizione a Bonifacio VIII per ottenere il permesso di ricondurle dentro le mura cittadine. Ottenuto il permesso, si iniziò la construzione del nuovo Monastero in località "Pantano", nell' angolo della città adiacente lo Spedale della Scala, edificato da Cione Pollini a imitazione di quello di Siena, da cui prese nome anche la via antistante. Si trattava di terreni rientrati in possesso del Vescovo di Firenze dopo l'estinzione di un convento di frati Agostiniani, che vi avevano vigne e campi coltivati.

Nell' attesa che il nuovo Monastero fosse pronto, le monache vennero provvisoriamente ospitate

nelle case di M. Consiglio de' Cerchi dove giunsero il 20 Settembre 1292. E' del 1293 una carta che attesta il pagamento di fiorini 150 d'oro a Giovanni e Giuseppe di Consiglio de' Cerchi, a conto del loro credito nei confronti del Monatero di Ripoli ( nota 9 )

Non è chiaro se tutte le suore abbandonassero il convento di Ripoli o se alcune vi rimanessero. Il Richa riferisce di un atto, stilato in prossimità del trasferimento, con il quale viene deciso di dividere in due parti eguali i beni del Monastero, cosa che, se vera, porterebbe far pensare che una parte delle monache si trasferì a Firenze, portandosi in dote metà dei beni del convento, dove rimasero le altre consorelle. Questo giustificherebbe anche il mantenimento del nome, altrimenti, non si capisce quale poteva esserne la motivazione. P. Fineschi non lo chiarisce, mentre il Richa afferma solo che le monache "vollero che si chiamasse S. Iacopo di Ripoli" ( nota 10 )

Richa non riporta il testo dell' atto, né l'archivio in cui era conservato, ma afferma che venne stilato su commissione di Fra Stefano Bisanzone, Maestro generale dell' Ordine de' Predicatori, con il consenso del Vescovo di Firenze Andrea de' Mozzi e trascrive quanto segue: "Ser Andreas fil. Filippi de Sapitis Not. Actum apud Monasterium S. Iacobi de Ripolis Flor. 1292. 6. Kal. Septembris, testibus D. Octavante de Rigalettis, D. Adimari de Cavalcantibus, D. Gherardo de Vicedominis, D. Ioanne de Macchiavellis, D. Fratre Ruggerio de Minerbettis, et Tinchio Ridolfi, presentibus D. Sorore Iacoba de Adimaribus Abbatissa, et Monialibus dicti Monasterii S. Iacobi de Ripolis"

Il occasione deil trasferimento a Firenze, le Monache recarono anche un Crocifisso di Cimabue che si trovava nel Monastero di Pian di Ripoli e che fu riposto nella Cappella della Clausura, a cui si accedeva percorrendo i pochi scalini della cosidetta Scala Santa. L' esposizione al pubblico avveniva solo ogni dieci anni, con celebrazione solenne.

Nel 1295 le Monache decisero di acquistare alcuni terreni contigui al luogo dove si stava costruendo il loro futuro convento. Il Richa riporta il racconto di Padre Fontana: "Vicino al loro Monastero eravi un Convento di Frati dell' Ordine della Penitenza di Gesù Cristo, che si chiamavano i Frati del Sacco, o Saccati, e professavano la Regola di Sant' Agostino, quale Ordine fu di lì a pochi anni distrutto. Le Monache a i 4. di Agosto del 1295. col beneplacito Apostolico, ad istanza di Fra Giovanni Provinciale Romano, comprarono da Andrea Vescovo di Firenze il Convento, e la chiesa de i detti Frati, che si chiamava di Santo Egidio di Santa Maria Nuova, trasferiti que' Frati, ed avendo avuto tanto luogo di più, le Monache proseguirono la fabbrica del Monastero con somma magnificenza, talmente che il Convento in pochi anni coll' assistenza di Fra Pasquale dell' Ancisa divenne il maggior Monastero di tutti gli altri, onde poco dopo arrivarono a vestire tante Suore, che passavano il numero di cento, e vi fioriva una grande osservanza".

In realtà le cose non andarono così e Leopoldo del Migliore riuscì a ricostruire interamente la vicende dei beni dell' estinto Convento dei Sacconi, i quali erano proprietari del convento vero e proprio, dove poi sorse l' spedale di Santa Maria Nuova, e di alcune vigne nella località Pantano sopra accennata. ( nota 11 )

I terreni di Bagno a Ripoli (la metà spettante alle suore emigrate a Firenze?) vennero progressivamente venduti o ceduti in permuta con altri adiacenti al convento, come avvenne nel 1299, quando vennero permutati "alcuni pezzi di terra tra Maso, Giotto e Andrea di Arnoldo Peruzzi e Cambio di Domenico per il Monastero di S. Iacopo di Ripoli posti nel Popolo di Santa Lucia d' Ognissanti, con altre terre poste in loco dicto Ripule" ( nota 12 ).

Nell' Aprile del 1301 una uleriore permuta di terreno coinvolse terreni in Piano di Ripoli e vide protagonisti: " Bandino Orlandini, Lapo Guidalotti testis, Maso Peruzzi, D.nus Filippus Peruzzi, Ioannes Raugi, Socii de Societate Peruzzorum et D.na Lena licet immerita Priorissa Dominarum Monialum et Sororum Monasterii S. Iacobi de Ripolis de prope Florentia, et Ordinis Fratrum Predicatorum, et de consensu Sororum Monialum dicti Monasteri et Capituli". ( nota 13 ) Questo atto fu rogato da Ser Marsuppino q. Becco di Signa ( nota 14 ) .

Come precedentemente accennato, le suore si dedicavano anche alla scrittura e alla miniatura di libri. E' del 1460 un codice miniato, conservato alla Laurenziana, che inizia: "Incomincia il devoto libro chiamato Specchio di Croce facto, et compilato per Venerabil Religioso in Christo Iesu Rev. Padre frate Domenico Cavalca da Vico Pisano dell' Ordine de' Frati Predicatori, scripto per me indegna serva, et schiava di Iesu Christo, suor Angelica del detto Odine" ( nota 15 ). Altre suore si distinsero nell' arte della miniatura e della bella calligrafia, quali Suor Angelica de' Rucellai, che così firmò un bellissimo codice contenente anche notazioni musicali per il canto: "Ego Soror Angela indigna Serva Domini Nostri Iesu Christi scripsi manu propria hoc collectarium. Deus sit laudatus. O. pro me de precatus" ( nota 16 ) .

L’ arte della stampa fu portata nel Monastero di S. Iacopo di Ripoli da Fra’ Domenico da Pistoia e da Fra’ Piero di Salvatore da Pisa, i quali furono nominati, nel 1474, provveditori del Monastero e presero alloggio in una casa contigua., che serviva per l' alloggio del confessore, del Vicario e degli altri religiosi che avevano il compito di attendere agli affari temporali ( nota 17 ). Attorno a questo edificio, progressivamente, costruirono altri ambienti, che avrebbero ospitato la Stamperia vera e propria.

Non sappiamo dove e come F. Domenico da Pistoia apprese i segreti della stampa, ma sappiamo che, prima di giungere a Firenze, soggiornò a Roma, Napoli, Venezia, Milano e Bologna, dove probabilmente entrò in contatto con chi già esercitava tale attività ( nota 18 ).

Il libretto rinvenuto da Padre Fineschi ha due inizi, uno al principio e uno alla fine. La prima registrazione è del 14 Novembre 1476 con l’ annotazione della consegna di 400 grammatiche di Donato a Domenico Cartolario, mentre l’ altro inizio, capovolgendo il libretto, è dell’ 11 Gennaio 1477 e così recita: "Noi Frate Domenico Vicario di Ripoli di Firenze e Frate Pietro mio Compagno abbiamo facto Compagnia con Bartolo cartolaio e Compagni affare libri" e aggiunge "in questo quaderno farò ricordo di ciò, che faremo de’ libri, quanto lavoreremo, dove manderemo il lavoro, il perché, e per cui, e così e denari aremo dalla Compagnia" ( nota 19 )

La stamperia era dotata di vari reparti, che si occupavano, rispettivamente, di tutte le fasi di composizione dei libri, compresa la fusione dei caratteri da stampa, che avveniva nella cosidetta "getteria", dove lavorò anche l’ orafo Benvenuto di Chimenti, per il quale esistono mandati di pagamento per un totale di 110 lire, per la composizione di tre alfabeti, due di carattere antico e l’ altro moderno. Per la "getteria" venivano acquistati vari metalli, fra i quali il rame, che serviva per fare le "madri" delle lettere, ossia quei piccoli pezzi, nell’ estermità dei quali vi è un’ intaccatura, per fare i segni di punteggiatura e di abbreviazione. Poiché la scultura del rame richiedeva punzoni di acciaio, anche di questo metallo troviamo registrazioni di acquisti, così come di piombo, di stagno, e di "marcassita", un additivo della lega, che veniva acquistato prezzo la Spezieria di S. Marco. Venne acquistata una tavola di marmo, che serviva per tenere in squadra i caratteri come uscivano dalla fusione, per essere rinettati accuratamente. Si compravano anche strumenti di lavoro, fra i quali un trapano "fatto a guisa di succhiello", e una "gallinella", che serviva per tenere fermo il punzone durante il lavoro. C’ è l’acquisto, ovviamente, del "fornello" per la fusione e la "Tafaria", ossia un vaso di legno dove venivano riposte le lettere.

Il susseguirsi di acquisti di "torcoli" testimonia la crescente richiesta di libri a stampa, così come vengono riportati numerosi acquisti di telati di ferro, dove venivano allineati i caratteri, di viti per stringerli, di pali di ferro, di strettoi e così via.

Interessanti anche gli acquisti di colori e materie prime accessorie, quali l’ azzurro, il cinabro, la lacca, la trementina, la gomma, la pece nera, la ragia, l’ olio di lino, nonché vernici già pronte per l’uso.

E’ evidente che il consumo di carta era notevole, e svariati erano i cartolai fornitori, quali Bernardo di Gristofano, che aveva la bottega dirimpetto alla Camera del Comune, Tuccio, Bartolomeo Ponticini, Nicola di Lorenzo, Andrea di Zanobi, Felice miniatore e cartolaio, Agnolo Zipoli, con tutti con bottega localizzata da P. Fineschi "nella via del Garbo, che unisce a quella della Condotta per i Magazzini, ove si conservano le mercanzie, per spedirsi a Bologna ed altrove, e forse è chiamata così per i muli, che quivi si ripongono, e si dicono di condotta; onde si vede che dal 1476 questa via era piena di negozi per lo smercio de’ libri. La via del Garbo si vuole che essa debba il suo nome da Gerbes, città della Francia, nella quale si lavoravano i panni di lana. In questa via per altro vi erano le Case della Famiglia del Garbo, come dall’ Armi ancor oggi si rileva: a questo proposito parrebbe opportuno il riferire, che siccome questa strada unisce al luogo detto S. Martino del Vescovo, nel quale vi era un Convento di Lanaioli, che lavoravano i panni più ordinari, ne nacque un proverbio, allorchè volevasi far credere essere uno poco buono ad operare, dicevasi: tu non hai né garbo, né San Martino"

La carta più comunemente usata era quella del Colle, che veniva pagata lire 2.6 la risma. La carta di Prato costava lire 2.10. La carta di Fabriano (la migliore era quella col segno del Balestro) era venduta da Andrea cartolaio e costava 3 lire. C’era poi la carta all’ uso Bolognese, di due tipi, uno di qualità inferiore che costava lire 3.10 e l’altro, di qualità superiore, che costava lire 6.8 la risma.

Ser Piero Pacini Pesciatino vendeva carta prodotta a Pescia, di varie qualità, dette "degli occhiali", "del guanto", "col segno della croce".

 

Agli inizi del 1477 si stampò la "Vita di S. Caterina", composta da Raimondo da Capua, opera che risultò richiestissima. Per averne alcune copie, Fra’ Girolamo Mamellini, Domenicano bolognese, dette mandato alla Banca de’ Pazzi di sborsare a Fra’ Domenico da Pistoia 4 fiorini d’oro. Il fiorino fu valutato lire 5.4.3.. Questo libro veniva venduto, sciolto, a lire 2.10, ma per chi lo voleva più ricco, con le iniziali decorate, a imitazione dei manoscritti, il prezzo saliva a lire 3, ossia più di mezzo fiorino largo d’oro.

A Fiernze vi erano altri stampatori, venuti da poco dalla Germania, fra i quali Niccolò di Lorenzo Alemanno, che verrà detto, in seguito, "della Magna", il quale stampò molti libri, e un tal Giovanni Tedesco, che fornì al nostro Fra’ Domenico le matrici delle lettere gotiche, come appare dalla registrazione del 23 Aprile 1477: "dato uno ducato a Giovanni Tedesco, el quale ci vendè le Madri della lettera antica colle maiuscole, e sue breviature per prezzo di dieci fiorini d’oro larghi".

Segue questa registrazione: "Nota che sotto di 15 Maggio 1477 principiammo la compagnia con Giovanni Tedesco all’ arte di formare i libri, con patto, e in forma, e modo, come si contiene in ogni foglio scripto per le mani di Cassino d’accordo tra noi, e lui; e quest’ è che noi, e lui stiamo alla perdita, e al guadagno pel terzo, e le masserizie nostre al partire rimarranno a noi, e le sue a lui, e non c’è obbligo ad aiutarlo, ma per nostra umanità, se noi l’aiuteremo insin che non si tocca danari, e scriveremelo debitore".

Durante il periodo di vita della società col Tedesco, Particino cartolaio fece stampare 400 "Libri da Compagnia", i quali, miniati e legati, si vendevano a lire 4 e soldi 10.

Si stamparono anche molti sonetti e altre cose minute, ma la società durò poco, e già nell’ Agosto 1477 fu sciolta e il guadagno ripartito.

Nei successivi mesi del 1477 furono stampate, per Zanobi di Mariano cartolaio, su carta fornita da lui, 100 copie delle "Confessionale di S. Antonino", per un totale di lire 110, nonché molte copie delle "Regole Grammaticali" di Gio.Battista Guerrino, richiestissimo da tutte le botteghe di cartolai di Firenze, nonché da Messer Antonio de’ Nerli, che ne spedì molte copie fuori Firenze.

Sul finire del 1477 fu stampata "L’ Arte del ben morire" del Cardinal da Fermo in due edizioni, una in latino e l’ altra in volgare, ristampate in seguito più volte.

 

Nel 1478 Fra’ Domenico da Pistoia si ammalò gravemente e fu chiamato ad assisterlo Maestro Dino di Francesco "medico accreditato". Le cure risultarono efficaci ed il medico fu ricompensato non solo con un fiorino largo d’ oro, ma anche con una "Leggenda di Santa Caterina da Siena", un Quinto Curzio "Omnis moralia cura", l’ "Arte del ben morire" e un "Libro di Compagnia". Nel registro si annota che il medico ne rimase contentissimo.

Nella stesso anno il libretto annota la stampa di nuovi titoli:

l’ "Etica" di Aristotele col commento di Donato Acciaioli, celebre latinista e fidatissimo amico di Vespasiano da Bisticci.

Le "Vite de’ Papi, e Imperatori" di Francesco Petrarca, che termina "apud Sanctum Iacobum de Ripoli".

"Storia di Alesandro Magno" di Quinto Curzio, tradotta da Piero Candido, che termina: "impressum Florentiae apud Sanctum Iacobus de Ripoli 1478".

"De coniuratione Catilinae" di Crispo Sallustio, che termina "impressum Florentiae apud Sanctum Iacobus de Ripoli 1478".

"Liber illustrium Virorum" di Plinio il Giovane, che termina "impressum Florentiae apud Sanctum Iacobus de Ripoli 1478".

"Memotrettus, idest expositiones, et correptiones Vocabulorum libri tunc Bibliae ec."

"De claris Gramaticis" di Caio Svetonio Tranquillo.

Il bilancio del 1478 fu particolarmente positivo, tanto da consentire l’ acquisto di alcuni terreni adiacenti la stamperia, per il suo ampliamento, nonché l’ investimento di 140 fiorini per l’ acquisto di un mulino a Brozzi.

Nel 1479 furono stampati "I Sermoni" di S. Giovanni Crisostomo, due edizioni dei "Salmi penitenziali", l’ "Interrogatorio" di S. Antonino e la "Logica" di S. Agostino tradotta ad istanza di Bonifazio di Francesco Peruzzi, il relativo contratto del quale viene integralmente riportato nel libretto, come segue:

"Ricordo come questo dì 14 Dicembre 1479, come Frate Domenico di Daniello, e Bonifazio di Francesco di Berto Peruzzi sono restati d’accordo in questa forma, cioè, che detto Frate Domenico gl’ impronti, e getti dugento libri della Logica di S. Agostino, che sia l’ uno 23 o 24 carte ad octavo foglio reale, cioè in forma di quarto foglio comune, à da avere di suo improntare per tutto lire 10, e detto Bonifazio gli à a dare i fogli, e pagare detta spesa di lire 10, quando decto Frate Domenico gli consegnerà detti libri 200, et obbligasi decto Frate Domenico di non gettare più numero di decti libri sotto la pena di decto costo, et in fede di quanto di sopra è scripto, l’ uno, e l’ altro si soscriveranno qui da pie’ di loro propria mano, et io Bartolomeo di Giampiero Fontio a preghiera di decte parti ho facto, et scripto il presente ricordo".

Ser Bartolomeo Fonzio era un umanista, menzionato anche da Giovanni Lami nell’ opera "Deliciae Eruditorum". Nella stamperia svolgeva il compito di "correttore".

Nel 1480 la stamperia produsse i "Salmisti" in foglio, per comodo del Coro degli Ecclesiastici, Evangelistari ed Epistolari, Salteri per piccoli fanciulli, nonché altre cose per i saltimbanchi, i "Lamenti di Otranto", e, infine, il "Libro delle Selve" di Stazio Papinio, tradotto da Ser Bartolomeo Fonzio per il quale fu stilato il seguente accordo: "Ricordo come questo dì 19 Settembre 1480 come Fra’ Domenico da Pistoia si è obbligato a gettare cento libri delle Selve di Stazio a foglio, che fanno carte da 50 a 60 per pregio in tucto di fiorini quattro larghi, quali libri debba aver gettati per tutto il dì 8 di Novembre prossimo a Bartolomeo di Gio. Piero Fontio, o chi nominassi, e decto Bartolomeo sia tenuta a dargli i fogli, e pagargli li decti fiorini 4 larghi il dì, che saranno facti, e che arà ricevuto decti libri, et a fede del vero io Bartolomeo sopradetto ho facto questo ricordo di mia propria mano, il quale detta Fra’ Domenico si soscriverà esser contento di sua mano".

Nel 1481 vennero stampati "Il Lamento di Pisa", il "Morgante", alla composizione del quale partecipò anche Suor Marietta "di casa", ossia del Convento di Ripoli, che fu compensata con 3 fiorini. Sempre nel 1481 vennero stampati i "Consulti sopra la Peste", che Marsilio Ficino scrisse su richiesta di Lorenzo il Magnifico.

Sono attribuibili all’ attività del 1482 i "Libri dell’ Uffizio della Beata Vergine" e "Le Bellezze di Firenze", attribuito ad Antonio Pucci, una copia del quale è conservata presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Seguì la ristampa delle "Regole Grammaticali" di Gio. Batista Guerrino e la stampa del libro intitolato "Cento Novelle", opera anteriore al Decamerone di Boccaccio, che ne copiò alcune di sana pianta, come per primo rilevò Domenico Maria Manni

Il 1483, ultimo anno riportato nel libretto rinvenuto da Padre Fineschi, vide la stampa di ben dieci titoli: "Il Libro delle Sorti", il "Computo della Luna", "Sole di Malagigi", "Fior di Virtù", "Cherubino", il "Libro de’ miracoli di Nostra Donna", le "Regole Sifontine" di Niccolò Perotto, "Il Sano Romano", "Il Can Cerbero", i "Dialoghi" di Platone tradotti da Marsilio Ficino, il contratto per la realizzazione del quale così venne trascritto: "Sia noto, e manifesto a qualunque questa presente scripta legerà, come questo dì 25 di Gennaio 1483 il Venerabile Frate Domenico di S. Iacopo di Ripoli, et come Sindacho, e Procuratore di detto luogo, e Lorenzo di Francesco di Vinezia conducono a imprimere più Dialogi di Platone da Francescho di Niccolò Berlinghieri, et Filippo di Bartolommeo Valori in questo modo, cioè, che detti Conduttori imprimino libri MXXV cioè 1025 in fogli comuni, e quali haranno da decti lochatori, con quegli spatii, che sono in decto principio in buona forma, e tinta in modo, che rispondino al champione posto da detti Conduttori per pregio di Fiorini tre larghi a lire 3 soldi XV per fiorino per qualunque quinterno di decta opera, et dialoghi imprimessino, cioè che essendo e Dialoghi quinterni 30 habbiamo avere fiorini 90 et ogni, et qualunque loro spese, excepta quella de’ fogli, et quella del Correptore". Infatti la correzione delle bozze era a spese e cura di Francesco Berlinghieri e di Filippo Valori, entrambi allievi del Ficino, che inserirono un proemio dedicatorio a Lorenzo il Magnifico. Data la mole di lavoro, la stamperia decise di dotarsi un nuovo torchio.

Terminano così le notizie derivate dall' opera di ricerca di Padre Fineschi. Viene lecito chiedersi se, prima del rinvenimento del libretto in cartapecora, fosse rimasta memoria della Stamperia. C'è da dubitarne, se il Richa, che pure si dilunga nell'elencazione dei volumi presenti nella biblioteca del Monastero di S. Iacopo di Ripoli, non ne fa menzione. Anche Padre Fineschi afferma che, prima del rinvenimento del libretto di spese, gli eruditi restavano perplessi nel leggere che i pochi libri ancora esistenti nella biblioteca di S. Maria Novella recavano l' indicazione di essere stati impressi a Ripoli e si rivolgevano proprio a Padre Fineschi nella speranza che potesse fornire chiarimenti.

Giuseppe Richa raccolse, direttamente da P. Fineschi, il racconto della vita e delle opere della più illustre delle Monache di S. Iacopo di Ripoli, Suor Fiammetta Frescobaldi, nata nel 1513 ed entrata in convento all' età di 13 anni. Fu donna coltissima, che tradusse numerosi testi dal latino in volgare, con calligrafia bellissima, che, scrive il Richa "con tal accuratezza di caratteri che sembrano da una stamperia usciti" ( nota 20 )

Parole profetiche!

16 Novembre 2006

 

 

 

 

 

 

Nota 1

P. Vincenzo Fineschi, Notizie storiche sopra la stamperia di Ripoli, 1781 nella Stamperia di Francesco Moucke

Nota 2

Giuseppe Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, Firenze MDCCLVI Nella Stamperia di Pietro Gaetano Viviani in Via de' Servi, all' insegna di Giano

Nota 3

Richa, op. cit. Tomo III pagg. 3 e 4

Nota 4

Richa, op. cit., Tomo III pag. 6

Nota 5

Fineschi, Op. cit. pag. 1

Nota6

Fineschi, Op. cit. pag. 2

Nota 7

Richa, op. cit. Tomo III pag. 4

Nota 8

ASF, Manoscritti 499 pag. 7

Nota 9

Fineschi, Op. cit. pag. 3 n.2

Nota 10

Richa, op. cit. Tomo IV pag. 297

Nota 11

Richa, Op. cit. Tomo IV pag. 298

Nota 12

Fineschi, Op. cit. pag. 5 n.1

Nota 13

ASF, Manoscritti 512 pag. 377

Nota 14

Fineschi, Op. cit. pag. 5

Nota 15

Fineschi, Op. cit. pag. 7

Nota 16

Fineschi, Op. cit. pag. 8

Nota 17

Fineschi, Op. cit. pag. 13

Nota 18

Fineschi, Op. cit. pag. 15

Nota 19

Fineschi, Op. cit. pag. 16

Nota 20

Richa, Op. cit. Tomo IV pag. 308

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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