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Neri e Bianchi

E' detti Cerchi furono in Firenze capo della parte bianca, e co·lloro tennero della casa degli Adimari quasi tutti, se non se il lato de' Cavicciuli; tutta la casa degli Abati, la quale era allora molto possente, e parte di loro erano Guelfi e parte Ghibellini; grande parte de' Tosinghi, ispezialmente il lato del Baschiera; parte di casa i Bardi, e parte de' Rossi, e così de' Frescobaldi, e parte de' Nerli e de' Mannelli, e tutti i Mozzi, ch'allora erano molto possenti di ricchezza e di stato, tutti quegli della casa degli Scali, e la maggiore parte de' Gherardini, tutti i Malispini, e gran parte de' Bostichi, e Giandonati, de' Pigli, e de' Vecchietti, e Arrigucci, e quasi tutti i Cavalcanti, ch'erano una grande possente casa, e tutti i Falconieri, ch'erano una possente casa di popolo. E co·lloro s'accostarono molte case e schiatte di popolani e artefici minuti, e tutti i grandi e popolani ghibellini; e per lo séguito grande ch'aveano i Cerchi il reggimento della città era quasi tutto in loro podere. De la parte nera furono tutti quegli della casa de' Pazzi quasi principali co' Donati, e tutti i Visdomini, e tutti i Manieri, e' Bagnesi, e tutti i Tornaquinci, e gli Spini, e' Bondelmonti, e' Gianfigliazzi, Agli, e Brunelleschi, e Cavicciuoli, e l'altra parte de' Tosinghi, e tutto il rimanente; e parte di tutte le case guelfe nominate di sopra, ché quegli che non furono co' Bianchi per contrario furono co' Neri.

Avenne poco appresso che andando a cavallo dell'una setta e dell'altra per la città armati e in riguardo, che con parte de' giovani de' Cerchi era Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de' Tosinghi, e Naldo de' Gherardini, e Giovanni Giacotti Malispini co·lloro seguaci più di XXX a cavallo; e cogli giovani de' Donati erano de' Pazzi, e Spini, e altri loro masnadieri; la sera di calen di maggio, anno MCCC, veggendo uno ballo di donne che si facea nella piazza di Santa Trinita, l'una parte contra l'altra si cominciarono a sdegnare, e a pignere l'uno contro a l'altro i cavagli, onde si cominciò una grande zuffa e mislea, ov'ebbe più fedite, e a Ricoverino di messer Ricovero de' Cerchi per disaventura fu tagliato il naso dal volto;

 

De' mali e de' pericoli che seguirono a la nostra città appresso.

Partito il legato di Firenze, la città rimase in grande gelosia e in male stato. Avenne che del mese di dicembre seguente, andando messer Corso Donati e' suoi seguaci e que' della casa de' Cerchi e' loro seguaci armati a una morta di casa i Frescobaldi, isguardandosi insieme l'una parte e l'altra, si vollono assalire, onde tutta la gente ch'era a la morta si levarono a romore; e così fuggendo e tornando ciascuno a casa sua, tutta la città fu ad arme, faccendo l'una parte e l'altra grande raunata a casa loro; messer Gentile de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baldinaccio e Corso degli Adimari, Baschiera della Tosa, e Naldo de' Gherardini con loro consorti e seguaci a cavallo e a piè, corsono a porte San Piero a casa i Donati, e non trovandogli a porte San Piero, corsono a San Piero Maggiore, ov'era messer Corso co' suoi consorti e raunata, da' quali furono riparati, e rincacciati, e fediti con onta e vergogna de' Cerchi e de' loro seguaci; e di ciò furono condannati l'una parte e l'altra dal Comune. Poi poco appresso essendo certi de' Cerchi in contado a Nepozzano e Pugliano, e in quelle loro contrade e poderi, volendo tornare a Firenze, que' della casa de' Donati raunata loro amistà a Remole, contesono il passo, e ebbevi fedite e assalti d'una parte e d'altra; per la qual cosa l'una parte e l'altra furono accusati e condannati della raunata e assalti; e quegli di casa i Donati la maggior parte per non potere pagare andarono dinanzi, e furono messi in pregione. Que' de' Cerchi volendo fare a·lloro esemplo, dicendo messer Torrigiano di Cerchio: "Per questo non ci vinceranno, come feciono i Tedaldini, che gli consumarono per pagare le condannagioni"; sì fece andare gli suoi dinanzi, e sostenuti in pregione contra volere di messer Vieri de' Cerchi e degli altri savi della casa, che conosceano la complessione e morbidezza de' loro giovani; avenne che uno maladetto ser Neri degli Abati soprastante di quella pregione, mangiando co·lloro, fece venire uno presente d'uno migliaccio avelenato, del quale mangiarono, onde poco appresso in due dì morirono due de' Cerchi bianchi, e due de' Neri, e Piggello Portinari, e Ferraino de' Bronci, e di ciò non fue nulla vendetta.

 

Di quello medesimo.

Essendo la città di Firenze in tanto bollore e pericoli di sette e di nimistà, onde molto sovente la terra era a romore e ad arme, messer Corso Donati, Ispini, Pazzi, e parte de' Tosinghi, e Cavicciuli, e loro seguaci, grandi e popolani di loro setta di parte nera, co' capitani di parte guelfa ch'allora erano al loro senno e volere si raunarono nella chiesa di Santa Trinita, e ivi feciono consiglio e congiura di mandare ambasciadori a corte a papa Bonifazio, acciò che commovesse alcuno signore della casa di Francia, che gli rimettesse in istato, e abattesse il popolo e parte bianca, e in ciò spendere ciò che potessono fare; e così misono a seguizione; onde sappiendosi per la città per alcuna spirazione, il Comune e 'l popolo si turbò forte, e fune fatta inquisizione per la signoria, onde messer Corso Donati che n'era capo fu condannato nell'avere e persona, e gli altri caporali che furono a·cciò in più di XXm libbre, e pagarle. E ciò fatto, furono mandati a' confini Sinibaldo fratello di messer Corso, e de' suoi, e messer Rosso, e messer Rossellino della Tosa, e degli altri loro consorti; e messer Giachinotto e messer Pazzino de' Pazzi e di loro giovani, e messer Geri Spini e de' suoi al castello della Pieve. E per levare ogni sospetto il popolo mandò i caporali dell'altra parte a' confini a Serrezzano: ciò fu messer Gentile, e messer Torrigiano, e Carbone de' Cerchi, e di loro consorti, Baschiera de la Tosa e de' suoi, Baldinaccio degli Adimari e de' suoi, Naldo de' Gherardini e de' suoi, Guido Cavalcanti e de' suoi, e Giovanni Giacotti Malespini. Ma questa parte vi stette meno a' confini, che furono revocati per lo 'nfermo luogo, e tornonne malato Guido Cavalcanti, onde morìo, e di lui fue grande dammaggio, perciò ch'era come filosafo, virtudioso uomo in più cose, se non ch'era troppo tenero e stizzoso. In questo modo si guidava la nostra città fortuneggiando.

 

Come messer Carlo di Valos di Francia venne a papa Bonifazio, e poi venne in Firenze e caccionne la parte bianca.

Nel detto anno MCCCI, del mese di settembre, giunse ne la città d'Anagna in Campagna, ov'era papa Bonifazio co la sua corte, messer Carlo conte di Valos e fratello del re di Francia con più conti e baroni, e da Vc cavalieri franceschi in sua compagnia, avendo fatta la via da Lucca ad Anagna sanza entrare in Firenze, perché n'era sospetto; il quale messer Carlo dal papa e da' suoi cardinali fu ricevuto onorevolemente; e venne ad Anagna lo re Carlo e' suoi figliuoli a parlamentare co·llui e a onorarlo; e 'l papa il fece conte di Romagna. E trattato e messo in assetto col papa e co·re Carlo il passaggio di Cicilia a la primavera vegnente, per la principale cagione perch'era mosso di Francia, il papa non dimenticato lo sdegno preso contro a la parte bianca di Firenze, non volle che soggiornasse e vernasse invano, e per infestamento de' Guelfi di Firenze, sì gli diede il titolo di paciaro in Toscana, e ordinò che tornasse a la città di Firenze. E così fece, colla sua gente, e con molti altri Fiorentini e Toscani e Romagnuoli, usciti e confinati di loro terra per parte guelfa e nera. E venuto a Siena e poi a Staggia, que' che governavano la città di Firenze, avendo sospetto di sua venuta, tennero più consigli di lasciarlo entrare nella città o no. E mandandogli ambasciadori, e egli con belle e amichevoli parole rispondendo come venia per loro bene e stato, e per mettergli in pace insieme; per la qual cosa quegli che reggeano la terra, tutto fossono a parte bianca, si vocavano e voleansi tenere Guelfi, presono partito di lasciarlo venire. E così il dì d'Ognesanti MCCCI entrò messer Carlo in Firenze, disarmata sua gente, faccendogli i Fiorentini grande onore, vegnendogli incontro a processione, e con molti armeggiatori con bandiere, e coverti i cavagli di zendadi. E lui riposato e soggiornato in Firenze alquanti dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia de la cittade, e balìa di potere pacificare i Guelfi insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì V di novembre nella chiesa di Santa Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e' priori, e tutti i consiglieri, e il vescovo, e tutta la buona gente di Firenze, e della sua domanda fatta proposta e diliberata, e rimessa in lui la signoria e la guardia della città. E messer Carlo dopo la sposizione del suo aguzzetta di sua bocca accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io scrittore a queste cose fui presente. Incontanente per lui e per sua gente fu fatto il contradio, che per consiglio di messer Musciatto Franzesi, il quale infino di Francia era venuto per suo pedoto, sì come era ordinato per gli Guelfi neri, fece armare sua gente, e innanzi che messer Carlo fosse tornato a casa, ch'albergava in casa i Frescobaldi Oltrarno; onde per la detta novitade di vedere i cittadini la sua gente a cavallo armata, la città fu tutta in gelosia e sospetto, e a l'arme grandi e popolani, ciascuno a casa de' suoi amici secondo suo podere, abarrandosi la città in più parti. Ma a casa i priori pochi si raunarono, e quasi il popolo fue sanza capo, veggendosi traditi e ingannati i priori e coloro che reggeano il Comune. In questo romore messer Corso de' Donati, il qual era isbandito e rubello, com'era ordinato, il dì medesimo venne in Firenze da Peretola con alquanto séguito di certi suoi amici e masnadieri a piè, e sentendo la sua venuta i priori e' Cerchi suoi nemici, vegnendo a·lloro messer Schiatta de' Cancellieri, ch'era in Firenze capitano per lo Comune di CCC cavalieri soldati, e volea andare contro al detto messer Corso per prenderlo e per offenderlo, messer Vieri caporale de' Cerchi non aconsentì, dicendo: "Lasciatelo venire", confidandosi nella vana speranza del popolo, che 'l punisse. Per la qual cosa il detto messer Corso entrò ne' borghi della cittade, e trovando le porte de le cerchie vecchie serrate, e non potendo entrare, sì se ne venne a la postierla da Pinti, ch'era di costa a San Piero Maggiore tra le sue case e quelle degli Uccellini, e quella trovando serrata cominciòe a tagliare, e dentro per gli suoi amici fu fatto il somigliante, sì che sanza contasto fu messa in terra. E lui entrato dentro schierato in su la piazza di San Piero Maggiore, gli crebbe genti e séguito di suoi amici, gridando: "Viva messere Corso e 'l barone!", ciò era messer Corso, che così il nomavano; ed egli veggendosi crescere forza e séguito, la prima cosa che fece, andòe a le carcere del Comune, ch'erano nelle case de' Bastari nella ruga del palagio, e quelle per forza aperse e diliberò i pregioni; e ciò fatto, il simile fece al palazzo de la podestà, e poi a' priori, faccendogli per paura lasciare la signoria e tornarsi a·lloro case. E con tutto questo stracciamento di cittade, messer Carlo di Valos né sua gente non mise consiglio né riparo, né atenne saramento o cosa promessa per lui. Per la qual cosa i tiranni e malfattori e isbanditi ch'erano nella cittade, presa baldanza, e essendo la città sciolta e sanza signoria, cominciarono a rubare i fondachi e botteghe, e le case a chi era di parte bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii, e fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di parte bianca. E durò questa pestilenzia in città per V dì continui con grande ruina della terra. E poi seguì in contado, andando le gualdane rubando e ardendo le case per più di VIII dì, onde in grande numero di belle e ricche possessioni furono guaste e arse. E cessata la detta ruina e incendio, messer Carlo col suo consiglio riformarono la terra e la signoria del priorato di popolani di parte nera. E in quello medesimo mese di novembre venne in Firenze il sopradetto legato del papa, messer Matteo d'Acquasparta cardinale, per pacificare i cittadini insieme, e fece fare la pace tra que' della casa de' Cerchi e gli Adimari e' loro seguaci di parte bianca co' Donati e' Pazzi e' loro seguaci di parte nera, ordinando matrimoni tra·lloro; e volendo raccomunare gli ufici, quegli di parte nera co la forza di messer Carlo non lasciarono, onde il legato turbato si tornò a corte, e lasciòe interdetta la cittade. E la detta pace poco durò, che avenne il dì di pasqua di Natale presente, andando messer Niccola de' Cerchi bianchi al suo podere e molina con suoi compagni a cavallo, passando per la piazza di Santa Croce, che vi si facea il predicare, Simone di messer Corso Donati, nipote per madre del detto messer Niccola, sospinto e confortato di mal fare, con suoi compagni e masnadieri seguì a cavallo il detto messer Niccola, e giugnendolo al ponte ad Africo l'assalì combattendo; per la qual cosa il detto messer Niccola sanza colpa o cagione, né guardandosi di Simone, dal detto suo nipote fu morto e atterrato da cavallo. Ma come piacque a·dDio, la pena fu apparecchiata a la colpa, che fedito il detto Simone dal detto messer Niccola per lo fianco, la notte presente morìo; onde tutto fosse giusto giudicio, fu tenuto grande danno, che 'l detto Simone era il più compiuto e virtudioso donzello di Firenze, e da venire in maggiore pregio e stato, ed era tutta la speranza del suo padre messer Corso, il quale della sua allegra tornata e vittoria ebbe in brieve tempo doloroso principio di suo futuro abbassamento. In questo tempo poco appresso, non possendo la città di Firenze posare, essendo pregna dentro del veleno della setta de' Bianchi e Neri, convenne che partorisse doloroso fine; onde avenne che·ll'aprile vegnente con ordine e con trattato fatto per gli Neri uno barone di messer Carlo, ch'avea nome messer Piero Ferrante di Linguadoco, cercò cospirazione co' detti della casa de' Cerchi, e con Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de' Tosinghi, e Naldo Gherardini, e altri loro seguaci di parte bianca, di volergli con suo séguito e di sua gente rimettere in istato, e tradire messer Carlo, con grandi impromesse di pecunia; onde lettere e co·lloro suggelli furono fatte, overo falsificate, le quali per lo detto messer Piero Ferrante, com'era ordinato, furono portate a messer Carlo. Per la qual cosa i detti caporali di parte bianca, ciò furono tutti quegli della casa de' Cerchi bianchi da porte San Piero, Baldinaccio e Corso degli Adimari, con quasi tutto il lato de' Bellincioni, Naldo de' Gherardini col suo lato della casa, Baschiera de' Tosinghi col suo lato de la detta casa, alquanti di casa i Cavalcanti, Giovanni Giacotto Malispini e' suoi consorti, questi furono i caporali che furono citati, e non comparendo, o per tema del malificio commesso, o per tema di non perdere le persone sotto il detto inganno, si partiro de la città, acompagnati da' loro aversari; e chi n'andò a Pisa, e chi ad Arezzo e Pistoia, accompagnandosi co' Ghibellini e nimici de' Fiorentini. Per la qual cosa furono condannati per messer Carlo come ribelli, e disfatti i loro palazzi e beni in città e in contado, e così di molti loro seguaci grandi e popolani. E per questo modo fue abattuta e cacciata di Firenze la 'ngrata e superba parte de' Bianchi, con séguito di molti Ghibellini di Firenze, per messer Carlo di Valos di Francia per la commessione di papa Bonifazio, a dì IIII d'aprile MCCCII, onde a la nostra città di Firenze seguirono molte rovine e pericoli, come innanzi per gli tempi potremo leggendo comprendere.

 

Come la parte bianca e' Ghibellini usciti di Firenze vennero a Pulicciano, e partirsene in isconfitta.

Nel detto anno, del mese di marzo, i Ghibellini e' Bianchi usciti di Firenze co la forza de' Bolognesi che si reggeano a parte bianca, e coll'aiuto de' Ghibellini di Romagna e degli Ubaldini, vennero in Mugello con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, ond'era capitano Scarpetta degli Ordilaffi da Forlì, e presono sanza contasto il borgo e poggio di Pulicciano, e assediarono una fortezza che vi teneano i Fiorentini, credendo ivi fare capo grosso, e recare il Mugello sotto loro obbedienza, e poi stendersi co·lloro forza a la città di Firenze. Saputa la novella in Firenze, subitamente cavalcaro in Mugello popolo e cavalieri con tutta la forza de la cittade; e giunti al borgo, e venuti i Lucchesi e l'altra amistà, e di là uscendo ischierati e messi in ordine per andare a' nemici, i cavalieri di Bologna sentendo la sùbita venuta de' Fiorentini, e trovandosi ingannati da' Bianchi usciti di Firenze ch'aveano loro fatto intendere che' Fiorentini per tema di loro amici rimasi dentro non ardirebbono d'uscire della terra, si tennono traditi, e con paura grande sanza niuno ordine si partiro da Pulicciano di Mugello, e andarsene a Bologna, onde i Bianchi e' Ghibellini usciti rimasono rotti e scerrati, e partirsi una notte sanza colpo di spada come sconfitti, lasciando tutti i loro arnesi, e più di loro gittarono l'arme, e rimasonvi de' morti e presi de' migliori per certi iscorridori iti innanzi. Intra gli altri notabili e orrevoli cittadini e antichi Guelfi e fattisi Bianchi vi fu preso messer Donato Alberti giudice, e Nanni di Ruffoli da le porte del vescovo. Nanni vegnendo preso, fu morto da uno de' Tosinghi, e a messer Donato Alberti tagliato il capo, per quella legge medesima ch'egli avea fatta e messa in ordine di giustizia quando egli regnava ed era priore. E col detto messer Donato Alberti furono menati presi e tagliate le teste a due de' Caponsacchi, e uno degli Scolari, e Lapo de' Cipriani, e a Nerlo degli Adimari, e altri intorno di X di piccolo affare; per la quale rotta i Bianchi e' Ghibellini usciti molto abassaro.

 

Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona parte della cittade.

Partito il cardinale da Prato di Firenze per lo modo che detto avemo adietro, la città rimase in male stato e in grande scompiglio, ché·lla setta che teneva col cardinale, ond'erano caporali i Cavalcanti e' Gherardini, Pulci e' Cerchi bianchi del Garbo, ch'erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito di più case di popolo, per tema che' grandi non rompessono il popolo, s'avessono la signoria, e ciò furono delle maggiori case e famiglie de' popolani di Firenze, com'erano Magalotti, e Mancini, Peruzzi, Antellesi, e Baroncelli, e Acciaiuoli, e Alberti, Strozzi, Ricci, e Albizzi, e più altri, ed erano molto guerniti di fanti e gente d'arme. I contradi erano di parte nera, i principali, messer Rosso della Tosa col suo lato de' Neri, messer Pazzino de' Pazzi con tutti i suoi, la parte degli Adimari che si chiamano Cavicciuli, e messer Geri Spini e' suoi consorti, e messer Betto Brunelleschi; messer Corso Donati si stava di mezzo, perch'era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri grandi si stavano di mezzo, e' popolani, salvo i Medici e' Giugni, ch'al tutto erano co' Neri. E cominciossi la battaglia tra' Cerchi bianchi e' Giugni alle loro case del Garbo, e combattevisi di dì e di notte. A la fine si difesono i Cerchi coll'aiuto de' Cavalcanti e Antellesi, e crebbe tanto la forza de' Cavalcanti e Gherardini, che co' loro seguaci corsono la terra infino in Mercato Vecchio, e da Orto Sa·Michele infino a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo niuno, però ch'a·lloro crescea forza di città e di contado; però che·lla più gente di popolo gli seguivano, e' Ghibellini s'acostavano a·lloro; e venieno in loro soccorso que' da Volognano con loro amici con più di M fanti, e già erano in Bisarno. E di certo in quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e cacciatone i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i quali aveano per loro nemici, perché si disse ch'aveano fatta tagliare la testa a messer Betto Gherardini, e a Masino Cavalcanti, e agli altri, come addietro facemmo menzione. E come erano in sul fiorire e vincere in più parti della terra ove si combatteva i loro nimici, avenne, come piacque a Dio, o per fuggire maggiore male, o permise per pulire i peccati de' Fiorentini, che uno ser Neri Abati, cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo mondano e dissoluto, e ribello e nimico de' suoi consorti, con fuoco temperato in prima mise fuoco in casa i suoi consorti in Orto Sammichele, e poi in Calimala fiorentina in casa i Caponsacchi presso a la bocca di Mercato Vecchio. E fu sì empito e furioso il maladetto fuoco col conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in quello giorno arse le case degli Abati e de' Macci, e tutta la loggia d'Orto Sammichele, e casa gli Amieri, e Toschi, e Cipriani, e Lamberti, e Bachini, e Buiamonti, e tutta Calimala, e le case de' Cavalcanti, e tutto intorno a Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino al ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le case de' Gherardini, e de' Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vicinanze di luoghi nomati quasi infino ad Arno; e insomma arse tutto il midollo, e tuorlo, e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quantità, tra palagi e torri e case, più di MVIIc. Il danno d'arnesi, tesauri, e mercatantie fu infinito, però che in que' luoghi era quasi tutta la mercatantia e cose care di Firenze, e quella che non ardea, isgombrandosi, era rubata da' malandrini, combattendosi tuttora la città in più parti, onde molte compagnie, e schiatte, e famiglie furono diserte, e vennono in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa pistolenza avenne a la nostra città di Firenze a dì X di giugno, gli anni di Cristo MCCCIIII, e per questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più possenti case di genti, e di posessioni, e d'avere di Firenze, e' Gherardini grandissimi in contado, i quali erano caporali di quella setta, essendo le loro case e de' loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo stato, e furono cacciati di Firenze come rubelli, e' loro nemici raquistarono lo stato, e furono signori della terra. E allora si credette bene che i grandi rompessono gli ordini della giustizia del popolo, e avrebbollo fatto, se non che per le loro sette erano partiti e in discordia insieme, e ciascuna parte s'abracciò col popolo per non perdere istato. Convienne ancora lasciare alquanto a raccontare dell'altre novitadi che in questi tempi furono in più parti, perché ancora ne cresce materia dell'averse fortune della nostra città di Firenze.

 

 

Ancora di novitadi che furono in Firenze ne' detti tempi.

Nel detto anno, a dì V d'agosto, essendo preso nel palagio del Comune di Firenze Talano di messer Boccaccio Cavicciuli degli Adimari per malificio commesso, onde dovea essere condannato, i suoi consorti, tornando la podestade con sua famiglia da casa i priori, l'asaliro con arme, e fedirono malamente, e di sua famiglia furono morti e fediti assai; e' detti Cavicciuli entrarono in palagio, e per forza ne trassono il detto Talano sanza contasto niuno, e di questo malificio non fu giustizia né punizione niuna; in sì corrotto stato era allora la città di Firenze. E la podestà, ch'aveva nome messer..., per isdegno si partìo, e tornossi a casa sua co la detta vergogna, e la città rimase sanza rettore; ma per necessità i Fiorentini feciono in luogo di podestà XII cittadini, due per sesto, uno grande e uno popolano, i quali si chiamarono le XII podestadi, e ressono la cittade infino a tanto che venne la nuova podestade.

 

Come fu morto il nobile e grande cittadino di Firenze messer Corso de' Donati.

Nel detto anno MCCCVIII, essendo nella città di Firenze cresciuto scandolo tra' nobili e potenti e popolani di parte nera che guidavano la città per invidia di stato e di signoria, come si cominciò al tempo del romore della ragione, come addietro facemo memoria; questo invidioso portato convenne che partorisse dolorosa fine, che per le peccata della superbia, e invidia, e avarizia, e altri che regnavano tra·lloro erano partiti in setta; e dell'una era capo messer Corso de' Donati con séguito d'alquanti nobili e di certi popolani, e intra gli altri quegli della casa di Bordoni, e dell'altra erano capo messer Rosso della Tosa, messere Pazzino de' Pazzi, e messer Geri Spini, e messer Betto Brunelleschi co' loro consorti, e con quegli de' Cavicciuli, e di più altri casati grandi e popolani, e la maggiore parte de la buona gente della cittade, i quali aveano gli ufici e 'l governamento de la terra e del popolo. Messer Corso e' suoi seguagi parendo loro esser male trattati degli onori e ofici a·lloro guisa, parendogli essere più degni, però ch'erano stati i principali ricoveratori dello stato de' Neri e cacciatori della parte bianca; ma per l'altra parte si disse che messer Corso volea essere signore della cittade e non compagnone; quale che si fosse il vero o la cagione, i detti, e quegli che reggeano il popolo, l'aveano in odio e a grande sospetto, dapoi s'era imparentato con Uguiccione della Faggiuola, Ghibellino e nimico de' Fiorentini; e ancora il temeano per lo suo grande animo e podere e séguito, dubitando di lui che non togliesse loro lo stato e cacciasse de la terra, e massimamente perché trovarono che 'l detto messere Corso avea fatta lega e giura col detto Uguiccione da la Faggiuola suo suocero, e mandato per lui e per suo aiuto. Per la qual cosa, e per grande gelosia, subitamente si levò la cittade a romore, e sonarono i priori le campane a martello, e fu ad arme il popolo e' grandi a piè e a cavallo, e le masnade de' Catalani col maliscalco del re, ch'era a posta di coloro che guidavano la terra. E subitamente, com'era ordinato per gli sopradetti caporali, fu data una inquisizione overo accusa a la podestà, ch'era messer Piero de la Branca d'Agobbio, incontro al detto messer Corso, opponendogli come dovea e volea tradire il popolo, e sommettere lo stato della cittade, faccendo venire Uguiccione da Faggiuola co' Ghibellini e nimici del Comune. E la richesta gli fu fatta, e poi il bando, e poi la condannagione: in meno d'una ora, sanza dargli più termine al processo, messer Corso fu condannato come rubello e traditore del suo Comune, e ancontanente mosso da casa i priori il gonfalone della giustizia con podestà, capitano, e esecutore, co·lloro famiglie e co' gonfaloni de le compagnie, col popolo armato e le masnade a cavalio a grido di popolo per venire a le case dove abitava messer Corso da San Piero Maggiore per fare l'esecuzione. Messer Corso sentendo la persecuzione che gli era mossa e chi disse per esser forte a fornire il suo proponimento, attendendo Uguiccione de la Faggiuola con grande gente, che già n'era giunta a Remole - sì s'era aserragliato nel borgo di San Piero Maggiore a piè de le torri del Cicino, e in Torcicoda, e a la bocca che va verso le Stinche, e a la via di San Brocolo con forti isbarre, e con genti assai suoi consorti e amici armati, e con balestra, i quali erano rinchiusi nel serraglio al suo servigio. Il popolo cominciò a combattere i detti serragli da più parti, e messer Corso e' suoi a difendere francamente: e duròe la battaglia gran parte del dì, e fue a tanto, che con tutto il podere del popolo, se i·rinfrescamento de la gente d'Uguiccione, e gli altri amici di contado invitati per messer Corso gli fossono giunti a tempo, il popolo di Firenze avea quello giorno assai a·ffare; ché, perché fossono assai, erano male in ordine e non molto inn-accordo, però ch'a parte di loro non piacea. Ma sentendo la gente d'Uguiccione come messer Corso era assalito dal popolo, si tornaro adietro, e' cittadini ch'erano nel serraglio si cominciarono a partire, onde rimase molto sottile di genti, e certi del popolo ruppono il muro del giardino di contro alle Stinche, e entrarono dentro con grande gente d'arme. E veggendo ciò messer Corso e' suoi, e che 'l soccorso d'Uguiccione e degli altri suoi amici gli era tardato e fallito, sì abandonò le case, e fuggìsi fuori de la terra, le quali case dal popolo incontanente furono rubate e disfatte, e messer Corso e' suoi perseguiti per alquanti cittadini a cavallo e Catalani mandati in pruova che 'l pigliassono. E per Boccaccio Cavicciuli fu giunto Gherardo Bordoni in sull'Africo, e morto, e tagliatagli la mano, e recata nel corso degli Adimari, e confitta a l'uscio di messer Tedici degli Adimari suo consorto, per nimistade avuta tra·lloro. Messer Corso tutto solo andandosene, fue giunto e preso sopra a Rovezzano da certi Catalani a cavallo, e menandolne preso a Firenze, come fue di costa a San Salvi, pregando quegli che'l menavano, e promettendo loro molta moneta se lo scampassono, i detti volendolo pure menare a Firenze, sì com'era loro imposto da' signori, messer Corso per paura di venire a le mani de' suoi nemici e a essere giustiziato dal popolo, essendo compreso forte di gotte ne le mani e ne' piedi, si lasciò cadere da cavallo. I detti Catalani veggendolo in terra, l'uno di loro gli diede d'una lancia per la gola d'uno colpo mortale, e lasciarollo per morto: i monaci del detto monistero il ne portaro ne la badia, e chi disse che inanzi che morisse si rimise ne le mani di loro in luogo di penitenzia, e chi disse che il trovar morto; e l'altra mattina fu soppellito in San Salvi con piccolo onore e poca gente, per tema del Comune. Questo messer Corso Donati fue de' più savi, e valente cavaliere, e il più bello parlatore, e 'l meglio pratico, e di maggiore nominanza, e di grande ardire e imprese ch'al suo tempo fosse in Italia, e bello cavaliere di sua persona e grazioso, ma molto fu mondano, e di suo tempo fatte in Firenze molte congiurazioni e scandali per avere stato e signoria; e però avemo fatto de la sua fine sì lungo trattato, però che fu grande novità a la nostra cittade, e seguirne molte cose appresso per la sua morte, come per gl'intendenti si potrà comprendere, acciò che sia assempro a quegli che sono a venire.

 

 

Come parte guelfa fu cacciata di Vinegia.

Nell'anno MCCCX, del mese di giugno, fatta congiura in Vinegia per quegli della casa di Querini, e per messer Bruiamonte de lo Scopolo di Vinegia col loro séguito, per abbattere il dogio ch'allora era in Vinegia da ca' Grandanigo e' suoi seguaci, quasi recata la terra a parte, Guelfi e Ghibellini si combattero per le dette parti ne la città. A la fine que' da ca' Querini e loro séguito Guelfi furono vinti e cacciati della terra, e guasti i loro palazzi (e fue la prima disfazione di casa che fosse mai fatta in Vinegia), e certi di loro caporali presi furono dicollati, e co·lloro due gentili uomini di Firenze, uno degli Adimari, e uno de' Sizii, ch'erano in loro compagnia.

 

 

 

Questa dolorosa sconfitta fu il dì di santo Giovanni dicollato, dì XXVIIII d'agosto MCCCXV. Fatta la detta sconfitta, il castello di Montecatini s'arrendéo a Uguiccione, e 'l castello di Montesommano, i quali teneano i Fiorentini; e quegli che dentro v'erano se n'andarono sani e salvi per patti.

 

LXXIII Come Vinci e Cerreto Guidi si rubellarono a' Fiorentini.

Come la detta sconfitta fu fatta, i signori d'Anghiano rubellarono dal Comune di Firenze il loro castello di Vinci, e Baldinaccio degli Adimari rubello di Firenze rubellò il castello di Cerreto Guidi di Greti; e fuggendo i Fiorentini e gli altri de la detta sconfitta, ne presono e rubarono assai; e poi per più tempo fatta compagnia con Uguiccione, e poi con Castruccio di Lucca, grande guerra feciono al contado di Firenze in quella contrada, e più volte vi furono rotti e ricevettono danno i soldati di Firenze e que' d'Empoli, e di Pontormo, e del paese per le masnade de' Tedeschi di Lucca. A la fine per patti e per danari essendo tratto di bando Baldinaccio e altri, con vergogna del Comune di Firenze, renderono le dette castella a' Fiorentini.

 

Dell'assedio e perdita di Montemurlo.

Nel detto tempo, a dì XVIII di novembre, ancora la gente di Castruccio vennono scorrendo e guastando infino a Giogoli sanza nullo riparo, per ispaventare i Fiorentini; e a dì XXIIII di novembre Castruccio ritornò a Signa con suo isforzo; e a dì XXVII di novembre si puose all'assedio al castello di Montemurlo, e fecevi intorno più battifolli, e il dì seguente ebbe per patti la fortezza degli Strozzi che si chiamava Chiavello, e fecela abattere e tagliare dal piè, e l'altro dì ebbe per forza la torre a Palugiano ch'era de' Pazzi, e morirvi più di XXX uomini, e fecela disfare. E stando all'assedio di Montemurlo lo steccò tutto intorno, e con più difici vi gittava, e fece cavare il castello da la parte de la rocca, e fece cadere molto de le mura. Dentro v'erano per castellani Giovanni di messer Tedici degli Adimari e Neri di messer Pazzino de' Pazzi con CL buoni fanti di masnade; il castello era molto fornito di vittuaglia, ma male fornito d'arme e di gente a sì grande circuito e a tanto affanno di battaglie e di difici e di cave; e più volte mandarono per soccorso a Firenze, almeno che fossono forniti di gente che dentro gli atasse a la guardia. Queglino che·ll'aveano affare, ch'erano all'uficio della condotta de' soldati, per negrigenzia, overo per miseria di spendio, s'indugiarono tanto a fornirlo che quando vollono non ebbono il podere, né altro soccorso non si fece per gli Fiorentini; e si potea fare, che più volte Castruccio non v'avea IIIc cavalieri, e per le grandi nevi e freddure molto straccata la sua gente; ma la viltà e la disaventura era tanta de' Fiorentini, e con esso la discordia, che no·ll'ardirono a·ssoccorrere quando si potea. Quegli del castello veggendosi abandonati da' Fiorentini, avendogli per più volte richesti di soccorso, e veggendo per le cave cadere le mura, e per gli molti difici fragellati, sì cercarono loro patti con Castruccio, e renderono il castello a dì VIII di gennaio MCCCXXV, salve per persone, con ciò che ne potessono trarre, e salvi i terrazzani che vi volessono dimorare; con tutto che malvagiamente trattò i terrazzani, che quasi tutti gli sperse, e recolla a gente di masnade a la guardia, rafforzando il castello molto di rocca e girone di mura e di torri, e murò di fuori la fronte: la quale perdita fu grande vergogna e sbigottimento a' Fiorentini, e fece aspra guerra al contado di Firenze e a quello di Prato.

 

 

 

Famiglia a patrimonio feudale

 

Gli Adimari acquistavano dai Guidi nel 1227 il castello di Montedicroce (15 chilometri circa a nord - est di Firenze) e nel 1245 quello di Montesassi in Mugello, detenevano nel 1216 il castello di Monteacuto sulle montagne del Mugello orientale a una cinquantina di chilometri dalla città.

La vicenda di Monte di Croce ebbe comunque l’esito previsto: il ‘castellare’, il suo distretto e la giurisdizione sugli abitanti vennero ceduti nel 1227 dai figli di Guido Guerra ad un cittadino fiorentino, Aldobrando Adimari, loro creditore, che a sua volta, dopo cinque giorni, li rivendeva al vescovo di Firenze insieme ai vicini castelli di Monte Rotondo e Galiga.

E’ chiaro che l’operazione venne condotta dal Comune, il quale, se dovette fornire un contributo pecunario per l’acquisto, ottenne il controllo del territorio, anche se formalmente era il Vescovo ad amministrarlo attraverso un Podestà, fiorentino, nei confronti del quale la popolazione dei vari distretti castellani era tenuta al giuramento di fedeltà.

 

I conti Guidi, oppressi dai debiti, iniziano le trattative con Firenze per cedere i loro diritti su Empoli, Cerreto, Vinci, Montemurlo, Montevarchi ecc. Il contratto viene perfezionato a Settembre con tutti i membri della famiglia Guidi. I terreni vennero messi in vendita, iniziando cosi' lo smembramento dei grandi feudi nobiliari. Gli Adimari comprarono Empoli e Vinci.

Castellani

gianni di bernardo

1202 castellano di montegrossoli membro del consiglio del comune nel 1216

fu anche presente nell'aprile 1202 al giuramento degli uomini di semifonte e nel giugno 2003 alla promessa da parte di siena e del suo vescovo di attenersi al lodo del podesta ogerio nel 1204 e' teste alla promessa del conte Guido Borgognone da capraia e dei suoi figli e giura con altri autorevoli cittadini i patti conclusi con lui

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi furono i congiurati che furono condannati.

Partiti i detti congiurati, il dì apresso si tenne consiglio come si dovesse procedere contro a·lloro; per lo migliore del Comune si prese di non fare grande fascio, però ch'a troppi cittadini sarebbe toccato, che sentiro la detta congiura e·ss'aparecchiarono con arme e cavalli, ma non si mostrarono; ma solamente si procedesse contro a quelli caporali che si mostraro e furono in arme, i quali furono citati e richesti; e non comparendo subitamente furono condannati nell'avere e nelle persone, siccome ribelli e traditori del loro Comune. I quali furono la prima volta l'infrascritti: messere Piero di meser Gualterotto de' Bardi e Bindo e Aghinolfo suoi fratelli, Andrea e Gualterotto di Filippozzo e Francesco loro nipote, messer Piero di Ciapi suo nipote, messer Gerozzo di meser Cecchino e meser Iacopo di meser Guido, mesere Simone di Gerozzo, ma non v'ebbe colpa di certo; Simone e Cipriano di Geri, e Bindo di Benghi, tutti della casa de' Bardi; messer Iacopo priore di Sa·Iacopo, messer Albano, messer Agnolo Giramonte e Lapo suoi nipoti, messer Bardo Lamberti, Niccolò e Frescobaldo di Guido, Giovanni e Bartolo di mesere Fresco, Iacopo di Bindo e Geri di Bonaguida, Mangeri di meser Lapo, tutti di Frescobaldi; e Andrea Ubertelli, Giovanni di Nerli, ser Tomagno degli Angiolieri, capellano del detto priore, Salvestrino e Ruberto di Rossi, più de' suoi consorti che vi tenieno mano, non si mostrarono; di qua dall'Arno non si mostrò alcuno. I loro palazzi e beni in città e in contado a·ffurore furono disfatti e guasti. E ordinossi con tutte le terre vicine guelfe e quelli della lega di Lombardia che non ritenessono i detti nuovi ribelli. E di ciò feciono il peggiore, per la qual cosa i detti n'andaro i più a Pisa, e il priore a corte di papa a procurare quanto poterono in detto e in fatto contro al Comune di Firenze. Per la detta diliberazione della nostra città per lo Comune a dì XXVI di novembre si fece una grande processione e offerta a San Giovanni per tutte l'arti, e s'ordinò ch'ogni anno per l'Ognisanti si facesse; e ordinossi di trarne di bando gli sbanditi per certa gabella per fortificare il popolo; che·ffu gran male a recare in città molti rei uomini e mafattori. Ma altro rimedio ci voleva per apaciare Iddio, a·llui la gratitudine e tra' prossimi cittadini la carità, ma ad altro s'intese; e ordinossi che ogni popolano che potesse fosse armato di corazze e barbute alla fiamminga, e impuosone VIm, e molte balestra per fortificare il popolo. E del mese di gennaio seguente il Comune comperò Mangone da meser Andrea de' Bardi VIImDCC fiorini d'oro, scontandone MDCC che 'l Comune v'avea spesi inn-acconcime inanzi si rendesse a messere Benuccio Salimbeni marito della detta contessa da Mangone. E il castello di Vernia s'arrendé al Comune di Firenze pagandone a meser Piero de' Bardi, che v'era dentro asediato, fiorini IIIImDCCCLX d'oro. E fecesi dicreto per lo Comune che nullo cittadino potesse aquistare o tenere castello di fuori di nostro contado e distretto di lungi il meno per venti miglia. E del detto mese di gennaio furono condannati VIIII di conti Guidi ch'avieno tenuta mano alla sopradetta congiura; e furo quasi tutti i loro caporali, salvo il conte Simone e Guido suo nipote da Battifolle che non assentiro alla detta congiura. Di ciò furono ripresi molto da' savi quelli che governavano la città, di condannare i nostri possenti vicini i conti Guidi, a recarline a scoperti nimici di quello peccato che non condannaro i nostri cittadini ch'erano colpevoli, come co·loro alla detta congiura; bene s'aparecchiarono in arme co·lloro fedeli per venire a Firenze. E poi più d'un anno apresso fu scoperto un altro trattato co' detti nuovi ribelli, onde fu preso Schiatta de' Frescobaldi, e tagliatogli il capo, e condannati Paniccia di Bernardo, e Iacopo di Frescobaldi, e Biordo di meser Vieri, e Giovanni Ricchi de' Bardi, e Antonio degli Adimari, e Bindo di Pazzi, tutti come ribelli. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze, ch'assai ce n'è convenuto dire a questa volta, faccendo incidenzia per dire alquanto d'altre novità istate in questi tempi per l'universo; ma tosto vi torneremo a dire, ch'assai ci cresce materia a' nostri fatti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di certe congiurazioni che furono fatte in Firenze contra il duca d'Atene che·nn'era signore.

E' si dice fra·nnoi Fiorentini uno antico e materiale proverbio, cioè: "Firenze non si muove, se tutta non si duole"; e bene che 'l proverbio sia di grosse parole e rima, per isperienza s'è trovato di vera sentenzia, e viene a caso della nostra presente matera; che a certo il duca nonn-ebbe regnato III mesi, che quasi a' più di cittadini non dispiacesse nella sua signoria per li suoi inniqui e malvagi processi, come detto avemo adietro, e più ancora che scritto non s'è per noi; però ch'ogni singulare cosa e sue operazioni nonn-ho potuto sapere né ricogliere, ma per le generali e aperte assai si può comprendere. Prima che' grandi che·ll'aveano fatto signore, e aspettavano da·llui stato e grandezza, come avea loro promesso, sì trovato ingannati e traditi, ed eziandio que' grandi ch'elli avea rimessi in Firenze, non parea loro esere ben trattati; e i grandi e possenti popolani che prima avieno retta la terra, ch'al tutto gli avea anullati e tolto loro ogni stato, onde il nimicavano a morte. A' mediani e artefici dispiacea la sua signoria per lo non guadagnare, e per lo male stato della città, e per le 'ncomportabili gravezze sì d'estimo, sì di prestanze, e d'intollerabili gabelle, e per levare che fece a' cittadini gli asegnamenti sopra le gabelle di danari prestati al Comune. E dove i cittadini avieno speranza che per lo suo reggimento scemasse le spese, e desse loro buono stato, fece il contrario; e per le male ricolte montò il grano in più di soldi XX lo staio, onde il popolo minuto male si contentava. E per li oltraggi delle donne fatti per lui e per le sue genti, e altre forze, e crude giustizie, per le quali cagioni quasi i più di cittadini commossi a mala volontà contro a·llui, onde più congiurazioni s'ordinaro per torli la signoria e·lla vita, chi per una forma, e·cchi per un'altra, non sappiendo al cominciamento l'una setta dell'altra, né s'ardieno a scoprire per le sue crudeli giustizie; che eziandio chi·lle rivelava gli facea morire, come detto è adietro. E principali furono III sette e congiurazioni; della prima fu capo il nostro vescovo degli Acciaiuoli frate predicatore, che al cominciamento delle sue prediche tanto il magnificava e gloriava, e co·llui tenieno i Bardi; ciò furono principali: messere Piero, messere Gerozzo, messere Iacopo, e Andrea di Filippozzo, Simone di Geri, tutti della casa de' Bardi, e rimessi in Firenze per lo duca, e di Rossi Salvestrino e meser Pino, e più suoi consorti. E de' Frescobaldi i caporali il priore di Sa·Iacopo meser Agnolo Giramonte anche di rimessi in Firenze per lo duca, e Vieri delli Scali, e più altri grandi e popolani, Altoviti, Magalotti, Strozzi, e Mancini. Dell'altra congiura era capo meser Manno e Corso di meser Amerigo de' Donati, Bindo e Beltramo e Mari de' Pazzi, e Niccolò di mesere Alamanno, e Tile Benzi de' Cavicciuli e certi degli Albizi. Della terza era capo Antonio di Baldinaccio degli Adimari, e Medici, e Bordoni, Oricellai, e Luigi di Lippo Aldobrandini, e più altri popolani mediani. E più modi si trovò che cercaron di torli la signoria e·cchi la vita, chi con trattato di Pisani, chi con Sanesi e Perugini e con conti Guidi, alcuni d'asalirlo in palagio andando al consiglio; ma per sua gelosia, di ciò si provide, che due volte mutò i sergenti e' famigliari che guardavano il palagio, e per sospetto fece ferrare le finestre del palagio; alcuni di saettarlo quando andava per la terra. L'altra setta ordinaro d'asalirlo in casa gli Albizi il dì di san Giovanni, che vi dovea venire a vedere correre il palio; anche per sospetto non v'andò. La terza setta aveno ordinato, imperò ch'egli cavalcava sovente per amore di donna da casa i Bordoni alla Croce a Trebbio. Questi v'allogaro due case, una da ciascuno capo della via, e quelle guernirono d'arme e di balestra e di sbarre per asserragliare la via dall'uno capo e dall'altro e inchiuderlo nel mezzo, e ordinati da L masnadieri arditi e franchi, che 'l dovieno assalire con certi caporali giovani e grandi e popolani a·ccui ne calea, e aveano voglia di farlo, e assalito il duca, levare la terra a romore, e' caporali di fuori dovieno esere in arme a cavallo e a piè al soccorso e per atterrare lui e sua compagnia; che al principio cavalcava con XXV o XXX di sua gente disarmati, con alquanti cittadini grandi e popolani, di coloro medesimi ch'erano congiurati contro a·llui. Ma tanto gli fu messo sospetto, che poi menava a sua guardia II masnade di L di sue genti a cavallo armati e da C fanti, e smontato lui da cavallo restavano armati in sulla piazza del palazzo a sua guardia: ma poco gli valieno al suo riparo per l'ordine preso per le dette congiure alla sua rovina; però che quasi tutti i cittadini erano commossi contro a·llui per le sue ree opere. Ma come piacque a Dio, per lo meno male, la terza setta e congiura, la qual era più pronta a·cciò fare, fu scoperta per uno masnadiere sanese, che dovea essere a·cciò fare; il rivelò a meser Francesco Brunelleschi, non per tradimento, ma per consiglio e come a suo signore, credendo il sapesse e tenesse mano alla congiura; il quale cavaliere per paura di non esere incolpato, overo per male di suoi nimici, che di tali erano caporali alla detta congiura, il manifestò al duca, e menogli il detto fante sotto fidanza, il quale ritenne segreto e disaminollo, e seppe d'alcuno ch'era de' detti congiurati e caporali di masnadieri; e di presente fece pigliare Pagolo di Francesco del Manzeca orrevole popolano di porta San Piero, tutto fosse brigante, e uno Simone da Monterappoli a dì XVIII di luglio, e questi per tormento confessarono e manifestaro come Antonio di Baldinaccio era loro capo con più altri; il quale Antonio richesto, per sicurtà di sua grandezza comparì. Il duca il fece ritenere nel palagio; e·llui preso, tutti gli altri principali d'ogni setta per tema di loro chi·ssi partì della città, e·cchi si nascose, onde tutta la città fu in gelosia e in grande sospetto e tremore. Il duca trovando la congiura contro a·llui sì grande, e·cche tanti grandi e possenti cittadini vi tenieno mano, non ardì di fare giustizia de' detti presi; che·sse di sùbito l'avesse fatta, e corsa la terra colla sua gente e popolazzo minuto che 'l seguiva, rimaneva signore; ma il suo peccato l'accecò, e·lli misse tanta viltà e paura nell'animo, che non sapea che·ssi fare; e mandò d'intorno alla terre e castella per la sua gente, e al signore di Bologna per aiuto, il quale gli mandò CCC cavalieri. E pensossi di fare una grande vendetta e crudele di molti cittadini con grande tradimento, che perché sabato mattina a dì XXVI di luglio era il dì di santa Anna, e il dì dinanzi fece richiedere più di CCC di maggiori cittadini di Firenze, grandi e popolani d'ogni famiglia e casato, che venissono dinanzi a·llui in palagio per consigliarlo quello ch'avesse a·ffare de' presi, con intenzione (e questo fu poi fuori di Firenze manifesto) che come fossono ragunati nella sala del palagio, ch'avea le finestre ferrate, come detto avemo, di fare serrare la sala, e quanti dentro ve n'avesse fare uccidere e tagliare, e correre la terra al modo fece l'empissimo Totila <I>Fragellum Dei</I> quando distrusse Firenze. Ma Iddio, che sempre ha guarentita al bisogno la nostra città per le limosine e per li meriti delle sante persone religiose e laici, che vi sono innocenti, la guardò di tanto male e pericolo; che prima misse sospetto in cuore a tutti i richiesti di non andare in palagio al detto consiglio, intra' quali ve n'avea molti di congiurati, e poi il dì medesimo quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo tra·lloro ogni ingiuria e malavoglienza, scoprendosi l'una setta all'altra, di loro ordine e trattati tutti s'armarono per rubellarsi da·llui, come diremo apresso nel seguente capitolo.

XVII

Come la città di Firenze si levò a romore, e cacciaronne il duca d'Atene che·nn'era signore.

Essendo la città di Firenze in tanto bollore, e sospetto e gelosia, sì per lo duca avendo scoperte le congiurazioni fatte per tanti cittadini contra·llui, e fallitoli il suo proponimento di non potere raccogliere i nobili e possenti cittadini al falso e disleale consiglio, e d'altra parte i cittadini i più possenti sentendosi in colpa della congiura, e sentendo il mal volere del duca, e che già nella terra avea più di DC cavalieri di sue masnade, e ogni dì agiugneva; e·lla gente del signore di Bologna e certi altri Romagnuoli che venieno in suo aiuto avieno già valicata l'alpe, dubitarono che·llo indugio non fosse a·lloro pericolo, ricordandosi del verso di Lucano: "Tolle mora, semper etc. ". Gli Adimari, e Medici, e Donati principali, sabato sonata nona, usciti i lavoranti delle botteghe dì XXVI di luglio, il dì di santa Anna anni <I>Domini</I> MCCCXLIII, ordinarono in Mercato Vecchio e in porta San Piero che certi ribaldi fanti fitiziamente s'azzuffassono insieme, e gridassono: "All'arme, all'arme!"; e così feciono. La terra era insollita e in paura, incontanente tutta corse a furore e a sgombrare i cari luoghi; e di presente, com'era ordinato, tutti i cittadini furo armati a cavallo e a piè, ciascuno alla sua contrada e vicinanza, traendo fuori bandiere dell'armi del popolo e del Comune, com'era ordinato, gridando: "Muoia il duca e' suoi seguaci, e viva il popolo e 'l Comune di Firenze e libertà!". E di presente fu abarrata e aserragliata tutta la città ad ogni capo di vie e di contrade. Quelli del sesto d'Oltrarno, grandi e popolani, si giurarono insieme e baciarono in bocca, e abarraro i capi de' ponti, con intenzione che se tutta la terra di qua si perdesse, di tenersi francamente di là. E mandato il dì dinanzi da parte del Comune segretamente per soccorso e aiuto a' Sanesi; e certi di Bardi e Frescobaldi stati a Pisa e tornati di nuovo in Firenze mandarono per loro ispezialtà per aiuto a' Pisani. La qual cosa quando si seppe per lo Comune e per li altri cittadini, forte se ne turbaro. La gente del duca sentendo il romore s'armaro e montaro a cavallo, e chi potéo di loro al cominciamento corsono alla piazza del palagio in quantità di CCC a cavallo; gli altri, chi·ffu preso, e rubato per li alberghi, e·cchi per le vie fediti e morti e scavallati, e per li serragli impacciati, e rubati i cavalli e·ll'arme. Al cominciamento trassono al soccorso del duca in sulla piazza di priori certi cittadini amici del duca, cui avea serviti, che non sapieno il segreto delle congiure; ciò furono de' principali: messer Uguiccione Bondelmonti con alcuno suo consorto e cogli Acciaiuoli, e meser Giannozzo Cavalcanti e di suoi consorti, e Peruzzi, e Antellesi, e certi scardassieri e alcuno beccaio, gridando: "Viva lo signore lo duca!". Ma come s'avidono che quasi tutti i cittadini erano sommossi a furore contro a·llui, si tornarono a casa, e seguirono il popolo, salvo messere Uguiccione Bondelmonti, cui il duca ritenne seco in palagio, e i priori dell'arti per sicurtà di sua persona, i quali erano rifuggiti in palagio. Essendo levato il detto romore e tutta gente ad arme, quelli de' cinque sesti, ond'erano capo gli Adimari, per scampare Antonio di Baldinaccio loro consorto e gli altri presi per lo duca, e Medici, e Altoviti, e Oricellai, e degli altri offesi da·llui, com'è detto adietro, presono le bocche delle vie che menano in sulla piazza del palagio de' priori, ch'erano più di XII vie, e quelle abarrarono e aforzarono sicché nullo non potea entrare né uscire del palagio e piazza, e di dì e di notte si combattero colla gente del duca, ch'erano in sul palagio e 'n sulla piazza, ov'ebbe alquanti morti, ma molti fediti di cittadini per lo molto saettamento e pietre che venia del palagio dalla gente del duca. Ma alla fine la gente del duca ch'era in sulla piazza, la sera medesima, non poterono durare e non avendo da vivere, lasciando i loro cavalli, i più di loro si fuggiro nel compreso del palagio ov'era il duca e' suoi baroni, e alquanti si guerentirono tra' nostri lasciando l'armi e cavalli, e·cchi preso e·cchi fedito. E come si cominciò il detto romore, Corso di meser Amerigo Donati co' suoi fratelli e altri seguaci ch'avieno loro amici e parenti in prigione assaliro e combattero la carcere delle Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca ch'era di legname, e collo aiuto de' prigioni dentro ruppero le dette carcere, e uscinne tutti i prigioni, e con quello empito, crescendo loro séguito di meser Manno Donati, e di Niccolò di meser Alamanno, e Tile di Guido Benzi de' Cavicciuli, e Beltramo de' Pazzi, e di più altri, ch'avieno loro amici in bando e presi in palagio, assalirono combattendo il palagio della podestà, ov'era mesere Baglione da Perugia podestà per lo duca, il quale né egli né sua famiglia si misono a risistenza, ma con grande paura e pericolo si fuggì a guarentigia in casa gli Albizi, che 'l ricolsono; e·cchi di sua famiglia si fuggì in Santa Croce; e rubato il palagio d'ogni loro arnesi infino alle finestre e panche del Comune; e ogni atto e scritture vi furono prese e arse, e rotta la carcere della Volognana, e scapolati i prigioni; e poi ruppono la camera del Comune, e di quella tratti tutti i libri ov'erano scritti gli sbanditi e rubelli e condannati, e arsi tutti; e simile rubati gli atti dell'uficiale della mercatantia sanza contasto niuno. Altra ruberia od offensione corporale non fu fatta in tanto scioglimento di città, se non contro alla gente del duca; che·ffu gran cosa, e tutto avenne per l'unità in che·ssi trovaro i cittadini a ricoverare la loro libertà e quella della republica del Comune. E·cciò fatto, il detto sabato quelli d'Oltrarno apersono l'entrata de' ponti, e valicaro di qua a cavallo e a piè in arme, e cogli altri cittadini de' V sesti feciono levare le sbarre e serragli delle rughe mastre, colle 'nsegne del Comune e del popolo cavalcarono per la città gridando: "Viva il popolo e Comune in sua libertà, e muoia il duca e' suoi! "; e trovarsi i cittadini più di mille a cavallo ben montati, e inn-arme tra di loro cavalli e di quelli tolti alla gente del duca, e più di Xm cittadini armati a corazze e barbute come cavalieri, sanza l'altro minuto popolo tutto in arme, sanza alcuno forestiere o contadino; il quale popolo fu molto amirabile a vedere, e possente, e unito. Il duca e sua gente veggendosi così fieramente assaliti e assediati dal popolo nel palagio con più di CCCC uomini (e non avea quasi altro che biscotto e aceto e acqua), ma credendosi guarentire dal furioso popolo, la domenica fece cavaliere Antonio di Baldinaccio il quale non si volea fare di sua mano; ma i priori, ch'erano rinchiusi in palagio, vollono si facesse a onore del popolo di Firenze; poi lasciò lui e gli altri cui avea presi, e puose in sul palagio bandiere del popolo, ma però non cessò l'asedio e furia del popolo. La domenica di notte giunse il soccorso di Sanesi, CCC cavalieri e CCCC balestieri molto bella gente, e co·lloro sei grandi e popolani cittadini di Siena per ambasciadori. I Saminiatesi mandato al servigio del nostro Comune IIm pedoni armati, e' Pratesi D. E venne di presente il conte Simone da Battifolle, e Guido suo nipote con CCCC fanti. E di nostri contadini armati il seguente dì vennero in grandissima quantità al Comune e a' singulari cittadini, onde tutta la città fu piena d'innumerabile gente. I Pisani mandavano alla richiesta di loro amici, come toccammo adietro, sanza assento del Comune, D cavalieri, i quali vennero infino al borgo della Lastra di là da Settimo. Sentendosi in Firenze, se n'ebbe grande gelosia e grande mormorio contro a que' grandi a·ccui richiesta venivano; e per lo Comune e per loro fu contramandato che non venissono, e così feciono; ma tornandosi adietro, da quelli di Montelupo e di Capraia e d'Empoli e di Puntormo furono assaliti, e tra morti e presi più di cento pure de' migliori; e perderono più di CC cavalli, che furono loro tra morti e rubati.

Arezzo sentito come il duca era assediato da' cittadini di Firenze, incontanente si rubellarono alla gente e uficiali del duca per li Guelfi. E il castello dentro fatto per li Fiorentini rendé Guelfo di meser Bindo Bondelmonti. E Castiglione Aretino rendé Andrea e Iacopo Laino de' Pulci, che·nn'erano castellani, a' Tarlati. Pistoia si rubellò, e ridussonsi a·lloro libertà e a popolo guelfi, e disfeciono il castello fatto per li Fiorentini e ripresono Serravalle. E rubellossi Santa Maria a Monte e Montetopoli tenendosi per loro; rubellossi Volterra, e tornò alla signoria di meser Attaviano de' Belforti, che prima la signoreggiava; e Colle, e San Gimignano dalla signoria del duca, e disfeciono le castella, e rimasono i·lloro libertà. Tale fu la rovina della signoria del duca in Firenze e d'intorno. In pochi giorni venuti in Firenze i Sanesi e·ll'altra amistà, il vescovo con certi buoni cittadini grandi e popolani feciono richiedere a bocca tutta buona gente, e sonare la campana della podestà, e bandire parlamento per riformare lo stato e signoria della città. E congregati tutti in Santa Reparata in arme il lunedì apresso, di grande accordo elessono l'infrascritti XIIII cittadini, VII grandi e VII popolani con piena balìa di riformare la terra e fare uficiali e leggi e statuti, per tempo fino a calen di ottobre vegnente; ciò furono del sesto d'Oltrarno messer Ridolfo di Bardi, messer Pino de' Rossi, e Sandro di Cenni Biliotti; di San Piero Scheraggio messer Giannozzo Cavalcanti, messer Simone Peruzzi, Filippo Magalotti; per Borgo meser Giovanni Gianfigliazzi, Bindo Altoviti; per San Brancazio messer Testa Tornaquinci, Marco degli Strozzi; per porta del Duomo messer Bindo della Tosa, messer Francesco de' Medici; di porta San Piero mesere Talano degli Adimari, messer Bartolo de' Ricci. I detti XIIII elessono per podestà il conte Simone, e ragunavansi nel vescovado. Ma il detto conte, come savio, rinuziò e non voll'essere giustiziere de' Fiorentini; e però chiamato meser Giovanni marchese da Valiano, e infino che penasse a venire elessono luogotenente di podestà l'infrascritti VI cittadini, uno per sesto, III grandi e III popolani; messer Berto di meser Stoldo Frescobaldi, Nepo delli Spini, meser Francesco Brunelleschi, Taddeo dell'Antella, Paolo Bordoni, Antonio degli Albizi; e stavano nel palagio del podestà con CC fanti pratesi, tegnendo ragione sommaria di ruberie e forze e di simili, sanz'altro uficio. In questa stanza non cessava l'assedio del duca, di dì e di notte combattendo il palagio, e di cercare di suoi uficiali. Fu preso uno notaio del conservadore per li Altoviti stato crudele e reo, fu tutto tagliato a bocconi. E apresso fu trovato meser Simone da Norcia stato uficiale sopra le ragioni del Comune, il quale molti cittadini cui a diritto e cui a torto avea tormentati crudelmente e condannati, per simile modo a pezzi tutto tagliato. E uno notaio napoletano, ch'era stato capitano di sergenti a piè del duca, reo e fellone tutto fu abocconato dal popolo. E ser Arrigo Fei, ch'era sopra le gabelle, fuggendosi da' Servi vestito come frate, conosciuto da San Gallo fu morto, e poi da' fanciulli tranato ignudo per tutta la città, e poi in sulla piazza de' priori impeso per li piedi, e sparato e sbarrato come porco: tal fine ebbe della sua isforzata industria di trovare nuove gabelle, e·lli altri di su detti della loro crudeltà. I signori XIIII col vescovo, e 'l conte Simone e·lli ambasciadori di Siena al continuo erano in trattato col duca per trarlo di palagio, e sovente a vicenda a parte a parte di loro entravano e uscivano di palagio, benché poco piacesse al popolo. Alla fine nulla concordia asentiva il popolo, se non avessono dal duca il conservadore, e 'l figliuolo, e meser Cerritieri per farne giustizia. Il duca in nulla guisa l'asentiva, ma i Borgognoni ch'erano assediati in palagio s'allegarono insieme, e dissono al duca che inanzi che volessono morire di fame e a tormento, darebbono preso lui al popolo, non che i detti tre, e ordinato l'avieno, e il podere avieno di farlo, tanti erano, e sì erano forti. Il duca veggendosi a tal partito acconsentì; e venerdì, a dì primo d'agosto, in sull'ora della cena i Borgognoni presono meser Guiglielmo d'Ascesi, detto conservadore delle tirannie del duca, e un suo figliuolo d'età di XVIII anni, di poco fatto cavaliere per lo duca, ma bene era reo e fellone a tormentare i cittadini, e pinsollo fuori dell'antiporto del palagio in mano dell'arrabbiato popolo, e di parenti e amici cui il padre avea giustiziati, Altoviti, Medici, Oricellai, e quelli di Bettone principali, e più altri, i quali, in presenza del padre per più suo dolore, il suo figliuolo pinto fuori inanzi il tagliarono e smembrarono a minuti pezzi; e·cciò fatto pinsono fuori il conservadore e feciono il somigliante, e chi·nne portava un pezzo in sulla lancia e·cchi in sulla spada per tutta la città; ed ebbevi de' sì crudeli, e con furia bestiale e tanto animosa, che mangiaro delle loro carni cruda e cotta. Cotale fu la fine del traditore e persecutore del popolo di Firenze. E nota che·cchi è crudele crudelmente dee morire, <I>disit Domino</I>. E fatta la detta furiosa vendetta molto s'aquetò e contentò la rabbia del popolo; e·ffu però scampo di meser Cerritieri, che dovea esere il terzo; ma saziati i loro aversari no·llo domandaro; e fuggendosi la sera fu nascosto e poi traviato da certi di Bardi, e altri suoi amici e parenti. E per la detta furiosa vendetta fatta sopra il conservadore e 'l figliuolo, ch'avea giudicati Naddo di Cenni e Guiglielmo Altoviti e gli altri, poco apresso si feciono cavalieri due delli Oricellai e poi due delli Altoviti; la qual cosa poco fu loro lodata da' cittadini. Ma torniamo a nostra matera de' fatti del duca, che·lla domenica apresso, dì III d'agosto, il duca s'arrendé e diede il palagio al vescovo e a' XIIII e a' Sanesi e conte Simone, salve le persone di lui e di sue genti. La qual sua gente n'uscirono con gran paura acompagnati da' Sanesi e da più buoni cittadini. E il duca rinuziò con saramento ogni signoria e giuridizione e ragione ch'avesse aquistata sopra la città contado e distretto di Firenze, dimettendo e perdonando ogni ingiuria; e a cautela promettendo di retificare ciò, quando fosse fuori del contado di Firenze. E per paura della furia del popolo, con sua privata famiglia rimase in palagio alla guardia de' detti signori infino mercoledì notte di VI d'agosto; e raquetato il popolo, in sul mattutino uscì di palagio acompagnato dalla gente de' Sanesi e del conte Simone, e di più nobili e popolani e possenti cittadini ordinati per lo Comune. E uscì per la porta di San Niccolò e passò Arno al ponte a Rignano salendo a Valembrosa e a Poppi; e·llà fatta la ritificagione promessa, passò per Romagna a Bologna, e dal signore di Bologna fu bene ricevuto, e donatogli danari e cavalli; e poi se n'andò a Ferrara e a Vinegia. E·llà fatte armare II galee, sanza prendere congio di più di sua gente che gli erano iti dietro, lasciandogli mal contenti di loro gaggi, privatamente di notte si partì di Vinegia, e·nn'andò in Puglia. Cotale fu la fine della signoria del duca d'Atene, ch'avea con inganno e tradimento usurpata sopra in Comune e popolo di Firenze, e il suo tirannico reggimento mentre la signoreggiò, e com'elli tradì il Comune, così da' cittadini fu tradito. Il quale n'andò con molta sua onta e vergogna, ma con molti danari tratti da·nnoi Fiorentini, detti orbi e inn-antico volgare e proverbio per li nostri difetti e discordie, e lasciandoci di male sequele. E partito il duca di Firenze, la città s'aquetò e disarmarsi i cittadini, e disfecionsi i serragli, e partirsi i forestieri e' contadini, e apersonsi le botteghe, e ciascuno attese a·ssuo mestiere e arte. E detti XIIII cassarono ogni ordine e dicreto che 'l duca avea fatto, salvo che confermarono le paci tra' cittadini fatte per lui. E nota che come il detto duca occupò con frode e tradigione la libertà della republica di Firenze il dì di nostra Donna di settembre, non guardando sua reverenza, quasi per vendetta divina così permisse Iddio che i franchi cittadini con armata mano la raquistassono il dì di sua madre madonna santa Anna, dì XXVI di luglio MCCCXLIII; per la qual grazia s'ordinò per lo Comune che·lla festa di santa Anna si guardasse come pasqua sempre in Firenze, e si celebrasse solenne uficio e grande oferta per lo Comune e per tutte l'arti di Firenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XVIII

Come la città di Firenze si recò a quartieri e si raccomunarono gli ufici co' grandi, ma poco durò.

Riposato alquanto la città di Firenze del furore della cacciata del duca, i signori XIIII col vescovo tennero più consigli co' cittadini di riformare la terra dell'uficio di priori e collegio di XII e gonfalonieri e degli altri ufici. A' grandi parea loro ragionevole, siccom'erano stati principali a ricoverare la libertà del Comune, d'avere parte degli ufici del priorato e di tutti gli altri; e certi popolani grassi ch'erano usi di regnare vi si accordavano per tornare inn-istato collo apoggio di grandi, co' quali aveano molti parentadi. Gli altri artefici e popolo minuto erano contenti di dare parte loro d'ogni uficio, salvo del priorato e di dodici e gonfalonieri delle compagnie del popolo, e a questi s'acordavano per pace del popolo più al convenevole. Ma pure si vinse per lo vescovo, per l'oficio de' XIIII e col consiglio di Sanesi che' grandi avessono parte di tutti gli ufici per più unità di Comune. E con ciò sia cosa che quelli del sesto d'Oltrarno e di San Piero Scheraggio parea loro, che non fosse giusto d'avere uno priore per sesto, ed ellino più grandi che gli altri quattro, e portavano delle gravezze del Comune più che·lla metà, cioè il sesto d'Oltrarno della 'mposta di Cm fiorini d'oro XXVIIIm e San Piero Scheraggio XXIIIm, e Borgo XIIm, e San Brancazio XIIIm; e porta del Duomo XIm, e porta San Piero XIIIm; sì·ssi acordarono di recare la terra a quartieri in questo modo; Oltrarno il primo, e chiamossi il quartiere di Santo Spirito colla 'nsegna in arme, il campo azurro, e una colomba bianca co' razzi d'oro in becco. Il secondo quartiere fu tutto il sesto di San Piero Scheraggio, togliendo più che 'l terzo di porta San Piero, cominciandosi in Calimala fiorentina al chiasso di Rimaldelli con tutto Orto San Michele, e giù per la via di Sa·Martino, e della Badia e di San Brocolo, rimanendo le dette chiese e più che mezzi i popoli loro nel detto quartiere; e·ffu al diritto per la via di San Brocolo per la Città Rossa infino di costa alla porta Guelfa e mura nuove, togliendo del popolo di San Piero Maggiore e di Santo Ambruogio infino a mezza alla via Ghibellina, e più quello ch'era di là dalla via Ghibellina del detto popolo; e questo si chiamò il quartiere di Santa Croce, coll'arme il campo azurro e·lla croce ad oro. Il terzo quartiere fu tutto il sesto di Borgo e quello di San Brancazio, e chiamarlo il quartiere di Santa Maria Novella, coll'arme il campo azurro e uno sole con razzi d'oro. Il quarto quartiere fu tutta porta del Duomo col rimanente di porta San Piero, e chiamarlo il quartiere di San Giovanni, coll'arme il campo azurro e colla cappella di San Giovanni ad oro, con due chiavi dal lato al Duomo per contentare in parte quelli di porte San Piero, che solo di cinque sesti era partito quello per lo modo ch'è detto; che in prima erano i confini di porte San Piero cominciando alla casa dell'arte della lana e tutto Orto San Michele, dividendo la via che viene da casa i Cerchi Bianchi, volgendosi nel Garbo al chiasso che parte le case de' Sacchetti alle case della Badia e mezzo il palagio del podestà, e tutta quasi quella via dall'uno lato e dall'altro infino alla via delle Taverne, e poi mezza la via Ghibellina, e poi passava quella al crocicchio di sopra infino al Tempio, e tutta quasi l'isola dentro alle mura e del popolo di Santo Ambruogio, ed era del sesto di porta San Piero. Partita la terra a quartieri, sì s'ordinò per lo vescovo e per li XIIII lo squittino per fare i priori, ed elessono XVII popolani e VIII grandi per quartiere, e co·lloro i detti XIIII e 'l vescovo, sicché in tutto furono CXV; e per lo consiglio de' Sanesi e del conte Simone, per recare la città più a comune, sì ordinaro d'eleggere XII priori per uficio, III per quartiere, uno di grandi e II di popolo, e VIII consiglieri a diliberare le gravi cose co' priori, in luogo di XII come solieno esere, cioè IIII grandi IIII popolani, II per quartiere, e tutti gli altri ufici fossero per metà co' grandi. Compiuto il detto squittino di grande acordo, fu messa una voce per la terra, che de' priori dovea esere meser Manno Donati e di simili caporali di case troppo possenti, onde il popolo si turbò forte, e·ffu quasi in arme per contradiare infino che non furono tratti e palesati i nuovi priori; ciò fu dì II all'uscita d'agosto, dovendo stare infino a Ognisanti. I nomi de' quali furono questi: nel quartiere di Santo Spirito Zanobi di meser Lapo di Mannelli di grandi, Sandro da Quarata, Niccolò di Cione Ridolfi popolani; nel quartiere di Santa Croce meser Razzante di Foraboschi di grandi, Borghino Taddei, Nastagio Tolosini popolani; nel quartiere di Santa Maria Novella Ugo di Lapo delli Spini di grandi, meser Marco di Marchi giudice, Antonio d'Orso popolani; nel quartiere di San Giovanni meser Francesco Trita delli Adimari di grandi, e Billincione degli Albizi e Neri di Lippo popolani. E gli otto consiglieri de' priori, II per quartiere, furono questi: Bartolo di meser Ridolfo de' Bardi, Adoardo Belfredelli, Domenico di meser Ciampolo Cavalcanti, meser Francesco Salvi giudice, Nepo delli Spini, ser Piero di ser Feo da Signa, Beltramo de' Pazzi, e Piero Rigaletti. Veggendo il popolo ch'erano convenevoli e pacifichi grandi, e non di tiranni gli eletti, s'aquetarono, ma però malcontenti di sì fatto mischiato, come poco apresso si mostrò. E messi i detti priori in palagio, i XIIII si tornarono a·ccasa loro, riserbandosi la loro balìa, e ragunandosi alcuno dì della settimana in vescovado col vescovo a ordinare l'altre bisogne del Comune.

XIX

Come il popolo trassono i grandi dell'uficio del priorato, e riformaro la terra.

Ma il nimico dell'umana generazione e d'ogni concordia seminò la sua superbia e invidia nell'animo di certi malvagi grandi e popolani. Prima veggendosi certi rei de' grandi il favore della signoria, e non essendo rifermi gli ordini della giustizia; e bene avieno ordinato i XIIII che·ssi facesse uno libro di malabbiati, ove si scrivessono i mafattori de' grandi, e quelli fossero puniti, ma però non si raffrenavano i malvagi grandi, ma cominciaro a·ffare delle forze e micidi in città e in contado, e di false accuse contra i popolani, onde i popolani si tenieno mal contenti della loro consorteria delli ufici, e cominciaro forte a dubitare di maggiore pericolo, sentendo che colle borse dello squittino avea di maggiori caporali grandi di Firenze. Onde il popolo si commosse contro a' grandi, e collo aiuto e favore di meser Giovanni della Tosa, e di mesere Antonio degli Adimari, e di meser Geri de' Pazzi cavalieri del popolo, a' quali dispiacea i modi di tali di loro consorti e degli altri grandi contro al popolo, e non parea loro stato fermo. Bene ci ebbe anche colpa la 'nvidia di certi popolani, che non volieno negli ufici volentieri la compagnia di loro maggiori, e per essere più signori e fare del Comune a·lloro guisa; onde segretamente trattato co' detti cavalieri e con certi caporali di popolo, e col vescovo, e con certi de' priori medesimi, ch'erano all'uficio e popolani, di recare il secondo uficio di priori ch'uscisse pure agli otto popolani, due per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia, e nullo de' grandi per lo meglio del Comune e del popolo, rimanendo a comune co' grandi gli altri ufici; ed era ben fatto per aquetare il popolo. Il vescovo credendo ben fare, se ne scoperse a' compagni suoi XIIII, ch'erano, come detto è, VII grandi pure di maggiori, dicendo ch'era il meglio di farlo d'amore e d'accordo co' grandi, onde ne tenne co' detti suoi compagni e con altri grandi più consigli in Santa Felicita Oltrarno, ov'erano capo i Bardi e' Rossi e' Frescobaldi e di più altre case di grandi di Firenze, pregandoli che·cciò asentissono; i quali nulla ne vollono udire, parlando di grosso e con minacce: "Noi vedremo chi·cci torrà la parte nostra della signoria, e·cci vorrà cacciare di Firenze, che·lla francammo dal duca". E di ciò erano più principali i Bardi, chiamando il vescovo traditore, ch'avea tradito prima il Comune e popolo, e data la signoria al duca, e poi tradito e cacciato lui, "e ora vuogli tradire noi"; e cominciarsi a fornire d'armi e di gente, e a mandare per amici di fuori. Sentendosi questo per la città, tutta fu in gelosia e sotto l'arme, col consiglio e ordine di sopradetti III cavalieri del popolo, che·nn'erano capo; sì vennero molti popolani armati sulla piazza de' priori gridando: "Viva il popolo, e muoiano i grandi traditori!"; gridando a' priori popolani ch'erano in palagio: "Gittatene dalle finestre i priori vostri compagni de' grandi, o·nnoi v'arderemo in palagio co·lloro insieme"; e recarono la stipa, e misono il fuoco all'antiporto del palagio. I priori popolani scusavano i loro compagni di grandi, dicendo ch'erano diritti e·lleali e bene inn-accordo, con tutto che i più di loro il dicevano alla 'nfinta, ed era stato loro operazione. Alla fine crescendo la forza e furore del popolo, convenne che' detti priori de' grandi rinuziassono all'uficio, e per grazia uscissono di presente di palagio sotto sicurtà del popolo, e con grande paura acompagnati a casa loro; e·cciò fu lunedì a dì XXII di settembre MCCCXLIII. E nota che in così piccolo tempo la città nostra ebbe tante novità e varie rivoluzioni, come avemo fatto menzione, e faremo nel seguente e terzo capitolo. E bene difinì il grande filosofo maestro Michele Scotto quando fu domandato anticamente della disposizione di Firenze, che·ssi confa alla presente matera; disse in brieve motto in latino: "Non diu stabit stolida Florenzia florum; decidet in fetidum, disimulando vivet". Ciò è in volgare: "Non lungo tempo la sciocca Firenze fiorirà; cadrà in luogo brutto, e disimulando vive". Ben disse questa profezia alquanto dinanzi la sconfitta di Monte Aperti; ma poi pure asseguito ciò si vede manifesto per nostri processi. E 'l nostro poeta Dante Allighieri scramando contra al vizio della incostanza de' Fiorentini nella sua Commedia, capitolo VI Purgatoro, disse intra·ll'altre parole:

Attena e·lLacedemonia, che fenno

L'antiche leggi e furon sì civili,

Feciono al viver bene un piccol cenno

Verso di te, che·ffai tanto sottili

Provedimenti, ch'a mezzo novembre

Non giugne quel che·ttu d'ottobre fili.

E bene fu profezia e vera sentenzia in questo nostro fortuito caso, e in quelli che seguiranno apresso, per le nostre disimulazioni. Partiti i quattro priori di palagio di grandi, e disfatto l'uficio delli otto loro consiglieri mischiato co' grandi, col consiglio delle capitudini delle XXI arti, i priori popolari ch'erano rimasi all'uficio elessono i XII consiglieri de' priori, tutti popolani, ed elessono gonfalonieri delle compagnie del popolo; e de' XVIIII ch'erano prima che 'l duca regnasse gli recarono a XVI, quattro per quartiere; e feciono gonfaloniere di giustizia Sandro da Quarata, ch'era de' priori; e feciono il consiglio del popolo LXXV per quartiere. Così fortunando e disimulando si rifermò la città alla signoria del popolo.

Come il popolo di Firenze assaliro e combattero i grandi e rubarono i Bardi e missono fuoco in casa loro.

Stando tutta la città inn-arme e gelosia, i grandi del popolo e 'l popolo de' grandi, com'è detto, dicendosi molte e varie novelle per la terra, e come i grandi arebbono grande aiuto da' conti e Ubaldini e Pisani e d'altri tiranni di Lombardia e di Romagna, e che dovieno afforzarsi Oltrarno, ch'avieno la signoria di tutti i ponti, e di qua fare cominciare l'assalto giovedì a dì XXV di settembre; i popolani del quartiere di San Giovanni, onde si feciono capo i Medici e' Rondinelli e meser Ugo della Stufa giudice, e' popolani di borgo Sa·Lorenzo co' beccari e altri artefici, sanza ordine di Comune, in quantità di mille uomini sanz'altra compagnia o forza di gente al cominciamento, mercoledì dopo desinare, dì XXIIII di settembre, per non aspettare il giovedì vegnente, che·ssi dicea che' grandi doveano fare l'assalto e correre la terra, con tre di loro gonfaloni delle compagnie del loro quartiere, tutti armati a barbute e corazze a piè, e molte balestra, asalirono da più parti quelli del lato degli Adimari chiamati i Cavicciuli, i quali con grandi serragli e guernimento di torri e di palagi e loro case dal crocicchio del Corso dalla loggia loro alla piazza di San Giovanni s'erano aforzati con molta gente d'arme. E cominciato per lo popolo l'asalto e battaglia manesca a' serragli, saettando e gittando pietre l'una parte all'altra, crescendo al continovo la forza del popolo; i Cavicciuli veggendo non poteano resistere, e aiuto di fuori d'altri grandi non avieno né attendeano, patteggiati s'arrenderono al popolo, salve le persone e·lloro cose, e disfeciono i loro serragli, e puosonsi in su' loro palagi le bandiere del popolo. E·cchi di loro andò inn-uno luogo e chi inn-altro a casa di loro amici e parenti popolani, sanza danno niuno, se non di fediti dall'una parte e dall'altra. Vintosi per lo detto popolo la detta prima punga e asalto sopra i Cavicciuli, ch'erano i più virili e arditi e possenti grandi di Firenze, presono i popolani molto ardire e vigore, e al continovo crescendo loro la massa del popolo e aiuto d'alquanti di soldati del Comune ch'erano in Firenze, corsono a casa i Donati e poi a casa i Cavalcanti. Ellino sentendo come i Cavicciuli s'erano arrenduti al popolo, non feciono nulla risistenza, ma per simile modo s'arrenderono al popolo. In somma, in poca d'ora tutte le case di grandi di qua da Arno feciono il somigliante, e disarmarsi e disfeciono loro guernigioni e serragli. Le case de' grandi d'Oltrarno, Bardi, e Rossi, e Frescobaldi, e Mannelli, e Nerli s'erano aforzati molto, e prese le bocche de' ponti. Il detto commosso popolo volendo passare Oltrarno per lo detto ponte Vecchio, ch'ancora era di legname, non ebbe luogo, però che·lla forza di Bardi e di Rossi era sì grande e di sì forti serragli, e armata la torre della parte e 'l palagio de' figliuoli di meser Vieri de' Bardi e·lle case di Mannelli di capo del ponte Vecchio, che 'l popolo non vi potea accedere né passare. Ma combattendo però francamente il serraglio, molti ve n'ebbe fediti di sassi e di verrettoni di balestri. Veggendo il popolo che da quella parte non poteano passare, e dal ponte Rubaconte peggio, per la fortezza de' palagi de' Bardi da San Ghirigoro, sì presono partito di lasciare alla guardia del ponte Vecchio parte de' gonfaloni del quartiere di Santa Croce e di quelli di borgo di Santo Apostolo, e parte rimasono alla guardia del ponte Rubaconte di qua. L'altro popolo molto cresciuto co' soldati a cavallo si misono ad andare dal ponte alla Carraia, il quale guardavano i Nerli; ma·lla forza di popolani di borgo San Friano e della Cuculia e del Fondaccio fu sì grande, che inanzi che passasse il popolo di qua da Arno presono il capo del ponte e·lle case de' Nerli, e loro ne cacciaro; e preso per li popolani d'Oltrarno il ponte alla Carraia, il vittorioso popolo di qua passaro al detto ponte incontanente, e acozzatosi co' popolani d'Oltrarno, e furiosamente assaliro i Frescobaldi, i quali prima assaliti e combattuti a' loro serragli da quelli di via Maggio e circustanti popolani, ma però non vinti; ma veggendosi venire adosso la furia del detto popolo di qua da Arno, ebbono gran paura, e abandonarono la piazza loro, lasciando ogni fortezza e guernigione, balestra, pavesi, saettamento, fuggendosi in casa, e faccendo croce colle braccia, chieggendo mercé al popolo, il quale gli ricevette sanza fare loro alcuno male. E·cciò fatto, corsono alla piazza a ponte sopra i Rossi, i quali saputo come i Frescobaldi s'erano arenduti al popolo, e tutte le case di grandi di qua da Arno, sanza alcuna risistenza s'arrenderono al popolo. Que' di casa Bardi veggendosi abandonati da' Rossi e Frescobaldi ebbono gran paura, ma pure francamente si misono alla difesa de' loro serragli combattendo, gittando, saettando, dov'ebbe di morti alcuno e di fediti assai, d'una parte e d'altra, però che' Bardi erano molto forti e guerniti a cavallo e a piè, e con molti masnadieri, sicch'era invano al popolo di vincere il serraglio per forza; ma ordinaro que' del popolo che i tre di gonfaloni d'Oltrarno salissono al poggio di San Giorgio per la via nuova dal pozzo Toscanelli, e così feciono; e cominciaro loro la battaglia al di dietro. I Bardi veggendosi sì aspramente asaliti da tante parti, isbigottirono forte, e cominciaro abandonare parte di loro il serraglio della piazza a ponte, ch'era sotto la guardia della torre della parte guelfa e del palagio di figliuoli di meser Vieri de' Bardi, per difendersi di dietro dal canneto e San Giorgio. Allora uno Strozza tedesco conestabole con sua masnada si misse dentro al serraglio della piazza al ponte a grande pericolo, ricevendo di molti sassi e quadrella, e corse infino a Santa Maria sopr'Arno, e il popolo francamente dietro; e quelli del popolo ch'erano di qua alla guardia del ponte Vecchio allora ruppono il serraglio del capo del ponte e valicarono di là, e al tutto cogli altri popolani, ch'erano di là, ruppono la resistenzia e forza di Bardi, i quali tutti si fuggirono nel borgo di San Niccolò, raccomandandosi alla vicinanza, onde furono le loro persone guarentiti da quelli da Quarata e da quelli da Panzano e·ll'altra vicinanza del gonfalone della Scala, i quali per lo popolo avieno in prima alquanto, per non esere corsi e rubati, presi i palagi di Bardi da Santo Ghirigoro ella guardia del capo del ponte di là incontanente i popolani, ch'erano alla guardia del capo del ponte Rubaconte di qua del quartiere di Santa Croce; e quello iscampò i Bardi da morte, i quali per la loro buona vicinanza da San Niccolò ritennero il furioso popolo con quella forza e per guardare la loro contrada. Ma tutti i palagi e case di Bardi da Santa Lucia alla piazza a ponte furono rubate dal minuto popolo d'ogni sustanzia, maserizie e arnesi, quello dì e·ll'altro, ed eziandio di loro vicini non possenti. E·ll'arabbiato popolo, rubate le case, misono fuoco in casa loro, e arsonvi XXII tra palagi e case grandi e ricche, e stimossi il loro danno tra di ruberie e d'arsione il valere di più di LXm fiorini d'oro. Tale fu la fine della risistenza de' Bardi contro al popolo per la loro superbia e maggioranza e per lo sfrenato popolo. Ma·ffu grande maraviglia e grazia di Dio, che di tanta furia di popolo e di tanti assalti e battaglie fatte in quella giornata, come avemo raccontato, non morì in Firenze nullo uomo di rinomea, e d'altri pochi, ma fediti assai. Per la ghiottornia della ruberia da casa i Bardi, che infino alle lastre de' tetti e ogni vili cose, non che le care, tale fu il giudicio contro a' Bardi, che infino alle femminelle e' fanciulli, non che gli uomini, non si potieno saziare né raffrenare di rubare. Il giovedì medesimo si levò una compagna di malandrini in quantità di più di mille a piè, e si ragunarono per combattere i Visdomini e rubarli sotto titolo di difetti di mesere Cerritieri loro consorte fatti intorno al duca; ma non ci era a ciò giusta cagione, che de' difetti e falli di meser Cerritieri i Visdomini erano stati crucciosi; ma non movea se non solo per potere rubare, e non sarebbero rimasi a tale, ma tutta la città corsa e rubata, e grandi e popolani; ma·lla vicinanza con molta altra buona gente armata, e·lle signorie e soldati del Comune a cavallo e a piè corsono al soccorso e riparo, e cessarono tanta rovina e pistolenza alla nostra città, andando per la terra le signorie in più parti coll'aiuto della gente di Sanesi, e Perugini, e dell'altre amistadi, e degli altri buoni cittadini a cavallo e a piè, con ceppi e mannaie, tagliando di fatto piedi e mani a' mafattori; e in questo modo s'atutò la furia dello sfrenato popolo disposti a rubare e a mal fare, e cominciarsi aprire i fondachi e botteghe, e ciascuno fare i fatti suoi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Campaldino

I Fiorentini furono contenti della sfida ricevuta e accettarono battaglia. Guillaume di Durfort, il giovane Aimeric di Narbonne e il consiglio dei capitani di guerra Fiorentini tra cui erano Vieri dei Cerchi, Bindo degli Adimari e Barone dei Mangiadori, innanzitutto dovevano decidere che tattica seguire e dunque scegliere lo schieramento conseguente, nominare quindi i comandanti delle varie schiere e dare gli ordini ai cavalieri che portavano le insegne; i gonfalonieri dei vari reparti sarebbero poi stati aiutati dai loro consiglieri e distringitori a guidare in battaglia i reparti loro affidati. Niente meglio del discorso di messer Barone de' Mangiadori rende l'idea di come l'oste dei Guelfi si preparò alla battaglia:

Lo schieramento guelfo stava reggendo all'urto ghibellino, le due schiere dei cavalieri Fiorentini erano già rinculate parecchio verso le salmerie ammassate a fare muro quando le ali di fanteria, spronate dagli urli dei loro gonfalonieri, cominciarono la manovra a tenaglia per chiudersi intorno ai cavalieri ghibellini, aiutate dal tiro dei balestrieri che scaricavano quadrelli e verrettoni. La mischia dei cavalieri infuriava al centro ma la forza della carica ghibellina si stava spengendo contro la massa dei cavalieri guelfi asserragliati davanti alle salmerie.
Molti reparti di cavalleria fiorentina erano ancora immobili, Talano degli Adimari e gli altri fiorentini di cavallata posti vicino ai carri stavano aspettando forse che si quietasse la mischia oppure rispettavano alla lettera la consegna di restare fermi. I cavalieri Fiorentini di prima schiera che erano stati disordinati dalla carica, riuscirono a rientrare al coperto dietro le fila delle salmerie per riordinarsi. Le ali dello schieramento di fanterie fiorentine, "i due corni al modo degli antichi", serravano verso la cavalleria nemica impegnata nella mischia: i balestrieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Adimari

Era arcivescovo di Firenze messer Agnolo Acciaiuoli, il quale con le prediche sue aveva già le opere del Duca magnificato e fattogli appresso al popolo grandi favori: ma poi che lo vide signore, e i suoi tirannici modi cognobbe, gli parve avere ingannato la patria sua; e per emendare il fallo commesso, pensò non avere altro rimedio se non che quella mano che aveva fatta la ferita la sanasse; e della prima e più forte congiura si fece capo; nella quale erano i Bardi, Rossi, Frescobaldi, Scali, Altoviti, Magalotti, Strozzi e Mancini. Dell'una delle due altre erano principi messer Manno e Corso Donati; e con questi i Pazzi, Cavicciuli, Cerchi e Albizzi. Della terza era il primo Antonio Adimari; e con lui Medici, Bordoni, Rucellai e Aldobrandini. Pensorono costoro di ammazzarlo in casa gli Albizzi, dove andasse il giorno di Santo Giovanni a vedere correre i cavagli credevano; ma non vi essendo andato, non riuscì loro. Pensorono di assaltarlo andando per la città a spasso; ma vedevono il modo difficile, perché bene accompagnato e armato andava, e sempre variava le andate, in modo che non si poteva in alcuno luogo certo aspettarlo. Ragionorono di ucciderlo ne' Consigli: dove pareva loro rimanere, ancora che fusse morto, a discrezione delle forze sue. Mentre che intra i congiurati queste cose si praticavano, Antonio Adimari con alcuni suoi amici sanesi, per avere da loro gente, si scoperse, manifestando a quelli parte de' congiurati, affermando tutta la città essere a liberarsi disposta: onde uno di quelli comunicò la cosa a messer Francesco Brunelleschi, non per scoprirla, ma per credere che ancora egli fussi de' congiurati. Messer Francesco, o per paura di sé, o per odio aveva contro ad altri, rivelò il tutto al Duca; onde che Pagolo del Mazzeca e Simone da Monterappoli furono presi; i quali, rivelando la qualità e quantità de' congiurati, sbigottirono il Duca; e fu consigliato più tosto gli richiedesse che pigliasse, perché, se se ne fuggivono, se ne poteva sanza scandolo, con lo esilio, assicurare. Fece per tanto il Duca richiedere Antonio Adimari; il quale, confidandosi ne' compagni, subito comparse. Fu sostenuto costui: ed era da messer Francesco Brunelleschi e messer Uguccione Buondelmonti consigliato corresse armato la terra, e i presi facesse morire; ma a lui non parve, parendogli avere a tanti nimici poche forze; e però prese un altro partito, per il quale, quando gli fusse successo, si assicurava de' nimici e alle forze provedeva. Era il Duca consueto richiedere i cittadini, che ne' casi occorrenti lo consigliassero: avendo per tanto mandato fuora a provedere di gente, fece una listra di trecento cittadini, e gli fece da' suoi sergenti, sotto colore di volere consigliarsi con loro, richiedere: e poi che fussero adunati, o con la morte o con le carcere spegnerli disegnava. La cattura di Antonio Adimari e il mandare per le genti, il che non si potette fare secreto, aveva i cittadini, e massime i colpevoli, sbigottito; onde che da' più arditi fu negato il volere ubbidire. E perché ciascuno aveva letta la listra, trovavano l'uno l'altro, e s'inanimivano a prendere le armi, e volere più tosto morire come uomini, con le armi in mano, che come vitelli essere alla beccheria condotti: in modo che in poco di ora tutte a tre le congiure l'una all'altra si scoperse, e deliberorono il dì seguente, che era il 26 di luglio 1343, fare nascere un tumulto in Mercato Vecchio, e dopo quello armarsi e chiamare il popolo alla libertà.

37

 

Venuto adunque l'altro giorno, al suono di nona, secondo l'ordine dato, si prese le armi; e il popolo tutto, alla boce della libertà, si armò; e ciascuno si fece forte nelle sue contrade, sotto insegne con le armi del popolo, le quali dai congiurati secretamente erano state fatte. Tutti i capi delle famiglie, così nobili come popolane, convennono, e la difesa loro e la morte del Duca giurorono, eccetto che alcuni de' Buondelmonti e de' Cavalcanti e quelle quattro famiglie di popolo che a farlo signore erano concorse, i quali, insieme con i beccai e altri della infima plebe, armati, in Piazza, in favore del Duca concorsono. A questo romore armò il Duca il Palagio, e i suoi, che erano in diverse parti alloggiati, salirono a cavallo per ire in Piazza, e per la via furono in molti luoghi combattuti e morti; pure circa trecento cavagli vi si condussono. Stava il Duca dubio s'egli usciva fuori a combattere i nimici, o se, dentro, il Palagio difendeva. Dall'altra parte i Medici, Cavicciuli, Rucellai e altre famiglie state più offese da quello, dubitavano che, s'egli uscisse fuora, molti che gli avieno preso l'armi contro non se gli scoprissero amici, e desiderosi di torgli la occasione dello uscire fuora e dello accrescere le forze, fatto testa, assalirono la Piazza. Alla giunta di costoro, quelle famiglie popolane che si erano per il Duca scoperte, veggendosi francamente assalire, mutorono sentenza, poi che al Duca era mutata fortuna, e tutte si accostorono a' loro cittadini, salvo che messer Uguccione Buondelmonti, che se ne andò in Palagio, e messer Giannozzo Cavalcanti il quale, ritiratosi con parte de' suoi consorti in Mercato Nuovo, salì alto sopra un banco, e pregava il popolo che armato andava in Piazza, che in favore del Duca vi andasse; e per sbigottirgli accresceva le sue forze, e gli minacciava che sarebbono tutti morti, se, ostinati, contro al Signore seguissero la impresa: né trovando uomo che lo seguitasse, né che della sua insolenza lo gastigasse veggendo di affaticarsi invano, per non tentare più la fortuna, dentro alle sue case si ridusse. La zuffa intanto, in Piazza, intra il popolo e le genti del Duca, era grande; e benché questa il Palagio aiutasse, furono vinte; e parte di loro si missono nella podestà de' nimici, parte, lasciati i cavagli, in Palagio si fuggirono. Mentre che la Piazza si combatteva, Corso e messer Amerigo Donati, con parte del popolo, ruppono le Stinche, le scritture del podestà e della publica camera arsono, saccheggiorono le case de' rettori, e tutti quelli ministri del Duca che poterono avere ammazzorono. Il Duca da l'altro canto, vedendosi avere perduta la Piazza, e tutta la città nimica, e sanza speranza di alcuno aiuto, tentò se poteva con qualche umano atto guadagnarsi il popolo; e fatto venire a sé i prigioni, con parole amorevoli e grate gli liberò; e Antonio Adimari, ancora che con suo dispiacere, fece cavaliere; fece levare le insegne sue sopra il Palagio e porvi quelle del popolo: le quali cose, fatte tardi e fuora di tempo, perché erano forzate e senza grado, gli giovorono poco. Stava per tanto mal contento, assediato in Palagio, e vedeva come, per avere voluto troppo, perdeva ogni cosa; e di avere a morire fra pochi giorni o di fame o di ferro temeva. I cittadini, per dare forma allo stato, in Santa Reparata si ridussono, e creorono quattordici cittadini, per metà grandi e popolani, i quali, con il Vescovo, avessero qualunque autorità di potere lo stato di Firenze riformare. Elessono ancora sei, i quali l'autorità dei podestà, tanto che quello che era eletto venisse, avessero. Erano in Firenze, al soccorso del popolo, molte genti venute, intra i quali erano Sanesi con sei ambasciadori, uomini assai nella loro patria onorati. Costoro intra il popolo e il Duca alcuna convenzione praticorono; ma il popolo recusò ogni ragionamento d'accordo, se prima non gli era nella sua potestà dato messer Guglielmo d'Ascesi, e il figliuolo insieme con messer Cerrettieri Bisdomini, consegnato. Non voleva il Duca acconsentirlo; pure, minacciato dalle genti che erano rinchiuse con lui, si lasciò sforzare. Appariscono senza dubbio gli sdegni maggiori, e sono le ferite più gravi, quando si recupera una libertà che quando si difende: furono messer Guglielmo e il figliuolo posti intra le migliaia de' nimici loro; e il figliuolo non aveva ancora diciotto anni, non di meno la età, la forma, la innocenza sua non lo poté dalla furia della moltitudine salvare; e quelli che non poterono ferirgli vivi, gli ferirono morti; né saziati di straziargli con il ferro, con le mani e con i denti gli laceravano. E perché tutti i sensi si sodisfacessero nella vendetta avendo udito prima le loro querele, veduto le loro ferite, tocco le loro carni lacere, volevono ancora che il gusto le assaporasse, acciò che, come tutte le parti di fuora ne erano sazie, quelle di dentro ancora se ne saziassero. Questo rabbioso furore quanto egli offese costoro, tanto a messer Cerrettieri fu utile; perché, stracca la moltitudine nelle crudeltà di questi duoi, di quello non si ricordò: il quale, non essendo altrimenti domandato, rimase in Palagio, donde fu la notte poi, da certi suoi parenti e amici, a salvamento tratto. Sfogata la moltitudine sopra il sangue di costoro si concluse lo accordo: che il Duca se ne andasse, con i suoi e sue cose, salvo; e a tutte le ragioni aveva sopra Firenze renunziasse; e di poi, fuora del dominio, nel Casentino, alla renunzia ratificasse. Dopo questo accordo, a dì 6 di agosto, partì di Firenze da molti cittadini accompagnato; e arrivato in Casentino, alla renunzia, ancora che mal volentieri, ratificò; e non arebbe osservata la fede, se dal conte Simone non fusse stato di ricondurlo in Firenze minacciato. Fu questo Duca, come i governi suoi dimostrorono, avaro e crudele, nelle audienze difficile, nel rispondere superbo: voleva la servitù, non la benivolenza degli uomini; e per questo più di essere temuto che amato desiderava. Né era da essere meno odiosa la sua presenza, che si fussero i costumi; perché era piccolo, nero, aveva la barba lunga e rada: tanto che da ogni parte di essere odiato meritava: onde che, in termine di dieci mesi, i suoi cattivi costumi gli tolsono quella signoria che i cattivi consigli d'altri gli avevono data.

 

 

 

 

 

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  ing. Pierluigi Carnesecchi La Spezia anno 2003