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ing.Pierluigi Carnesecchi
indice generale : http://www.carnesecchi.eu/indice.htm
Alla fine del Quattrocento Cassandra Carnesecchi aveva sposato Matteo Bartoli.
Substanze [….] Uno podere con casa da signore et lavoratore, nel popolo di Santo Larj a Colombaia et Santo Donato a Scopeto, et è decimato per entrata del tutto F. 84. 15. 3 sono di decima F. 7. 1. 3 larghi. E per divisa fatta tra detto Matteo et Coximo suo fratello [….]"
e : "Chosimo di Chosimo di Matheo Bartolj [….] Sustanze [….] Un podere con casa da signore et da lavoratore posto nel popolo di San Larj a Cholombara et parte nel popolo di San Donato a Schopeto et tutto per entrata di F. 84. 15. 3 che ne tocha a detto Chosimo per entrata F. 36. 8. 3. E tuto per divisa con Matheo suo fratello".
Quando nel 1571, Francesco figlio di Cosimo morì a Napoli lasciando a Firenze diversi debiti, i Giudici del quartiere di Santo Spirito e di Santa Maria Novella gli confiscarono la sua parte di proprietà del complesso di via delle Campora. Questa fu subito acquistata da Matteo, nipote di quel Matteo, fratello di Cosimo, che ancora conservava la sua quota del bene. Si legge infatti nell’atto del notaio Zanobi Paccalli del 1571: "La terza parte di un possedimento per indiviso con Matteo e Alessandro fratelli di detto Francesco Bartoli con casa da signore e lavoratore posta nel popolo di Santo Hylarj a Colombaia et parte nel popolo di San Donato a Scopeto a cui confina a primo via, secondo beni di Santa Maria Nuova, terzo Madama Gostanza di Bernardo de Segni, quarto heredi di Cosimo Bartoli [….]. Ricomprò il podere Matteo di Piero di Matteo Bartoli".
Nel 1575 Matteo morì forse senza eredi perché il complesso di via delle Campora risulta descritto come: "Redità jacente di Matteo di Piero di Matteo Bartoli churatore Carlo di Carlo Portinarj et Bernardo di Giovanni Soldanj" e poi ancora: "E quali beni si promutono e deschrivono sotto detto nome di eredità jacente per non esser stata per al presente acciettata da nessuno" (Decima Granducale 2689).
Due anni più tardi la proprietà fu acquistata da Paolo di Antonio Carnesecchi,
come riporta l’atto d’acquisto del 1577 rogato dal notaio Piero Verini: "Eredità giacente di Matteo di Pietro Bartoli, cittadino fiorentino. Paolo d’Antonio di Paolo Carnesecchi, cittadino fiorentino, compra [….]. Un podere con casa da signore et lavoratore nel popolo di Santo Lari a Colombaia et parte nel popolo di San Donato a Scopeto confina a primo e secondo via, terzo beni di Santa Maria Nuova, quarto Bernardo Segni pervenuto per redità di Piero Bartoli padre di detto Matteo morto ab intestato insieme con la terza parte d’un altro podere già per indiviso con Matteo et Alessandro fratelli di Francesco Bartoli con casa da signore et da lavoratore posto nel popolo di Santo Lari a Colombaia et parte nel popolo di San Donato a Scopeto confina a primo via, secondo beni di Santa Maria Nuova, terzo madama Gostanza de’ Segni, quarto rede di Cosimo Bartoli la qual terza parte acquistò detto Matteo come beni di Francesco di Cosimo Bartoli per compra fatta da lui".
Nel 1597 Lucrezia, moglie di Paolo Carnesecchi, per i figli Antonio, Giovanni e Francesco acquistò un altro terreno sempre nella zona, ovvero: "2/3 di un podere con casa da signore e lavoratore nel popolo di Sant’Hilario a Colombara podesteria del Galluzzo luogo detto a Colombara a primo, secondo via, terzo fossa, quarto loro medesimi". Con l’acquisto di questi 2/3 di podere, Lucrezia Carnesecchi ricompose l’antico podere un tempo di proprietà di Cosimo Bartoli: il complesso di Colombaia acquistava di nuovo l’estensione che aveva agli inizi del Quattrocento e tornava ad essere riunito sotto un unico proprietario.
Probabilmente dopo questo acquisto e forse anche in occasione del matrimonio di un membro della casata dei Carnesecchi, la famiglia decise di fare alcuni lavori alla villa, che fu così ingrandita e trasformata; in quest’occasione furono realizzate la facciata sul giardino e quella laterale verso via di Marignolle, dove ancora oggi intorno alle finestre si riconosce il rocco, simbolo dei Carnesecchi
BARTOLI, Cosimo
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)
di Roberto Cantagalli - Nicola De Blasi
BARTOLI, Cosimo. - Nacque a Firenze da Matteo e da Cassandra Carnesecchi (ViteW, secondo Mancini) il 20 dic. 1503.
Suo padre, che nel 1513 era stato podestà di Pistoia, doveva avere una certa competenza nel fondere il bronzo come tecnico di armi da fuoco, se fu commissario alle artiglierie dello Stato pontificio e fiorentine durante la spedizione che Lorenzo de' Medici effettuò contro il duca d'Urbino; fu anche amico di Michelangelo Buonarroti il quale, come risulta dalle sue lettere, fu aiutato da Matteo nell'impiantare il cantiere di lavoro dove vennero scolpiti i gruppi sepolcrali eretti in onore di Giuliano e Lorenzo de' Medici.
La famiglia Bartoli, di ferventi tradizioni pallesche, caduta in sospetto, si era dovuta tenere in disparte durante l'assedio del 1530 e il giovane B. si era trasferito a Roma dove, disegnatore di qualche talento, si esercitò nell'architettura, non trascurando però la matematica, la musica e le discipline umanistiche (a Firenze era stato discepolo del filosofo Francesco Verini). Avendo abbracciata assai presto la carriera ecclesiastica, pur senza ricevere, a quanto pare, gli ordini maggiori, usufruì di vari benefici. A trentatrè: anni, come confesserà egli stesso in una lettera del 10 maggio 1565 al principe Francesco de' Medici (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, f.2978), ebbe in Firenze un figlio, Curzio, che per riguardo alla propria condizione, aveva fatto passare per il figlio del fratello Giuliano. Lo allevò tuttavia presso di sé, lo mandò a studiare a Pisa e a Padova, lo tenne come segretario e gli assicurò la successione nella prepositura del Battistero fiorentino, di cui il B. era stato investito verso il 1540.
Secondo le tradizioni della sua famiglia, fu anch'egli partigiano dei Medici, al cui servizio si vantava di essere stato trent'anni (lett. a Cosimo I del 1571, ibid. Mediceo 2980, c. 349); ma in realtà un incarico preciso e continuo gli fu affidato solo nel 1560, quando il pontefice Pio IV fece cardinale Giovanni de' Medici, il diciassettenne figlio di Cosimo I. Il B. divenne allora segretario del giovane prelato col quale andò a vivere a Roma, tornando solo saltuariamente a Firenze per curare i propri affari. Divenuto membro della famiglia cardinalizia, egli si fece esonerare dal pagamento delle decime e brigò per ottenere altre prebende.
Nel giugno del 1562 COSiMO I lo nominò suo agente a Venezia dove rimase dieci anni. Zelantissimo nei suoi doveri d'ufficio lo mostrano le sue corrispondenze raccolte in sei filze dell'Archivio mediceo (oltre le molte disseminate nel carteggio universale) e gli "avvisi" ovvero "sommari" di notizie provenienti da varie parti del mondo, fatti compilare dal B. al figlio. Le sue lettere lamentano spesso la miseria dello stipendio (28 ducati d'oro al mese) che lo costringeva a contrarre frequentemente debiti. La situazione economica, resa ancor più precaria dalla malferma salute, lo costrinse ad implorare una pensione dai suoi signori. Nel 1571 Cosimo I e suo figlio, il futuro granduca Francesco, proposero invano a Pio V di assegnargli il vacante vescovado di Cortona. Rientrò a Firenze tanto debilitato dai disagi del viaggio che non poté godere la prepositura di Prato allora conferitagli. Morì, poco dopo, il 25 ott. 1572.
La sua opera di diplomatico a Venezia non fu sempre facile: egli dové lottare a lungo con l'ostilità occulta della famiglia Comaro per l'usufrutto della badia di Carrara nel Padovano conferita dal papa al cardinale Ferdinando de' Médici, né minori preoccupazioni e fatiche dovette costargli la difesa della giurisdizione del residente fiorentino presso la Serenissima. Il 15 dic. 1563 egli annunziò a Firenze il ratto della sedicenne Bianca Cappello, ad opera del fiorentino Piero Buonaventuri, e l'indignato clamore e lo scandalo dei patrizi veneziani per la fuga a Firenze dei due amanti. Tre anni dopo il principe Francesco - già da tempo in relazione con l'avventuriera veneziana - inviava al B. un memoriale dei due fuggiaschi e gli ordinava di raccomandarlo al doge, ma il B. replicò, pur dicendosi disposto ad obbedire, in modo fermo: * Mi pare indegnità del signor Duca e di V. A. che io, che rappresento qua le Persone Loro, habbia ad agitare o a fare agitare questa causa d'un particolare che è difficilissima et che io non credo che se ne habbi ad havere honore". Il principe girò la raccomandazione al nunzio apostolico a Venezia e non sembra osasse insistere nella sua richiesta col vecchio diplomatico.
Il 19 ott. 1571 colse dalla viva voce degli ufficiali i drammatici particolari della battaglia di Lepanto, nel momento stesso che quelli, entrati nel palazzo ducale, annunziavano al doge l'esito dello scontro. Il dispaccio del B. circolò in molte copie per tutta Firenze e ne resta un esemplare alla Biblioteca Nazionale di questa città.
Un posto di rilievo, più che l'attività politica, merita l'opera letteraria del B. che trova la sua unità in un'esigenza chiaramente avvertita dallo scrittore: quella di piegare la lingua volgare, divenuta ormai perfetto strumento nelle mani di poeti e prosatori d'arte, ad esprimere anche contenuti scientifici.
A questo scopo tentò innanzi tutto di avvicirme, con l'introduzione di nuove norme ortografiche, la lingua scritta alla lingua parlata, e in particolare alla pronuncia fiorentina. Per sottoporre al giudizio dei dotti il sistema immaginato (che distingueva per mezzo di vari segni tipografici il suono aperto o chiuso delle vocali e indicava le diverse intonazioni con un largo uso di accenti), curò nel 1544 in Firenze la stampa del commento fino ad allora inedito di Marsilio Ficino sopra l'Amore, o ver Convito di Platone traslatato da lui dalla greca lingua nella latina e appresso volgarizzato nella Toscana.
Il B. premise al commento ficiniano un lungo proemio, presentandolo come destinato dal tipografo "Neri Dortelata da Firenze a gli amatori della lingua fiorentina". Comunque le sue proposte passarono quasi inavvertite: poco conto mostrarono d'aveme fatto il Varchi nell'ercolano ed il GeW, che pure introdusse il B. nel Ragionamento... sopra la difficoltà di mettere in regole la nostra lingua,e l'opera, priva del proemio, fu ristampata nel 1594 con l'ortografia comune.
Di problemi di lingua trattano due opere che furono pubblicate a cura del B. dopo la morte dei loro autori: la Difesa della lingua fiorentina, e di Dante,Firenze 1556,di C. Lenzoni, che reca in appendice l'Orazione in morte di C. Lenzoni letta dal B. nell'Accademia Fiorentina, e gli Elementi del parlar toscano di Giorgio Bartoli, suo fratero, che però fu data alle stampe in Firenze soltanto nel 1584.
Intanto il B., che aveva aderito fra i primi all'Accademia degli Umidi, poi Fiorentina, e ne aveva steso anche i Capitoli, veniva elaborando in questa sede le sue lezioni su Dante. Di sette lezioni tenute fra il 1541 e il 1547, in cui furono sviluppati cinque diversi argomenti, solo due ci sono state tramandate nella loro stesura originaria: la prima sull'occhio, giuntaci manoscritta in un codice magliabechiano (II. IV. I), e la seconda sulla fede, raccolta da A. F. Doni nelle Lettioni di Accademici Fiorentini sopra Dante, I, Firenze 1647, pp. 69 ss. Un'edizione recente, preceduta da un lungo saggio critico, è quella di S. Ferrara in Le letture di M. C. Bartoli sopra la "Commedia" di Dante,Città di Castello 1907- Per le altre, che trattano della felicità, dell'etemità e della creazione del mondo, e infine della potenza di Dio, bisogna ricorrere ai Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante (Venezia s. d.; e poi ibid. 1567), nei quali il B. pubblicò tutte le sue lezioni, inserendole in un ampio contesto descrittivo e dialogico che in nulla giova alla chiarezza delle argomentazioni ed anzi riesce sovente fastidioso.
Il B. s'accosta a Dante, come gli altri accademici, per cercarvi soprattutto il pretesto d'una trattazione scientifica o filosofica. Raramente fa ricorso, quando occorra dissipare l'oscurità di un passo, ad altre opere dei poeta che non siano il Convivio e, in un sol caso, le Rime;dei commentatori par che non conosca se non il Buti e il Landino. Al contrario cita prolissamente Platone ed Aristotele, per i quali nutre pari venerazione e che sovente tenta di conciliare. Fra gli autori cristiani dà un posto importante al "divino Tomaso", a s. Paolo e a s. Agostino, e si vale anche delle dottrine di Boezio, del quale pubblicò pochi anni più tardi un volgarizzamento: Della consolazione della Filosofia,Firenze 1551. Va però anche rilevato che il B. non trascura del tutto l'esegesi e il commento delle terzine dantesche premesse alle sue lezioni: si preoccupa spesso di parafrasarle, di commentare le allegorie, di illustrare i costrutti e i vocaboli più inconsueti.
Nel 1550 il B. pubblicava in Firenze una sua traduzione de L'Architettura di Leonbatista Alberti,nella quale indulse a frequenti libertà interpretative e trascurò di correggere evidenti errori introdotti nel testo latino dai copisti. Emendamenti arbitrari si riscontrano anche negli Opuscoli morali di Leonbatista Alberti:una raccolta di opere volgari (Della statua e Della pittura)e di traduzioni da opere latine (Momus e Ludi mathematici)che il B. pubblicò a Venezia nel 1568. Ma nel complesso questi lavori riuscirono a fornire un concreto esempio delle possibilità della lingua fiorentina in campo scientifico.
Scritto con sobrietà e chiarezza è un trattato di matematica applicata: Del modo di misurare le distantie, le superficie, i corpi, le piante, le provincie, le prospettive e tutte le altre cose terrene che possono occorrere agli huomini,Venezia 1564. Nel 1587 infine si pubblicava a Venezia, a cura di E. Bottrigaro, un altro suo volgarizzamento scieritifico, le Opere di Oronzio Fineo del Delfinato divise in cinque parti: aritmetica, geometrta, cosmografia e oriuoli tradotti da C. B. e gli specchi tradotti da Ercole Bottrigaro.
Completano il quadro dell'attività multiforme del B. alcuni scritti storici: dalla breve e piacevole Vita di Federigo Barbarossa Imperator Romano (Firenze 1559) ai Discorsi historici universali (Venezia 1569), ove l'intento erudito si articola sulla trama di numerose citazioni tratte da Tacito come da Machiavelli, da Plutarco e da Guicciardini. Nel 1566 per sua cura veniva stampata postuma a Venezia la Istoria dell'europa di P. F. Giambullari, seguita dall'Orazione funebre,che in occasione della sua morte il B. aveva tenuto all'Accademia Fiorentina. La vita di Leone X scritta in latino da Paolo Giovio e volgarizzata da C. Bartoli è rimasta inedita nel cod. II, TV, 499 della Bibl. Naz. Centrale di Firenze.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, ff.2976-2981, 3079-3081, VOI. 3090; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina,Firenze 1717, pp. 78-83; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini,Ferrara 1722, p. 129; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 432 S.; M. Barbi, Della fortuna di Dante nel sec. XVI,Pisa 1890, DIp. 27-28, 114, 122, 181, 195, 218-220, 223-224, 227, 228; R. Renier, recens. a S. Ferrara, Le letture di messer C. B. sopra la Comedia di Dante,in Giorn. stor. d. lett. ital.,LII (1908), P, 419; G. Mancini, C. B.(ISO3-1572), in Arch. storico italiano,LXXVI, 2 (1918), 1) p. 84-135; T. Bozza, Scrittori Politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 42 s.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (15371737), Roma 1952, 1). 130.
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Né à Florence le 20 décembre 1503 — mort à florence le 25 octobre 1572.
Diplomate, philologue, mathématicien. Il fait des études à Rome et à Florence. Bénédictin, il est attaché au Baptistère de Florence. IL ets membre de l'Académie Littéraire de Florence. En 1560, il est secrétaire du cardinal Giovanni de Medicis. En 1562, il occupe un poste diplomatique à Venise. Il est de retour à Florence en 1572. Il voulait, par ses traductions, montrer la valeur scientifique de la langue florentine
Le troisième chapitre de ses Ragionamenti accademici est consacré aux musiciens vivant avant 1567
Ragionamenti Accademici Di Cosimo Bartoli Gentil'Huomo Et Accademico Fiorentino, Sopra Alcuni Luoghi Difficili Di Dante. Con Alcune Inventioni & Significati, & La Tavola Di Piu Cose Notabili. Con Privilegio
Benvenuti G., Milan 1931
Del modo de misurare le distantie, le superficie, i corpi, le piante, le prouincie, le prospettiue, & tutte le altre cose terrene, che possono occorrere a gli huomini, Secondo le uere regole d’Euclide, & de gli altri piu lodati scrittori
. Venedig, F. Franceschi Sanese 1564L’architettura di Leonbattista Alberti tradotta in lingua fiorentina da Cosimo Bartoli. Venetia, appresso Francesco Franceschi 1565 [404-27 p., ill., tab., reprod. anastatique, Bologna, Forni]
Opuscoli morali di Leon Battista Alberti gentil’huomo fiorentino, tradotti e parte corretti da M. Cosimo Bartoli. Venezia, Francesco de’Franceschi 1568
Discorsi historici universali. Venetia, appresso Francesco de Franceschi senese 1569 [4°, 350 p.]
The architecture of Leon Battista Alberti in ten books. Of painting in three books and of statuary in one book. Translated into Italian by Cosimo Bartoli. And now first into English, and divided into three v. by James Leoni [...] to which are added several designs of his own, for buildings both public and private. London, Thomas Edlin 1726 [The ten books of architecture, New York : Dover Publications 1986]
Jean-Marc Warseawsli
Novembre 1995-20 février 2009
Wikipedia
Cosimo Bartoli (December 20, 1503 – October 25, 1572) was an Italian diplomat, mathematician, philologist, and humanist. He worked and lived in Rome and Florence and took minor orders. He was a friend of architect and writer Giorgio Vasari, and helped him to get his Vite ready for publication.[1]
Bartoli worked in diplomatic circles, including as secretary to Cardinal Giovanni de’ Medici and as diplomatic agent for Duke Cosimo I. Bartoli wrote Ragionamenti accademici (Venice, 1567), which was mainly a criticism of Dante. One chapter, however, gave descriptions of composers and instrumentalists. He cited the composers Johannes Ockeghem and Josquin Des Prez as equal to Donatello and Michelangelo in their respective arts, and stated that Ockeghem and Donatello were the precursors to Josquin and Michelangelo. In this book he also critiques architecture and painting, mainly focusing on the arts of his native Florence. He extolled the concept of invenzione in all the arts.[1]
He also published a collection of translations of works by Leon Battista Alberti under the title Opuscoli Morali di Leon Batista Alberti, gentil’huomo firentino. Venice, 1568. These included:
Momo, ovvero del Principe,
De’ discorsi de senatori, altrimenti Trivia,
Dell’amministrare la regione,
Delle commodità e delle incommodità delle lettere,
Della vita di S. Potito,
La cifra,
Le piacevolezze matematiche,
Della repubblica,
Della statua,
Della mosca,
Del cane,
Cento apologi,
Hecatomphila,
Deiphira.
http://mathematica.sns.it/autori/1367/
Firenze, 20 dicembre 1503 - ivi, 25 ottobre 1572.
Non si hanno molte notizie circa la sua giovinezza, ma certo è che per ragioni legate alle vicende politiche fiorentine di quegli anni, intorno al 1530, Bartoli dovettte trasferirsi a Roma. Sebbene il suo profilo sia prevalentemente legato all’attività politica e diplomatica che occupò gran parte della sua vita, Bartoli si distingue anche come una figura di rilievo nel panorama letterario e scientifico italiano nella parte centrale del cinquecento. Di formazione umanistica, allievo a Firenze di Francesco Verini, coltivò svariati interessi nel campo dell’architettura, della matematica e della musica, manifestando una certa attitudine soprattutto nella pratica del disegno. Intraprese la carriera ecclesiastica, apparentemente senza mai prendere gli ordini maggiori, e fu nominato preposito del Battistero di Firenze nel 1540. Entrò in servizio presso la famiglia de’ Medici nel 1560 con il ruolo di segretario del figlio di Cosimo I Giovanni de’ Medici allorché questi fu elevato al soglio cardinalizio da Pio IV. Al seguito di Giovanni, Bartoli si trasferì a Roma, ma già nel 1562 Cosimo I lo richiamava per affidargli l’incarico diplomatico di suo agente a Venezia. Là egli rimase per i successivi dieci anni, fino al 1571 quando rientrò a Firenze, in vista di una possibile nomina, peraltro mai concretizzatasi per il rifiuto di Pio V, a vescovo di Cortona. Probabilmente a causa delle fatiche del viaggio morì l’anno successivo, poco dopo essere stato nominato preposito di Prato. Oltre a una fittissima corrispondenza risalente al periodo veneziano e a una ricca produzione letteraria incentrata sui temi più vari (tra cui quello dell’impiego della lingua volgare fiorentina in contesti scientifici), Bartoli fu autore di uno scritto di matematica applicata, pubblicato a Venezia nel 1564 con il titolo Del modo di misurare le distantie, le superficie, i corpi, le piante, le provincie, le prospettive e tutte le altre cose terrene che possono occorrere agli huomini.
Riferimenti bibliografici:
Cosimo Bartoli (1503 - 1572)
a cura di Francesco Paolo Fiore e Daniela Lamberini
Leo S. Olschki, Firenze 2011
Ingenium, 15
xviii-424 pp. con 85 figg. n.t.
ISBN 978-88-222-6082-6
In questo volume è indagata la figura del fiorentino Cosimo Bartoli, il principale interprete e traduttore in lingua italiana delle opere di Leon Battista Alberti. Accademico, letterato e uomo di corte, l’eclettico trattatista fu legato ai maggiori umanisti e artisti del suo tempo (Giambullari, Varchi, Aretino, Vasari, Palladio). Come agente mediceo, risiedette lungamente a Venezia, dove poté approfondire i suoi interessi per le discipline tecnico-scientifiche e pubblicare diversi suoi scritti.
Enciclopedia Dantesca (1970)
di Marcello Aurigemma
Bartoli, Cosimo. - Letterato (Firenze 1503-1572), proposto di San Giovanni, rappresentante di Cosimo dei Medici a Venezia (1568 - 1572). Allievo di Francesco Verini, ebbe cultura eclettica; fu studioso e traduttore di Boezio, dell'Alberti (del quale volgarizzò l'Architettura e opuscoli morali), del Ficino; curò tra l'altro la pubblicazione postuma della Storia dell'Europa del Giambullari, e l'altra, sempre postuma, della Difesa di Dante di Carlo Lenzoni. Il B. fu tra coloro che per dar prestigio al volgare mostrando la possibilità di usarlo in qualsiasi scienza, si dedicarono, massimamente in Firenze e nelle Accademie, poco prima della metà del secolo, a far lezioni su alti e diversi argomenti prendendo spunto da Dante.
Nell'Accademia degli Umidi, fondata nel 1540, tenne sette lezioni (8 gennaio 1541, 17 dicembre 1542, gennaio e febbraio 1543, 8 marzo 1543, 12 marzo 1547, 10 luglio 1547, 13 marzo 1548) su cinque argomenti - l'occhio, la Fede, la Felicità (due lezioni), l'Eternità, la creazione del mondo, la potenza di Dio (due lezioni) - in ognuna di esse prendendo spunto da qualche breve passo della Commedia (rispettivamente: Pg XXXI 118-123; Pd XXIV 64-66; Pg XVII 133-135; Pd XXIX 13-18 e XIX 40-45). La prima e la seconda ci sono rimaste quali furono dette e sono state pubblicate l'una da Stefano Ferrara, l'altra da Francesco Doni; la terza, la quarta, la sesta e la settima ci sono note attraverso i Ragionamenti accademici, nei quali il B. inventa un piccolo fatto che dà origine a un dialogo in cui si riferisce il nocciolo della lezione. L'opera del B. ha il suo posto nella critica dantesca per due aspetti: come documento dell'interesse dell'Accademia per D. quale poeta fiorentino di lingua volgare, e come documento di una rinnovata tendenza a fare della Commedia un testo di dottrina dal quale procedere, come da opera di indiscussa ‛ autorità ', per quelle divagazioni che stavano entrando nella consuetudine dei tempi. Scarsissimo l'apporto filologico del B., in quanto la dichiarazione dei testi risulta limitata nell'estensione e poco originale. Il B. mise in rilievo l'attenzione tecnica di D., osservando che non pone mai parole a caso.
Bibl. - C.B., Ragionamenti accademici di C.B. Genti/ huomo et Accademico fiorentino sopra alcuni luoghi difficili di D., Venezia 1567; Le letture di C.B. sopra la " Commedia " di D., a c. di S. Ferrara, Città di Castello 1907; M. Barbi, Della fortuna di D. nel secolo XVI, Pisa 1890, 216; G. Mancini, C.B., in " Arch. stor. ital. " LXXVI (1918) 84-135; N. De Blasi, B.C., in Dizion. biogr. degli Ital.. VI (1964) 562-563.
Per la cortesia del sig. Marco Mattia ho questa poco conosciuta notizia
Cosimo Bartoli è considerato il principale traduttore in lingua italiana delle opere di Leon Battista Alberti, opere che tradusse e pubblicò nel corso degli anni anche da Venezia quando ricoprì il ruolo di agente diplomatico per conto dei Medici e immagino che lei sappia quanto sia importante la segretezza dei documenti diplomatici, quanto sia necessario che taluni documenti non cadano in mano di nemici o avversari e quanto sia importante , se ciò accadesse , rendere questi documenti incomprensibili, indecifrabili.
Tratto da " I segni dell'inganno " di Caterina Marrone ( Docente La Sapienza di Roma):
"Il primo a trovare un rimedio a ciò e a riempire la falla che si era scavata nella salvaguardia dei segreti fu un importante esponente del Rinascimento italiano, Leon Battista Alberti , architetto, scienziato, pittore, filologo, poeta, filosofo, matematico e musicista. Egli stesso racconta che, mentre passeggiava nei giardini vaticani, con Leonardo Dati (1407-1472), il segretario apostolico del papa Paolo II, la conversazione cadesse sul problema della ormai debole segretezza dei documenti. Fu in tale circostanza che il Dati gli propose di trovare un metodo per assicurare una maggiore difesa agli scritti che si volevano proteggere e che, al tempo stesso, permettesse agli exploratores pontifici una "lettura" più agevole dei messaggi altrui."
Leon Battista Alberti si applicò ed il risultato fu il trattato " De componendis cyfris ", rivoluzionario, vero e proprio manuale sulla tecnica crittografica, assolutamente eccezionale per l'epoca ma fu pubblicato la prima volta solo postumo, molti anni dopo ,proprio da Cosimo Bartoli nel 1568.
Per la cortesia di MARCO MATTIA
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