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ing.Pierluigi Carnesecchi
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Storia dei Carnesecchi : LORENZO CARNESECCHI commissario ai tempi dell'assedio
Lorenzo Carnesecchi adunque fu un grande patriotta, un ardito guerriero, una di quelle figure luminose che di tratto in tratto s'innalzano dalla polvere del mondo e dedicano la loro vita ad una grande idealità dell' anima, facendoci acquistare la fiducia nel bene e la virtù di operarlo. E quando la storia segue le vicende di uno di questi eroi e ne narra le gesta " non é più solamente la maestra, osserva il prof. Del Lungo, sì anco la Poesia della vitá ".
Pochi fiorentini conobbero il valore di Lorenzo Carnesecchi ,assediati dagli imperiali e chiusi tra le mura della citta' riponevano la speranza in Francesco Ferrucci l'eroico commissario di Empoli che combatteva nei dintorni del territorio fiorentino con valore e intrepidezza leggendarie
Del valore di Lorenzo non potevano giungere che vaghe notizie a Firenze troppo distante era il tearro delle sue gesta
Dice Carlotta Lotti :
Sfogliando un giorno le Istorie Fiorentine del Varchi, rimasi sorpresa di trovare spesso accanto al nome del Ferruccio quello di un cittadino sconosciuto, di Lorenzo Carnesecchi.
" Nè si dubita dagli uomini prudenti ", scrive il Varchi a proposito del governo di Firenze durante l' assedio, " che se avessono eletto uno solo senza guardare ad altro che alla sufficienza, come esempigrazia il Ferruccio o Lorenzo Carnesecchi o alcuno altro ancora di minore virtù e fattolo dittatore da dovero, le cose sarebbono state per avventura governate altramente ch'elle non furono e per conseguenza avuto altro fine ch'elle non ebbero ".. Egli asserisce inoltre che il Papa temeva molto questi due valorosi e quando Firenze perdè quasi tutto il suo dominio , ultime fedeli alla Repubblica rimasero Empoli, Pisa, Livorno difese dal Ferruccio e Castrocaro " dov'era Commissario quasi un altro Ferruccio, Lorenzo Carnesecchi ".
Non possiamo mettere in dubbio la verità delle parole di questo autorevole storico, che fu presente e prese parte agli avvenimenti da lui narrati. Anche il Busini , il Nardi , il G iannotti e più tardi, sulle orme del Varchi, il Perrens il Guerrazzi, il Capponi e perfino il Frassineti ed il Mini nelle loro illustrazioni del Castello di Castrocaro, sono tutti d'accordo nel lodare il Commissario della Romagua fiorentina: ma nessuno si è curato di far conoscere l' opera complessiva di questo guerriero, tantochè il nome di lui non si trova nei dizionari biografici storici.
Solamente Eugenio Albèri, insieme con alcuni documenti sull'Assedio di Firenze, pubblicò una lettera del Carnesecchi col seguente avvertimento: " Benchè non strettamente pertinente " ai fatti dell'Assedio di Firenze ci è parsa importantissima la presente lettera, sia per spargere alcuna luce sulle cose poco conosciute dei Fiorentini in quelle parti, sia per offerire un onorevole documento intorno uno dei migliori cittadini che a quei di vantasse la Repubblica ".
Mentre nell'animo di tutti è viva l'immagine di Francesco Ferrucci, mentre l' Italia si accinge a consacrarne la memoria con un monumento degno di lui che sorgerà a Gavinana, dove egli cadde gloriosamente combattendo per la patria, riandando col pensiero ai gloriosi difensori della, Repubblica Fiorentina, ho voluto pubblicare questo modesto scritto su Lorenzo Carnesecchi per far conoscere agli Italiani un altro guerriero, ignorato dal piu' e degno di avere un posto nella Storia tra quelli che amarono la patria e la libertà.
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Lorenzo Carnesecchi adunque fu un grande patriotta, un ardito guerriero, una di quelle figure luminose che di tratto in tratto s'innalzano dalla polvere del mondo e dedicano la loro vita ad una grande idealità dell' anima, facendoci acquistare la fiducia nel bene e la virtù di operarlo. E quando la storia segue le vicende di uno di questi eroi e ne narra le gesta " non é più solamente la maestra, osserva il prof. Del Lungo, sì anco la Poesia della vitá ".
ECCO PER CHI VUOLE IL TESTO COMPLETO DEL SAGGIO DELLA BORGIA LOTTI:
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte prima
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte seconda
Lorenzo di Zanobi di Simone Carnesecchi
Nato a Firenze il primo dicembre 1482 , morto nel 1534 circa a capo degli esuli fiorentini |
Uno dei tanti eroi fiorentini dimenticati che combatterono per la difesa della Repubblica.
Con Francesco Ferrucci il piu' energico Commissario fiorentino nei giorni dell'agonia della liberta' fiorentina
Lorenzo Andrea e’ figlio di Zanobi di Simone di Paolo Carnesecchi
Nasce a Firenze il 1 dicembre 1482
La madre e' Picchina Maria Gondi sposata da Zanobi di Simone nel 1477
Albero genealogico ………discendenza di Piero e Zanobi di Simone di Paolo di Berto Grazini
sposa nel ....... Lisabetta Del Giocondo di Iacopo di Antonio
Il padre Giuseppe Maria Mecatti lo definisce "il gran soldato" nella sua " Storia cronologica della città di Firenze".
Lo storico Benedetto Varchi ne parla come di un eroe nella difesa dei territori della Repubblica di Firenze nelle sua "Storia fiorentina".
Infatti degne di nota sono le sue gesta nella Romagna fiorentina ,dove era stato inviato come commissario ,nei tempi che precedettero la caduta della Repubblica fiorentina .Il Varchi lo descrive come un secondo Francesco Ferrucci.
Mise una taglia sulla testa del Papa " egli ebbe ardimento, non so se per beffe o per da dovero, di porre la taglia per bando pubblico a papa Clemente a chi lo facesse prigione o ammazzasse, cosa che io sappia o creda, non udita mai più ".
Era un personaggio singolarissimo amante delle feste e delle donne , facondo raccontatore di storie e quindi ben accolto nelle compagnie ( Busini ); nell'azione fu deciso ed astuto e dette prova di grande abilita' strategica . Fu un personaggio pragmatico in grado di battersi fino a che vide un barlume di possibilità di successo nelle sue imprese. Quando ( egli che era disposto a mettere in gioco tutte le sue sostanze ) constatò che i mercanti fiorentini, invece di dare aiuto alla Repubblica si preoccupavano di non rendere maggiormente nemico ai loro traffici il pontefice di Roma, oramai privo di ogni risorsa per continuare la lotta prima di essere sconfitto sul terreno seppe trattare quella che oggi verrebbe definita una pace separata. E seppe con tanta abilita' condurre la trattativa di tregua che oltre a provvedere ad una pace vantaggiosa alla Repubblica gli riusci di sfuggire alla vendetta dei suoi nemici. Quando la Repubblica cadde egli parti per l'esilio e rompendo il confino assegnatogli divenne ribelle .Il duca d'Urbino che lo teneva in grande considerazione lo accolse presso la sua corte.
Lo storico Busini,(che non lo amava molto ) pur prendendo atto delle sue capacità militari e del suo eroismo, fu molto critico con lui, specialmente per la frase Chi non è nel forno è sulla pala che Carnesecchi usò per indicare la situazione fiorentina poco prima della resa e che a parere di altri studiosi testimonia invece una lucida visione degli avvenimenti e l'impossibilità di porre rimedio a una situazione deteriorata dalla mancanza di oggettive risorse.
Assai considerato tra i fuoriusciti fu tra il gruppo ristretto incaricato dai repubblicani di chiedere a Carlo V il rispetto degli accordi sottoscritti.
Un eroe come Francesco Ferrucci
Quest'uomo nelle congiunture della guerra divenne un eroe come Francesco Ferrucci . Ei fu mandato dalla Signoria Commissario nelle Romagne quando gia' Firenze aveva perduto quasi tutto il suo dominio, e i nuovi Lanzi si erano posti e fortificati in San Donato, in Polverosa e all'intorno .
Agostini Antonio "Pietro Carnesecchi ed il movimento Valdesiano " Firenze 1899
Lorenzo Carnesecchi commissario generale della repubblica in Romagna gran soldato
............In questo mentre Lorenzo Carnesecchi si portava nella Romagna fiorentina, dove era commissario generale della Repubblica , non meno valoroso ,che il Ferruccio. Imperciocche' essendo venuto piu' volte alle mani con gli Ecclesiastici ,sempre n' erano andati al di sotto; ed avendo i medesimi assaltato Castrocaro , non solo il Carnesecchi lo difese , ma mise in fuga i nemici con grande uccisione di loro
Giuseppe Maria Mecatti nella sua : " Storia cronologica"
Fin dal gennaio aveva la Repubblica di Venezia fatto pace con l'Imperatore; ma tuttavia Carlo Capello rimase in Firenze come oratore,malgrado che il Papa facesse ogni sforzo perche' fosse richiamato. Nei suoi dispacci apparisce sempre grande amico ai fiorentini, che da lui sono lodati a cielo; ne' alla sua Repubblica dispiaceva mostrarsi, com'era sempre, di animo italiano ; a lui pero' nulla rispondeva per non s'impegnare con parole scritte delle quali altri pigliasse offesa. Riebbe la Chiesa per quella pace Ravenna e Cervia; il che lasciava Firenze scoperta dal lato delle Romagne, alle quali era a guardia la presenza delle armi veneziane. Ma basto' quello che fece Lorenzo Carnesecchi, commissario generale della Romagna fiorentina; il quale con poca gente e meno denari, ma pel valore che era in lui molto, gastigo' prima la ribellione di Marradi, fugo' in piu' scontri le genti nemiche, teneva infestati i confini della Chiesa, e resiste' a un grande assalto che alle mura di Castrocaro diede ripetutamente Leonello da Carpi, presidente della Romagna ecclesiastica, rinforzato allora da Cesare da Napoli che venne dal campo, e dai propri cavalli della guardia del Papa mandati da Roma : tantoche' poi si fece tra le due parti una molto onorevole tregua, per cui rimasero da quel lato frenate le armi
Da Gino Capponi " Storia della Repubblica di Firenze"
Benché non strettamente pertinente ai fatti dell'assedio di Firenze, ci è parsa importantissima la presente lettera, sia per spargere alcuna luce sulle cose poco conosciute dei Fiorentini in quelle parti, sia per offerire un onorevole documento intorno uno dei migliori cittadini che a quei di vantasse la repubblica, il quale vien nominato dal Varchi quasi un altro Ferruccio.
Da EUGENIO ALBERI : L'assedio di Firenze
Sfogliando un giorno le Istorie Fiorentine del Varchi, rimasi sorpresa di trovare spesso accanto al nome del Ferruccio quello di un cittadino sconosciuto, di Lorenzo Carnesecchi.
" Nè si dubita dagli uomini prudenti ", scrive il Varchi a proposito del governo di Firenze durante l' assedio, " che se avessono eletto uno solo senza guardare ad altro che alla sufficienza, come esempigrazia il Ferruccio o Lorenzo Carnesecchi o alcuno altro ancora di minore virtù e fattolo dittatore da dovero, le cose sarebbono state per avventura governate altramente ch'elle non furono e per conseguenza avuto altro fine ch'elle non ebbero ".. Egli asserisce inoltre che il Papa temeva molto questi due valorosi e quando Firenze perdè quasi tutto il suo dominio , ultime fedeli alla Repubblica rimasero Empoli, Pisa, Livorno difese dal Ferruccio e Castrocaro " dov'era Commissario quasi un altro Ferruccio, Lorenzo Carnesecchi ".
Non possiamo mettere in dubbio la verità delle parole di questo autorevole storico, che fu presente e prese parte agli avvenimenti da lui narrati. Anche il Busini , il Nardi , il G iannotti e più tardi, sulle orme del Varchi, il Perrens il Guerrazzi, il Capponi e perfino il Frassineti ed il Mini nelle loro illustrazioni del Castello di Castrocaro, sono tutti d'accordo nel lodare il Commissario della Romagua fiorentina: ma nessuno si è curato di far conoscere l' opera complessiva di questo guerriero, tantochè il nome di lui non si trova nei dizionari biografici storici.
Solamente Eugenio Albèri, insieme con alcuni documenti sull'Assedio di Firenze, pubblicò una lettera del Carnesecchi col seguente avvertimento: " Benchè non strettamente pertinente " ai fatti dell'Assedio di Firenze ci è parsa importantissima la presente lettera, sia per spargere alcuna luce sulle cose poco conosciute dei Fiorentini in quelle parti, sia per offerire un onorevole documento intorno uno dei migliori cittadini che a quei di vantasse la Repubblica ".
Mentre nell'animo di tutti è viva l'immagine di Francesco Ferrucci, mentre l' Italia si accinge a consacrarne la memoria con un monumento degno di lui che sorgerà a Gavinana, dove egli cadde gloriosamente combattendo per la patria, riandando col pensiero ai gloriosi difensori della, Repubblica Fiorentina, ho voluto pubblicare questo modesto scritto su Lorenzo Carnesecchi per far conoscere agli Italiani un altro guerriero, ignorato dal piu' e degno di avere un posto nella Storia tra quelli che amarono la patria e la libertà.
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Lorenzo Carnesecchi adunque fu un grande patriotta, un ardito guerriero, una di quelle figure luminose che di tratto in tratto s'innalzano dalla polvere del mondo e dedicano la loro vita ad una grande idealità dell' anima, facendoci acquistare la fiducia nel bene e la virtù di operarlo. E quando la storia segue le vicende di uno di questi eroi e ne narra le gesta " non é più solamente la maestra, osserva il prof. Del Lungo, sì anco la Poesia della vitá ".
Il Carnesecchi amò molto la patria e, allorchè la vide minacciata dal nemico, la difese strenuamente. La sua opera come Commissario Generale della Romagna fu di grande utilità alla città assediata, poichè egli trovandosi in una terra al confine del dominio. esposta agli assalti nemici, non soltanto riuscì a renderla forte quasi inespugnabile, ma tenne informato giorno per giorno il Consiglio del Dieci delle voci che correvano in Romagna, delle forze di cui disponevano gli assalitori, dei loro minimi movimenti. Spesso le notizie, dei Commissario giungevano nuove alla città, e piu' di una volta dopo l' arrivò di una sua lettera, furono prese deliberazioni importanti. Con pochi soldati soccorso raramente di denaro dai Dìeci di Balla, egli ebbe il merito di nascondere le sue condizioni ai nemici e, novello Pier Capponi, ebbe perfino l'ardire di stracciare alla presenza degli inviati ecclesiastici le conclusioni della tregua che egli non riteneva vantaggiose alla patria sua; onde il Varchi scrisse di lui: " A Castrocaro nelle condizioni in cui si trovò fece quello in questa guerra che pareva che fare non si potesse >>
Come guerriero Lorenzo Carnesecchi fu sempre il primo ad affrontare i pericoli, incoraggiando coll'esempio i soldati che volentieri lo seguivano anche nelle imprese più arrischiate. Energico, facile all' entusiasmo, amante della gloria, generoso e crudele al tempo stesso, sprezzante degli agi e desideroso soltanto di avere intorno a sè uomini fedeli e valorosi, egli ebbe le doti di un grande capitano. Esigeva dai Commissari dipendenti da lui obbedienza e sottomissione e mentre fu inesorabile verso chi trasgredi al suoi ordini , fu largo di lodi verso quelli che sfidavano volentieri la morte per la difesa della patria. Non era facile mantenere la discíplina nella Romagna fiorentina, dove i Commissari volevano esercitare assoluta autorità nel dominio a loro affidato e dove alcuni soldati minacciavano perfino di disertare se non ricevevano la paga alla scadenza.
L' impresa di Marradi e la rapidità, con cui il Carnesecchi liberò i suoi concittadini chiusi nella rocca, dimostrano la valentia e l'audacia del condottiero. 1n tutta la Romagna egli godeva meritata fama: il presidente della Romagna pontificia non promise 4000 fiorini a chi avesse consegnato nelle sue mani il Carnesecchi vivo e 400 a chi glielo avesse consegnato morto . Non si sacrifica tanto denaro, così necessario in guerra, per una persona qualunque !
Come cittadino e come uomo Lorenzo amò sinceramente la libertà e ritenne Cristo il solo Re eletto dai fiorentini. Alla difesa di questo nobile ideale, egli dedicò la vita col sacrifizio degli affetti più cari e delle sostanze: non potendo offrire altro ai suoi concittadini assediati, mise a disposizione dei Dieci di Balla da 18 a 20 moggia di grano appartenenti a lui e ai suoi nipoti, deplorando di non avere maggiori ricchezze per poterle usare in vantaggio della patria. Quale crudele disillusione gli procurarono i fiorentini residenti a Venezia che pur trovandosi in condizione di aiutare Firenze in pericolo, non se ne curarono! Caduta la città in potere dei Medici, il Carnesecchi lasciò Castrocaro e andò in esilio: lontano dalla patria non stette inoperoso: capo dei fuorusciti a Urbino, procuratore dei ribelli nel 1534, non si lasciò intimorire da minaccie nè lusingare da promesse. Uomo di carattere, fino alla morte fu sostenitore del governo repubblicano che reputava il migliore e fu nemico di Clemente VII e della famiglia Medici; anche quando questa salì a grande potenza, egli nulla volle accettare da coloro eh' egli considerava oppressori della patria. Egli non rivide la sua bella Firenze e morì in esilio; ma certamente a lei rivolse ultimo pensiero, l' ultimo anelito.
Beato il paese che può vantare simili eroi! Passano i secoli, ma la Storia ne registra i nomi e ce li fa conoscere e noi amiamo i difensori della libertà e della patria e leggendo le vicende della loro vita, ci sentiamo. forti, coraggiosi, capaci di sfidare qualunque pericolo per mostrarci degni di loro.
O prode Ferruccio, tu non sei il solo invitto difensore a cui il pensiero degli Italiani si volge in particolare, considerando Il assedio di Firenze; un altro Fiorentino, che per la libertà della patria visse, combattè, e soffrì, merita di esserti compagno e si chiama Lorenzo Carnesecchi, Commissario Generale della Romagna Fiorentina.
Carlotta Borgia Lotti 1912
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte prima
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte seconda
LA VITA DI LORENZO CARNESECCHI
Ricostruita principalmente sulla monografia di Carlotta Borgia Lotti (1912 )
Lorenzo Carnesecchi , o il secondo Ferruccio / Carlotta Borgia Lotti
- Firenze - 1912 (IT\ICCU\NAP\0240212)
Lorenzo di Zanobi di Simone Carnesecchi nacque a Firenze il 30 novembre dell'anno 1482. Il padre suo , come alcuni potrebbero credere , non fu quello Zanobi chiamato con altri dal Busini << l'ornamento ed il fiore della citta' libera >> e lodata dal Varchi , il quale dice che Zanobi di Francesco Carnesecchi , quando teneva discorsi nei consigli non metteva innanzi frivole ragioni come sogliono i mercanti , ma argomenti sottili e filosofici . Anche il padre di Lorenzo ebbe uffici pubblici e nel 1496 fu Commissario a Fucecchio dove possedeva delle terre che alla sua morte insieme con altre proprieta' passarono ai due figlioli , Lorenzo e Francesco . Lorenzo venne in possesso della casa posta in Santa Maria Maggiore appresso il canto dei Carnesecchi a meta' col fratello , di due poderi nel comune di Fucecchio , di parte di cinque poderi con tre case annesse che si estendevano a S. Donato al Poggio , luoghi compresi nel comune di Cerreto Guidi…………………
Il 20 marzo 1528 i Signori Dieci scrivevano a Raffaele Gerolami , piu' tardi Gonfaloniere della Repubblica : << Da Castrocaro habbiamo nuove come hieri di mattina si partirono di quel luogo le genti d'arme del signore Don Hercole per la volta di Galatea per venire poi verso Arezzo : sono circa 300 cavalli benche' il Commissario di Don Hercole dica di 460 . E con esso loro e' Lorenzo Carnesecchi nostro Commissario et le condurra' a te ( Archivio di Stato di Firenze : Istruzioni o lettere missive filza 45 c 56 )
Lorenzo era dunque Commissario in questo tempo , non a Castrocaro , dove trovavasi Pietro Populeschi , il quale scriveva di aver avuto notizie dal Carnesecchi dei soldati diretti a Castiglione
Cosi questi , coprendo cariche di secondaria importanza , acquisto' reputazione ed abilita' nel maneggiare le armi , sicche il 6 maggio del 1529 fu nominato Commissario generale della Romagna fiorentina.
Riportiamo la patente a lui rilasciata dalla Signoria :
Priores. Significhiamo per queste nostre presenti lettere come noi habbiamo electo nostro Commissario Generale di Romagna e particularmente della terra di Castracharo………………….
Il 10 maggio il Carnesecchi arrivo' a Castrocaro luogo situato sullo stradale Firenze - Forli presso la riva sinistra del Montone , sopra un altura da cui si domina la Romagna fiorentina. In alto , ad occidente si elevava una rocca dalle torri merlate.
I Fiorentini per la prima volta comprarono Castrocaro dal Legato papale nel 1364 per 11.000 fiorini d'oro ; sborsarono poi 18.000 fiorini nel 1395 al Pontefice , 10.000 fiorini al Castellano nel 1403 e solamente nel 1413 ebbero definitivamente il forte castello per il quale pagarono ancora 20.000 ducati.
Era un incarico importante : La parte meridionale della Romagna per la sua posizione era parte importantissima della Repubblica ; se da una parte la vicinanza con le terre pontificie esponeva i suoi abitanti a gravi pericoli , dava pero' loro occasione di giovare grandemente alla Patria , investigando i disegni e le forze dei nemici. Inoltre questi luoghi erano infestati da Giavanni Sassatello , dal Ramazzotto , da Balascio , dal Cavina e da altri partigiani dei Medici , i quali erano causa di continui disordini.
Venezia , che durante la prigionia del Pontefice aveva occupato Cervia e Ravenna , avrebbe potuto recare grandi vantaggi ai Fiorentini , ma avremo occasione di vedere che anch'essa , come gli altri collegati di Cognac , penso' di tutelare gli interessi propri e non dette loro che un meschinissimo aiuto.
Lorenzo Carnesecchi , appena giunto nella nuova residenza , attese a fortificare e ben munire le terre affidate al suo governo , rivolgendo le prime cure alla rocca di Castrocaro, principale fortezza di quella regione.
<< Essa e' la fonte >> egli diceva <<che da l'acqua a tutte le altre cose di qua >>
Ebbe poi l'accortezza di procurarsi un buon numero di amici nelle varie citta' della Romagna pontificia , mediante i quali era sempre informato di cio' che accadeva , negli Stati vicini. Cosi le sue lettere dirette al Magistrato dei Dieci contengono molti particolari che non si trovano neppure nelle "Storie" del Varchi dove gli avvenimenti di quel tempo sono minuziosamente narrati. Le notizie di Lorenzo furono di grandissima utilita' alla Repubblica , i cui magistrati messi a conoscenza delle forze e dei movimenti del nemico potevano deliberare con maggior sicurezza.
( La corrispondenza del Carnesecchi ritrae con la massima evidenza le condizioni della Romagna e dell'Italia devastata e percorsa da eserciti francesi e imperiali che si contendevano il dominio , mostra le cupidigie dei vari stati e da un'idea esatta della milizia di quel tempo )
I signori Dieci si mostravano molto soddisfatti delle notizie che giungevano dal Carnesecchi e gli scrivevano : <<…..ti confortiamo a seguitare che non ci puoi fare cosa piu' grata ne' piu' utile alla citta' >>
Appena giunto a Castrocaro il Commissario dette subito esempio della sua energia. Il 15 maggio era stato affisso alle porte del paese un editto del Pontefice per il quale il Clero veniva gravato di due decime sotto pena della scomunica o della perdita dei benefizi.
Il magistrato dei Dieci , avvertito di cio' , rispose al Carnesecchi di non permettere alcuna riscossione e d'investigare il nome della persona che aveva avuto l'ardire di attaccare il manifesto.
Scoperto l'autore nel garzone del paladino di Forli per incarico di Don Niccolo' di Marco del Pannina Arciprete di Dovadola propose ai Dieci di impiccare il colpevole ed imprigionare l'Arciprete, ma gli fu imposto di non procedere contro i colpevoli ma di incamerare le decime.
In questo momento i Veneziani spingevano segretamente fanti verso i loro possessi in Romagna , riunendo a Ravenna 100 cavalli e 700 uomini comandati da otto capitani e a Cervia 400 con tre capitani.
Le terre ecclesiastiche erano controllate del Ramazzotto , di suo figlio Pompeo , del Sassatello , del Lucciasco e di alcuni altri che accoglievano nelle loro bande gente di qualunque genere ( il Ramazzotto fu poi capo delle milizie papaline che occuparono il Mugello )
Nuovi avvisi giungevano al Commissario fiorentino : il Provveditore veneto sembrava aspettare da un momento all'altro i nemici e riceveva dal Duca di Ferrara un rinforzo di 60 cavalli e di 100 uomini con promessa di aiuti maggiori in caso di bisogno. Molti fanti andavano verso Bologna e un cameriere di Clemente VII venuto da Roma diceva : << Si accenna da una parte e si riuscira' da un'altra. I Francesi guidati dal Saint Pol insieme coi Veneziani avevano tentato di assalire Milano venendo sconfitti a Landriano dalle forze imperiali guidate da Antonio da Leyva . Il Lucciasco radunava 200 fanti e altrettanti archibusieri. Anche il Ramazzotto ed il Sassatello continuavano ad assoldare uomini a piedi e a cavallo.
Da Achille Del Bello , spia per i Fiorentini a Bologna , giungevano notizie su questi movimenti di truppe. Ed in piu' si diceva che il Marchese di Mantova stava riunendo fanti a favore dell'Imperatore.
Dappertutto si sentiva gridare << Chi vuol denari vada a Bologna >>
Lionello da Carpi , presidente della Romagna ecclesiastica , riuniva intorno a se tutti i capi dei Ghibellini , prometteva loro denari e di piu' mandava bandi per tutta la Romagna che nessuno prendesse soldo altro che dalla lega del Papa e dell'Impero. In piu' teneva pratiche per nominare il Lucciasco capitano generale delle fanterie della Chiesa
Lorenzo da Castrocaro vigilava sui movimenti nemici . Visito' le fortezze , provvide come poteva alla loro sicurezza , cinse di mura Castrocaro e questo senza chiedere denari a Firenze a cui solo chiese un architetto abile che potesse dirigere il lavoro ( che non ottenne perche' i Dieci spesso potevano solo promettere ) . Mise in ordine gli eserciti di Galeata, di Marradi , di Modigliana e di Castrocaro che tutti insieme contavano non piu' di mille uomini.
Scriveva : << Castrocaro ha mura deboli ma buona posizione e collo appoggio della murata potremo resistere a grossa banda >>
Lorenzo Carnesecchi sapeva quanto i dispareri tolgano vigore alla difesa e percio' voleva che i Capitani , i Commissari, I Podesta' e i Vicari residenti nei paesi e nei castelli della Romagna fiorentina riconoscessero in modo totale la sua volonta'.
A Ravenna erano cinque capitani : Marcantonio da Lancisa , Girolamo da paducia , Iacomo da Nocera, Alexandro da Colornio e il capitano Borghese con 500 fanti circa e una cavalleria di 70 cavalli comandata da Castro e da Tomaxio Candrosio. Le forze militari di Cervia avevano quattro capitani : Manfrone , Brasiadove , Frate d'Anchona e Feriano veneto con 200 fanti . Da Roma tornava il Sassatello , carico di denari e il Lucciasco rassegnava 2000 uomini, dava loro mezza paga e ne spingeva una parte verso Rimini.
Allora Lorenzo riuni 100 soldati ne pose 80 a Castrocaro e mando' gli altri a Montepoggiuoli per assicurare il bestiame del contado.
Scriveva << A decti fanti fo conto fare alla venetiana , cioe' dar loro uno scudo e intrattenerli con parole al meglio si potra' >>
Lionello da Carpi si era nel frattempo trasferito da Bertinoro a Forli e ordinava agli abitanti del territorio compreso tra Forli e le terre della Repubblica di sgombrare.
Balasso da Napoli , Cesare da Cavina e altri capitani , davano denari in Faenza per riunire gente sotto le insegne del Papa ; Iacomo Cuorso era rimasto alla guardia di Bologna,mentre Paolo Lucciasco si trovava presso il Marchese di Mantova ; il Sassatello stava in Imola ma alla fine d'Agosto si muoveva anche lui verso Forli e si stanziava coi suoi soldati sotto Montepoggiuoli a Villa Grappa e a Villa Nuova ossia a nord est e a nord ovest di Castrocaro.
Era opinione generale che gli eserciti papalini si sarebbero riuniti a Faenza e poi avrebbero marciato verso la Toscana . Al Carnesecchi giungevano continui avvertimenti di stare in guardia.
In questo nuovo frangente egli mise in ordine tutte le forze di cui poteva disporre e si preparo' alla difesa. Accorse a Montepoggiuoli per provvedere la fortezza ed incoraggiare gli abitanti: riuni a Castrocaro 100 fanti di Val di Bagno e 100 di Galeata e pose guardie a Marradi, a Modigliana , a Dovadola.
Egli chiese con sollecitudine 300 scudi al Magistrato dei Dieci per pagare le compagnie di Bagno e Galeata ,ma siccome i denari non giungevano si valse di 250 ducati dell'esatore dei preti.
Alla fine di agosto la situazione era notevolmente peggiorata.
Galeata e Bagno erano in pericolo ed il Commissario vi rimando' le compagnie che aveva richiamato a Castrocaro , affidando la difesa del paese a 125 fanti comandati dal capitano Caccia ( invano il Carnesecchi richiese ai dieci l'invio di un condottiero esperto )
Il Sassatello , secondo quanto previsto dal Carnesecchi , si avvio verso la Toscana evitando Castrocaro per la via della Marecchia passando da Borgo San Sepolcro e Citta' di Castello. I nemici piu' pericolosi erano Balasso dei Naldi e Cesare da Cavina.
Dinanzi al pericolo il Commissario sembrava non sentire la stanchezza : una sera temendo l'avanzata dei nemici , a mezzanotte fece trasportare il bestiame del contado dalla pianura sui monti e cavalcando innanzi ai soldati respinse i papalini.
La mancanza assoluta di denaro lo costrinse a licenziare il capitano Caccia e a rimanere con pochi archibusieri.
Il 20 settembre arrivo' la notizia che le bande del Ponteficie muovevano alla volta di Marradi per congiungersi a Scarperia con quelle del Ramazzotto che andava verso Fiorenzuola . Lorenzo lasciava in Castrocaro sessanta compagni e si dirigeva a Modigliana con circa 500 fanti. L'annuncio dell'improvviso arrivo del Commissario produsse un certo timore nei nemici , i quali cambiarono direzione .
Il Carnesecchi pensava di marciare verso Marradi per inseguire il nemico .
Ed in tal senso era il pensiero del Magistrato dei Dieci che scrivevano :
<< Noi vorremmo che tu andassi con le nostre genti alla coda agli inimici , quando essi si risolvessino pigliare questa volta et ne venissi tanto in qua che ci potessimo dipoi servire depse o qui o altrove dove fussi di bisogno >>
Ma gli avvenimenti resero nullo questo proposito.
Ai primi di novembre finiva la Commissione di Lorenzo in Romagna e questa gli veniva rinnovata
<< Sapendo quanto cotesti huomini si chiamano contenti di te et quanto dobbiamo confidare nella qualita' tua ti habiamo electo nostro Commissario et con la presente sara' la patente che e' quanto ci occorre.
In quei giorni moriva il fratello Francesco ed avrebbe voluto Lorenzo rientrare a Firenze ma prevalse in lui il senso del dovere , sollecitato a cio' dalle insistenti preghiere del Magistrato dei Dieci , e rimase al suo posto
Nel frattempo infatti la situazione stava precipitando
Il 5 novembre Clemente VII e Carlo V si incontravano a Bologna per decidere la pacificazione e l'assetto della desolata Italia.
Firenze si apprestava a divenire , unica , il simbolo della lotta per la liberta'
Nuovi eserciti seguendo l'Imperatore si stabilirono nella Romagna . Gli ecclesiastici erano desiderosi di occupare militarmente quella regione cosi ricca di vettovaglie .
Il presidente Lionello da Carpi con lusinghe e con minacce richiamava sotto le insegne del Papa i sudditi della Chiesa che erano al soldo della Repubblica fiorentina e il 24 novembre cosi scriveva alla Comunita' di Castrocaro :
Magnifici domini , amici carissimi
" Mossi dal nostro solito costume et naturale instinto per il che ordinariamente etiam alli inimici nostri non desideriamo male alcuno, non potendo presentialmente parlare a Vre. Mag.e Vi mandiamo il S. Piero Pritello faventino nostro Seer. accompagnato dal trombetta exhibitore della presente di commissione di Nostro Signore, a farvi amichevolmente intender quale sia per utile et conservatione di quelle et di tutto il suo contado il desiderio di Sua Santità alla quale, disponendosi come pensiamo satisfar se li promette la salute stia et -universale liberatione di quello castello et distrecto da ogni impeto di soldati et in caso che V.e Mag.e stiano come hanno facto sin qui ostinate ne si vogliano disponer al venire alla devoctione et ubidientia nel modo che intenderrano (il che Dio per suo ben non permetta) li protestiamo che dal prefate Nostro Sig.re in brevissimo tempo sarano tractati come terre di capitali inimici di Sua Beat.ne ne se li riserverà tempo e luogho di pentirsi ogni volta che si ritrovarano in qualche frangente, però li exhortiamo somamente a resolversi con la solita sua prudentia togliendosi da lanimo ogni suspectione et thimor acceptando il partito che consente la salute di V.e M.tie e prestando indubitata fede al mandato nostro et a quelli ci raccomandiamo.
" Di Faenza a di 24 di novembre MDXXIX.
" Desideroso del ben vostro, Lionello Pio presidente >>
Al latore della lettera Lorenzo sdegnosamente rispose:
" ….essendo io ciptadino fiorentino e vedendo la mia ciptà in sularme rifiutarei per iusta sorte lo stare in otio e non dar prova danimo e fede mia verso tanta nobile ciptà e sempre daremo buon conto di noi ".
Il Presidente della Romagna Pontificia irritato per la risposta del Commissario riuniva soldati e cavalli, mentre Modigliana, Dovadola ed altri paesi della Romagna fiorentina in premio della loro fedeltà chiedevano armi e soldati ai Signori Dieci, i quali rimettevano queste domande a Lorenzo. Ed egli, non potendo per la mancanza di denaro provvedere a tutte le terre, riuniva le forze in Castrocaro e con esse accorreva in aiuto delle parti più minacciate.
In questo periodo di continue lotte i soldati erano pochi e molto ricercati. A proposito di loro il Carnesecchi diceva: " ... interviene come chi va a mala hostaria che oltra lo stento pagha bene. qua non è " rimasto huomo di condictìone alcuna e ciascuno vole " passare per paladino ".
Egli non mancava d' informare il magistrato della guerra di tutto quello che avveniva in Bologna e delle voci che correvano in Italia intorno al prossimo accordo tra l' Imperatore e Venezia e alla restituzione di Cervia e, Ravenna.
" Se Cervia e Ravenna, egli osservava, vanno sotto " il potere del pontefice ci daranno oltramodo da pensare ". Era opinione generale che anche il duca di Milano presto avrebbe conchiuso la pace, poichè Carlo V era sollecitato a tornare in Germania dalle invasioni dei Turchi e dalle agitazioni della Riforma ed il Pontefice aveva interesse di accrescere con gli eserciti di Lombardia le milizie che assediavano Firenze.
Si era giunti alla fine di novembre ; i Pápalini che per il passato avevano minacciato le terre fiorentine della Romagna con le parole più che coi fatti, muovevano loro apertamente guerra: così ebbe principio il periodo delle imprese gloriose e dei fatti d'arme in cui l'energia e il valore militare di Lorenzo Carnesecchi poterono manifestarsi.
Costui, essendo commessario generale della Romagna fiorentina, fece quello in questa guerra, il che non pareva che fare si potesse; perciocchè egli con poca gente e meno danari da pagarla, ma bene con molta industria e maggiore animosità, venne più volte alle manì colle genti del signor Leonello da Carpi presidente della Romagna ecclesiastica, e sempre diè loro delle busse; Benedetto Varchi |
Già alla fine di novembre dell'anno 1529 era cominciato il movimento degli eserciti tedeschi e spagnuoli che dalla Lombardia venivano in Toscana: turbe di soldati invadevano ' la Romagna recando sul loro passaggio devastazione e miseria. Ai primi di dicembre alcuni Papalini assalirono Rocca S. Casciano e respinti da pochi uomini che ivi si trovavano predarono altri luoghi e in numero di 600 si volsero all'ovest in direzione di Tredozio.
Lorenzo con i suoi soldati accorse in aiuto del Castello, e quando tal cosa giunse all'orecchio dei nemici, essi senza aspettare l'arrivo del Commissario fuggirono, portando seco parte della preda fatta e lasciando il paese spogliato. Il pericolo imminente era scomparso, ma era naturale che dopo questo avvenimento le truppe del Pontefice venisser o più numerose ad assalire la Romagna fiorentina. Gli uomini di Castrocaro, di Premilcuore imploravano soccorso dalla Repubblica e Lorenzo scriveva. " Se le Vostre M.e Signorie non ci soccorrono come speriamo diveneremo preda delli inimici crudeli i quali son sitibondi del sangue nostro per haver monstro quella fede che ci ha tenuto sotto di quelle ".
Egli non chiedeva che 300 fanti e supplicava il Magistrato della Guerra ad aver pazienza ed a sopportare questa spesa alla quale egli poi avrebbe provveduto coi denari tolti dalle condanne. Allorchè i Signori Dieci gli dichiararono di trovarsi nell'impossibilità di mandare rinforzi egli, vedendosi cosi abbandonato, ebbe per un momento il pensiero di lasciare il suo posto e pregò la Repubblica di nominargli un successore. Ma cambiò subito idea quando giunsero cento uomini comandati dal Capitano Bate e il Capitano Corbizo, il quale fu di grande utilità a Castrocaro per le sue qualità e per la fama che godeva nel paese.
I nemici sul confine del dominio fiorentino, che intimoriti per la fazione di Tredozio si erano allontanati, ora in maggior numero si avanzavano. Seicento fanti venuti da Imola e da Faenza si stabilivano vicino a Montepoggiuoli per attendere la compagnia di Balasso dei Naldi che si trovava in Mugello. Da tutte le terre del Pontefice giungevano uomini, in modo che nei dintorni di Castrocaro erano riuniti sotto otto bandiere circa 2000 soldati e 400 cavalli coi capitani Galeotto Morando, Cristofàno da Cerroni, il figlio di Guido Vaina, , Gabriello da Cavina, Giuliano Bozi, don Bernardo Tassinari, Andrea Cavolino da Meldola .
Si può immaginare quale fosse l'animo del Commissario che a tante forze aveva da opporre pochi soldati, i quali presto lo avrebbero abbandonato perchè era per scadere la paga ed egli non aveva denari per riconfermarli E al pensiero che le sue fatiche potessero andar perdute, che Castrocaro, da lui ridotta con tante cure quasi inespugnabile, dovesse cadere, egli si sentiva stringere il cuore e con dolore considerava il danno che Firenze avrebbe risentito per tale perdita.
Improvvisamente i nemici cambiarono direzione: invece di procedere verso Castrocaro, si volsero dalla parte di Fiumana lasciando la valle del Montone ed entrando in quella del Rabbi. Essi avevano chiesto l'artiglieria a Forli, ma non erano riusciti ad ottenerla dal Castellano della Città e, conoscendo la posizione di Castrocaro, abbandonarono per il momento l'idea di assalirla. Il Carnesecchi, riflettendo che il combattimento era ormai inevitabile, procurò di sollecitarlo per non rimanere solo contro i nemici nell' impossibilità di difendersi.
Comandò a tutte le terre del dominio di riunire uomini atti alle armi e ordinò poi al Commissario Giovanni de Rossi di trasferirsi a Rocca S. Casciano mentre egli si spingeva a Dovadola, Giovanni De Rossi promise di accorrere con 400 fanti a Calboli e e alla Rocca; poi non vi andò e la notte seguente avverti il Carnesecchi che pensasse a soccorrere i luoghi minacciati, giustificandosi col dire che i Signori Dieci gli avevano ordinato di marciare alla volta di Marradi. Lorenzo vi mandò subito il Capitano Cammillo di Galeata, ma ohimè, troppo tardi ! Calboli cadeva in potere del nemico : Portico, Tredozio, Premilcuore spogliati nel momento del pericolo dei loro soldati che appartenevano alla scorta di Giovanni de Rossi , erano costretti a cedere e Rocca S. Casciano minacciata da tutte le parti correva un gran pericolo. Tali erano le condizioni della Romagna fiorentina, quando Lorenzo Carnesecchi il 29 dicembre scriveva una lettera ai Signori Dieci, dando loro per il primo notizia " della lega e pace facta infra la Maiesta' di Cesare, Pontefice; Venetiani, duca di Milano, Ferrara " e diceva loro:
" A Ravenna le genti attendono a sgombrare, segno evidente della restituzione >>
A Firenze era giunto il vescovo di Faenza inviato dal Papa, il quale persuadeva i cittadini a mandare ambasciatori a sua Santità e all' Imperatore: Carlo Capello, che aveva interesse di allontanare da Venezia, sua patria, le forze nemiche e quindi di differire il più possibile l'accordo tra l'Imperatore e la Repubblica fiorentina, cercò in tutti i modi di dissuadere gli assediati dall'eleggere una nuova ambasceria. E mostrò loro che certamente Venezia, Ferrara e il duca di Milano non si erano accordati con l'Imperatore, perchè da queste città non era giunto avviso di sorta e perchè, se tal cosa fosse avvenuta, i nemici in qualche modo avrebbero dimostrato la loro gioia. Il fatto stesso che il Pontefice aveva chiesto ambasciatori, voleva significare che non aveva speranza di conchiudere la pace con gli altri principi, pace che i Fiorentini, tentando un accordo, potevano rendere più facile e più pronta. Le osservazioni dell'ambasciatore veneto erano riuscite a persuadere i cittadini; quando giunse l'avviso di Lorenzo Carnesecchi che fece loro cambiare idea.
Nonostante che Carlo Capello ripetesse che non si poteva dar fede a questa notizia non confermata da alcuno, nonostante che i Signori Dieci esprimessero in una lettera al Carnesecchi la loro meraviglia per non aver avuto tale informazione per altra via, gli ambasciatori furono mandati a Bologna.
Ben dice il Guicciardini, " che la guerra di Firenze giovò alla " pace degli altri, ma la pace degli altri aggravò la " guerra sua ".
Infatti le fatiche e i disagi della guerra non impedivano al Carnesecchi di spiare le mosse dei vicini e di cogliere gli accenni e le voci che potevano essere indizio di qualche novità; tutto riferiva al Magistrato dei Dieci, al quale narrava pure con soddisfazione che il Pontefice, irritato per le parole del Marchese del Guasto che manifestava l' impossibilità d' impadronirsi di Firenze, si riscaldò talmente che nella collera lo respinse con modi villani.
L'accordo tra l'Imperatore, Venezia e il duca di Milano fu sottoscritto il 23 dicembre 1529 ed annunziato pubblicamente il 1 gennaio 1530. Venezia, che fin dal trattato di Barcellona aveva promesso di restituire Cervia e Ravenna a Clemente VII solamente dopo il Congresso di Bologna, cedè le due città alla Chiesa: cosi Firenze restava scoperta dal lato delle Romagne non più protette dalle armi veneziane. I signori Dieci compresero le misere condizioni del Carnesecchi e non mancarono d' inviargli 400 ducati d'oro. Questo soccorso rialzò l'animo abbattuto di Lorenzo che avrebbe desiderato recuperare le terre perdute, le quali per le angherie del Commissario Pier Francesco Ridolfi poco volentieri obbedivano al Pontefice.
L'IMPRESA DI MARRADI
Nel 1530 i partigiani del Medici in Marradi, , tra cui i Fabbroni, insorsero contro la Repubblica e posero l'assedio alla rocca fedele ai Fiorentini, onde il Carnesecchi potè dire che i peggiori nemici erano i suoi concittadini fuorusciti e i Romagnoli ribellati; ma per mancanza di condotta avviene difficilmente che le imprese guidate dalle fazioni abbiano un felice risultato. Il Commissario generale alla testa di 500 fanti si trasferi a Marradi con tanta segretezza e sollecitudine che vi giunse proprio inaspettato. Combattè contro i Marradesi in una scaramuccia ed essendosi essi rinchiusi nelle loro case ne assalì successivamente le più forti, che presto caddero in suo potere. Volendo poi mostrare ai nemici della patria sua che la gloria, e non l'avarizia l'aveva spinto ad andare contro di loro, ordinò che fossero arse le case principali con tutta la roba che contenevano. Forse in questa occasione per la prima volta il Carnesecchi obbedì al suo carattere impulsivo e impetuoso e ad un eccessivo desiderio di gloria. Poichè se voleva bruciare i fabbricati almeno avrebbe potuto sottrarre alle fiamme divoratrici ciò che vi era dentro per usufruirne in vantaggio del suoi soldati. Domati i ribelli, Lorenzo liberò Filippo Parenti, Giovanni de Rossi e gli altri Fiorentini rinchiusi nella rocca di Castiglione assediata. Le sue mosse furono così rapide, che le persone ivi rifugiate non si avvidero di nulla ed anzi, quando ebbero la notizia della loro liberazione, dubitarono si trattasse dì un inganno ed indugiarono ad abbandonare quel castello. Alcuni anni dopo questo avvenimento, Cosimo del Medici, temendo. i fuorusciti che numerosi in questa parte della Roniagna aspettavano il momento propizio per correre sulla vicina Firenze, volle che la rocca di Castiglione fosse distrutta.
Il Carnesecchi si mostrò piuttosto indulgente con gli abitanti di Marradi e dette prova di quella generosità propria degli uomini coraggiosi: si limitò a ritenere alcuni prigionieri e a fare impiccare Cennino dei Buosi uno dei capi della rivolta ai merli della fortezza di Marradi e ordinò che la testa di lui infilzata in una lancia fosse posta sul torrione di porta fiorentina in Castrocaro, affinchè questo esempio servisse di ammonimento a tutti gli altri ribelli.
Lasciò nella città il Capitano Pietro Borghini e Gabriello da Lutiano, perché Filippo Parenti rifiutò di restarvi e preferì di andare a Modigliana. Tornando a Castrocaro, il Carnesecchi incontrò Balasso di Naldo con venti cavalli e 150 fanti, lo vinse e lo costrinse a darsi a vituperosa fuga: con questa vittoria terminò la gloriosa spedizione di Marradi.
Tuttavia dopo essersi condotto così valorosamente non gli mancarono le critiche. Filippo Parenti biasimò la indulgenza del Carnesecchi verso i ribelli ed osservò che il Commissario generale aveva avuto torto di non seguitare la guerra e di non approfittare di due condizioni a lui favorevoli: che a Marradi erano concorsi 800 uomini e che i luoghi insorti erano rimasti senza difensori. inoltre egli trovava opportuno di valersi del più ricchi e colpevoli Marradesi per ricavare da loro, a titolo di Condanne o di imprestiti i denari per pagare i soldati.
Il Carnesecchi, richiesto di maggiori ragguagli dai Signori Dieci su questo fatto, negò di aver rilasciato i prigionieri e si meravigliò che Filippo Parenti, da lui ritenuto prudente e dabbene, avesse scritto tale follìa e avesse dette cose che non poteva sapere, essendo sceso a Marradi quando tutto era sedato e dichiarò francamente: " In quanto poi al far prìgíoni e " al proceder più in un modo che in un altro io ho " fatto al meglio ho saputo e basta ".
Queste parole dimostrano ch'egli stesso riconobbe di non aver ricavato dalla vittoria tutti quei vantaggi che avrebbe potuto. Forse il Commissario sperava che i ribelli perdonati e pentiti avrebbero ripreso le armi per la Repubblica che aveva allora tanto bisogno di difensori. Occorre inoltre pensare che vi è una grande differenza tra operare e giudicare le azioni degli altri. Filippo Parenti non aveva preso parte all'impresa e riguardando la spedizione già avvenuta a mente calma, poteva facilmente conoscerne i difetti: ma le considerazioni che fa un uomo a tavolino spesso non sono le stesse del combattente sul campo di battaglia .
La fama e la gloria di Lorenzo Carnesecchi erano accresciute dopo la fazione di Marradi, a proposito della quale il Magistrato dei Dieci gli scriveva:
" ... benchè li successi di Marradi si erono intesi " per una di Filippo Parenti, nondimeno ci è stato " grato averli ancora intesi da te a chi attribuiamo la causa di tal victoria et veramente noi et questo universale ci chiamiamo molto satisfacti di te ".
Lionello da Carpi e Pier Francesco Ridolfi Commissario pontificio richiamavano da Ravenna e da Cervia e da tutte le altre terre uomini sotto le armi.
Il Carnesecchi scriveva il 2 febbraio a Firenze parole d'incoraggiamento e d'augurio e, parlando di Castrocaro e dintorni, la scongiurava di alimentare quel llumicino che ancora splendeva in Romagna. I denari, che pochi giorni dopo ricevè da Bologna per ordine del Signori Dieci, gli procurarono una grande consolazione ed egli espresse alla città 1a piu' viva riconoscenza dichiarandole
" Non si teme nè le forze di un " appassionato pontefice, nè di Cesare >>
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Il papa, o non si fidando dei vicerè, o dubitando della fine della guerra, o piuttosto per intertenere i Fiorentini, sappiendo quanto sospettavano di Malatesta, e che avevano stabilito dì venire al cimento delle forze fece per mezzo de' loro ambasciadori muovere pratiche d' accordo, si dal re di Francia e sì dal doge di Vinegia, dando nome che manderebbe a Firenze il vescovo di Pistoia per fermare le condizioni. Aveva il papa mortale sdegno e immortale odio contra quasi tutti i cittadini di Firenze, parendogli che gli amici della casa l' avessono perfidiosamente abbandonato, e i nimici ingiuríosamente oltraggiato; e con tutto che fosse grandissimo simulatore, non poteva tenersi ch'alcuna volta non isputasse alcun bottone, e trall'altre cose usava dire: Io non sono così' cattivo e crudele uomo. come mi tengono i Fiorentini; io mostrerò un dì a chi nol crede,che anch'io amo la patria mia.
Nè si potrebbe dire quanto i felici successi del Ferruccío l'affliggevano continuamente, nè meno quegli di Lorenzo di Zanobi Carnesecchi. Costui, essendo commessario generale della Romagna fiorentina, fece quello in questa guerra, che non pareva che fare si potesse; perciocchè egli con poca gente e meno danari da pagarla, ma bene con molta industria e maggiore animosità, venne più volte alle manì colle genti del signor Leonello da Carpi presidente della Romagna ecclesiastica, e sempre diè loro delle busse; e quando Marradi si ribellò, egli vi corse colle sue genti, e non solamente, fatto impìccare alcuni de'capi principali che gli diedero nelle mani, levò l'assedio dalla rocca di Castiglione, la quale si teneva pe' Fiorentini , ma nel tornarsene, lasciatovi Filippo Parenti, il quale travagliò molto e molto diversamente in tutto l'assedìo, affrontò messer Balasso di Naldo ed il capitano Cesare da Gravina, i quali andavano per soccorrerla, e gli misse in fuga con tutta la loro fanteria, e richiesto dal presidente che si dovesse tra loro far pace, rispose che, stante la guerra pubblica, non dovevano pacificarsi i privati.
Benedetto Varchi
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".... Con l’elevazione al pontificato del cardinale Giulio de’Medici col nome di Clemente VII, avvenuta nel 1523, di nuovo la Chiesa tornò ad essere una potenza ostile a Firenze. In cambio del sostegno ecclesiastico alla politica imperiale, il nuovo papa chiese a Carlo V la restituzione di Cervia e Ravenna, cadute in mano ai Veneziani e soprattutto la restaurazione dei Medici. Così, le frontiere tra Firenze e lo stato della Chiesa tornarono a chiudersi come al tempo del Valentino, proprio quando la grave situazione economica in cui versava la città, a causa dell’epidemia di peste che aveva decimato la popolazione, avrebbe invece richiesto che tutte le maggiori vie commerciali con la Romagna fossero rimaste aperte per garantire gli approvvigionamenti.
All’epoca era commissario a Castrocaro Lorenzo di Zanobi Carnesecchi, un personaggio che le cronache ci descrivono come piuttosto singolare. Per consentire l’afflusso di derrate verso i territori fiorentini, il Carnesecchi aveva ingaggiato una lotta senza quartiere contro il presidente della Romagna ecclesiastica Lionello Pio da Carpi, il quale, servendosi di truppe regolari pontificie appoggiate dalle consorterie locali di parte ghibellina, assaliva i convogli di rifornimenti spingendosi fino in Mugello ed arrivando non di rado fin sotto le mura di Firenze. Inoltre Lionello Pio era stato incaricato di assumere il controllo delle terre fiorentine in Romagna e per questo motivo si era presentato più volte sotto le mura di Castrocaro per ottenerne il possesso, ma era stato sempre respinto. L’animosità e la tenacia del Carnesecchi, che riuscì anche a stroncare una pericolosa ribellione scoppiata a Marradi, gli valse una taglia posta sul suo capo dai fuorusciti fiorentini di parte medicea alla quale rispose a sua volta, "caso non udito mai più", mettendone un’altra sul capo del Pontefice. La situazione di persistente guerriglia che si era andata creando, certamente sfavorevole ad un esercito numeroso ed organizzato, indusse il presidente della Romagna ecclesiastica a cercare lo scontro risolutivo. Nel marzo del 1530 l’esercito pontificio, composto di quattro o cinquemila uomini con sei pezzi d’artiglieria, posero il campo attorno al castello di Castrocaro bombardandolo ed attaccandolo più volte, ma gli uomini del Carnesecchi si difesero valorosamente anche se pochi di numero e, con l’aiuto di parte della popolazione, riuscirono a ricacciare i nemici da sopra le mura dove erano saliti. Infine con una audace sortita in campo aperto le truppe di Lionello Pio da Carpi furono sbaragliate ed inseguite fino ai confini dello stato. Ciò nonostante, esaurita ogni risorsa finanziaria, senza poter contare su aiuti da Firenze e sotto la continua pressione degli imperiali, il Carnesecchi dovette accondiscendere alle proposte del Presidente di Romagna ed in data 2 aprile 1530 sottoscrisse una tregua "con condizione et patto di non offendere li stati l’uno dell’altro", in attesa di una favorevole evoluzione delle prioritarie operazioni militari in Toscana. Alla tregua erano interessati i castelli di Castrocaro, Marradi, Modigliana e Montepoggiolo. Purtroppo gli eventi determinarono la caduta della Repubblica di Firenze così che il Carnesecchi dovette lasciare Castrocaro mentre il suo incarico fu ricoperto da un membro della famiglia medicea dei Ridolfi nominato da papa Clemente VII".
Da Dr Cristiano Vernia
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A Modigliana, a Dovadola, a Castrocaro, luoghi più forti della Romagna fiorentina, sventolava ancora il gonfalone della Repubblica ed il Carnesecchi scriveva alla fine di febbraio:
" Stiamo come li tre innocenti nel fuoco iubilando e laudando Iddio; sprezzando maturamente tutte le paure "
ed aggiungeva:
" Non vi è cosa più grata per me che sapere le opere mie grate a Vostre Signorie e certo l'intenzioni mie sono buone che non ho mai avuto altro obiecto che stimar in prima Idio e dapoi la Patria ".
Lorenzo Carnesecchi ardente patriotta fu, come si può immaginare, uno del più accaniti nemici del Pontefice. Messer Giorgio Ridolfi priore di Capua in nome. del papa per pubblico bando promise 1000 scudi d'oro a chi consegnasse nelle 'sue mani il Commissario di Castrocaro vivo e 400 a chi glielo rimettesse morto. Il Carnesecchi ebbe l'ardire " non so se per beffe o per da dovero di porre la taglia a Clemente VII cosa, prosegue il Varchi, che io sappia o creda non udita mai più ".
" Per rendergli degno guiderdone, scriveva egli ai Signori Dieci, " fo conto dare a lui di taglia lire due morto e quattro vivo a uso di lupo che altro conto non mi pare da tenerne ".
Lorenzo era pur religioso come si può vedere dalle sue lettere, nelle quali ricorrono di frequente preghiere e invocazioni a Dio; ma in questo momento non considerava Clemente VII come capo della Chiesa, con la sua solita franchezza lo giudicava quale cittadino e quale uomo e per lui l'oppressore di Firenze non meritava che un profondo disprezzo.
Una taglia sulla testa del pontefice Clemente VII
E perché messer Giorgio Ridolfi priore di Capua, uomo sopra ogni credere cirìmonioso, l'aveva posta a lui, se alcuno l'ammazzasse o desse prigione, egli ebbe ardimento, non so se per beffe o per da dovero, di porre la taglia per bando pubblico a papa Clemente a chi lo facesse prigione o ammazzasse, cosa che io sappia o creda, non udita mai più. |
In quei tempi i Carnesecchi , come avviene in molte altre famiglie fiorentine , sono divisi in Medicei (auspicanti il ritorno al primato mediceo ) ed Antimedicei ( Repubblicani : in realta' molti dei Carnesecchi non contestavano il ritorno dei Medici ma intendevano essi fossero pari agli altri cittadini nello spirito di un ritorno al repubblicanesimo )
La chiave di volta di queste spaccature era stato il Savonarola
Cosi mentre Lorenzo poneva la taglia sopra la testa di papa Clemente VII , Pietro Carnesecchi <<era in grandissima grazia del Papa >> ; di piu’ ne era l’onnipotente segretario
Lionello da Carpi volle tentare ancora una volta l'espugnazione di Castrocaro e ordinò alla cavalleria, che durante la dimora dell' imperatore a Bologna era stanziata tra Imola e Forlì, e a molta. gente armata delle terre ecclesiastiche di assalire la Romagna fiorentina; ma i valorosi abitanti di questa regione, comandati da Lorenzo Carnesecchi, costrinsero i nemici a retrocedere. Il Presidente era stanco di combattere ed umiliato per non essere riuscito ancora a sottomettere un territorio piccolo e povero di soldati. E la sua crudeltà giungeva al punto da offendere i Castrocaresi nei loro affetti più santi, poichè a Forlimpopoli aveva fatto prendere un bambino di dieci anni figlio di Achille del Bello e diceva di mandarlo come bersaglio alle artiglierie; cosa inumana per qualunque, barbara nazione.
Il Pontefice, informato degli insuccessi delle spedizioni intraprese da Lionello, chiese un rinforzo all' Imperatore il quale mise a sua disposizione tutti i soldati comandati da Cesare da Napoli, valente condottiero che egli aveva già pensato di mandare a Vienna. A queste bande il Papa unì più di 3000 fanti romagnoli con 14 pezzi d'artiglieria e la propria guardia a cavallo , capitanata da Girolamo Maffei; perciò quasi cinquemila persone posero i loro accampamenti a poca distanza da Montepoggiuoli.
Lorenzo, non avendo denari, nè avendo modo di provvederne, come ultimo mezzo di salvezza ricorse agli amici, sui quali sapeva di poter contare. Scrisse a Galeotto Giugni, oratore fiorentino a Ferrara, facendogli conoscere i pericoli che lo minacciavano e chiedendogli denaro; questi non mancò di soccorrere il Commissario e gli inviò subito 500 scudi e lo confortò a ricorrere a lui in caso di bisogno. Tali promesse rassicurarono Lorenzo che armò trecento fanti.
I nemici si volsero prima a Modigliana e a Dovadola a ovest e a sud di Castrocaro, luoghi fortificatì e ben muniti, che però non ebbero l'energia bastante per opporre resistenza e trovarono più comodo accordarsi segretamente coi papalini. Quindi tutte le forze nemiche si volsero a Castrocaro, uno dei pochi luoghi del dominio fiorentino rimasti fedeli alla Repubblica, favorito dalla natura per la sua posizione e dalla fortuna che gli aveva dato un ardito difensore. Accampati a mezzo miglio di distanza dal paese cominciarono a sparare colpi di cannone e di falconetto. Pochi giorni dopo assalirono Castrocaro contemporaneamente (la due parti opposte e servendosi di scale si affacciarono alle mura, ma gli abitanti con le armi e con le pietre impedirono loro di superare quest'ostacolo..
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Per le quali cose il presidente, avuto dal campo Cesare da Napoli col suo colonnello, e da Roma i propri cavalli della guardia del papa, messe insieme dalle quattro alle cinquemila persone , e con sei pezzi d'artiglieria s'accampò dintorno a Castracaro, e gli diede la batteria e la battaglia piu' volte; ma Lorenzo co' suoi soldati, e con parte de' terrazzani, si difese sempre coraggiosamente, cacciandoli d'in su le mura, dove erano saliti, e all'ultimo usciti della terra gli fugò con grand'uccisione, insino a i fini della Chiesa, ì quali teneva di continuo tanto infestati, che il presidente lo mandò un'altra volta a ricercare per Giampagolo Romei da Castiglione Aretino suo segretario, se non di pace, almeno di tregua, tantochè si vedesse quello che la guerra principale partoriva; ed egli non avendo più danari né modo da farne, alla fine con onestissime condizioni per la città e per se gliele concedette.
Benedetto Varchi
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. Nel marzo del 1530 l’esercito pontificio, composto di quattro o cinquemila uomini con sei pezzi d’artiglieria, posero il campo attorno al castello di Castrocaro bombardandolo ed attaccandolo più volte, ma gli uomini del Carnesecchi si difesero valorosamente anche se pochi di numero e, con l’aiuto di parte della popolazione, riuscirono a ricacciare i nemici da sopra le mura dove erano saliti. Infine con una audace sortita in campo aperto le truppe di Lionello Pio da Carpi furono sbaragliate ed inseguite fino ai confini dello stato.
Dr Cristiano Vernia
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Lionello da Carpi allora pensò di attrarre a sè il Commissario e le sue genti, facendo loro vantaggiose promesse. E gli mandò come ambasciatori gli uomini più autorevoli della, Romagna con Giampaolo Romei suo segretario, ai quali Lorenzo rispose di volere attendere a combattere e non a parlamentare e siccome essi promettevano di allontanarsi da Castrocaro; dichiarò che avrebbe avuto la forza di mandarli via.
I nemici si ritirarono in una villa chiamata Ladino nel territorio di Forli e di là inviarono un'altra ambasceria, della quale riferisce più tardi il Carnesecchi in una lettera al Signori Dieci: " .... ritornarono di nuovo gli ambasciatori ai quali data io publica udienza, dissero la mente del pontefice esser volta a porre fine a tanti incendi e desolazioni de' popoli quando che noi volessimo, (al che altamente e pubblicamente, dimostrai io qual fosse la vera mente del pontefice) e pregato dalli uomini della terra ad ascoltar la loro proposta proposero pace e protezione di questo loco, offerendo al Commissario metterlo in cielo. Risposi che non Potevo trattar di pace particolarmente con chi pubblicamente era nimico della nostra patria; e in quanto alla protezione, che in cielo e in terra avevano ottimi avvocati e Protettori avendo massime eletto Cristo per nostro Re ".
LORENZO CARNESECCHI STRACCIA IL TRATTATO
Lorenzo Carnesecchi riconosceva però la necessità di convenire in onorata tregua coi nemici e dopo le vittorie riportate, questo era il momento'più favorevole per ottenere da loro patti vantaggiosi. L'ambasciatore di Ferrara, sull'aiuto del quale il Carnesecchi faceva assegnamento, gli scrisse di non poterlo soccorrere altrimenti " in modo che di leone divenni lepre " dice il Commissario, " perchè senza il danaro che è il nervo della guerra non si può far niente ". I pontifici erano divenuti più baldanzosi dopo l'occupazione di Cervia e Ravenna, i paesani stanchi di combattere non avrebbero seguito il loro condottiero quando lo avessero veduto disarmato; nondimeno Lorenzo ebbe l'avvedutezza di non far trapelare ai nemici le sue condizioni e di mostrarsi di fronte a loro sempre coraggioso e disposto a combattere, cosicchè egli fu pregato e ricercato più volte dal Presidente e, commissario di un piccolo territorio, potè imporre la sua volontà al rappresentante del Papa. Infatti una terza volta alcuni inviati ecclesiastici si presentarono a Lorenzo con le conclusioni della tregua da essi stabilite, che egli non approvò e stracciò alla loro presenza.
I capitoli dell'accordo tra il Presidente Lionello da Carpi e il Commissario generale della Romagna fiorentina furono sottoscritti il 3 aprile 1530 e furono i seguenti:
" ….che fra la S. di N. S. e Il prefato signor Commissario Lorenzo Carnesecchi s'intenda in futuro tregua e buona concordia con posamento tra le parte dele arme offensibile e con conditione e patto di non hofendere li Stati luno dell'altro et verso vice, ma che a ciascuno sia lecito e permesso di pacificamente regere et governare quello che a presente per ciascuno si tiene in modo che il Signor Com.o pacificamente e senza impedimento alchuno regha e governi Castrocaro e suo distretto insieme colla rocha di Modigliana e Marradi alle quale roche particularmente sua S.ria possa stare andare e mandare liberamente e senza eceptione alchuna per il provedimento di dette fortezze insieme colla fortezza di Montepoggioli con condictione non dimancho che sua S.` non habbia a molestare nè far molestar fortezze e terre della Romagna fiorentina che fino a questo presente giorno sono venuti allobedientia di detto pontefice, ma tutto permetta e lasci governare e Pier Francesco Ridolfi, o ad altro che fussi per Sua Santità.
Sia lecito e permesso a ciascuna persona etiam di che Stato grado o condietione cosi di Stato della Chiesa come delle terre, fortezze e luochi quali tiene il prefato Sig." Commissario Lorenzo Carnesecchi, a nome delli suoi Magnifici ex.mi Signori et invicto populo fiorentino et di quelle tiene il prefato Sig. di N.o Sig.re usar il dominio luno dell'altro e versovice, senza impedimento o molestia di sorte alcuna non vi si comprendendo però ribelli, homicidi, condannati, casi civili e chriminali >>
Seguono le firme dei notari.
Come si può vedere, questi patti erano vantaggiosi alla Repubblica e Lorenzo Carnesecchi con ragione scriveva ai Signori Dieci :
" ....ci parve nel concluder detta tregua che la vergogna restasse addosso al Pontefice, dappoichè con un Commissario di Castrocaro richiedeva tale composizione per la quale infine a noi rimane facoltà di poter soccorrere le fortezze nel che consiste quasi che il tutto ".
LA RICHIESTA D'AIUTO AI MERCANTI FIORENTINI A VENEZIA
Però egli era sicuro che questo stato di cose non avrebbe durato a lungo e trovandosi senza soldati e senza denari, chiedeva 300 fanti alla Repubblica per potersi difendere da qualunque inganno. Non giungendo gli aiuti, ebbe speranza che i mercanti fiorentini, i quali si trovavano a Venezia e a Ferrara e non potevan difendere la patria personalmente, non avrebbero mancato di sovvenirla almeno di denaro; perciò scrisse a Galeotto Giugni una lettera commovente, pregandolo di avvertire il Magistrato della Guerra della tregua da lui accordata e più che altro di perorare la sua causa presso i fiorentini che si trovavano in quella città, ai quali era offerto il modo di riparare in parte al torto che avevano avuto nell'abbandonare la patria in pericolo. Inviò poi a Venezia Pietro Borghini che parlò all'ambasciatore Gualtierotti dei valore mostrato dal Carnesecchi che aveva deliberato di rendere un servizio rilevantissimo alla patria, se i mercanti residenti a Venezia lo avessero provveduto di 1000 o almeno di 600 ducati. E per assicurarli, oltre all'obbligazione della città, avrebbe loro data garanzia sui beni suoi e su quelli di Giorgio Ugolini, giovane ricco e generoso, che si trovava con lui a Castrocaro. Il Gualtierotti rimandò indietro il capitano Borghini, dicendo che occorreva avere il mandato valido e autentico per obbligare la città. Il Carnesecchi, che veramente navigava in cattive acque, dopo qualche giorno mandò Giovanni de Rossi con una lettera sua e una dei Signori Dieci all 'ambasciatore Gualtierotti, il quale nello stesso tempo ne ricevè -un'altra di Galeotto Giugni. E tutte pregavano caldamente i mercanti residenti a Venezia ad inviare con la maggiore sollecitudine del denaro al Commissario di Castrocaro per dimostrarsi buoni figli di Firenze e per non essere da meno dei loro compagni di Lione d' Inghilterra di Fiandra, che, non dimentichi dei pericoli della patria, le inviavano continuamente somme di denaro anche senza esserne richiesti.
L'ambasciatore Gualtierotti riunì in casa sua i più ricchi mercanti fiorentiní che si trovavano a Venezia, tra cui erano: Matteo Strozzi, Luigi Gherardi, Lodovico Nobili, Filippo Del Bene, Giovanni Borgherini e Tommaso Giunta. Lesse loro le tre lettere ricevute e li confortò a pensare alla salute, di Firenze e a non esitare un momento a sodisfare la domanda del Signori Dieci e degli altri per un somma così piccola.
Alcuni come il Borgherini temevano che la vendetta del Papa potesse danneggiare i loro interessi, altri osservavano che la garanzia a loro offerta sui beni di Lorenzo e dell' Ugolini non contava nulla, potendo quei beni esser gravati di debiti sconosciuti; tuttavia, quando Matteo Strozzi disse che se tutti si accordavano a pagare la quota spettante a ciascuno di loro, egli non mancherebbe di sborsare la parte sua i compagni risposero nello stesso modo. Ma nel mercante l'amore del denaro soffoca qualunque nobile sentimento e la conclusione di quel ragionamento fu che nessuno ebbe cuore di sovvenire di un solo fiorino Lorenzo Carnesecchi.
A Castrocaro furono inviati 100 fiorini che Pietro Soderini, dietro la preghiera di Galeotto Giugni, mandò da Vicenza senza farsi pregare.
Il Varchi, narrando questo fatto, dice che ha vergogna di- scriverlo e conclude: " A tali strettezze ed " estremità si conducono alcuna volta le Repubbliche ancorchè ricchìssime; e tanto stimano gli uomini più un particolare bene, quantunque minimo che un comune ancorachè grandissimo ".
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Costui, per dir quello ch'io avrei volentieri taciuto, mandò il capitano Piero Borghini all'ambasciadore Gualterotto, scrivendogli che se a lui ha stava l'animo di persuadere i mercatantì e gli altri Fiorentini di Vinegia, a provvederlo di mille, o almeno di secento ducati, a se dava il cuore di fare in quel tempo un rilevantissimo servizio a beneficio della patria comune , e per assicurargli avrebbe loro, oltra la città, obbligato tutti i suoi beni, e di più quegli di Giorgio Ugolini giovane amorevole della patria e di buone facultà, il quale si trovava con esso lui in Castracaro. Il Gualterotto, avendo sotto diversi colori tentato quanti' uno e quand' un altro, gli rimandò Piero indietro, e rispose che bisognava avere il mandato valido e autentico a potere obbligare la città; perche' il commessario, il quale nel vero si ritrovava a strettissimo partito, dopo alquanti giorni gli mandò a posta Giovanni de'Rossi con una sua lettera e una de'signori dieci, e un'altra ne mandò messer Galeotto Giugni in nome suo e della comunità, le quali tutte pregavano caldissimamente e con incredibile sommessione, che fussino contenti di sovvenire, coll'esempio de' mercatanti di Lione, d'Inghilterra e di Fiandra, in qualche parte la patria loro, la quale in tante e tali calarnità, quali e quante essi sapevano, si ritrovava, e massimamente essendo essi fatti cauti e sicuri sì dal pubblico e sì dal privato, obbligandosi tutti insieme e ciascuno di per se, che non perderebbono. Messer Bartolommeo avendo cotali lettere e così fatta commessione ricevuto, ragunò un giorno in casa sua tutti i Fiorentini d'alcuna qualità che si trovavano allora in Vinegia, i capi de'quali furono: Matteo Strozzi, Luigí Gherardi, Lodovico de'Nobili Filippo del Bene , Giovanni Borgherini e, Tommaso di Giunta, e lette loro tutte tre le lettere, e ricordando loro la necessità e la carità della patria, gli pregò strettissimamente che essendo essi tanti e tali, e la sovvenzione così piccola, non dovessono mancare di quello di che con tante preghiere e cauzioni, erano da'loro signori in benefizio, anzi a salute della loro patria ricercatì. lo mi vergogno a scrivere che dopo un lungo ragionamento, avendo Matteo Strozzi detto che, se tutti gli altri s' accordassono di pagare la rata loro, esso non mancherebbe di sborsare la porzione sua, non si conchìuse cosa nessuna, perchè ciascuno degli altri pigliato animo da quelle parole rispose nel medesimo modo, e a Castracaro non si mandarono altri danari che i cento ducati i quali Piero Soderini, ricercatone da messer Galeotto Giùgni, mandò cortesemente e senza farsi pregare da Vicenza: a tali strettezze estremità si conducono alcuna volta le repubbliche, ancorachè ricchissime; e tanto stimano gli uomini più un particolare bene, quantunque minimo, che un comune, ancorachè grandissimo; benchè io (sappiendo quant'era qualunque di loro danaroso, e che il Borgherino solo, oltre l'essere amator delle lettere, e persona molto gentile e cortese, se ne giocava le centinaia e le migliaia per volta) vo pensando che fussino ritenuti non tanto dall'avarizia, quanto dalla tema di non dispiacere al papa, il quale aveva severissimamente proibito che nessuno il quale o avesse beni di chiesa, o ufizi di Roma, potesse in modo alcuno soccorrere di cosa nessuna i Fiorentini, sotto pena di dovergli perdere, issofatto e senz'alcuna redenzione.
Nè voglio non dire che l'ambascìadore fu da molti di poco giudizio riputato, dicendo ch'egli non doveva chiamare in cotal ristretto nè Matteo, il quale oltre l'esser di natura, se non avaro, certo miserissimo , aveva dimostrato di tener maggior conto de' comodi privati che de' pubblici, nè Tommaso di Giunta, il quale non avendo che fare de' fatti della repubblica, so ne stava, non meno avaro che ricco, quasi sempre a Vinegia, occupato ne' grossi guadagni della sua, piuttosto utile che onorevole stamperia, senza curarsi, benchè per altro fosse uomo di belle maniere e di buon giudicio, come la città di Firenze o libera o serva si vivesse.
Benedetto Varchi
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Questo fatto dispiacque molto all'animo nobile e disinteressato di Lorenzo Carnesecchi, che a Galeotto Giúgni aveva scritto:
" Io non so a che se abbia a servire la vita et le facultà ad altro che ad honorare et subvenire la Patria sua ".
Egli rimase a Castrocaro in qualità di Commissario Generale fino alla caduta della Repubblica fiorentina.
Intanto le comunicazioni di Firenze col contado si rendevano sempre più difficili per il gran numero di Imperiali che vigilavano i dintorni della città assediata.
Dalle" Storie Fiorentine" del Varchi raccontate da Agostini Antonio nel suo "Pietro Carnesecchi e il movimento valdesiano"
Quest'uomo nelle congiunture della guerra divenne un eroe come Francesco Ferrucci . Ei fu mandato dalla Signoria Commissario nelle Romagne quando gia' Firenze aveva perduto quasi tutto il suo dominio, e i nuovi Lanzi si erano posti e fortificati in San Donato, in Polverosa e all'intorno .
....Tenevasi ancora Castrocaro dov'era commessario , quasi un altro Ferruccio, Lorenzo Carnesecchi (Varchi libro decimo pg 257)
Lorenzo Carnesecchi batte' piu' volte le genti di Leonello da Carpi, presidente della Romagna ecclesiastica; diede parecchie sconfitte a messer Balano di Naldo ed al capitano Cesare Gravina ; e richiesto finalmente della pace , rispose che non stava bene quando la Patria era in pericolo ,si dovessero pacificare i privati .
Messer Giorgio Ridolfi ,uomo cerimonioso , gli pose addosso una taglia , ed egli senza punto scomporsi, rivolge quella taglia sopra papa Clemente e bandisce un premio a chi lo voglia uccidere, oppure dare prigione . Egli cede soltanto quando non ha piu' denari e neanche modi di farne , e quando la Signoria gli manda l'ordine di arrendersi.
Da :
Marietta de' Ricci ovvero Firenze al tempo dell'assedio racconto storico di Agostino Ademollo seconda edizione con correzioni e aggiunte per cura di Luigi Passerini Stabilimento Chiari Firenze 1845
pagina 1768……………………….Note del Passerini : nota 17
Zanobi di Francesco fu pieno di zelo per la causa della Repubblica, ma non seppe adattarsi ai tempi ed ebbe anco mano a riformare il Governo.
Non cosi Lorenzo suo figlio (SIC: era figlio di Zanobi di Simone ) , il quale, mandato alla difesa di Castrocaro , vi si diporto' con tale valore da costringere gli imperiali a levare l'assedio da Castiglione e da Marradi . Assediato sua volta in Castrocaro da Lionello da Carpi , vi si difese con accanimento , ma dove' cedere alle preponderanti forze del suo nemico ( sic : non ando' cosi' ) . Dopo l'assedio fu confinato , e gettatosi tra i fuoriusciti fu dichiarato ribelle . Figuro' molto tra questi esuli infelici , e fu uno di coloro nei quali piu' confidavano.
Guerrazzi : L'assedio di Firenze
Quando decrepita e moribonda chiamerai le tue sorelle d'Italia a consolarti nella sventura, vedrai intorno di te i principi, ai quali ti affidasti, irridere alla tua agonia, ed imprecarti la morte, come eredi impazienti di raccogliere il tuo retaggio. E nondimeno né Alfonso di Ferrara né Andrea di Vinezia furono quelli che più mi fecero vergognare di appartenere alto stirpe umana; l'ira, e il ribrezzo di essere nato uomo mi venne dai nostri concittadini, Carduccio, dai mercanti di Fiorenza dimoranti a Vinezia."
"E come ti avvenne questo?"
"Io mi trovai a Vinezia, allorché giunse, mandato da Lorenzo Carnesecchi nostro commessario a Castrocaro. Piero Borghini, il quale accolti quanti mercadanti fiorentini tengono ragione in cotesta città, riferì a costoro le imprese maravigliose di quel valentuomo di Lorenzo; narrò come sovente fosse venuto alle mani con Leonello da Carpi presidente ecelesiastico nella Romagna, e sempre con suo vantaggio, — e di Marradi ribellato prima, e tosto da lui ridotto nell'antica devozione,— dell'assedio di Castiglione sciolto, — dell'assalto di cinquemila e più fanti ributtato da Castrocaro, — della taglia posta da papa Clemente sopra il suo capo, e della taglia da lui posta sul capo del Papa: tutte queste cose disse, ed altre ne aggiunse non meno stupende, e degne di memoria; ed infine egli aggiunse essere il commessario deliberato di fare un servizio rilevantissimo in pro della Patria, quando loro bastasse il cuore di fornirlo di danaro; e per assicurarli avrebbe loro obbligato i suoi beni e quelli di Giorgio Ugolini tenerissimo della libertà. Capi dei mercadanti adunati erano Matteo Strozzi, Luigi Gherardi, Ludovico Nobili, Filippo del Bene, Giovanni Borgherini e Tommaso Giunta: ricchi tutti, e comecché avari, usi a sprecare in vizii o in giuochi le migliaia di ducati; e non pertanto, il sangue mi toglie il vedere nel rammentarlo, nessuno ebbe cuore di sovvenire di un solo fiorino il commessario Carnesecchi. Matteo Strozzi allegò, che la sicurezza offerta su i beni di Lorenzo e dell' Ugolini in tanta distanza era come nulla, potendo cotesti beni andare gravati di debiti sconosciuti: e cos'i favellando parve sospettoso notaro, non fu cittadino il Borgherini'si scusò, perché aveva fondaco a Roma, e te
meva la vendetta del Papa: più turpe degli altri, se in tanta turpitudine possono darsi screzii, Tommaso Giunta, il quale disse non essergli Patria Fiorenza, ma Vinezia; imperciocché a Vinezia avesse accumulato i danari, ed i danari comporre il vero sangue e la vera anima dell'uomo; poco importargli che la libertà della Repubblica fiorentina stesse in piedi, purché la sua libreria non cadesse. Io rimasi esitante, se dovessi rispondergli a parole, o nel modo con che mi favellò nella mia fanciullezza il Torrigiano,' quando di un pugno mi sfasciò il naso ; pur mi rattenni, e parlai: Stampatore Giunta, quando il Papa e l'Imperatore ti avranno strozzato la Patria, pensi tu che non potranno furti smettere la stampa delle opere avverse all' Impero ed a Roma, e con le quali tu ti sei arricchito? — Ed egli a me: Allora stamperò quelle che argomenteranno a loro vantaggio. — Ma, ripresi io, — ciò non basterà loro; si sforzeranno, affinché gli uomini non imparino a leggere. — Lo svergognato concluse : Di qui a quel tempo gran tratto ci corre: prima che i fanciulli diventino uomini, io sarò morto: e morto io, morto il mondo: buona notte a chi resta.—Gli voltai le spalle, ché uomini cosiffatti paionmi. e certamente sono, scorpioni sbagliati ; tornato a casa mi spogliai di tutte le vesti, e le gettai sul fuoco, abborrendo di più oltre portarle, siccome appestate da quei fiati velenosi. Apersi il mio Dante,* e sopra i margini del trentesimoquarto dell'Inferno vi segnai la brutta sembianza di quei mercadanti come traditori tormentati nella Giudecca : il Giunta posi in una delle bocche di Lucifero, perocché io non consenta punto col poeta, quando mette Giuda, Cassio e Bruto a maciullare tra i denti di lui; Giuda lasciai, in luogo di Cassio vi posi il Giunta, la terza bocca rimane tuttavia vuota, e aspetto a riempirla col Malatesta. Ho sentito parecchie volte ricordare in famiglia come uno dei nostri vecchi esercitasse il commercio di panni franceschi ; or ora come torno in casa, cercherò la sua immagine, e la velerò di un panno nero, come ho veduto in Vinezia che praticarono col ritratto del doge Marino Fallero. — Di due cose, o Signore, principalmente io ti ringrazio; la prima per essere nato Italiano, la seconda per non avere sortito ingegno da mercadante." '
"Michelangiolo, ciò che tu parli il Carduccio magistrato non riferirà al Carduccio mercadante: parla sommesso ; però che ai soli mercanti sia dato adesso sovvenire in tanto estremo la Patria. Non tutti, come quei di Vinezia, si mostrarono iniqui al luogo dov'ebbero la vita ; quei di Fiandra, d'Inghilterra e di Lione mandarono grosse somme di pecunia. Le consorterie di per sé non hanno vizii, sibbene tu li trovi negli uomini, e questi sono più infelici che stolti, più stolti che scellerati. Il danaro tutto può...."
LE LETTERE DI LORENZO AI DIECI
Le poche lettere mandate al Magistrato della guerra spesso non giungevano a destinazione, perchè venivano intercettate dai nemici. Per la qual cosa ciascun commissario e ambasciatore usava nello scrivere, di comune accordo coi Signori Dieci, dei segni convenzionali propri che nessuno poteva comprendere ed anche le ultime lettere del Carnesecchi, che per spiegarle mi hanno fatto esercitare tanta pazienza, sono scritte in cifre. Esse contengono notizie riguardanti Castrocaro, il dominio della Chiesa e gli. altri Stati d'Italia, notizie che in parte si trovano nelle storie, ma che doverono avere una notevole importanza in quel tempo.
Mantenere l'ordine e la disciplina nella Romagna, era per Lorenzo un difficile problema: i castellani e i commissari che da lui dipendevano, spesso in discordia tra loro, volevano spadroneggiare nelle terre di cui avevano il governo e ricorrevano al Commissario Generale per chiedergli aiuto quando, dopo un'impresa tentata imprudentemente e non riuscita, si trovavano in pericolo. Così avvenne a Iacopo da Verrazzano e a Gabriello da Lutiano residenti a Marradi, i quali, quantunque sconsigliati dal Carnesecchi, vollero assalire Modigliana e rimasero prigionieri. In conseguenza di questo errore alcuni fanti destinati dal Commissario Generale ad altra impresa, furono svaligiati dai Faentini: perciò il Carnesecchi pregava i Signori Dieci a togliergli l'ufficio o ad accrescergli l'autorità " perchè altrimenti, egli scriveva., serviamo " per una insegna da taverna
E li avvisava del bando pubblicato dal duca di Ferrara contro quelli che andavano al soldo dei Fiorentini, partecipava loro la morte del già duca Massimiliano Sforza in Francia e la caduta da cavallo del marchese di Monferrato in una caccia al cinghiale tutte notizie che giungevano nuove alla Repubblica.
L'Imperatore partito da Bologna il 23 marzo 1530 si recò a Modena, a Mantova, e seguendo la via di Trento, Bolzano, Bressanone, Innsbruck, arrivò ad Augusta nella quale città fu tenuta una dieta il 20 giugno di quell'anno. In essa i protestanti presentarono la celebre professione di fede conosciuta col nome di Confessione di Augusta che ammetteva qualche dogma cattolico, ma ne negava altri e rigettava usanze e pratiche essenziali stabilite ed osservate dalla Chiesa Cattolica. Il Carnesecchi scriveva intanto ai Signori Dieci:
"….le cose lutheriane ricercano un conciglio dove hanno formato octanta conclusione contra il pontefice una, delle urgente e che egli non possa tener beni temporali ".
Il Papa temeva l'ira di Francesco I: in ogni movimento degli antichi vassalli, egli vedeva la mano nemica della Francia e credeva che da essa fosse istigato Sigismondo Malatesta quando nel giugno 1530, collegato coi pretendenti alla Signoria di Faenza e di Forli, chiedeva un abboccamento al Commissario di Castrocaro e si armava per rientrare in Rimini. Clemente VII perciò, mentre prometteva di promuovere gli interessi di Carlo V, nominava Cardinale Monsignore di Tarbes, oratore francese.
Magnifici signori miei osservandissimi,
Per l'ultime del dì dieci delle magnifiche signorie vostre questa notte ricevute, intendo il mal ricapito delle ultime mie scritte sotto il dì tre, delle quali con desiderio attendevo lo arrivo, avendo per quelle dato ragguaglio dei successi della Romagna; onde per questa rianderò li detti successi dalli quattordici di febbrajo in qua, attesoché delle cose di prima per più mie le signorie vostre appieno abbiano avuto notizia.
Avendoci già fatto il pontefice con parole e fatti più spaventi ed insulti, e per ultimo spintoci addosso seicento cavalli borgognoni, quali erano in guarnigione tra Imola e Forlì rispetto allo stanziare la cesarea maestà in Bologna, con una infinità di genti comandate dalle terre ecclesiastiche circonvicine, alle quali mostrammo animoso volto, sicché fatta un poco di scaramuccia vituperosamente se n'andorno, alli 24 di febbrajo si appreseli tò presso a Monte Poggiolo, a un tiro di archibuso, il colonello di Cesare da Napoli in numero di più che mille fanti, gente veramente da guerra. Il perché provvidi la fortezza di Munte Poggiolo, e personalmente la visitai attendendo a far buona guardia, lavorando eziandio manualmente, sì che é ridotta oggi la terra ben munita. Ma intendendo che a tal fanterìa si era aggiunta la ca* vallenu della guardia del papa, e che forte ci minacciavano, essendo senza denari, e privo degli ausilj della città, ispacciai a Ferrara all'oratore delle signorie vostre, ricercandolo che mi servisse di seicento scudi; il quale come affezionato li mandò, e promise che danari non mancherebbono, sicché andai armando da vicino a trecento fanti. Stando così le cose, li nemici si gettarono alla volta di Modigliana, chiamati da alcuni della terra, secondo ritraggo per cosa certa, e si misero ne'borghi; e senza dar battaglia o scaramuccia in brevi giorni quelli di dentro convennero dare alli inimici mille ducati d'oro, e vettovaglie e altre regalie per cinquecento ducati (cosa certo brutta e disonesta, perché erano più quei di dentro che gl'inimici di fuori, e inoltre in sito gagliardissimo) ma fu sempre facile vincere chi vuole esser viiito. Li nimici dappoi ne vennero alla volta di Dovadola,dove aveva mandato Giovanni De'Rossi con fanti e provvisioni più che abbastanza; e trovando quelli il sito fortiGcato stavano al largo. Ma li popoli oggi non vogliono disagi; e secretamen te quei di dentro convennero con li inimici. Riebbi il commissario Giovanni De'Rossi; li fanti si sbaragliarono. Dappoi li inimici marciarono alla volta nostra ingrossati di grosso numero di Maradesi e di gente della montagna,e posato il campo lontano a qui a mezzo miglio, cominciarono a salutarci con un grosso cannone e con cinque falconetti; ma benché facessero assai tiri battendo la terra, Iddio grazia non amazzarono persona: bensì giorno e notte ci tenevano in arme. Alli 23 poi, a mezza ora di notte, ci fecero dar all'arme, sebbene con breve scaramuccia si ritraessero: ma la medesima notte, due ore innanzi giorno, poca banda con gran romore venne dalla parte della porta fiorentina, mentre tutto il restante del campo si gettò dall'altra banda verso San Francesco, e con grande impeto d'assalto si affacciò alle mura con forza di scale , e comparsero due bandiere e qualche fante sino alla merlatura : ina non per questo torrefatti, anzi con più animo dei nemici, con fuoco, ferro e sassi gagliardamente li ributtammo con perdita di alcuni de' loro ed infiniti guasti, e dimostrai a Cesare da Napoli clic vigilavamo in sulle mura e non dormivamo; e se sotto il dì tredici ci prese da ottanta fanti e venti terrazzani, fu per troppa animosità de'fanti e non per viltà; e certo se quel giorno loro sapevano vincere, il fatto nostro era forte timoroso. Ed io per ultimo partito aspettando assolutamente che li inimici seguissero la vittoria, con quelli pochi presidj che mi erano rimasti mi buttai alla porta con ferma opinione di piuttosto eleggere mia onorata morte, che pigliar patto o convenzione.
Ma tornando al caso, dappoi il seguito assalto delli 23 li nemici non ci strinsero mai gagliardamente; sì bene alli 30 del passato il presidente ci mandò ambasciatori li primi uomini della sua Romagna insieme con il suo secretario: al quale risposi che mostro avevo alli nemici volere attendere a combattere e non a parlamentare; e dicendomi che si ri tirerebbero, risposi che ero bastante io a mandarli via. E in effetto ritiratisi in sul Forlivese ad una villa che si chiama Ladino, il giorno dappoi ritornarono di nuovo gli ambasciatori; ai quali data io pubblica udienza , dissero la mente del pontefice esser volta a porre finca tanti incendj e desolazioni de'popoli quando che noi volessimo (al che altamente e pubblicamente dimostrai io qual fosse la vera mente del pontefice); e pregato dalli uomini della terra ad ascoltar la loro proposta, proposero pace e protezione di questo loco, offerendo al commissario metterlo in cielo. Risposi che non potevo trattar di pace particolarmente con chi pubblicamente era inimico della nostra patria; e quanto alla protezione, che in cielo e in terra avevamo ottimi avvocati e protettori, avendo massime eletto Cristo per nostro re. E così senza conclusione, volendo essi cose impertinenti, se ne andarono. Ma ritornati il giorno dappoi, convenimmo in una onorata tregua; e andati due di loro al presidente per informar di tutto sua signoria, vi aggiunse egli certa convenzione, che leggendomela al loro ritorno altro non risposi che stracciar loro in sul volto dette conclusioni di tregua. Finalmente dopo un'altra andata e ritorno, assentirono alla capitolazione, della quale in questa si dà la copia, acciocché tutto in fonte le signorie vostre veder possano. E le cagioni che a ciò mi spinsero sono queste. La prima, che vi é via aperta a romper tutto: inoltre che l'ambjsciator di Ferrara, il quale da principio mi aveva soccorso di seicento scudi, ed offertomi largamente che in futuro non ne mancherebbero, accioché per le paghe non si avesse a tumultuare, e che alli 25 di marzo manderebbe una paga a Lugo per mia comodità, non che mandar l'ordine sua signoria mi rimostrò increscergli di non poterci servire, e che chi gli aveva promesso gli aveva mancato, e totalmente ci troncava ogni speranza di denaro ' ; di modo che di lione divenni lepre, perché senza denaro, che é il nervo della guerra, non si può far niente. Ed essendo in termini non che da star in campagna, ma con fatica da difender questo cerchio, ed avendo i paesani stracchi e mezzo abbandonati, e vedendosi devastar tutto il paese, ancorché fossi certo che detto colonello non potesse molto stanziare qua, pure egualmente certo che subito che m'avessero visto disarmatocl che di necessità in brevi giorni seguiva reuza riparo), ero messo in preda delli inimici, perché anche senza il colonello di Cesare, la baldanza de'vicini cresciuta per l'acquisto di Ravenna e Cervia ",ela malignità de'nostri ribellati valeva a dissolverci; e non essendo una volta, ma più e più onoratamente ricerchi, ci parve nel concluder detta tregua che la vergogna restasse addosso al pontefice, dappoiché con un commissario di Castrocaro richiedeva tale composizione, per la quale infine a noi rimane facoltà di poter soccorrere le fortezze, nel che consiste quasi che il tutto.
Ora voglio dire che non so da che dipende, che come uno é castellano par che abbia ad essere particolare inimico del commissario, e sempre hanno in bocca: Noi soli abbiamo la forte zza, esimili storti ragionamenti. Né voglio mancare d'instruire le signorie vostre che del castellano della rocca di Castrocaro, per bisogni grandi che noi abbiamo avuti, mai mi sono potuto valere in cosa alcuna, con rispondere quegli -.Qua son padrone, e ho le cose per inventario. Ha fatto cose oltra ciò al paese pericolose; e avvegnaché sia di dolce natura, conosco che é messo su da qualche maligno spirito, e basti. Ed é necessario che le signorie vostre nello scrivere ne tocchino un motto, perché io non posso far altro: e mi bisogna aver rocchio alla gatta e alla padella.
Tutti li castellani poi mi si volgono a chieder denari o fanti pagati ; e perché e'non mi par onesto dir loro nel termine che mi trovo, essi pensando ch'io non curi il fatto loro buttano fuoco per ogni banda;di modo che ho fatto le spalle di Giobbe. Pure se in tante fatiche e pericoli corsi io ho fatto cosa che sia grata a cotesto eccelso ed invitto popolo, mi chiamo più che contento; e se altrimenti, il che a Dio non piaccia, le magnifiche signorie vostre mi perdonino, che non posso operar più che natura mi abbia dato, e tutto che ho operato o che opererò sarà mosso da buono e sincero animo e zelo verso la patria.
In sostanza, signori miei osservandissimi, a volere far qua opera buona, come per più mie già ne scrissi loro, é forza tenervi trecento fanti, e con le intrecciature che ci si hanno, oltre al piacere le cose nostre, si anderebbe dal mar Indo al Mauro. Quelle prudentissime andranno designando la loro volontà: frattanto per non le infastidir più, di nuovo a quelle umilmente mi raccomando, e le prego, se la domanda é onesta, quando scrivono darmi qualche novità della città, della quale sono totalmente al bujo. E senza altro, quanto più passo alle magnifiche signorie vostre mi raccomando.
Di Castrocaro alli 14 di Aprile 1530.
Lorenzo Carnesecchi Commissario generale
Pubblicata da Eugenio Alberi
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L'ESILIO
Confinato prima a Sinigaglia e poi a Cervia rompe i confini e si rifugia presso il Duca di Urbino , che lo aveva in grande considerazione
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<< Dopo l'assedio fu confinato , e gettatosi tra i fuoriusciti fu dichiarato ribelle . Figuro' molto tra questi esuli infelici , e fu uno di coloro nei quali piu' confidavano. >>
Da Marietta de' Ricci ovvero Firenze al tempo dell'assedio racconto storico di Agostino Ademollo seconda edizione con correzioni e aggiunte per cura di Luigi Passerini Stabilimento Chiari Firenze 1845
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<< ….insino che il re rimanga prigione o perdente >> , scriveva Luigi Guicciardini al fratello Francesco , <<i fuoriusciti staranno sempre con la speranza e continuamente ci daranno qualche fantasia come al presente per trovarsene parte nel Ducato d'Urbino , dove al certo si truova come capo di tutti Lorenzo Carnesecchi ..>>
CXXXIX.
Luigi al Fratello Francesco, In Bologna.
Arezzo , 30 settembre 1554
Non ho risposto prima all'ultima vostra de' 13, per non avere avuto fidato apportatore, benché pochi giorni l'ebbi. A'dì passati risposi all'altra penultima vostra per le mani d'un frate de' Bonucci di qui dell'ordine de' Servi, che stimo n'ara fatto buon servizio.
Ora risponderò brevemente all'ultima quanto occorre: e per quanto alla morte di Nostro Signore stata molto furiosa, e dopo tanto miglioramento quanto scrivevano, in modo che vi eravamo molto appiccati, ci è tanto doluta quanto merita tanta perdita, la quale non è dubbio ci riuscirà più l'un giorno dell'altro maggiore; pure possiamo e dobbiamo sperare in molte cose, che se saranno come credo ben governate, ci faranno stare se non sanza fastidio, almeno sicuri. La importanza per ora è nella persona del futuro pontefice : qua pare che Farnese abbi maggior parte degli altri, pure in Conclavi poi fanno gran variazione : dicono Cesare avere intimato al Collegio sieno aspettati li suoi cardinali: il Signor Ascanio Colonna dicono essere molto gagliardo in Roma, e al presente superare gli altri. I cardinali franzesi dovettono arrivare a Civita Vecchia in su la morte del papa, e hanno seco il signor Renzo; Filippo (Filippo Strozzi. ) ancora era con loro, che sempre li ha accompagnati : se nello indugiare a rinchiudersi i cardinali franzesi non soldono ancora loro, non pare da credere sia per nascervi tumulto ; pure delle cose di là non ho altri avvisi che quanto dico di sopra. Di Firenze anche non s'intende altro, se non che le cose vi passono quietamente, e per ora non è per nascervi.
Il Signor Alessandro ( Alessandro Vitelli ) che in su la morte si trovava qua a Castello, è subito ritornato là. La venuta sua qua fu per ordinare i sudditi suoi, che bisognando fussino in arme subito, e dicono averne a ordine duomila. Qui all'intorno si fa il medesimo, acciò che bisognando si possine subito condurre dove questi fuorusciti facessino movimento; che si è inteso verso Urbino esserne ridotti qualcuno, e Lorenzo Carnesecchi se ne fa capo.
Luigi Alamanni e Dante ( Dante da Castiglione ) intendo arrivorono a questi dì a Genova, e ne furono rimandati ; se andranno molestandoci troveranno facilmente riscontro. Le cose qui sono ferme benissimo quanto di alcuna altra Città, come altre volte vi ho scritto. Confortovi a mandare madonna Maria a Firenze ; e dello stare costì sicuro e fermo insino alla creazione del nuovo pontefice, non dubito : che non è simile lo esempio di Bartolommeo Valori, e massime che io credo, se non sarà un pontefice inimico de' Fiorentini, vi starete ancora un pezzo; e perché potrebbe esser Cibo, che non sarebbe gran fatto, tanto più vi staresti.
CXL.
LUIGI GUICCIARDINI AL FRATELLO FRANCESCO, IN BOLOGNA.
Arezzo, 5 ottobre 1554
A l'ultima vostra de' 27 accade poco che replicare, non avendo avuto allora la dolorosa nuova ; e benché dopo quella ci scrivesti quanto accadeva, non di meno per questa replicherò che più l'un giorno che l'altro ci riuscirà peggiore; e quando altro men male non segua sarà la spesa grande, la quale insino che non saranno spenti questi fuorusciti continuerà. Pure penso che secondo la elezione del nuovo pontefice si potrà iudicare, dato ch'io creda non sia per rimuovere la voglia di Francia e di Inghilterra contro a Cesare, quando sia tutto cessato; e che si vedde a tempo del passato, non ostante che fussi più imperiale che guelfo, quella Maestà era per tentare la impresa di Milano ; e in sino che non si viene a questa, e che il re rimanga o prigione o perdente, i fuorusciti staranno sempre con speranza, e continuamente ci daranno qualche fantasia, come al presente , per trovarsene parte nel ducato di Urbino, dove al certo si truova come capo di tutti Lorenzo Carnesecchi, Antonio Berardi, Batista de'Libri il Francioso e suo figliuolo, e uno de'Niccolini con qualche altro che non so il nome : dicesi esservi ancora Dante e Giovan Francesco delli Albizzi, ma non lo so di buono luogo: dicono essere ben cinquanta, che non credo sieno tanti : truovasi con loro qualche bandito del Borgo a San Sepolcro, e di questa Città solo uno , diserto e sanza alcuno credito, chiamato Ridolfino, benché cogli altri facci il gagliardo.
La Eccellenza del Duca vi ha spinti i cavalli del signor Valerio, quelli della guardia sua , che in tutto sono dugento cavalli di buona sorte. Saravvi sotto Giano Strozzi e Dante da Perugia cinquecento fanti pagati ; di qui all' intorno saranno in ordine tanti che arriveranno a duemila senza quelli del signor Alessandro ; in modo che oltre al tenere sicuro queste bande di qua, sarà agevol cosa che il duca d' Urbino non li voglia più nel suo ducato, massime non cavando da loro utilità.
Di qua come altra volta v'ho scritto, si può stare con l'animo posato, e la fortezza in ogni evento sarebbe necessaria, pure rispetto a questi tempi che corrono, credo per ora non se ne farà nulla: che se si faceva questa estate, come molte volte ricordai, sarebbe in termine ora che si potrebbe guardare. Arei che scrivere mille cose che aresti caro intenderle, ma le riserberò a un'altra volta, che l'apportatore di questa sarà quello mi recò la vostra de' 27.
Piacemi assai intendere la doccia avervi alquanto giovato, ma più questo verno se arete cura al capo di non patire freddo né molle : i rimedii di maestro Marchione dubitai insino allora non fussino caldi, rispetto al non avere circulate la quinta essenza, che non lo potette fare per la brevita' del tempo, che dalla operazione dell'una e dell'altra non vi è comparazione.
Desiderando eccessivamente maestro Pamphilo, del quale altre volte vi scrissi, ritornare alla lettura sua con più salario che prima, non ho voluto mancare scrivervelo al presente, e pregarvene quanto posso, che per mio amore, dato che non lo meriti molto, li facci questo piacere ; di che certamente ne arò obbligo con voi quanto di alcun altro per il passato da voi ricevuto ; e benché mi persuado non vi abbi a dare carico massime a questi tempi, pure quando ne participassi un poco per questo, vi priego non vi guardiate, per desiderarlo quanto fo; e quanto più presto lo pubblicherete nel ruotolo, più mi sarà grato; e quanto al ruotolo, come dubito sia pubblicalo, non vi mancherà modo a darli quella consolazione che certamente non sarà manco minore. So che con voi non bisogna usare tante parole, pure per istimare questo piacere sommamente, non m'è parso incoveniente con tante parole dimostrarvelo.
Per la via di Firenze intendo le cose passarvi bene, e non vi essere timore alcuno, che così è da credere ora; i mali contenti aspetteranno maggiore occasione. La fortezza cammina forte, e questo verno dicono si ridurrà in fortezza. Io ci starò oramai l'anno se non più; e in fatto insino a ora ci ho avanzato pochissimo, rispetto alle ferie e caro vivere : quando ci stessi insino a quest'altro Ognissanti non mi parrebbe fatica, ,e vorrei pur fare per quello ci sono venuto, che avanti quel tempo non ci è ordine, e massime ora poiché è successo la moria. Io sto bene, e.a voi mi raccomando che N. S.Jddio vi conservi ;sano e.di buona voglia, che non è ,poco a questi tempi.
Dopo la morte di Clemente VII avvenuta il 24 settembre 1534 , gli esiliati fiorentini concorsero in gran numero a Roma alla corte del cardinale Ippolito e nominarono sei procuratori o segretari che che attendessero alle cose loro, uno dei quali fu Lorenzo Carnesecchi
Fu delegato insieme ad alcuni altri compagni a rappresentare le lagnanze dei fuoriusciti all'imperatore Carlo V contro il Duca di Firenze per il mancato rispetto degli accordi sottoscritti come condizioni per la resa della citta'
1532
………….Era in questo tempo venuto Clemente a Bologna , dov’era entrato a’ quindici di dicembre , essendosi partito da Roma a’ diciotto di novembre nel medesimo , per aspettare , siccome eran prima convenuti di dover fare , Cesare in quella citta’, il quale venendo d’Alemagna , dove s’era in poco tempo finita la guerra tra lui e Solimano principe de’ Turchi , era a’ sei giorni arrivato a Mantova .
Quando l’imperadore s’appressava , i fuoriusciti fiorentini , ch’erano sparsi in Pesero, Modana , Vinegia e di Ferrara , cominciarono tra loro a pensare se per mezzo di Cesare si fosse potuto , quando ei giugneva a Mantova , travagliare in qualche modo lo stato di Firenze; e cosi ragionaron tra loro , che quando egli fosse arrivato a Mantova , di mandargli ambasciadori messer Galeotto Giugni e Francesco Corsini , o Lorenzo Carnesecchi , i quali per mezzo di don Ferrante Gonzaga richiedessero a Cesare che facesse osservare a i Fiorentini quei capitoli dell’accordo , che s’eran fatti con don Ferrante di sopra detto l’anno 1530, quando egli era luogotenente dell’imperadore nell’esercito cesareo , molti de’ quali non erano loro stati osservati. Promessero i detti fuoriusciti d’andare tutti e tre , o due di loro almeno a Mantova in nome di tutti gli altri fuoriusciti, e di richiedere all’imperadore l’osservanza dei capitoli di sopra detti, ……………………
Benedetto Varchi Storia Fiorentina
1534
…………Le lunghe pratiche che noi dicemmo di sopra che i fuorusciti e gli altri nimici del duca Alessandro continuamente facevano in Roma , furono cagione che deliberarono finalmente , che si facessero sei procuratori , o deputati che noi gli vogliam chiamare , i quali attendessero alle cose de’ fuorusciti , e questi furono : messer Galeotto Giugni , messer Salvestro Aldobrandini , ambedue dottori di leggi , Iacopo Nardi , Paolantonio Soderini , Lorenzo Carnesecchi e Luigi Alamanni ; ma perche’ Luigi era in Francia ,fu fatto da i procuratori , o deputati de’ fuorusciti in suo scambio Dante da Castiglione , e dopo non molti giorni in luogo di messer Galeotto Filippo Parenti. Costoro si ragunavano in casa Filippo Strozzi, e quivi deliberavano tra loro quel che pareva loro che fosse a proposito di fare……………....
Benedetto Varchi Storia Fiorentina
Probabilmente in questo tempo mori non so bene in quali circostanze
Moriva senza poter partecipare all'ultimo vano tentativo dei fuoriusciti di rientrare in Firenze : la rotta di Montemurlo
Giudizio
Fu personaggio molto pragmatico , fino a che vide un barlume di possibilita di successo alle sue azioni egli fece cose meravigliose quando constato' che anche questo barlume era spento e maggiormente quando constato' che i mercanti fiorentini invece che a dar aiuto alla Repubblica si preoccupavano di non rendersi ulteriormente nemico il papa ai loro traffici , egli tratto' una resa separata riuscendo cosi a sfuggire alla morte .Pagando comunque con l'esilio.
Il Busini ,pur dando atto alle sue capacita' militari ed al suo eroismo , lo rimprovera della frase " Chi non e' nel forno e' sulla pala " che il Carnesecchi uso' per definire la situazione fiorentina poco prima della resa. Frase che mostra invece una lucida visione degli avvenimenti e l'impossibilita' stante la mancanza di risorse di rimediare.
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Lorenzo Carnesecchi fu animoso ed amico della libertà, e si portò benissimo in Romagna; ma scrisse una lettera ai Dieci nell'assedio molto paurosa, dove era questo: Chi non é nel forno, é in sulla pala: confortando, credo, quei Signori all'accordo: e così fece egli. Pose una taglia credo a papa Chimenti per bando in sul suo dominio, essendo taglieggiato da Giorgio Ridolfi priore di Capua, che gli era contro per il papa, o da un suo fratello. Fu molto dedito ai piaceri ed al vino. Aveva letto assai storie, e servendolo la memoria, se ne valeva molto; onde fu molto accetto al duca di Urbino, e leggeva aneh'egli assai coso vulgari. Della morte sua vi dirò poi.
BUSINI Lettere al Varchi
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Tutti gli uomini piu' sennati si accordavano nel dire che , se invece di di aver messo lo stato in balia di sette cittadini <<quasi sette dittatori >> avessino eletto uno solo senza guardare ad altro che alla sufficienza , come esempi grazia il Ferruccio o Lorenzo Carnesecchi .....,le cose , sarebbero state per avventura governate altrimenti che elle non furono, e per conseguenza avuto altro fine che elle non ebbero.
" Storia Fiorentina " di Benedetto Varchi |
In definitiva , con la caduta della Repubblica, la figura e le gesta di Lorenzo Carnesecchi caddero in un profondo oblio da cui il personaggio non e’ mai uscito
http://www.condottieridiventura.it/condottieri/c/0392%20%20%20%20%20%20LEONELLO%20DA%20CARPI.htm LEONELLO DA CARPI (Leonello Santi) Combatte i fiorentini in Romagna. Con Cesare da Napoli assedia vanamente in Castrocaro Terme il commissario Lorenzo Carnesecchi.
http://www.condottieridiventura.it/condottieri/n/1223%20%20%20%20%20%20CESARE%20DA%20NAPOLI.htm CESARE DA NAPOLI (Cesare Masi, Cesare Maggi) Di Napoli.. Conte di Annone. Signore di Moncrivello. Raduna 4/5000 uomini; si presenta davanti a Monte Poggiolo e taglieggia Modigliana. Con Leonello da Carpi, assedia Castrocaro Terme con 6 pezzi di artiglieria e ne è respinto dal commissario Lorenzo Carnesecchi. Ingenti sono le perdite fra le sue truppe:successivamente i fiorentini cercano di subornarlo, gli promettono terre, onori, denari ma egli rifiuta ogni proposta. I pontifici gli consegnano 1395 ducati per il suo servizio Il principe d’ Orange lo invia in Ungheria con 2000 fanti per contrastarvi i turchi: non lascia viceversa il territorio, assale Marradi e si sposta nel Mugello, ove cattura uomini ed impone taglie a castelli e borghi. Passa in Valdarno; con la caduta nelle mani degli imperiali della cittadella di Arezzo, punta su Borgo San Sepolcro (SanSepolcro). Gli aretini gli consegnano 3000 scudi; molti abitanti del contado si uniscono con i suoi uomini e con costoro prosegue verso il Casentino, che viene messo a sacco sino a Rassina. E’ a Barberino di Mugello ed impone una taglia al borgo di Mangona: vi invia 4 suoi emissari per quantificare la somma richiesta. Costoro vengono uccisi dai contadini assieme ad alcuni dei suoi fanti: accorre prontamente e presto è trovato un accordo Con la resa della repubblica, scende dalla Valdarno e si presenta all' improvviso davanti alla porta di San Gallo di Firenze: tenta di entrare nella città, ma ne è respinto. In lite con il Maramaldo, si volge allora su Piacenza dove sta il di Leyva; a fine mese, è a Montevarchi; domanda ancora agli aretini 2000 fiorini per le necessità dei suoi uomini: gli sono fornite solo vettovaglie. A Mantova sfida a duello il Maramaldo; il marchese Federico Gonzaga si oppone alla sua effettuazione ed impedisce che sia consegnato al rivale il cartello di sfida.
http://www.condottieridiventura.it/condottieri/c/0443%20%20%20%20%20%20CESARE%20DA%20CAVINA.htm CESARE DA CAVINA (Cesare Naldi) Nipote di Vincenzo Naldi. Si congiunge con Balasso Naldi e cala in Mugello per combattervi i fiorentini dalla parte di Ronta con 2000 fanti: saccheggia Ronta, Pulicciano, Borgo San Lorenzo, Gattaia e Vicchio; pone il campo a Borgo San Lorenzo, disturbato da 300 fanti nemici che sono di stanza a Vicchio agli ordini di Albizzo da Fortuna. Si muove per assediare la rocca di Castiglione: è sconfitto e messo in fuga con Balasso Naldi dal commissario Lorenzo Carnesecchi.
Marzo 1530 BALASSO NALDI Di Brisighella. E’ sconfitto e messo in fuga dal commissario fiorentino Lorenzo Carnesecchi mentre si accinge ad assediare la rocca di Castiglione.
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ALBERO GENEALOGICO
ALCUNE LETTERE DI LORENZO CARNESECCHI AI DIECI
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte prima
Carlotta Borgia Lotti Lorenzo Carnesecchi di Carlotta Borgia Lotti parte seconda
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ing. Pierluigi Carnesecchi La Spezia anno 2003